EDITE ED INEDITE
COI RICORDI ED I CONTRATTI ARTISTICI.
EDIZIONE ORDINATA DAL COMITATO FIORENTINO
PER LE FESTE DEL IV CENTENARIO DALLA NASCITA
DI MICHELANGELO.
LE LETTERE
DI
MICHELANGELO BUONARROTI
PUBBLICATE
COI RICORDI ED I CONTRATTI ARTISTICI
PER CURA
DI
GAETANO MILANESI.
IN FIRENZE,
COI TIPI DEI SUCCESSORI LE MONNIER.
—
M. DCCC. LXXV.
[v]
Pubblicando le Lettere di Michelangelo, mentre Firenze si appresta a celebrare il Quarto Centenario dalla sua nascita, ha creduto il Comitato a ciò eletto, non solo di onorare meglio e più degnamente la memoria del grande artista, ma di lasciare altresì ai posteri bella e più durevole ricordanza di tanta solennità.
Dopochè da quattro secoli di Michelangelo Buonarroti si ragiona e si scrive, e solenni critici hanno del divino ingegno, delle mirabili opere e dell'altissimo grado che tiene nell'arte, ampiamente discorso; certo non passerebbe senza nota di presunzione, che io non artista, nè dell'arte intendente, pigliassi la presente occasione, in cui si pubblicano le sue Lettere, per dirne nuovamente, e volessi aggiungere il mio agli autorevoli giudizi altrui. Il che, oltre essere per la detta ragione superfluo, riuscirebbe ancora tanto inopportuno, quanto la natura stessa del Libro pare che meno il richiegga; nel quale mentre scarseggiano i particolari dell'artista, abbondano invece quelli dell'uomo. Per le Lettere infatti di Michelangelo, tutte più o meno importanti, e talune bellissime e piene di sentimento e di forza, dove il pensiero è più che espresso, scolpito; e dove, se la passione il commuove, egli s'innalza fino all'eloquenza; noi possiamo acquistare dell'animo suo, delle qualità del suo cuore e de' suoi sentimenti, assai migliore e più intiera notizia, che dai passati Biografi non s'abbia. Da esse apparisce con quale affettuosa reverenza onorasse il padre; col quale avendo avuto più volte, per cagione d'interessi, screzi e questioni assai vive, giammai i termini della modestia non trapassò, comportandosi sempre da figliuolo amorevole [vi] e rispettoso. Ed eguale amore portava ai fratelli, ai quali, sebbene fossero di natura molto diversa dalla sua, cercò con ogni sollecitudine di procacciare un onesto avviamento, e di buone somme di denari per questo effetto gli aiutò. E quando la morte gli tolse l'uno e gli altri, nell'unico nipote tutta la sua affezione raccolse; lui riguardò come il conforto della sua vecchiezza e d'ogni suo avere lo fece erede, perchè onorevolmente tirasse innanzi la casa. De' suoi servitori, che furono molti e sempre da lui trattati amorevolmente, sebbene pochi gli corrispondessero, nessuno fu più dell'Urbino amato da Michelangelo: e quando con suo grandissimo dolore gli fu rapito dalla morte, egli, come padre amorevole, ebbe cura de' suoi figliuoli.
Ma per quanto rarissime fossero in lui queste belle doti dell'animo, pure egli pagò talvolta il debito all'umana fralezza. Fu Michelangelo costante nelle amicizie, ed ebbe amici provati che gli serbarono fede fino alla morte. Pure nel lungo corso della sua vita gli accadde due o tre volte di rompersi con alcuno: il che fu piuttosto per la natura sua sospettosa che lo portava a dare troppo facile orecchio alle altrui maligne parole, che per vera cagione che ne avesse. Resta ancora una lettera assai fiera e di fieri rimproveri ripiena, che gli scrisse Iacopo Sansovino. Se le accuse che egli dà a Michelangelo sieno in tutto o in parte fondate, è difficile accertare. Vero è che il Sansovino si duole di lui con troppa passione, credendo che gli fosse stata tolta un'opera, già promessagli, e data ad altri per consiglio di Michelangelo. Chi non sa che amico svisceratissimo gli fosse Sebastiano del Piombo? eppure la loro amicizia durata tant'anni, a poco a poco si raffreddò, e di poi in tutto cessò, senza che se ne possa assegnare la cagione. Certo di questa amicizia nè nel Vasari, nè nelle Lettere di Michelangelo dopo la sua andata a Roma abbiamo più segno o ricordo alcuno. Erano gli sdegni suoi nel primo impeto terribili, e parlando o scrivendo, sapeva dire benissimo e con grande efficacia l'animo suo; come può vedersi nelle sue Lettere, e massime in quella a Giovan Simone suo fratello[1] e nell'altra a Luigi del Riccio,[2] tanto suo amorevole e serviziato amico. Ma questi sdegni ed impeti furono [vii] in lui passeggieri. L'animo suo era vòlto alla benevolenza; gli dispiacevano gli uomini doppi o fognati, com'egli diceva, cioè con due bocche, ma chiunque gli mostrava affetto, era da lui con altrettanto corrisposto.
Onde è certo che coloro i quali da ora innanzi piglieranno a scrivere di Michelangelo, conoscendo quanto a meglio intendere l'artista aiuti lo studio dell'uomo, faranno capitale di questo nuovo e prezioso libro che oggi si pubblica; dove sovente egli dipinge se stesso così al vivo; dà molti particolari della sua vita intima, ignoti a' Biografi, e delle fatiche per tanti anni durate nell'arte fatta suo idolo e monarca, e de' dolori che n'ebbe, spesso ragiona. Che se dalle ingiurie degli emoli, dai morsi degl'invidi, e dai capricci de' potenti fu talvolta fieramente turbato; più dell'ira e risentimento potè in lui la natural bontà dell'animo, che all'usata benevolenza in breve lo riconduceva.
Ma se queste domestiche virtù abbondarono in Michelangelo, certo non gli fecero difetto le cittadine: perchè quando un Papa ambizioso e crudele colle armi proprie e colle straniere si apprestava ad assaltare Firenze, egli dapprima spontaneo e senza speranza o promessa di premio, pose il divino ingegno a prepararne le difese, e cogli argomenti ed industrie d'un'arte nuova per lui, e per più mesi, vi si affaticò. La qual sua nobilissima azione, che i Biografi contemporanei raccontano appena e per ragioni che è facile intendere, è oggi e meritamente tenuta in gran conto, e con altissime lodi celebrata.
Pure le sorti di Firenze alfine rovinarono, più per tradimento di chi era preposto alla sua difesa, che per sforzo delle armi nemiche. E che dolore provasse Michelangelo vedendo la cara patria venuta alle mani d'un tiranno, mostrano, se non ci fosse altro testimonio, il suo epigramma per gli esuli fiorentini, e i versi fatti dire alla figura della Notte.
Dicono alcuni che ricercato del disegno d'una fortezza che il duca Alessandro intendeva innalzare nella città, egli sdegnosamente vi si rifiutasse; e che per questo il Duca non lo vedesse mai più di buon occhio, e che volentieri gli avrebbe fatto dispiacere, se non fosse stato difeso dal Papa. Ma di questo negli scrittori della sua vita non è ricordo nessuno. Aggiungono altri, che riuscendo a Michelangelo sempre più intollerabile il governo del Medici, e [viii] giudicando che colla morte del Papa verrebbe a mancargli un potentissimo protettore, risolvette di partirsi di Firenze, ed andare a Roma. Ma di questa sua risoluzione forse più vera cagione è l'esser egli stato chiamato dal Papa, che voleva servirsene per la pittura della Sistina: sebbene io creda che altra cagione segreta il movesse; la quale fu l'ardente amore per una donna, forse conosciuta da lui nella sua andata a Roma dell'agosto 1533. E di questo egli parla chiaramente in una sua lettera frammentata all'amico Angiolini.
Andato a Roma, quivi accarezzato dai Papi, ricercato dai principi e gran signori, riverito e ammirato da tutti, trapassò gli ultimi trent'anni della sua vita tra le fatiche dell'arte, che nuove glorie e nuovi dolori gli riserbava, cantando in nobilissime rime un amore alto e i santi pensieri di Dio e della morte, conversando dolcemente con gli amici, e rivolgendo le cure alla famiglia lontana, che de' suoi consigli ed aiuti ancora abbisognava.
Venendo ora alle Lettere di Michelangelo, che occupano la maggior parte del presente volume, alla loro provenienza, e a' modi da me tenuti nel pubblicarle, dirò, che esse sommano a 495, e sono tratte le più dagli autografi dell'Archivio Buonarroti, e del Museo Britannico: quelle del primo, meno qualcuna, erano tutte inedite; non così le seconde, in generale assai meno importanti, chè il Grimm nella sua Michelangelo's Leben, e il Piot nel Cabinet de l'Amateur, Année II, ne avevano stampate tra ambidue da una quarantina. Di alcune delle edite nelle Pittoriche e nel Carteggio del Gaye, ho fatto riscontro cogli autografi, e in difetto loro, con copie antiche dell'Archivio Buonarroti e di quello di Stato in Firenze; non senza vantaggio della lezione, spesso negli stampati corrotta. Quanto alle Lettere di Michelangelo a Giorgio Vasari, io mi chiamo fortunato di averle potute riscontrare, colle copie fatte da Michelangelo Buonarroti il Giovane, sopra gli originali, allora presso gli eredi del Vasari: e si vedrà col confronto quanto sciattamente fossero stampate nella Vita di Michelangelo dal Biografo Aretino.
Rispetto a' modi da me seguiti nel condurne la stampa, io ho cercato di tenermi in una via di mezzo tra la pedanteria degli uni, i quali vorrebbero con servilità eccessiva veder riprodotti i documenti con tutti i nessi, le [ix] abbreviature e le forme ortografiche; e la licenza degli altri, che correggono, mutano, aggiungono, e tutto vestono alla moderna.
Io dunque la prima cosa ho sciolto tutti i nessi e le abbreviature, levato la h, dove era lettera aspirata, mutato il ct nel doppio tt; stimando che per questo cambiamento, il suono e il significato della parola rimanga il medesimo. Certi errori di ortografia proprii di Michelangelo, come gugnio, Gorgo, page, largi, per giugno, Giorgio, paghe, larghi, ho lasciato stare, e lo stesso ho fatto di alcune parole, scritte secondochè portava la favella fiorentina; come scriverrò, librerria e liberria, amunizione, per scriverò, libreria, munizione. Insomma, sperando che questo libro vada per le mani di molti, ho procurato che nessuno dalla stranezza e novità dell'ortografia sia svogliato o noiato dal leggerlo. Ma ogni mia maggior diligenza e cura è stata posta nel dare il testo di esse Lettere, intiero e corretto il più possibile.
Dopo le Lettere vengono i Ricordi, scritti la più parte dalla mano stessa di Michelangelo, e tratti dal Museo Britannico, dall'Archivio Buonarroti e dalle stampe: ed in ultimo i Contratti Artistici, abbondante e preziosa raccolta di documenti proprii ad illustrare la vita artistica di Michelangelo e le sue Lettere. Sono anch'essi per la massima parte inediti, e si conservano nell'Archivio suddetto.[3]
DAL 1497 AL 1523.
Archivio Buonarroti. Di Roma, 1 di luglio 1497.
Domino Lodovico Buonarroti in Firenze.
Al nome di Dio. A dì primo di luglio 1497.
Reverendissimo e caro padre. Non vi maravigliate che io non torni, perchè io non ò potuto ancora aconciare e' fatti mia col Cardinale,[4] e partir no mi voglio, se prima io non son sodisfatto e remunerato della fatica mia; e con questi gra' maestri bisognia andare adagio, perchè non si possono sforzare: ma credo in ogni modo di questa settimana che viene, essere sbrigato d'ogni cosa.
Avisovi come fray Lionardo ritornò qua a Roma, che dicie che gli era bisogniato fuggire da Viterbo e che gli era stato tolto la cappa: e voleva venire costà: onde io gli detti un ducato d'oro che mi chiese per venire, e credo che 'l dobiate sapere, perchè debe esser giunto costà.
Io non so che mi vi dire altro, perchè sto sospeso e non so ancora come la s'andrà: ma presto spero essere da voi. Sano: così spero di voi. Racomandatemi agli amici.
Michelagniolo scultore in Roma.
[4]
Archivio Buonarroti. Di Roma, 19 d'agosto 1497.
Domino Lodovico Buonarroti in Firenze.
Al nome di Dio. A dì 19 d'agosto 1497.
Carissimo padre, ec. Avisovi come venerdì giunse qua Bonarroto; e io come lo sepi, andai all'osteria a trovallo; e lui mi raguagliò a boca come voi la fate, e diciemi che Consiglio[5] merciaio vi dà una gran noia e che non si vuole acordare i' modo nessuno, e che vi vuole far pigliare. Io vi dico che voi veggiate d'accordalla e di dàgli qualche ducato inanzi; e quello che voi rimanete d'accordo di dargli, mandatemelo a dire, e io ve gli manderò, se voi no' gli avete; benchè io n'abbi pochi, come io v'ò detto, io m'ingiegnierò d'acattargli, acciò che non s'abbi a pigliare danari del Monte, come mi dicie Bonarroto. Non vi maravigliate che io v'abbi scritto alle volte così stizosamente, che io ò alle volte di gran passione per molte cagione che avengono a chi è fuor di casa.
Io tolsi a fare una figura da Piero de' Medici[6] e comperai il marmo: poi noll'ò mai cominciata, perchè no' mi à fatto quello mi promesse: per la qual cosa io mi sto da me, e fo una figura per mio piaciere; e comperai un pezo di marmo ducati [5] cinque e non fu buono: ebi buttati via que' danari: poi ne ricomperai un altro pezzo, altri cinque ducati, e questo lavoro per mio piaciere: sì che voi dovete credere che anch'io spendo e ò delle fatiche: pure quello mi chiederete, io ve lo manderò, s'io dovessi vendermi per istiavo.
Buonarroto è giunto a salvamento e tornasi all'osteria, e à una camera e sta bene e non gli mancherà mai nulla, quant'e' vorrà stare. Io non ò comodità di tenello meco, perchè io sto in casa altri, ma basta ch'io non gli lascierò mancar nulla. Sano: così spero di voi.
Michelagniolo in Roma.
(Di mano di Lodovico)
Dicie aiutarmi pagare Consiglio.
[6]
Museo Britannico. Di Roma, 31 di gennaio 1507.
A Lodovico di Lionardo di Buonarrota Simoni in Firenze. Data nella Dogana di Fiorenza.
Padre reverendissimo. I' ò inteso per una vostra, come lo Spedalingo non è mai tornato di fuora; per la qualcosa non avete potuto venire alla conclusione del podere come desideravi: io n'ò avuta passione anch'io, perchè stimavo voi l'avessi oramai tolto. Dubito che lo Spedalingo non sia andato fuora a arte, per non s'avere a spodestare di quella entrata e per tenere e' danari e el podere. Avisatemi: perchè se così fussi, gli caverei e' mia danari di mano, e terre' gli altrove.
De' casi mia di qua io ne farei bene, se e' mia marmi venissino: ma in questa parte mi pare avere grandissima disgrazia, che mai poi che io ci sono, sia stato dua dì di buon tempo. S'abattè a venirne più giorni fa una barca che ebbe grandissima ventura a non capitar male, perchè era contratempo: e poi che io gli ebbi scarichi, subito venne el fiume grosso e ricopersegli i' modo, che ancora non ò potuto cominciare a far niente, e pure do parole al Papa e tengolo in buona speranza, perchè e' non si crucci meco, sperando che 'l tempo s'aconci ch'io cominci presto a lavorare; che Dio il voglia!
Pregovi che voi pigliate tutti quegli disegni, cioè tutte quelle carte che io messi in quel saco che io vi dissi, e che voi ne facciate un fardelletto e mandatemelo per uno vetturale. Ma vedete d'aconciarlo bene per amor dell'aqua; e abbiate cura, quando l'aconciate, che e' no' ne vadi male una minima carta; e racomandatela al vetturale, perchè v'è cierte cose che importano assai; e scrivetemi per chi voi me le mandate, e quello che io gli ò a dare.
[7] Di Michele,[8] io gli scrissi che mettessi quella cassa in luogo sicuro al coperto, e poi subito venissi qua a Roma e che non mancassi per cosa nessuna. Non so quello s'arà fatto. Vi prego che vo' gniene rammentiate e ancora prego voi che voi duriate un poco di fatica in queste dua cose, ciò è in fare riporre quella cassa al coperto in luogo sicuro; l'altra è quella Nostra Donna di marmo,[9] similmente vorrei la facessi portare costì in casa e non la lasciassi vedere a persona. Io non vi mando e' danari per queste dua cose, perchè stimo che sia picola cosa; e voi se gli dovessi acattare, fate di farlo, perchè presto, se e' mia marmi giungono, vi manderò danari per questo e per voi.
Io vi scrissi che voi domandassi Bonifazio a chi e' faceva pagare a Luca quegli cinquanta ducati che io mando a Carrara a Matteo di Cucherello, e che voi iscrivessi el nome di colui che gli à a pagare, in sulla lettera che io vi mandai aperta e che voi la mandassi a Carrara al detto Matteo, acciò che e' sapessi a chi egli aveva a andare in Luca per e' detti danari. Credo l'arete fatto: prego lo scriviate ancora a me, a chi Bonifazio gli fa pagare in Luca, acciò che io sappia el nome e possa scrivere a Matteo a Carrara, a chi egli à andare in Luca, per e' detti danari. Non altro. Non mi mandate altro che quello che io vi scrivo, e e' panni mia e le camicie li dono a voi e a Giovan Simone. Pregate Dio che le mie cose vadino bene; e vedete di spendere a ogni modo per insino in mille de' mia ducati in terre, come siàno rimasti.
A dì trentuno di giennaio mille cinque ciento sei.[10]
Vostro Michelagniolo in Roma.
Lodovico: io vi prego che voi mandiate questa lettera, che è fra queste che io vi mando, che va a Piero d'Argiento, e prego che voi facciate che e' l'abbi. Credo che per la via degl'Ingiesuati l'andrebbe bene, perchè spesso vi suole andare di que' Frati. Io ve la racomando.
[8]
Museo Britannico. Di Bologna, 8 di febbraio 1507.
A Lodovico di Lionardo di Buonarrota Simoni in Firenze. Data nella bottega di Lorenzo Strozzi, arte di lana in Porta Rossa.
A dì otto di febraio 1506.
Reverendissimo padre. Io ò ricevuta oggi una vostra per la quale intendo come voi siate stato raguagliato da Lapo e Lodovico.[11] Io ò caro che vo' mi riprendiate, perchè io merito d'essere ripreso come tristo e pecatore quant'è gli altri e forse più. Ma sappiate che io non ò pecato nessuno in questo fatto di che voi mi riprendete, nè con loro nè con nessuno altro, se non del fare più che non mi si conviene: e sanno bene tutti gli uomini con chi mi sono mai impacciato, quello che io do loro; e se nessuno lo sa, Lapo e Lodovico son quegli che lo sanno meglio che gli altri; che l'uno à avuto in uno mese e mezo ducati venti sette e l'altro diciotto largi, e le spese: e però vi prego non vi lasciate levare a cavallo. Quando e' si dolfono di me, voi dovevi domandare loro quanto gli erano stati con meco e quello che gli avevano avuto da me; e poi aresti domandato di quello che e' si dolevano. Ma la passione loro grandissima, e massimamente di quel tristo di Lapo, si è stata questa; che gli avevano dato a 'ntendere a ognuno che erono quegli che facevano quest'opera, overo che erono a compagnia meco: e non si sono mai acorti, massimamente Lapo, di non essere el maestro, se non quand'io l'ò cacciato via: a questo solo e' s'è aveduto ch'egli stava meco: e avendo già intelate tante [9] faccende e cominciato a spacciare il favore del Papa, gli è paruto strano che io l'abbi cacciato via com'una bestia. Duolmi che gli abbi di mio sette ducati: ma s'io torno costà, e' me gli renderà a ogni modo: benchè e' mi doverrebe ancora rendere gli altri che gli à avuti, s'egli à coscienza: e basta. Io non mi distenderò altrimenti, perchè de' casi loro ò scritto a messer Agnolo[12] abastanza; al quale io prego che voi andiate, e se potete menare el Granaccio[13] con esso voi, lo meniate e facciate leggere la lettera che io gli ò scritta, e 'ntenderete che canaglia e' sono. Ma pregovi che voi tegniate segreto ciò che io iscrivo di Lodovico, perchè se io non trovassi altri che venissi qua a fondere, vedrei di ricondur lui, perchè in verità io non l'ò cacciato di qua; ma Lapo, perchè gli era troppo vitupero a venirne solo, à sviato anche lui per alleggerirsi. Intenderete dall'Araldo ogni cosa e come ve n'avete a governare. Non fate anche parole con Lapo, perchè ci è troppa vergognia; ch'el fatto nostro non va con loro.
De' casi di Giovansimone, a me non pare che e' venga qua, perchè 'l Papa si parte in questo carnovale e credo che verrà alla volta di Fiorenza, e qua non lascia buon ordine: qua (sic) ci sia qualche sospetto, secondo che si dice, il che non è da cercare nè da scrivere: basta che quand'e' nulla avenissi, chè nol credo, io non voglio avere obrigo di frategli alle spalle. Di questo none pigliassi amirazione e none parlassi a uomo nessuno del mondo, perchè avendo bisognio d'uomini, non troverrei chi ci venissi; e poi credo ancora che le cose anderanno bene. Io sarò presto di costà e farò tal cosa, che io contenterò Giovansimone e gli altri: che a [10] Dio piaccia! Domani vi scriverò un'altra lettera di certi danari ch'io vo' mandare di costà, e quello n'avete a fare. Di Piero[14] ò inteso: lui vi risponderà per me, perchè gli è uomo da bene, come è sempre stato.
Vostro Michelagniolo in Bolognia.
Ancora v'aviso per rispondere alle straneze che Lapo dice che io gli ò fatte. Io ve ne voglio scrivere una, e questa è, che io comperai sette cento venti libre di cera; e innanzi che io la comperassi, dissi a Lapo che cercassi chi n'avea e che facessi el mercato e che io gli darei e' danari che la togliessi. Lapo andò e tornò: e dissemi che la non si poteva aver per manco un quattrino di nove ducati largi e venti bolognini el centinaio; che sono nove ducati e quaranta soldi; e che io la togliessi presto, poichè io avevo trovato tal ventura. Io gli risposi, e dissigli che andassi a 'ntendere se poteva levare que' quaranta soldi al centinaio, e che io la torrei. Mi rispose: questi bolognesi son di natura che non leverebbono uno quattrino di quello che e' chiegono. In questo punto presi sospetto e lasciai andar la cosa. Poi el dì medesimo chiamai Piero in disparte e dissigli segretamente che andassi a vedere per quanto e' poteva avere el centinaio della cera. Piero andò a quel medesimo di Lapo, e mercatolla otto ducati e mezo: e io la tolsi, e di poi mandai Piero per la senseria, e ancora gli fu data questa. È una delle straneze che io gli ò fatte. Veramente io so che gli parve strano che io m'acorgessi di quella gunteria. Non gli bastava otto ducati largi el mese e le spese, che ancora s'è ingegniato di guntarmi e puommi avere guntato molte volte, che io no' ne so niente, perchè mi fidavo di lui: nè mai vidi uomo avere più colore di buono che à lui, ond'io credo che sotto la sua bontà e' n'abbi gabato degli altri. Sì che non fidate di lui di cosa nessuna e fate le vista di nol vedere.
[11]
Museo Britannico. Di Roma, (del giugno 1508).
A Lodovico di Buonarrota Simoni in Firenze.
Padre reverendissimo. Intendo per l'ultima vostra come costà s'è detto che io son morto. È cosa che importa poco, perchè io son pur vivo. Però lasciate dir chi dice, e non parlate di me a nessuno, perchè e' c'è di mali omini. Io attendo a lavorare quanto posso. Non ò avuto danari già tredici mesi fa dal Papa e stimo infra un mese e mezzo averne a ogni modo, perchè àrò francati molto ben quegli che i' ò avuti. Quando non me ne dessi, mi bisognierebe acattare danari per tornar costà; chè io non ò un quattrino. Però non posso esser rubato. Idio lasci seguire il meglio.
Di mona Cassandra[15] ò inteso. Non so che me ne dire. Se mi trovassi danari, m'informerei se si potessi condurre qua 'l piato sanza mio danno, ciò è di tempo, e bisognierebemi fare un procuratore, e io non ò da spendere per ancora. Avisatemi quando è tempo, come la cosa va, e se e' vi bisognia danari, andate a Santa Maria Nuova allo Spedalingo, come già vi dissi. Non ò da dirvi altro. Io mi sto qua malcontento e non troppo ben sano e con gran fatica, senza governo e senza danari: pure ò buona speranza che Dio m'aiuterà. Racomandatemi a Giovanni da Ricasoli, a messere Agniolo Araudo.
Vostro Michelagniolo in Roma.
[12]
Museo Britannico. Di Roma, (del luglio 1508).
A Lodovico di Buonarrota Simoni in Firenze.
Padre reverendissimo. Io vi risposi per l'ultima mia com'io non ero morto, benchè non mi sia sentito troppo bene: pure adesso pure adesso (sic) sto assai bene, grazia di Dio, del male.
Ò inteso per l'ultima vostra, come el piato va: dammi passione assai, perchè conosco che con questi notai bisognia perdere a ogni modo e essere agirato, perchè e' sono tutti ladri. Nondimanco io credo pure ch'ella spenda anch'ella. Io vi conforto, non possendo avere ragionevole acordo, che voi vi difendiate quanto potete, e sopra tutto quello che voi fate, fatelo senza passione, perchè e' non è sì gran faccenda, che faccendola sanza passione non paia picola. In questo caso non bisognia guardare alla spesa: e quando e' non ci fia da spendere, Idio ci aiuterà.
Del condurre qua il piato, se si può farlo, io lo farò, perchè so che qua bisognierà che la spenda altrimenti che costà, e verrebe ancora a chieder misericordia a noi. Vero è che non potrei cominciare fino che io non ò danari dal Papa. Avisatemi: e se voi potete fare acordo, non guardate in picola cosa. Ma s'ella vi volessi far fare cosa che a voi paia disonesta, non lo fate, perchè piglierèno qualche partito da difenderci a ogni modo. Avisatemi, e non guardate che io non vi risponda, perchè molte volte non posso.
Vostro Michelagniolo in Roma.
[13]
Museo Britannico. Di Roma, (dell'agosto 1508).
A Lodovico di Buonarrota Simoni in Firenze.
Reverendissimo padre. Io ò inteso per l'ultima vostra come le cose vanno di costà e come Giovansimone si porta. Non ebi, è già dieci anni, la più cattiva novella, che la sera che io lessi la vostra lettera, perchè mi credevo avere aconcio i casi loro, ciò è i' modo che egli sperassino di fare una buona bottega col mio aiuto, come ò loro promesso; e sotto questa speranza attendessino a farsi dassai e a imparare, per poterla poi fare quando il tempo venissi. Ora io vego che e' fanno el contrario, e massimamente Giovansimone; ond'io ò visto per questo che il fargli bene non giova niente: e se io avessi potuto il dì che io ebbi la vostra lettera, montavo a cavallo, e àrei a questa ora aconcio ogni cosa. Ma non potendo fare questo, io gli scrivo una lettera[17] come pare a me, e se egli da qui inanzi non si muta di natura, overo se lui cava di casa tanto che vaglia uno steco o fa altra cosa che vi dispiaccia, vi prego che voi me l'avisiate, perchè vedrò d'avere licenza dal Papa, e verrò costà e mosterrogli l'error suo. Io voglio che voi siate certo che tutte le fatiche che io ò sempre durate, non sono state manco per voi che per me medesimo, e quello che io ò comperato, l'ò comperato perchè e' sia vostro i' mentre che voi vivete; che se voi non fussi stato, non l'àrei comperato. Però quando a voi piace d'apigionare la casa e d'afittare el podere, fatelo a vostra posta; e con quella entrata e con quello che io vi darò io, voi viverete com'un signore; e se e' non venissi la state, come viene, io vi direi che voi lo facessi ora, e venissivi a star qua meco. Ma non è tempo, perchè ci viveresti poco la state. Io ò pensato di levargli [14] e' danari che egli à in sulla bottega e dargli a Gismondo, e che lui e Buonarroto si tornino insieme il meglio che potranno, e che voi apigioniate coteste case e 'l podere da Pazolatica, e con quella entrata e con quello aiuto ancora che io vi darò io, che voi vi riduciate in qualche luogo che voi stiate bene e possiate tenere chi vi governi o in Firenze o fuor di Firenze, e lasciar cotesto tristo col culo i' mano. Io vi prego che voi pensiate al caso vostro e in tutti que' modi che voi volete fare che vi sia il vostro, in tutti vi voglio aiutare tanto, quant'io so e posso. Avisate. De' casi della Cassandra io mi sono consigliato del ridur qua el piato. Èmmi detto che io spenderò qua tre volte più che non si farà costà: e così è cierto; perchè quello che si fa costà con un grosso, non si farà qua con dua carlini. L'altra, che io non ci ò amico nessuno di chi mi fidare, e io non potrei attendere a simil cosa. A me pare quando voi vogliate attendere, che voi andiate per la via ordinaria, secondo che vole la ragione, e che voi vi difendiate quanto voi potete e sapete, e de' danari che bisogna spendere io non vi mancherò mai i' mentre che io n'àrò; e abbiate manco paura che voi potete, perchè e' non son casi che ne vadi la vita. Non altro. Avisatemi, come v'ò detto di sopra.
Vostro Michelagniolo in Roma.
[15]
Museo Britannico. Di Roma, (dell'agosto 1508).
A Lodovico di Buonarrota Simoni in Firenze.
Reverendissimo padre. Io ò avuto a questi giorni una lettera da una monaca che dice essere nostra zia, la quale mi si racomanda, e dice che è molto povera e che è in grandissimo bisognio e che io le facci qualche limosina. Per questo io vi mando cinque ducati larghi, che voi per l'amor de Dio gnene diate quattro e mezzo, e del mezzo che vi resta, pregovi diciate a Buonarroto che mi facci comperare o da Francesco Granacci o da qualche altro dipintore un'oncia di lacca o tanta quanta e' può avere per e' detti danari, che sia la più bella che si trovi in Firenze; e se e' non ve n'è, che sia una cosa bella, lasci stare. La detta monaca nostra zia, credo che sia nel munistero di San Giuliano. Io vi prego che voi vegiate d'intendere s'egli è vero che gli abbi sì grande bisognio, perchè la mi scrive per una certa via che non mi piace. Ond'io dubito che la non sia qualche altra monaca e di non esser fatto fare. Però quando vedessi che e' non fussi vero, toglietegli per voi. E' detti danari vi pagerà Bonifazio Fazi.
Non v'ò da dire altro per ora, perchè non sono ancora risoluto di cosa nessuna che io vi possa avisare. Più per agio v'aviserò.
Vostro Michelagniolo scultore in Roma.
[16]
Museo Britannico. Di Roma, 5 di novembre (1508).
A Lodovico di Lionardo Buonarrota Simoni in Firenze.
Reverendissimo padre. Intendo per l'ultima vostra come avete dato alla madre e alla moglie di Michele sei staia di grano a venticinque soldi lo staio, e come siate per dargli loro, mentre aran bisognio, quello che potrete: e io vi dico che voi non diate loro altro; e quando domandassino altro, rispondete, che non avete di poi altro aviso da me.
De' panni mia intendo come me gli manderete presto: io ve ne prego: e scrivetemi la spesa che avete fatta, e io subito vi manderò e' danari del grano e questi insieme. La minuta fatela aconciare secondo la coscienzia vostra, e io subito vi manderò la procura e farèno quello che è scritto altre volte.
Ancora àrei caro che voi intendessi se costà fussi qualche fanciullo, figliuolo di buone persone e povero, che fussi uso agli stenti, che fussi per venire a star qua meco per fare tutte le cose di casa, cioè comperare e andare attorno dove bisognia; e 'l tempo gli avanzassi, potrebbe imparare. Quando trovassi, avisatemi, perchè qua non si trova se non tristi: e ònne gran bisognio. Non altro. Io sto bene, grazia di Dio, e lavoro. A dì cinque di novembre.
Vostro Michelagniolo scultore in Roma.
[17]
Museo Britannico. Di Roma, 27 di gennaio (1509).
A Lodovico di Buonarrota Simoni in Firenze.
Carissimo padre. Io ò ricevuta oggi una vostra, la quale intendendo, ò avuto dispiacere assai. Dubito che voi non vi mettiate più timore o paura che non bisognia. Àrei caro che voi m'avisassi di quello che voi stimate che la vi possa fare, cioè del peggio, quando la facessi tutto suo sforzo. Non v'ò da dire altro. A me fa male che voi istiate in cotesta paura; ond'io vi conforto a prepararvi bene contro alle sua forze, con buon consiglio, e dipoi non vi pensar più: che quand'ella vi togliessi ciò che voi avete al mondo, non v'à a mancare da vivere e da star bene, quando non fussi altri che io. Però state di buona voglia. Io ancora sono in fantasia grande, perchè è già uno anno che io non ò avuto un grosso da questo Papa, e none chiego, perchè el lavoro mio non va inanzi[20] i' modo che a me ne paia meritare. E questa è la dificultà del lavoro, e ancora el non esser mia professione. E pur perdo el tempo mio sanza frutto. Idio m'aiuti. Se voi avete bisognio di danari, andate allo Spedalingo e fatevi dare per insino a quindici ducati, e avisatemi quello che vi resta. Di qua s'è partito a questi dì quello Iacopo[21] dipintore che io fe' venire qua; e perchè e' s'è doluto qua de' casi mia, stimo che [18] e' si dorrà ancora costà. Fate orechi di mercatanti: e basta: perchè lui à mille torti e àre'mi grandemente a doler di lui. Fate vista di non vedere. Dite a Buonarroto che io gli risponderò un'altra volta.
A' dì venti 7 di giennaio
Vostro Michelagniolo in Roma.
[19]
Museo Britannico. Di Roma, di giugno (1509).
A Lodovico di Buonarrota Simoni in Firenze.
Reverendissimo padre. Più giorni fa vi mandai cento ducati largi di quelli che io m'ero serbati qua per vivere e lavorare; e questo feci, perchè mi paion più sicuri costà che qua. Credo gli abbiate ricievuti. Pregovi gli portiate allo Spedalingo e fategli mettere a mio conto come stanno gli altri. A me è restato qua ottanta ducati: credo mi dureranno quatro mesi, e io ò da fare qua sei mesi ancora, innanzi che io abia a avere danari dal Papa: però son certo mi mancherà danari, e stimo che e' mi mancherà cinquanta ducati. Però vi prego che de' cento che voi avete promesso di rendermi, voi me ne rendiate cinquanta: el resto vi dono: con questo che infra quattro mesi voi gli abiate a ordine a ogni modo, perchè n'àrò bisognio qua. E' cento che io ò mandati costà, mi voglio ingegniare di salvargli per rendergli a quegli del cardinale di Siena,[22] come sapete che gli ànno avere di quegli che sono in Santa Maria Nuova. Vi prego veggiate a ogni modo comperarne un podere, perchè m'è detto che stanno male. Così io resto avere ancora, finita la mia pittura qua, mille ducati dal Papa, e se la gli va bene, spero avergli a ogni modo. Però pregate Idio per lui, pel suo bene e pel nostro.
Scrivetemi subito.
A' dì.... di giugnio
Vostro Michelagniolo scultore in Roma.
[20]
Museo Britannico. Di Roma, (1509).
A Lodovico di Buonarrota Simoni in Firenze.
Carissimo padre. Intendo per la vostra ultima, come lo Spedalingo v'à messo dua poderi per le mani, uno suo, uno d'altri. A me pare da comperare più presto da lui che da altri, e 'l podere sia di chi si vole, purchè lo Spedale sodi. Quello di Pian di Ripoli, secondo il vostro scrivere, è bella cosa: non so io se e' s'è bello per esser ben tenuto, o pure che le sieno buone terre. Nondimanco a me, quando fussi buono, per la spesa a me piacerebbe, perchè è comodo e massimo avendo buona casa da oste. Voi siate in sul fatto e vedete. Io non vi posso consigliare per esser qua; ma ben vi dico che quello che voi comperate, sarà ben fatto. Però non abiate rispetto nessuno, purchè e' sia buon sodo: e quello che a voi piace di tôrre, a me piacerà che voi l'abiate tolto: sia che si vole. Non m'acade altro. Fate quello che vi pare el meglio. Io verrò costà a ogni modo come ò finito qua la mia pittura, che sarà infra dua o tre mesi.
Vostro Michelagniolo scultore in Roma.
[21]
Museo Britannico. Di Roma, (del settembre 1509).
A Lodovico di Buonarrota Simoni in Firenze.
Carissimo padre. Intendo per la vostra ultima come lo Spedalingo v'à straziato e come vi dà parole assai. Abbiate pazienzia e fate vista di non vedere, tanto che io tornerò e aconcierò ogni cosa. Io stimo aver finito qua infra dua mesi, e poi verrò o tornerò costà. Non ò che dirvi altro. Se io non vi scrivo più spesso, non vi maravigliate, perchè non posso, e anche non ò chi porti le lettere: nè anche voi non mi scrivete troppo per questo tempo che io ci ò a stare, perchè io non vo per le lettere e ànnomi a essere portate e dassi noia a altri. Pregate Dio che la mia cosa abi qua buon fine.
Vostro Michelagniolo scultore in Roma.
[22]
Museo Britannico. Di Roma, (del settembre 1509).
A Lodovico di Lionardo di Buonarrota Simoni in Firenze.
Carissimo padre. Io vi scrissi sabato passato che voi non vi curassi di scrivermi troppo spesso, e questo perchè io sto lontano dal banco e el più delle volte m'ànno a essere portate le lettere, e parmi piu presto dar noia che altro: pur nondimanco acadendo da scrivermi, pregovi mi scriviate, e massimamente quando voi fussi per comperare, fate che io il sapi. Intesi come lo Spedalingo v'avea straziato. Non me ne maraviglio, perchè se fussi buono, non sarebbe tenuto in quello luogo; pur nondimanco fategli buon viso, e mostrate di non avedere: forse gli verrà voglia inanzi che io torni di darci qualche cosa: e se nol fa, com'io torno, piglierèno qualche partito che lui non abbia a godere e' danari e 'l podere. Non altro.
Vostro Michelagniolo scultore in Roma.
[23]
Museo Britannico. Di Roma, (di ottobre 1509).
A Lodovico di Buonarrota Simoni in Firenze.
Carissimo padre. I' ò inteso per l'ultima vostra come avete riportati e' quaranta ducati allo Spedalingo. Avete fatto bene: e quando voi intendessi che gli stessino a pericolo, pregovi me n'avisiate. Io ò finita la capella che io dipignievo:[24] el Papa resta assai ben sodisfatto: e l'altre cose non mi riescono a me come stimavo: incolpone e' tempi che sono molto contrari all'arte nostra. Io non verrò costà questo Ogni Santi, perchè non ò quello che bisognia a far quello che voglio fare, e ancora non è tempo da ciò. Badate a vivere el meglio che potete, e non v'impacciate di nessun'altra cosa. Non altro.
Vostro Michelagniolo scultore in Roma.
[24]
Museo Britannico. Di Roma, (del dicembre 1509).
A Lodovico di Buonarrota Simoni in Firenze.
Carissimo padre. Per l'ultima mia vi risposi, come a me parea da comperare: però se 'l podere che voi m'avisate di Girolamo Cini vi par cosa buona e che abbi buon sodo, toglietelo; e se non vi par così, comperate da Santa Maria Nuova e spendete tutti e' danari, se potete aver cosa buona; se non, lasciàno stare tanto che e' si truovi: e quando trovassi, avisate, che io vi mandi la procura. De' fatti della casa credo acconciarla in buona forma che la sarà mia e àrò buona sicurtà. Non altro.
Vostro Michelagniolo in Roma.
[25]
Museo Britannico. Di Roma, 5 di gennaio (1510).
A Lodovico di Buonarrota Simoni in Firenze.
Carissimo padre. Io vi scrissi per l'ultima come mi parea da comperare. Ora voi m'avisate che avete per le mani, oltra quello di Girolamo Cini, un altro podere a Pazolatico. Io gli comperei amendua, se e' sodi son buoni: ma vedete d'aprir gli ochi, che e' non s'abi poi a piatire. Fate con ogni diligenzia d'esser ben sodi. De' casi della casa[25] m'è dato buone parole. Non è cosa che importi: perchè io so e' non me ne va altro che la pigione del tempo che io ci starò. Non bisognia averne passione altrimenti. Buonarroto mi scrive del tôr donna: io vi scrivo la mia fantasia come è; e questa è, che io fo disegno infra cinque mesi o sei liberarvi tutti e donarvi ciò che voi avete di mio insino a questo dì; e poi che voi facciate tutto quello che vi pare: e di quello che io potrò, sempre v'aiuterò a ogni modo tutti quanti. Ma bene conforto Buonarroto che per tutta questa state non togga moglie; e se io vi fussi apresso, vi direi el perchè: poi che è stato tanto, non sarà più vechio per istar se' mesi.[26] Pur scrivemi Buonarroto che Bernardino[27] di Pier [26] Basso à desiderio di venir qua a star meco: se vol venire, venga adesso, inanzi che io tolga altri, perchè voglio cominciare a far qualcosa. El salario, gli darò quello mi scrivesti, cioè tre ducati el mese e le spese. Vero è che io vivo semplicemente in casa e così voglio stare. Avisatenelo e non indugi; e infra otto dì, se non gli piacerà l'esser mio, potrà tornarsi in costà e io gli darò tanti danari che torni. Non m'acade altro.
A dì cinque di giennaio.
Michelagniolo scultore in Roma.
[27]
Museo Britannico. Di Roma, (del gennaio 1510).
A Lodovico di Buonarrota Simoni in Firenze.
Reverendissimo padre. Io vi risposi de' casi di Bernardino, com'io volevo prima aconciar la cosa della casa che voi sapete: e così vi rispondo adesso. Io mandai prima per lui, perchè mi fu promesso infra pochi dì che la s'aconcierebbe e che io cominciassi a lavorare.[28] Dipoi ò visto che la sarà cosa lunga, e cerco in questo mezo se io ne truovo un'altra al proposito per uscirmene, e non voglio far lavorare niente, se prima non sono aconcio. Però raguagliatelo come sta la cosa. Del fanciullo che venne, quel rubaldo del mulattiere mi guntò d'un ducato: prese el giuramento che era restato così d'acordo, cioè di du' ducati d'oro largi; e tutti e' fanciugli che vengono qua co' mulattieri non si dà più che dieci carlini. Io n'ò avuto più sdegnio che se io avessi perduti venticinque ducati, perchè vego che è cosa del padre che l'à voluto mandare in sur un mulo molto onorevolmente. Oh io non ebi mai tanto bene, io! L'altra che 'l padre mi disse e 'l fanciullo insieme, che farebbe ogni cosa, e governerebe la mula e dormirebbe in terra se bisogniassi: e a me bisognia governallo. Mancavami faccienda oltre quella che i' ò avuta poi che io tornai! che ò avuto el mio garzone che io lasciai qua, amalato dal dì che io tornai per insino adesso. Vero è che adesso sta meglio, ma è stato in transito, sfidato da' medici, circa un mese, che mai sono intrato in letto; sanza molte altre mie: ora ò avuto questa merda seca di questo fanciullo che dice, che dice (sic) che non vuole perder tempo, che vole imparare: e dissemi costà, che e' gli bastava dua o tre ore el dì: adesso non gli basta tutto el dì, che e' vuole anche tutta la notte disegniare. Sono e' consigli del padre. Se io gli dicessi niente, direbbe che io non volessi che egli imparassi. I' ò bisognio d'esser governato: e se e' non si sentiva da farlo, non dovevano mettermi in questa spesa. Ma son fagnioni, [28] ma son fagnioni[29] e vanno a un certo fine, che basta. Io vi prego che voi me lo facciate levar dinanzi, perchè e' m'à tanto infastidito, che io non posso più. El mulattiere à avuti tanti danari, che e' lo può molto bene rimenare in costà: e' è amico del padre suo. Dite al padre che rimandi per esso: io non gli darei più un quatrino; che io non ò danari. Àrò tanta pazienzia che e' mandi per esso; e se e' non manda, lo manderò via: benchè io lo cacciai el secondo dì via e po' altre volte ancora, e non lo crede.
De' casi della bottega, io manderò a voi costà cento ducati sabato che viene; con questo, che se voi vedete che gli attendino a far bene, voi gli diate loro e che me ne faccino creditore, com'io restai con Buonarroto, quando partì: quanto che e' non attendessino a far bene, mettetegli in Santa Maria Nuova a' mia conti. Del comperare non è ancora tempo.
Vostro Michelagniolo in Roma.
Se voi parlassi al padre del fanciullo, ditegli la cosa con buon mo', modo,[30] che gli è buon fanciullo, ma che gli è troppo gientile, e che e' non è atto al servizio mio, e che si mandi per esso.
[29]
Museo Britannico. Di Roma, (di gennaio 1510).
A Lodovico di Buonarrota Simoni in Firenze.
Carissimo padre. Io vi mando cento ducati d'oro largi, con questo che gli diate a Buonarroto e agli altri e facciatemene far creditore alla bottega; e se gli attenderanno a far bene, io gl'aiuterò di mano in mano quanto potrò: ditelo loro: però andrete, visto la presente, a Bonifazio, o a Lorenzo Benintendi, voi e Buonarroto, e lui ve gli pagerà: vi pagerà cento ducati d'oro largi per tanti n'à da me qua Baldassare Balducci. Io vi risposi del comperare non era tempo. Delle mie cose di qua farò el meglio che io potrò: Idio m'aiuterà. Scrissivi del fanciullo che 'l padre si rimandassi per esso e che io non gli dare' più danari; e così vi rafermo: el vetturale è pagato ancora per rimenarlo in costà. El fanciullo è buono costà per istarsi a imparare e tornarsi col padre e co' la madre: qua non vale un quatrino, e fami stentare com'una bestia e l'altro mio garzone non escie ancora di letto. Vero è che io non l'ò in casa, perchè quando fu' straco, che io non potevo più, lo mandai in camera d'un suo fratello. Io non ò danari. Questi che io vi mando, me gli cavo dal cuore e anche non mi par lecito domandarne, perchè io non fo lavorare e io solo lavoro poco. Come ò aconcio questa mia facenda della casa, spero cominciare a lavorare forte.
Michelagniolo scultore in Roma.
[30]
Museo Britannico. Di Roma, 5 di settembre (1510).
A Lodovico di Buonarrota Simoni in Firenze.
Carissimo padre. I' ò avuta una vostra stamani adì 5 di settembre, la quale m'à dato e dà gran passione, intendendo che Buonarroto sta male. Pregovi, visto la presente, m'avisiate come sta; perchè se stéssi pur male, io verrei per le poste insino costà di questa settimana che viene, benchè mi sarebe grandissimo danno: e questo è che io resto avere cinque cento ducati di patto fatto guadagniati e altrettanta me ne dovea dare el Papa per mettere mano nell'altra parte della opera.[32] E lui s'è partito di qua[33] e non m'à lasciato ordine nessuno, i' modo che mi trovo sanza danari, nè so quello m'abbia a fare. Se mi partissi, non vorrei che sdegniassi e perdermi el mio; e stare, mal posso. Ògli scritto una lettera e aspetto la risposta: pure se Buonarroto sta in pericolo, avisate, perchè lascierò ogni cosa. Fate buoni provedimenti, e che e' non manchi per danari per aiutarlo. Andate a Santa Maria Nuova allo Spedalingo, e mostrategli la mia lettera se non vi presta fede, e fatevi dare cinquanta e cento ducati, quegli che bisogniano, e non abiate rispetto nessuno. Non vi date passione, perchè Dio non ci à creati per abandonarci. Rispondete subito, e ditemi resoluto se ò a venire, o no.
Vostro Michelagniolo scultore in Roma.
[31]
Museo Britannico. Di Roma, 7 di settembre 1510.
A Lodovico di Buonarrota Simoni in Firenze.
Padre carissimo. I' ò per l'ultima vostra avuto grandissima passione intendendo come Buonarroto sta male: però subito visto la presente, andate allo Spedalingo e fatevi dare cinquanta o ciento ducati, bisognandovi, e fate che e' sia provisto bene di tutte le cose necessarie e che e' non manchi per danari. Avisovi come io resto avere qua dal Papa ducati cinquecento guadagniati, e altrettanta me ne dovea dare per fare el ponte e seguitare l'altra parte dell'opera mia. E lui s'è partito di qua e non m'à lasciato ordine nessuno. Io gli ò scritto una lettera. Non so quello si seguiterà. Io sarei venuto, subito ch'io ebbi la vostra ultima insino costà, ma se partissi senza licenza, dubito el Papa non si crucciassi e che io non perdessi quello che ò avere. Non dimanco se Buonarroto stéssi pur male, avisate subito, perchè, se vi pare, monterò in sulle poste e sarò costà in dua dì; perchè gli uomini vagliono più che e' danari. Avisate subito, perchè sto con gran passione.
A dì 7 di settembre.
Vostro Michelagniolo scultore in Roma.
[32]
Museo Britannico. Di Roma, 15 di settembre (1510).
A Lodovico di Buonarrota Simoni in Firenze.
Carissimo padre. I' ò dato qua a Giovanni Balducci ducati trecento cinquanta d'oro largi, e' quali facci pagare costà a voi. Però, visto la presente, andate a Bonifazio Fazi, e lui ve gli pagerà, ciò è vi darà ducati trecento cinquanta d'oro largi. Poi che gli avete ricevuti, portategli allo Spedalingo, e fategli aconciare, come voi sapete che gli à aconcio l'altri per me. Rèstavi cierti ducati spicciolati e' quali vi scrissi che voi ve gli togliessi: se non gli avete presi, pigliategli a posta vostra; e se avete bisognio di più, pigliate ciò che voi avete di bisognio; che tanto quanto avete di bisognio, tanto vi dono, se bene gli spendessi tutti; e se bisognia che io scriva allo Spedalingo niente, avisate.
Intendo per l'ultima vostra, come la cosa va: n'ò passione assai: non ve ne posso aiutare altrimenti: ma per questo non vi sbigottite, e non ve ne date un'oncia di maninconia, perchè se si perde la roba, non si perde la vita. Io ne farò tanta per voi, che sarà più che quella che voi perderete: ma ricordovi ben, che voi none facciate stima, perchè è cosa fallace. Pure fate la diligenzia vostra e ringraziate Idio, che poi che questa tribulazione aveva a venire, che la sia venuta in un tempo che voi ve ne potete aiutare meglio, che non àresti fatto pel passato. Attendete a vivere e più presto lasciate andare la roba che patire disagi, che io v'ò più caro vivo e povero; chè morto voi, io non àrei tutto l'oro del mondo: e se coteste cicale costà o altri vi riprende, lasciategli dire, che e' sono uomini sconoscienti e senza amore.
A dì quindici di settembre.
Vostro Michelagniolo scultore in Roma.
Quando voi portate i danari allo Spedalingo, menate con voi Buonarroto, e nè voi, nè lui none parlate a uomo del mondo, per buon rispetto; ciò è nè voi, nè Buonarroto non parlate che io mandi danari, nè di questi, nè d'altri.
[33]
Museo Britannico. Di Roma, (3 d'ottobre 1510).
A Lodovico di Lionardo di Buonarrota Simoni in Firenze.
Padre carissimo. Io andai martedì a parlare al Papa: il perchè v'aviserò più per agio: basta che mercoledì mattina io vi ritornai, e lui mi fece pagare quatro ciento ducati d'oro di Camera, de' quali ne mando costà trecento d'oro largi, e per trecento ducati d'oro largi ne do qua agli Altoviti che costà sien pagati a voi dagli Strozi. Però fate le quitanze che stien bene e portategli allo Spedalingo e fategli aconciare come gli altri, e ramentategli el podere: e se lui vi dà parole, ingiegniatevi comperare da altri, quando veggiate essere sicuro, e per insino a mille quatro ciento ducati vi do licenzia gli possiate spendere. Menate con voi Buonarroto, e pregate lo Spedalingo che ci voglia servire. Fate il possibile comperare da lui, perchè è più sicuro.
Io vi scrissi che le mie cose o disegni o altro non fussino toche da nessuno. Non me ne avete risposto niente. Par che voi non legiate le mie lettere. Non altro. Pregate Idio che io abi onore qua e che io contenti el Papa, perchè spero se lo contento, arèno qualche bene da lui: e ancora pregate Dio per lui.
Vostro Michelagniolo scultore in Roma.
[34]
Museo Britannico. Di Roma, 11 d'ottobre (1510).
A Lodovico di Buonarrota Simoni in Firenze.
Carissimo padre. Io vi mandai sabato trecento ducati d'oro largi per gli Altoviti, che costà vi fussino pagati dagli Strozzi, e così credo gli àrete ricievuti e fatto quanto vi scrissi. Però n'avisate, e avisatemi quello che fa lo Spedalingo, se e' vi dà parole. Non altro. Non ho tempo da scrivere. Pregovi m'avisiate di qualcosa, che qua si dice molte favole.
A dì undici d'ottobre.
Vostro Michelagniolo scultore in Roma.
[35]
Museo Britannico. Di Roma, (1512).
A Lodovico di Buonarrota Simoni in Firenze.
Carissimo padre. Io non risposi sabato alla vostra, perchè non ebi tempo. Circa e' casi dello Spedalingo, a me pare che lo scrivergli che vi pagi e' danari a vostra posta, sia quel medesimo che non gli scrivere; perchè lui adesso sa per certo che voi non anderete a levare e' danari se non quando àrete comperato, e quel medesimo si saperà quand'io gli àrò scritto. Pure avisatemi del nome suo e com'io gli ò a scrivere: e tanto farò. Delle cose che voi avete per le mani, io risposi a Buonarroto, che e' non mi dava noia nè presso nè lontano, pur che avessino buon sodo. Della cosa di Luigi Gerardini non me ne fido, perchè se fussi cosa sicura, stimo a questa ora sarebbe venduta. Non so perchè sia più riservata a noi, che a altri; e parmi che la sua necessità lo facci risicare in questa cosa. Non mi acade altro. Andate adagio: forse verrà voglia a lo Spedalingo di darci qualche cosa.
Vostro Michelagniolo scultore in Roma.
[36]
Museo Britannico. Di Roma, (1512).
A Lodovico di Lionardo di Buonarrota Simoni in Firenze.
Padre carissimo. Io non ò potuto prima rispondere alle vostre. Intendo, intendo[37] per l'ultima, come avete molte cose per le mani, ma triste, e così credo: e parmi esser certo non si possa comperare fuor di Santa Maria Nuova cosa senza pericolo. Però mi pare d'aspettare ancora qualche mese lo Spedalingo, perchè forse ancora lui aspetta qualche tempo per servirci; e se pure in questo mezo trovassi qualche cosa sicura e buona, toglietela e non guardate in cento ducati al pregio: e se non comperrete nè dallo Spedalingo nè da altri, io spero d'essere costà in questa Pasqua d'agniello e piglierèno qualche partito: che io non voglio che lo Spedalingo tenga e' danari mia e ci istrazi. Io ebbi più giorni fa una di Buonarroto, e non gli ò potuto dipoi rispondere. Fate mia scusa. Risponderò com'io potrò. Non mi acade altro.
Vostro Michelagniolo scultore in Roma.
[37]
Museo Britannico. Di Roma, 8 di marzo 1511.
A Lodovico di Buonarrota Simoni in Firenze.
Carissimo padre. Io no' risposi all'ultima vostra, perchè avevo avisato Buonarroto di quello che a me parea che voi facessi, potendo; dipoi di nuovo per l'ultima che io scrissi a Buonarroto gli scrissi il medesimo, e che lui ve la leggiessi: e così credo abbiate inteso: non dimanco non potendo voi, non domando niente. Quello che mi parea che voi facessi, solo era per poter meglio aiutare o fare quello che ò promesso a cotestoro. Fate quello che potete, e non pigliate amirazione nessuna del mio scrivere, perchè sono disposto verso tutti voi, come sempre sono stato.
A dì 8 di marzo 1510.
Vostro Michelagniolo scultore in Roma.
[38]
Museo Britannico. Di Roma, (1512).
A Lodovico di Lionardo di Buonarrota Simoni in Firenze.
Carissimo padre. Io ò ricevuto dua vostre lettere e una di Buonarroto d'un medesimo tenore. Vero è che per quella di Buonarroto intendo come siate iti a vedere un podere in quello di Prato, che è una cosa bella, e come siate dietro al sodo, e se fie buono, farete 'l mercato. A me piacerebbe assai che e' si comperassi, ma io conosco di chi e' gli è, e non mi va per la fantasia che la sia cosa netta. Però aprite gli ochi e non ve ne impacciate, se non siate sicuro. De' casi di Roma c'è stato qualche sospetto, e ancora c'è, ma non tanto. Stimasi che le cose s'aconceranno: che Dio ce ne dia la grazia. Non v'ò da dire altro. Questa state stimo esser costà a ogni modo.
Vostro Michelagniolo scultore in Roma.
[39]
Museo Britannico. Di Roma, (1512).
A Lodovico di Lionardo di Buonarrota Simoni in Firenze.
Carissimo padre. Io vi risposi per l'ultima mia, come a me non andava per la fantasia che quel podere che è per la via di Prato avessi buon sodo. Dipoi mi sono informato meglio, e parmi, se io non mi inganno, da non se ne impacciare. Voi m'avisate di nuovo come lo Spedalingo v'à mandato a vederne uno dua miglia discosto da Firenze, e come vi pare molto caro, e oltra di questo, non viene a cunclusione nessuna. Io vi dico, che quando si comperassi più cinquanta o ciento ducati da lui un podere che da altri, non sare' malfatto; ma non ci ò speranza, perchè io credo che sia un gran ribaldo. Quello che voi dite aver per le mani al piano della Fonte in Valdarno, quando fussi cosa buona, non mi dispiacerebbe: pure fate quello che pare a voi e comperate quello che vi piace, perchè quello che piacerà a voi, piacerà anche a me, e sia dove vole, purchè gli abi buon sodo. Io non v'ò da dire altro. In questa state verrò a ogni modo costà, se a Dio piacerà, e leverèno el gioco allo Spedalingo, se non ci dà qualcosa in questo mezo. Di Francesco di Consiglio[38] non bisognia che voi m'avisiate, perchè suo padre non fe' tal piacere a voi, che io abbi da farne a lui: e chi vuol far male, suo danno.
Vostro Michelagniolo scultore in Roma.
Quando voi mi scrivete, non mi mandate più le lettere per via degli Altoviti. Mandatele come solevi al banco di Balduccio; e se le mandate per altri banchi, scrivete in sulla lettera: data in bottega di Baccio Bettini: e la mi sarà data.
[40]
Museo Britannico. Di Roma, (1512).
A Lodovico di Lionardo di Buonarrota Simoni in Firenze.
Carissimo padre. Io v'avisai di quello che io m'ero informato qua, e quello che n'aveo inteso; ciò è come l'era cosa più presto pericolosa che no: dico del podere che è in quel di Prato: pure voi siate in sul fatto e vedete e intendete meglio di me. Fate quello che a voi pare. Della fede che voi volete che io facci allo Spedalingo, fate conto che io sia lo Spedalingo e fatemene una apunto colla soprascritta, e con ogni cosa, e io la copierò apunto, e manderòvela, perchè io non so el nome suo e non la saprei fare. Sichè non abbiate paura: che quando voi avessi comperato, non volendo lo Spedalingo darvi e' danari, io verrei costà in persona a farvegli dare. Se comperate, non togliete presso a Arno o altro fiume cattivo: abiate cura quello che lo Spedalingo vi vol dare: se lo potete tirare a prezo ragionevole, toglietelo; e ancora quando fussi un poco disonesto, ma non tanto, sare' da torlo. Non mi acade altro. Qua non si vede ancora quel pericolo che costà si crede, e Dio ci dia grazia che la vadi bene.
Vostro Michelagniolo scultore in Roma.
Mandatemi quella copia della fede apunto, come voi volete che la stia, e io subito ve la manderò: e portatela allo Spedalingo e àròllo caro, acciò che e' vega che no' vogliàno comperare a ogni modo.
[41]
Museo Britannico. Di Roma, (1512).
A Lodovico di Lionardo di Buonarrota Simoni in Firenze.
Carissimo padre. Poi che io vi scrissi, ò inteso che solo per una fede di mia mano lo Spedalingo se ne farebbe befe: e però io ò fatto fare una procura e màndovela in questa che voi possiate mostrarla allo Spedalingo e come mio procuratore possiate farvi dare de' mia danari tanti, quanto monterà la possessione che voi comperate: e così credo che lui farà: e s'ella non vale, avisatemi.
La detta procura à fatta qua uno notaio fiorentino che si chiama ser Albizo. Io vi fo mio procuratore in questa cosa, ciò è nel risquotere dallo Spedalingo, overo farsi dare da lui tanti de' mia danari che e' tiene, quanto monterà la possessione che voi compererete, con la gabella; con questo, che in nessuna altra cosa non dobbiate ispendere un quatrino di mio sanza mia licenzia, nè levarne più che quello che bisognia per la detta compera dal detto Spedalingo. Di questa medesima sentenzia credo che sia la procura, perchè così ò informato il notaio.
Se voi comperate, sopra tutto abbiate cura al sodo e avisatemi quello che fate, overo quando avete comperato. Non altro. Questa state sanza manco nessuno ne verrò costà: el più che io possa indugiare sarà infino a settembre; ma non credo star tanto.
Vostro Michelagniolo scultore in Roma.
[42]
Museo Britannico. Di Roma, (1512).
A Lodovico di Buonarrota Simoni in Firenze.
Carissimo padre. I' ò inteso per l'ultima vostra, come le cose vanno bene di costà e come la procura che vi mandai stette bene. Tutto mi piace. Ora io àrei caro, che voi intendessi dallo spedalingo di Santa Maria Nuova se e' volessi vendere qualche possessione buona di prezo di dumila ducati largi, perchè io ò questi danari qua in sul banco di Balduccio e non mi fanno frutto nessuno. Sono stato in fantasia di spendergli qua per farmi una entrata che m'aiuti a far questa opera: dipoi ò disposto com'io ò finiti questi marmi che io ò qua, venire a fare il resto costà. Però mi pare da comperare costà: però intendete e rispondetemi più presto che potete; e se e' vi pare che io gli facci pagare questi danari costà e dipositargli in Santa Maria Nova inanzi che l'uomo comperi, acciò che ci venda poi più volentieri. Ancora avisate.
Vostro Michelagniolo scultore in Roma.
[43]
Museo Britannico. Di Roma, (1512).
A Lodovico di Lionardo di Buonarrota Simoni in Firenze.
Carissimo padre. Io ò ricevuto dua vostre d'un medesimo tenore e ò inteso el tutto, ciò è dello Spedalingo e di Raffaello sensale.[39] Io non so che mi vi dire, perchè chi non vede coll'ochio, può ma' gudicare. Però fate quello che pare a voi e quello che voi farete, sarà ben fatto: solo vi ricordo che abbiate cura grandissima al sodo, perchè questi non son tempi da perdere; che quand'e' ciò avenissi, non credo trovassi più via da rifarmi: e se voi non vedete cosa a vostro modo, abbiate pazienzia, poi che noi siàno stati tanto, ancora si può stare dua o tre mesi. No' v'ò da dire altro. Pregate Idio che le cose mia vadino bene.
Vostro Michelagniolo scultore in Roma.
[44]
Museo Britannico. Di Roma, (di maggio 1512).
A Lodovico di Lionardo di Buonarrota Simoni in Firenze.
Carissimo padre. Io ò inteso per l'ultima vostra del podere che avete avuto da Santa Maria Nuova, e come è cosa buona:[40] ond'io n'ò avuto piacere grandissimo; e benchè e' costi assai, credo che voi abbiate visto che e' sia cosa che vaglia; e quando fussi sopra pagato cento ducati, avendo el sodo che à, non è cara. Io ringrazio Idio che io sono fuora di questa faccienda. Ora me ne resta sola un'altra; e questa è di fare fare una bottega a cotestoro; chè non penso a altro el dì e la notte. Dipoi mi parrà avere sodisfatto a quello che sono ubrigato; e se mi resterà più da vivere, mi vorrò vivere in pace.
Giovanni da Ricasoli m'à scritto una lettera, alla quale non ò tempo da rispondere. Pregovi facciate mia scusa. Questo altro sabato gli risponderò. Non altro.
Vostro Michelagniolo scultore in Roma.
[45]
Museo Britannico. Di Roma, (1512).
A Lodovico di Buonarrota Simoni in Firenze.
Carissimo padre. Io vi scrissi di fare quello avevo promesso a cotestoro, e non me ne pento, anzi n'ò più voglia che non hanno loro; ma crediate a me, che e' non è tempo. Voi troverrete assai che vi consiglieranno, ma fidatevi di pochi. A me pare avendo aspettato tanto, che noi lasciàno a ogni modo passare tre mesi. Questa non è sì gran cosa che non si possa fare; e se voi vedessi che e' danari portassino pericolo o stessino male dove stanno, avisatemi. Non altro. Non ò da scrivervi per ora altrimenti.
Vostro Michelagniolo scultore in Roma.
[46]
Museo Britannico. Di Roma, (dell'ottobre 1512).
A Lodovico di Buonarrota Simoni in Firenze.
Carissimo padre. Intendo per l'ultima vostra, come io mi guardi di non tenere[41] danari in casa e di none portare addosso, e ancora come costà è stato detto che io ò sparlato contra a' Medici.
De' danari, quegli che io ò, gli tengo nel banco di Balduccio e non tengo in casa nè adosso se non quegli che io ò di bisognio dì per dì. Del caso de' Medici, io non ò mai parlato contra di loro cosa nessuna, se non in quel modo che s'è parlato generalmente per ogn'uomo, come fu del caso di Prato;[42] che se le pietre avessin saputo parlare, n'àrebbono parlato. Dipoi molte altre cose s'è dette qua, che udendole dire, ò detto: s'egli è vero che faccino così, e' fanno male: non già che io l'abi credute: e Dio il voglia che le non sieno. Ancora da un mese in qua qualcuno che mi si mostra amico, m'à ditto di molto male de' casi loro: che io gli ò ripresi e ditto che e' fanno male a parlare così, e che non me ne parli più. Però io vorrei che Buonarroto vedessi sottilmente d'intendere donde colui à inteso che io abbi sparlato de' Medici, per vedere se io posso trovare donde la viene; e se la viene da qualcuno di quegli che mi si mostrono amici, acciò che io me ne possa guardare. Non v'ò da dire altro. Io non fo ancora niente, e aspetto che el Papa mi dica quello che io abbia a fare.
Vostro Michelagniolo scultore in Roma.
[47]
Museo Britannico. Di Roma, (dell'ottobre 1512).
A Lodovico di Buonarrota Simoni in Firenze.
Carissimo padre. Per l'ultima vostra ò inteso come vanno le cose costà, benchè prima ne sapevo parte. Bisognia avere pazienzia e racomandarsi a Dio, e ravedersi degli errori; chè queste aversità non vengono per altro, e massimamente per la superbia e ingratitudine: che mai praticai gente più ingrate nè più superbe che e' fiorentini. Però se la iustizia viene, è ben ragione. De' sessanta ducati che voi mi dite avere a pagare, mi pare cosa disonesta e ònne avuto gran passione: pure bisognia avere pazienzia tanto quanto piacerà a Dio. Io scriverrò dua versi a Giuliano de' Medici, e' quali saranno in questa: leggietegli, e se e' vi piace di portargniene, portategniene: e vedrete se gioverranno niente. Se non gioveranno, pensate se si può vendere ciò che noi abbiàno: e andrèno a abitare altrove. Ancora quando vedessi che e' fussi fatto peggio a voi che agli altri, fate forza di non pagare e lasciatevi più presto tôrre ciò che voi avete: e avisatemi. Ma quando faccino agli altri nostri pari, come a voi, abiate pazienzia e sperate in Dio. Voi mi dite avere provisto a trenta ducati: pigliate altri trenta de' mia, e mandatemi el resto qua. Portategli a Bonifazio Fazi, che me gli facci pagare qua da Giovanni Balducci, e fatevi fare da Bonifazio una poliza della ricievuta de' detti danari e mettetela nella lettera vostra quando mi scrivete. Attendete a vivere; e se voi non potete avere degli onori della terra come gli altri cittadini, bastivi avere del pane e vivete ben con Cristo e poveramente come fo io qua; che vivo meschinamente e non curo nè della vita nè dello onore, ciò è del mondo, e vivo con grandissime fatiche e con mille sospetti. E già sono stato così circa di quindici anni che mai ebbi un'ora di bene e tutto ò fatto per aiutarvi, nè mai l'avete conosciuto, nè creduto. Idio ci perdoni a tutti. Io sono parato di fare ancora il simile i' mentre che io vivo, pur che io possa.
Vostro Michelagniolo scultore in Roma.
[48]
Museo Britannico. Di Roma, (dell'ottobre 1512).
A Lodovico di Lionardo di Buonarrota Simoni in Firenze.
Carissimo padre. Intendo per l'ultima vostra come siate ribenedetti: che n'ò avuto piacere assai. Ancora intendo come lo Spedalingo vi dà speranza e come vi pare d'aspettare: e così pare a me: perchè non è da fidarsi comperare da altri; e non credo, lui avendo più volte rafermo darvi qualche cosa, che e' vi strazi: però è buono aspettare. Giovanni da Ricasoli mi richiede d'una certa cosa che io non la voglio fare: e non ò tempo stasera da scrivergli: però vi prego diciate a Buonarroto facci mia scusa seco, e dicagli non stia a mia bada: lui intenderà. Ancora vi prego mi facciate un servizio; e questo è, che gli è costà un garzone spagnuolo che à nome Alonso[43] che è pittore, el quale comprendo che sia amalato: e perchè un suo o parente o amico spagnuolo che è qua, vorrebbe sapere come gli stà; m'à pregato che io deba scriver costà a qualche mio amico e far d'intenderlo e avisarlo. Però vi prego, o voi o Buonarroto, intendessi un poco dal Granaccio che lo conoscie, come gli stà, e avisassimi di cosa certa, acciò che paia che io abbia voluto servire costui. Non altro.
Vostro Michelagniolo scultore in Roma.
[49]
Museo Britannico. Di Firenze, (1516).
A Lodovico a Settigniano.
Carissimo padre. Io mi maravigliai molto de' casi vostri l'altro dì, quando non vi trovai in casa; e adesso sentendo che voi vi dolete di me, e dite che io v'ò cacciato via, mi maraviglio più assai; perchè io so certo che mai dal dì che io nacqui per insino adesso, fu nell'animo mio di far cosa nè picola nè grande che fussi contra di voi, e sempre tutte le fatiche che io ho soportate, l'ò soportate per vostro amore: e poi che io sono tornato da Roma in Firenze, sapete che io l'ò sempre presa per voi, e sapete che io v'ò rafermo ciò che io ò; e' non è però molti dì quando voi avevi male, che io vi dissi e promessi di non vi mancar mai con tutte le mia forze i' mentre che io vivo, e così vi rafermo. Ora mi maraviglio che voi abiate sì presto dimenticato ogni cosa. Voi m'avete pure sperimentato già trenta anni, voi e' vostri figliuoli, e sapete che io ò sempre pensato e fattovi, quand'io ò potuto, del bene. Come andate voi dicendo che io v'ò cacciato via? Non vedete voi fama che voi mi date, che e' si dica che io v'ò cacciato via? Non mi manca altro, oltra gli afanni che ò dell'altre cose, e tutti gli ò per vostro amore! Voi me ne rendete buon merito! Ora sia la cosa come si vuole: io voglio darmi ad intendere d'avervi fatto sempre vergognia e danno; e così come se io l'avessi fatto, io vi chieggo perdonanza. Fate conto di perdonare a un vostro figliuolo che sia sempre vissuto male e che v'abi fatti tutti e' mali che si possono fare in questo mondo: e così di nuovo vi prego che voi mi perdoniate, come a un tristo che io sono, e non vogliate darmi costassù questa fama che io v'abbi cacciato via, perchè la m'importa più che voi non credete: io son pur vostro figliuolo!
L'aportatore di questa sarà Rafaello da Gagliano. Io vi prego per l'amore di Dio e non per mio, che voi vegniate insino a Firenze, perchè ò andar via, e òvi a dire cosa che importa assai e non posso venire costassù. E perchè io ò inteso di [50] Pietro[44] che sta meco, per le sua parole propie certe cose che non mi piacciono, io lo mando stamani a Pistoia e non tornerà più dove me, perchè io non voglio che e' sia la rovina di casa nostra: e voi tutti che sapevi che io non sapevo e' sua portamenti, dovevi più tempo fà avisarmi e non sarebe nato tanto scandolo.
Io son sollecitato d'andar via, e non son per partirmi se io non vi parlo e non vi lascio qui in casa. Io vi prego che voi lasciate andar tutte le passione, e che voi vegniate.
Vostro Michelagniolo in Firenze.
[51]
Museo Britannico. Di Carrara, (dopo il 20 di settembre 1516).
A Lodovico di Buonarrota Simoni in Firenze.
Carissimo padre. A questi dì ò avuto per un fratello del Zara[45] una lettera di Gismondo, per la quale ò inteso come siate tutti sani, salvo che Buonarroto che à pure esso male della gamba. N'ò avuto passione, perchè dubito con medicine non se la guasti: e come io dissi a lui, non farei altro che tenerla calda e riguardarsi e lasciar fare alla natura.
Delle cose mia di qua per ancora non ò fatto niente. Ò messo a cavare in molti luogi e spero, se sta buon tempo, infra dua mesi avere a ordine tutti e mia marmi. Dipoi piglierò partito di lavorargli o qua, o a Pisa, o io me n'anderò a Roma. Qua sarei stato volentieri a lavorargli, ma mi è stato fatto qualche dispiacere; i' modo che io ci sto con sospetto. Non altro. Attendete a stare in pace, che io ò speranza che le cose anderanno bene. Una lettera che sarà in questa, vi prego la suggiellate e fatela dare a Stefano sellaio che la mandi a Roma.
Vostro Michelagniolo in Carrara.
[52]
Museo Britannico. Di Carrara, (1517).
A Lodovico di Buonarrota Simoni in Firenze.
Carissimo padre. Io mando costà Piero che sta meco, pel mulo. Prego gniene diate, e come torna qua con esso, me ne verrò costà a starmi tutto agosto per fare el modello di San Lorenzo,[46] e mandarlo a Roma, come ho promesso. Non altro.
Vostro Michelagniolo in Carrara.
[53]
Museo Britannico. Di Carrara, di luglio 1517.
A Lodovico Buonarroti in Firenze.
Carissimo padre. I' ò ricevuto per maestro Andrea[47] una vostra lettera, per la quale intendo come avete avuto un poco di male: e 'l simile di Buonarroto. N'ò avuto passione: pure bisognia aver pazienzia. Riguardatevi più che potete. Io ò mandato costà Pietro che sta meco, pel mulo, perchè mi voglio partire di qua. Però vi prego gniene diate. Non altro. Delle cose mia fo el meglio che io posso. Infra venti dì spero esser costà.
Vostro Michelagniolo in Carrara.
[54]
Museo Britannico. Di Firenze, (di giugno 1523).
A Lodovico Buonarroti a Settigniano.
Reverendissimo padre. I' ò stamani per una vostra una buona nuova, e questo è che e' mi pare che voi non vi contentiate del contratto[48] che s'è fatto a questi dì tra noi. Io me ne contento molto manco, e priegovi che voi acordiate questi altri, che io son sempre parato a disfarlo, perchè io non ò el modo a pagare e' danari a Gismondo e non àrei aconsentito a tal contratto, se voi non mi avessi promesso d'aiutargli pagare. Però sanza andare a ufficiali, venite a posta vostra, che voi mi fate un gran piacere, e cavatemi d'un grande alberinto; e non bisognierà che voi andiate a altro ufficiale, perchè i' ò più bisognio di danari che di vostri poderi. Non vi rispondo alle altre cose, se non che voi facciate tanto quant'e' ben vi viene.
Vostro Michelagniolo in Firenze.
Io vi mando Mon'Agniola a posta, per non avere altri, acciò che voi sapiate presto che a me torna un gran danno questo contratto; e sapete che io non lo potevo fare, ma fècilo per farvi bene: se non vi torna bene, io vi prego che e' si disfaccia, perchè i' ò bisognio de' mia danari, come è detto.
[55]
Museo Britannico. Di Firenze, (del giugno 1523).[49]
A Lodovico Buonarroti a Settigniano.
Lodovico. Io non rispondo a la vostra, se non a quelle cose che mi paiono necessarie; dell'altre io me ne' fo' beffe. Voi dite che non potete riscuotere le vostre page del Monte, perchè io ò fatto dire el Monte in me. Questo non è vero, e bisognia che a questo io vi risponda, perchè voi sappiate che voi siate ingannato da chi voi vi fidate, che l'à forse riscosse e aoperatosele, e a voi fa intender questo per sua comodità. Io non ò fatto dire el Monte in me, nè lo potrei fare, quando volessi; ma è ben vero che presente Rafaello da Gagliano, el notaio mi disse: io non vorrei ch'e' tua frategli facessero qualche contratto di questo Monte, che doppo la morte di tuo padre tu non ce lo trovassi: e menommi al Monte e fecemi spendere quindici grossoni e fecevi porre una condizione che nessuno lo potessi vendere i' mentre che voi vivevi: e voi ne siate usofruttuario mentre che voi vivete, come dice el contratto che voi sapete.
Io v'ò chiarito del contratto, ciò è di disfarlo a posta vostra, poi che voi non ve ne contentate. Io v'ò chiarito del Monte e potetelo vedere a posta vostra; io ò fatto e disfatto sempre come voi avete voluto: io non so più quello che voi volete da me. Se io vi dò noia a vivere, voi avete trovato la via di ripararvi, e rederete quella chiave del tesoro che voi dite che io ò; e farete bene: perchè e' si sa per tutto Firenze come voi eri un gran rico e come io v'ò sempre rubato, e merito la punizione: saretene molto lodato! Gridate e dite di me quello che voi [56] volete, ma non mi scrivete più, perchè voi non mi lasciate lavorare: che a me bisognia ancora scontare ciò che voi avete avuto da me da venticinque anni in qua. Io non ve lo vorrei dire: non posso fare che io non ve lo dica. Abbiatevi cura e guardatevi da chi voi v'avete a guardare; chè e' non si muore più d'una volta, e non ci si ritorna a raconciar le cose malfatte. Avete indugiato alla morte a fare simil cose! Idio v'aiuti.
Michelagniolo.
[57]
Museo Britannico. Di Firenze, (del giugno 1523).
[50]Lodovico! A quelle cose che la ragione vuole che io vi risponda, io vi rispondo: dell'altre io me ne fo beffe. Voi dite che io ò fatto dire el Monte i' me e che voi non potete avere le vostre page. El Monte, non è vero che io l'abbi fatto dire in me, nè potrei senza voi farlo, e le page vostre io non ve le posso impedire. Sì che andate per esse, e vedrete che io dico el vero. È ben vero che 'l Monte non lo potete vendere, perchè l'avete venduto a me. L'altre cose fatele come voi dite, perchè e' si sa per tutto Firenze che voi eri rico e che io v'ò sempre rubato, e merito la punizione.
FINE DELLE LETTERE AL PADRE.
DAL 1497 AL 1527.
Archivio Buonarroti. Di Roma, del marzo 1497.
Prudente giovane Buonarroto di Lodovico Bonarroti in Firenze.
A nome di Dio. A dì di marzo 1497.
Caro fratello; che così ti stimo etc. Da Michelagnolo tuo ò auto una lettera tua, della quale ne ò preso grandissimo conforto; masime intendendo de' casi di frate Jeronimo vostro sarafico, el quale fa dire di lui per tuto Roma, e dicesi ched è eretico marcio; tanto che bisognia che venga in ogni modo a profetezare un poco a Roma, e poi sarà calonizato; sichè istiàno di bona voglia tuti e' sua.
Fratello, io t'ò molto bene a mente, sichè sta' di buona voglia e atendi a imparare, come tu fai. Al Frizi[51] ò detto tuto e à inteso bene ogni cosa. Frate Mariano[52] dice di molto male del vostro Profeta. Non altro. Per quest'altra ti raguaglierò meglio, perchè adesso ò fretta. Non c'è nuove, se none ieri fu fatto 7 vescovi di cartagine,[53] e 5 ne fu impicati per la stroza. Racomandami a tutti voi, e massime a Lodovico mio padre, che così lo stimo; e quando tu scrivi qua, raccomandami a Michelangniolo. Non altro. Fatta al buio.[54]
Tuo Piero in Roma.
[60]
Archivio Buonarroti. Di Roma, (del marzo 1497).
Buonarroto di Lodovico Bonarroti in Firenze.
Sappi Bonarroto, come i' ò dati qua dua ducati a Baldassarre[55] che te gli facci dare costà da Francesco Strozi: sichè, come tu ài la lettera, va' e tròvalo, e lui te gli darà. Attendi a 'mparare, come io ti dissi.[56] Raguaglia Lodovico, come io ti dissi, e così consiglio. Non altro. Idio t'aiuti.
Michelagniolo in Roma.
[61]
Museo Britannico. Di Bologna, 19 di dicembre (1506).
A Buonarroto di Lodovico di Buonarrota Simoni in Firenze. Data in bottega di Lorenzo Strozi, Arte di lana, in Porta Rossa.
Buonarroto. — Io ò ricevuto oggi questo di diciannove di dicembre una tua, per la quale mi raccomandi Pietro Orlandini[58] e che io lo serva di quello che lui mi domanda. Sappi che lui mi scrive che io gli facci fare una lama d'una daga e che io facci che la sia una cosa mirabile. Per tanto io non so com'io me lo potrò servire presto e bene: l'una si è, perchè e' non è mia professione; l'altra, perchè io non ò tempo da potervi attendere. Pure m'ingiegnierò infra uno mese che ei sia servito el meglio che io saperò.
De' fatti vostri e massimo di Giovansimone, ò inteso il tutto. Piacemi che lui si ripari a bottega tua e che egli abbi voglia di far bene, perchè io ò voglia d'aiutar lui come voi altri; e se Dio m'aiuta, come à fatto sempre, io ispero in questa quaresima avere fatto quello che io ò a fare qua, e tornerò costà e farò a ogni modo quello che io v'ò promesso. De' danari che tu mi scrivi che Giovansimone vuole porre in sur una bottega, a me parrebbe che gli indugiassi ancora quattro mesi e fare lo scoppio e il baleno a un tratto. So che tu m'intendi, e basta. Digli da mia parte che attenda a far bene, e se pure ei volessi e' danari che tu mi scrivi, bisognierebbe tôrre di cotesti costà, perchè di qua non ò ancora da mandarli, perchè ò picolo prezo di quello che io fo e anche è cosa dubbia, e potrebbemi avenire cosa che mi disfarebbe del mondo. Per tanto vi conforto a star pazienti questi pochi mesi, tanto che io torni costà.
De' casi del venire qua Giovansimone, non ne lo consiglio ancora, perchè son qua in una cattiva stanza, e ò comprato un letto solo, nel quale stiàno quattro [62] persone, e non àrei el modo accettarlo come si richiede. Ma se lui ci vuole pur venire, aspetti che io abbi gittata la figura che io fo[59] e rimanderònne Lapo e Lodovico che m'aiutano, e manderògli un cavallo, acciò che ei venga e non com'una bestia. Non altro. Pregate Idio per me e che le cose vadino bene.
Michelagniolo scultore in Bolognia.
[63]
Museo Britannico. Di Bologna, 22 di gennaio 1507.
A Buonarroto di Lodovico di Buonarrota Simoni in Firenze. Data nella bottega di Lorenzo Strozi, Arte di lana, dirimpetto allo speziale della Palla, in Porta Rossa.
Buonarroto. — Io ebbi una tua lettera più giorni fà, per la quale intesi come Lodovico aveva mercatato con Francesco il podere di mona Zanobia; e di Giovansimone ancora m'avisasti come si riparava in bottega dove tu stai, e come aveva disidèro di venire infino qua a Bolognia. Non t'ò risposto prima, perchè non ò avuto tempo, se non oggi.
De' casi del podere sopra ditto tu mi di' che Lodovico l'à mercatato e che lui m'aviserà. Sappi che se lui me n'à scritto niente, che io non ò mai avuto lettera, che ne parli: però sappigniene dire, acciò che e' none pigliassi amirazione non avendo risposta, se m'à scritto.
Di Giovansimone io ti dirò il parer mio, acciò che tu gniene dica da mia parte; e questo è, che a me non piace che e' venga qua innanzi che io gitti questa figura che io fo; e questo fo per bon rispetto: non volere intendere il perchè: basta, che subito che io l'àrò gittata, che io lo farò venire qua a ogni modo e sarà con manco noia, perchè m'àrò levato da dosso queste spese che io ò ora.
Io credo intorno a mezza quaresima avere a ordine da gittare la mia figura; sì che pregate Idio ch'ella mi venga bene; perchè se mi viene bene, spero avere buona sorte con questo Papa: sua grazia: e se io la gitto a mezza quaresima e la venga bene, spero in queste feste di Pasqua essere costà, e quello che io v'ò promesso, farò a ogni modo, se voi attenderete a fare bene.
Di'a Piero Aldobrandini che io ò fatto fare la sua lama al migliore maestro che sia qua di simil cose, e che di questa settimana che viene m'à detto che io [64] l'àrò. Avuta che io l'ò, se mi parrà cosa buona, io gniene manderò; se non, la farò rifare: e digli non si maravigli se non lo servo presto come conviensi, perchè ò tanta carestia di tempo, che io non posso fare altro.
A dì venti dua di gennaio 1506.
Michelagniolo di Lodovico Buonarroti
scultore in Bolognia.
[65]
Archivio Buonarroti. Di Bologna, 1 di febbraio 1507.
A Buonarroto di Lodovico Simoni in Firenze. Data nella bottega degli Strozi, Arte di lana, in Porta Rossa.
Buonarroto. — I' ò inteso per una tua come è ita intorno a' casi di quel poderino: ònne avuto grandissima consolazione e piacemi assai, purchè la cosa sia ben sicura.
De' casi di Baronciello io mi sono informato assai bene, e per quello che io ò inteso, è molto più grave cosa che voi non la fate; e io per me, non sendo cosa gusta, non la domanderei. No' siàno obrigati tutti noi fare assai per Baronciello, e così faremo e massimamente di quelle cose che sono in nostro potere.
Sappi come venerdì[61] sera a ventuna ora papa Julio venne a casa mia dov'io lavoro, e stette circa a una meza ora a vedere, parte[62] ch'io lavoravo; poi mi dètte la benedizione, e andòssene: e à dimostrato contentarsi di quello che io fo. Per tanto mi pare che noi abbiàno sommamente da ringraziare Idio: e così vi prego faciate e pregiate per me.
Avisoti ancora, come venerdì mattina ne mandai Lapo e Lodovico che stavano qua meco; Lapo cacciai via, perchè egli è uno mal fagnione e cattivo, e non faceva el bisonio mio. Lodovico pure è meglio, e àre'lo tenuto ancora dua mesi; ma Lapo, per non essere vituperato solo, lo sobillò in modo, che amendua ne son venuti. Io t'iscrivo questo, non perchè io facci conto di loro, che e' non vagliono tre quatrini fra amendua, ma perchè se e' venissino a parlare a Lodovico, che e' non ne pigliassi ammirazione; e digli che non presti loro orechi per niente: e se tu ti vuoi informare de' casi loro, va' a messere Agniolo Araldo della Signoria, che a lui ò scritto ogni cosa: e lui per sua umanità ti raguaglierà.
[66] Di Giovansimone ò inteso: piacemi e' si ripari a bottega de' tua maestri e ch'egli attenda a far bene; e così lo conforta: perchè, se questa cosa viene bene, i' ò speranza di mettervi in buono grado, se voi sarete savi. De' casi di quell'altre terre che sono a canto a quelle di mona Zanobia, se a Lodovico piace, digli che v'attenda e che m'avisi. Credo, anzi si dice qua, che 'l Papa si partirà di qua intorno a carnovale.
A dì primo di febraio 1506.
Michelagniolo di Lodovico di Buonarrota Simoni
scultore in Bolognia.
[67]
Museo Britannico. Di Bologna, 1 di febbraio 1507.
A Buonarroto di Lodovico di Buonarrota Simoni in Firenze. Data nella bottega di Lorenzo Strozi in Porta Rossa, Arte di lana.
Buonarroto. — I' ò inteso per una tua lettera come avete fatto fatti intorno a' casi del podere di mona Zanobia; è cosa che mi piace assai, pur che sia sicura. Voràssi attendere a quel resto, quando fia tempo.
[63]De' casi del Baronciello io mi sono informato assai bene, e per quello che m'è detto, la cosa è molto più grave che voi non la fate: per tanto io non sono per domandarla, perchè se non la ottenessi, ne sarei malcontento, e se io la ottenessi, mi fare' danno grandissimo e ancora alla casa. Credi che io non àrei aspettato le seconde lettere, se questa cosa fussi possibile a me; perchè e' non è cosa nessuna che io non facessi per Baronciello.
El Papa fu venerdì a ventuna ora a casa mia dov'io lavoro, e mostrò che la cosa gli piacessi: però pregate Dio ch'ella venga bene: che se così fia, spero riacquistar buona grazia seco. Credo che in questo carnovale si partirà di qua, secondo che si dice, infra la plebe però.
La lama di Piero, come esco fuora cercherò d'uno fidato per mandargniene. Se Lapo che stava qua meco o Lodovico[64] venissino a parlare costà a Lodovico nostro, digli che non presti orechi alle loro parole, e massimamente di Lapo e none pigli amirazione, che più per agio aviserò del tutto. Di Giovansimone ò inteso: ò caro attenda a fare bene e così lo conforta, perchè presto spero, se sare' savi, mettervi in buon grado.
A dì primo di febraio 1506.
Michelagniolo di Buonarrota Simoni
in Bolognia.
[68]
Archivio Buonarroti. Di Bologna, 13 di febbraio 1507.
A Buonarroto di Lodovico Buonarrota Simoni in Firenze. Data nella bottega di Lorenzo Strozi, Arte di lana, in Porta Rossa.
Buonarroto. — Questa fia per coverta di dua lettere; una che va a Piero Aldobrandini e l'altra va a Roma a Giovanni Balducci. Questa fa' che tu la dìa a Bonifazio Fazi che la mandi, e l'altra dà' al detto Piero.
Del fatto di que' dua tristi, io non ò tempo da scrivere interamente le loro ribalderie, e priegovi tutti voi, e così fa' che dica a Lodovico, che voi non parliate de' casi loro i' modo nessuno, perchè 'l fatto nostro non va con loro: e basta. A dì tredici di febraio 1506.
Michelagniolo in Bolognia.
[69]
Archivio Buonarroti. Di Bologna, 24 di febbraio (1507).
A Buonarroto di Lodovico di Buonarrota Simoni in Firenze. Data nella bottega di Lorenzo Strozi, Arte di lana, in Porta Rossa.
Buonarroto. — Io mandai cierti danari costà a Lodovico con cierta comessione già quindici dì sono e mai non ò avuto risposta. Somi molto maravigliato: però di' a Lodovico, che m'avisi se gli à ricevuti, e se à fatto quello gli comessi: m'avisi a ogni modo, perchè ne sto di mala voglia e maravigliomi della sua poca discrezione: è uomo da commettergli un'altra volta una cosa che importi! crederrei avessi scritto cento lettere, perch'io n'avessi almanco una. Fa' che lui mi avisi a ogni modo di quello che à fatto e condanni la lettera, i' modo ch'ella mi sia data.
Della daga di Piero, io vi mandai ieri a vedere s'ell'era fatta; l'aveva ancora a dorare: àmi dileggiato uno mese, ma in vero non à potuto fare altro, perchè in su questa partita della Corte à avuto a servire d'arme tutti e' cortigiani e à avuto grandissima faccienda: però m'à prolungato tanto. Di' a Piero che non dubiti; che in fra pochi giorni l'àrà a ogni modo. El Papa si partì lunedì mattina a sedici ore:[65] e se tu vuoi saper l'ordine che gli à lasciato della cosa mia, va' all'Araldo, e lui ti raguaglierà. Non ò tempo da scrivere. A dì ventiquatro febraio.
Michelagniolo in Bolognia.
[70]
Archivio Buonarroti. Di Bologna, 6 di marzo 1507.
A Buonarroto di Lodovico Buonarroti in Firenze. Data nella bottega di Lorenzo Strozi, Arte di lana, in Porta Rossa.
Buonarroto. — Io non ò risposto prima alla tua e a quella di Piero Aldobrandini, perchè io avevo disposto non iscrivere, se prima non avevo la daga del detto Piero. Egli è dua mesi che io la dètti a fare a uno che à nome di essere el migliore maestro che ci sia di simile arte, e benchè lui m'abbi straziato insino a ora, non ò po' voluto farla fare a altri, nè anche tôrre cosà fatta. Per tanto, se Piero sopra detto si tiene straziato da me, à ragione; ma io non ò potuto fare altro.
Ora ò riscossa o vero avuta la detta daga pure stamani, e con gran fatica, i' modo che Piero mio fu per batterla in sulla testa al maestro, tanto ve l'à fatto tornare. E sappi che l'aportatore di questa sarà el Chiaro di Bartolomeo battiloro, el quale àrà la detta daga. Fa' pagare al detto Chiaro la vettura, quello che se ne viene, e dàlla a Piero. E se la non gli piacessi, digli che m'avisi, che io gniene farò rifare un'altra; e digli che qua, poi che ci venne la Corte, ogni artefice e ogni arte è salito in gran pregio e condizione; però non si deba maravigliare, se io ò tardato tanto a mandargniene, perchè così sono stato straziato ancora io: chè questo maestro solo (à) avuta tanta faccienda poi che ci fu la Corte, che innanzi non ebbe mai tanta tutta Bolognia. Non ò tempo da scrivere. Iscrissi a Lodovico com'io avevo avute le sua lettere e com'io ero stato gabato, come lui àrà inteso. A dì 6 di marzo 1506.
Michelagniolo di Lodovico Buonarroti in Bolognia.
[71]
Archivio Buonarroti. Di Bologna, 26 di marzo (1507).
A Buonarroto di Lodovico di Bonarrota Simoni in Firenze. Data nella bottega di Lorenzo Strozi, Arte di lana, in Porta Rossa.
Buonarroto. — Io ebi più giorni fà una tua, per la quale intesi il tutto della daga e di Piero Aldobrandini. Io ti fo avisato, che se non fussi stato per tuo amore, che io lo lasciavo cicalare quanto voleva. Sappi che la lama che io ò mandata e che tu ài ricievuta, è fatta in sulla misura sua, ciò è del detto Piero; perchè lui me ne mandò una di carta in una lettera e scrissemi che io la facessi fare apunto a quel modo: e così feci: e però se lui voleva una daga, non mi doveva mandare la misura d'uno stoco: ma io ti voglio iscrivere per questa, quello che io non ò più voluto scrivere; e questo è, che tu non pratichi con lui, perchè non è pratica da te: e basta. E se lui venissi da te per la sopra detta lama, non gniene dare per niente; fagli buon viso, e digli che io l'ò donata ad uno mio amico: e basta. Sapi che la mi costò qua diciannove carlini e tredici quatrini della gabella.
Le cose mia di qua vanno bene, grazia di Dio, e spero infra uno mese gittare la mia figura: però pregate Idio che la cosa abbi buon fine, acciò che io torni presto costà, perchè sono disposto di fare quello che v'ò promesso. Conforta Giovansimone e digli che mi scriva qualche volta, e di' a Lodovico com'io sto bene e che inanzi che io gitti la mia figura, che lo saprà a ogni modo. Racomandami al Granaccio, quando lo vedi. Non ò da dirti altro. Qua comincia la moria ed è della cattiva, perchè non lascia persona dov'ella entra, benchè per ancora non cie n'è molta; forse quaranta case, secondo che m'è detto. A dì ventisei di marzo.
Michelagniolo scultore in Bolognia.
Se tu avessi data la daga a Piero, non gli dire altro; ma se non gniene ài data, non gniene dare per niente.
[72]
Museo Britannico. Di Bologna, 29 di marzo 1507.
A Buonarroto di Lodovico di Buonarrota Simoni in Firenze. Data nella bottega di Lorenzo Strozi, Arte di lana, in Porta Rossa, o all'Araldo nel Palazzo de' Signori in Firenze.
Buonarroto. — Questa perchè io (ò scritto) a messere Agniolo: la quale lettera sarà con questa: dàlla subito, perchè è cosa che importa. Non ò da dirti altro. Io t'avisai pochi giorni fà pel Riccione orafo. Credo l'àrai avuta. Le cose di qua vanno bene. Di' a Lodovico che quando fia tempo da gittare la mia figura, che io l'aviserò.
A dì venti nove di marzo 1506.[67]
Michelagniolo scultore in Bolognia.
[73]
Archivio Buonarroti. Di Bologna, 31 di marzo 1507.
A Buonarroto di Lodovico di Buonarrota Simoni in Firenze. Data nella bottega di Lorenzo Strozi, Arte di lana, in Porta Rossa.
Buonarroto. — I' ò ricievuta oggi una tua lettera con una di Lodovico: non fo risposta a quella di Lodovico, perchè non ò tempo; ma tu intenderai com'io sto per questa, e così lo informerai: e basta.
Sappi com'io sto bene e ancora come la cosa mia va bene, Dio grazia. Vero è che ci va uno mese di tempo più che io non estimavo, e però non ò ancora scritto a Lodovico el tempo che io la gitto, overo che io la voglio gittare, perchè non è ancora venuto: però none pigli amirazione, che quando sarà il tempo, l'aviserò; che stimo sarà per di qui a uno mese vel circa.
De' fatti dell'aviarvi a bottega, overo del fare compagnia, io voglio farlo a ogni modo, ma bisognia abbiate pazienza tanto che io torni costà.
Tu mi avisi come Piero non à voluto la daga. Io l'ò avuto molto caro che e' non l'abbi voluta e che la non gli sia piaciuta, perchè forse la sua sorte non era che lui la portassi a cintola e massimamente sendotella istata domandata da altr'uomini che non è lui, ciò è da Filippo Strozi. Però se tu vedi che la gli piaccia, va' e fagniene un presente come da te e non gli dire niente quello che la costa. Sapi che la lama io non l'ò vista: però se la non fussi recipiente, non gniene dare: chè tu non paressi una bestia: perchè a lui si convene altra cosa, che a Piero. Con questa sarà una che va a Roma al Sangallo. Ingiègniati di mandargniene. Credo se tu la déssi a Baccio d'Agniolo,[68] la manderebe bene; e a lui mi racomanda. A dì ultimo di marzo 1507.
Michelagniolo Buonarroti scultore in Bolognia.
(Dietro, di mano di Buonarroto.)
1507, da Bologna, a dì 14 d'aprile: de l'utimo di marzo.
[74]
Museo Britannico. Di Bologna, 14 d'aprile (1507).
A Buonarroto di Lodovico di Buonarrota Simoni in Firenze. Data nella bottega di Lorenzo Strozi, Arte di lana, in Porta Rossa.
Buonarroto. — Questa per coverta d'una che va a messere Agniolo; fa' che tu la dia a lui súbito. Non ò tempo da scrivere altro, nè da rispondere a Giovansimone. Io sto bene, e la cosa mia va bene, grazia di Dio. Più per agio vi scriverò: e basta.
A dì quatordici d'aprile.
Michelagniolo scultore in Bolognia.
[75]
Museo Britannico. Di Bologna, 20 aprile (1507).
A Buonarroto di Lodovico di Buonarrota Simoni in Firenze. Data nella bottega di Lorenzo Strozi, Arte di lana, in Porta Rossa in Firenze.
Buonarroto. — Io ò oggi una tua dei diciassette d'aprile, per la quale ò inteso il viaggio grande che fanno le mie lettere a venire costà. Non posso fare altro, perchè ci è cattivo ordine intorno a ciò. Io ò inteso per la tua più cose, alle quali non rispondo, perchè non accade. Duolmi tu (ti) sia portato di sì piccola cosa sì pidochiosamente con Filippo Strozi: ma poichè è fatto, non può tornare a dietro.
De' casi mia io scrivo a Giovansimone e lui t'aviserà come io la fo, e così avisate Lodovico.
Vorrei che tu andassi all'Araldo e che gli dicessi che io non avendo mai avuto risposta da lui de' casi di maestro Bernardino,[70] ò stimato che il detto maestro Bernardino non sia per venire qua, per amore della peste: onde io ò tolto uno francioso in quello scambio, il quale mi servirà bene: e questo ò fatto, perchè non potevo più aspettare. Fagniene a sapere, ciò è a messere Agniolo e racomandami a lui e digli che mi racomandi alla signoria del Gonfaloniere.[71] Racomandami a Giovanni da Ricasoli quando lo vedi.
A dì venti d'aprile.
Michelagniolo in Bolognia.
[76]
Museo Britannico. Di Bologna, 26 di maggio (1507).
A Buonarroto di Lodovico di Buonarrota Simoni in Firenze. Data nella bottega di Lorenzo Strozi, Arte di lana, in Porta Rossa in Firenze.
Buonarroto. — Io ebbi una tua per maestro Bernardino, il quale è venuto qua: per la quale ò inteso come siate tutti sani, salvo Giovansimone che ancora non è guarito; n'ò dispiacere assai e duolmi non lo potere aiutare. Ma presto spero essere di costà e farò cosa che gli piacerà a lui e a voi altri. Però cònfortalo e di' che stia di buona voglia. Ancora di' a Lodovico che a mezzo quest'altro mese io credo gittare la mia figura a ogni modo; però se vuole far fare orazione o altro, acciò che la venga bene, fàccialo a quel tempo, e digli che io ne lo prego.
Non ò tempo da scriverti altrimenti. Le cose vanno bene.
A dì venti sei di maggio.
Michelagniolo in Bolognia.
[77]
Museo Britannico. Di Bologna, 20 di giugno (1507).
A Buonarroto di Lodovico Simoni in Firenze.
Buonarroto. — Io non t'ò scritto più giorni sono, perchè non volevo scrivere, se prima non avevo gittata la mia figura, credendo gittarla più presto che non m'è riuscito.
Sappi come ancora non è gettata, e sabato che viene a ogni modo la gettiamo; e in fra pochi dì credo essere di costà, se la viene bene, com'io stimo.
Non ò da dirti altro. Sono sano e sto bene, e così stimo di voi tutti.
A dì venti gunio.
Michelagniolo in Bolognia.
[78]
Archivio Buonarroti. Di Bologna, 1 di luglio (1507).
A Buonarroto di Lodovico di Buonarrota Simoni in Firenze. Data nella bottega di Lorenzo Istrozi, Arte di lana, in Porta Rossa.
Buonarroto. — Noi abiàno gittata la mia figura, ed è venuta i' modo che io credo afermativo averla a rifare. Io non ti scrivo particularmente il tutto, perchè ò altro da pensare: basta che la cosa è venuta male. Ringràzione Dio, perchè stimo ogni cosa pel meglio. Io saperò infra pochi dì quello che io abia a fare e aviseroti. Avisane Lodovico: e state di buona voglia. E se aviene che io l'abbi a rifare, e che io non possa tornare costà, io piglierò partito di fare a ogni modo quello che io v'ò promesso, in quel modo che meglio potrò.
A dì primo di luglio.
Michelagniolo in Bolognia.
[79]
Museo Britannico. Di Bologna, 6 di luglio (1507).
A Buonarroto di Lodovico di Buonarrota Simoni in Firenze. Data nella bottega di Lorenzo Strozi, Arte di lana, in Porta Rossa.
Buonarroto. — Sappi come noi abbiamo gittata la mia figura, nella quale non ò avuta troppa buona sorte; e questo è stato che maestro Bernardino o per ignoranza o per disgrazia non à ben fonduto la materia; il come sarebbe lungo a scrivere: basta che la mia figura è venuta insino alla cintola; il resto della materia, cioè mezzo il metallo, s'è restato nel forno, che non era fonduto; in modo che a cavarnelo mi bisognia far disfare il forno: e così fo, e faròllo rifare ancora di questa settimana; di quest'altra rigitterò di sopra, e finirò d'empire la forma e credo che la cosa del male anderà assai bene, ma non sanza grandissima passione e fatica e spesa. Àrei creduto che maestro Bernardino avessi fonduto sanza fuoco, tanta fede avevo in lui; non di manco non è che lui non sia buon maestro e che egli non abbi fatto con amore. Ma chi fa, falla. E lui ha ben fallito a mio danno e anche a suo, perchè s'è vituperato in modo, che egli non può più alzar gli ochi per Bolognia.
Se tu vedessi Baccio d'Agniolo, leggigli la lettera e pregalo che n'avisi il San Gallo a Roma e racomandami a lui, e a Giovanni da Ricasoli e al Granaccio mi racomanda. Io credo, se la cosa va bene, in fra quindici o venti dì esser fuora di questa cosa e tornare di costà. Se non andassi bene, l'àrei forse a rifare: di tutto t'aviserò.
Avisami come sta Giovansimone.
Ai dì sei di luglio.[74]
Con questa sarà una che va a Roma a Giuliano da San Gallo. Màndala bene e presto quanto tu puoi: e se lui fussi in Firenze, dagniene.
[80]
Archivio Buonarroti. Di Bologna, 10 di luglio (1507).
A Buonarroto di Lodovico di Buonarrota Simoni in Fiorenza. Data in bottega di Lorenzo Strozi, Arte di lana, in Porta Rossa.
Buonarroto. — Io ò inteso per una tua come siate sani e state bene. Mi piace assai. La cosa mia di qua credo che del male anderà assai bene, benchè per ancora none so niente. Noi abbiàno rigittato di sopra quello che mancava, com'io ti scrissi e non ò ancora potuto vedere come la cosa si stia, perchè è calda la terra i' modo, che ancora non si può scuoprire. Di quest'altra settimana sarò chiaro e aviserotti. Maestro Bernardino si partire[75] ieri di qua. Quando lui ti facessi motto, fa'gli buon viso: e basta.
A dì dieci di luglio.
Michelagniolo in Bolognia.
[81]
Archivio Buonarroti. Di Bologna, (18? di luglio 1507).
A Buonarroto di Lodovico di Buonarrota Simoni in Firenze. Data in bottega di Lorenzo Strozi, Arte di lana, in Porta Rossa. Firenze.
Buonarroto. — La cosa mia poteva venire molto meglio e ancora molto peggio: tant'è ch'ella è venuta tutta, per quello che io posso comprendere; chè ancora non l'ò scoperta tutta. Stimo ci sarà qualche mese di tempo a rinettarla, perchè è venuta mal netta: oh pure bisognia ringraziare Idio! perchè, come dico, poteva venire peggio. Quando ti fussi ditto niente da Salvestro del[76] Pollaiolo o da altri, di' loro che io non ò bisognio de persona, a ciò che qua non s'aviassi qualcuno sopra le spalle mia; perche i' ò speso tanto, che e' non mi resta apena da poterci stare io, non che tenere altri. Di quest'altra settimana t'aviserò; chè io àrò scoperta tutta la figura.
Michelagniolo in Bolognia.
[82]
Archivio Buonarroti. Di Bologna, 2 d'agosto 1507.
A Buonarroto di Lodovico di Buonarrota Simoni in Firenze. Data nella bottega di Lorenzo Strozi, Arte di lana, in Porta Rossa.
Buonarroto. — Io non t'ò iscritto questa settimana passata per non avere potuto. Sapi come la figura mia quant'e' più l'ò scoperta, ò trovato che meglio è venuta e vego che e' fia manco male che io non estimavo, e parmi averne buona derrata, a rispetto di quello che poteva avenire: però abiàno da ringraziare Idio. Io per quello che mi pare, credo a ogni modo averci uno mese e mezo di faccenda a rinettarla; sì che poi che avete avuta tanta pazienza, bisognia che abiate questa poca ancora. Conforta Giovansimone per mia parte e avisami come egli sta e gli altri ancora. Raguaglia Lodovico del tutto. Racomandami agli amici, ciò è a Giovanni da Ricasoli, al Granaccio e a messere Agniolo.
A dì secondo d'agosto 1507.
Michelagniolo in Bolognia.
[83]
Archivio Buonarroti. Di Bologna, 3 d'agosto (1507).
A Buonarroto di Lodovico di Buonarrota Simoni in Firenze. Data nella bottega di Lorenzo Strozi, Arte di lana, in Porta Rossa.
Buonarroto. — Questa sarà per coverta d'una che va a Roma a Giuliano da Sangallo. Prègoti la mandi per buona via, perchè è cosa che importa assai. Non ti scrivo altro, perchè pure stamani t'ò mandato un'altra lettera, per la quale intenderai come la cosa va bene. A dì tre d'agosto.
Michelagniolo in Bolognia.
[84]
Archivio Buonarroti. Di Bologna, 10 d'agosto (1507).
A Buonarroto di Lodovico di Buonarrota Simoni in Firenze. Data nella bottega di Lorenzo Istrozi, Arte di lana, in Porta Rossa. Firenze.
Buonarroto. — Io ò ricievuta oggi una tua, per la quale intendo come siate tutti sani: n'ò piacere assai: similmente ancora io sono sano, e stimo la cosa mia anderà bene: vero è che e' c'è delle fatiche assai; pure io sono sicuro che io non ò a correre più pericoli, nè a avere più troppe grande ispese, perchè non sono obrigato se non a darla finita dove ella è. Al Sangallo ò risposto a una sua lettera; e la lettera sarà con questa: dagniene. Vorrei che tu trovassi messere Agniolo Araudo, e gli dicessi che io non gli ò ancora risposto per non aver potuto, e che la cosa va bene; e racomandami a lui e a Tomaso comandatore.[77] Tu mi scrivi del caldo che è costà e del caro: ancora sappi che qua è stato quel medesimo, perchè poi che io ci sono, non ci è mai piovuto, altro che una volta, e ècci istati caldi che mai più credo che al mondo fussino. El vino ci è caro come costà, ma tristo quant'e' può, e similmente ogni altra cosa, i' modo che e' c'è un cativo essere, e a me par mille anni di venirne.
A dì dieci d'agosto.
Michelagniolo in Bolognia.
[85]
Archivio Buonarroti. Di Bologna, 29 di settembre (1507).
A Buonarroto di Lodovico di Buonarrota Simoni in Fiorenza. Data nella bottega di Lorenzo Strozi, Arte di lana, in Porta Rossa.
Buonarroto. — Io non ò avuto tuo' lettere già più d'un mese fà: non so la cagione: però prègovi mi scriviate qualche cosa o tu o Giovansimone, e avisatemi come la fate. Io non vi scrivo spesso, perchè non ò tempo, perchè nella opera mia è cresciuta tuttavia la faccenda i' modo, che se e' non fussi la gran sollecitudine, io ci sarei ancora per sei mesi: pure stimo a Ognissanti averla finita, o poco mancherà, sollecitando com'io fo; che apena posso pigliare tempo da mangiare. State di buona voglia e abiate pazienza questo tempo, perchè la cosa anderà bene. Avisatemi come la fate. Fa' mia scusa con Sangallo del non gli scrivere e con l'Araudo, quando gli vedi. Non altro.
A dì ventino(ve) di settembre.
Michelagniolo in Bolognia.
[86]
Museo Britannico. Di Bologna, (16) di ottobre 1507.
A Buonarroto di Lodovico di Buonarrota Simoni in Firenze. Data in bottega di Lorenzo Strozi, Arte di lana, in Porta Rossa.
Buonarroto. — Io non ò tempo da rispondere all'ultima tua come si converrebbe; ma sapi com'io sono sano e àrò finito presto, e stimo avere grandissimo onore: tutta grazia di Dio: e subito finito che àrò, tornerò costì e acconcierò tutte le cose di che tu mi scrivi, in forma che voi sarete contenti, e similmente Lodovico e Giovansimone. Prègoti vadi a trovare l'Araldo e Tomaso comandatore: di' loro, che per questo non ò tempo da scrivere loro, o vero da rispondere alle loro lettere a me gratissime; ma per quest'altro gli aviserò a ogni modo di qualche cosa per risposta delle loro. Ancora ti prego che vadi a trovare el San Gallo e dicagli, che io stimo avere finito presto; e intenda come egli sta, e che per quest'altra ancora scriverrò a lui come la cosa va. Non altro.
A dì.... d'ottobre.
Michelagniolo in Bolognia.
[87]
Museo Britannico. Di Bologna, (19 di ottobre 1507).[79]
A Buonarroto di Lodovico di Buonarrota Simoni in Firenze. Data nella bottega di Lorenzo Strozi, in Porta Rossa.
Buonarroto. — Io ò ricievuto una tua, per la quale ò inteso come sta el San Gallo. Non farò altra risposta alla tua, perchè non acade: basta che io sono a buon porto della opera mia, sì che state di buona voglia. Con questa saranno cierte lettere: dàlle bene e presto. Non so a quanti dì noi ci siamo, ma ieri fu Santo Luca. Cièrcane da te.
Michelagniolo in Bolognia.
[88]
Museo Britannico. Di Bologna, 10 di novembre (1507).
A Buonarroto di Lodovico di Buonarrota Simoni in Firenze. Data nella bottega di Lorenzo Strozi, Arte di lana, in Porta Rossa.
Buonarroto. — Io mi maraviglio che tu mi scriva tanto di rado. Credo pur che tu abbi più tempo da scrivere a me, che io a te: però avisami spesso come la fate.
Io ò inteso per l'ultima tua come per buona cagione desideravi che io tornassi presto: la qual cosa m'à fatto stare con sospetto parecchi dì: però quando mi scrivi, scrivimi risoluto e chiarisci le cose bene, acciò che io intenda: e basta.
Sappi che io desidero molto più che non fate voi di tornare presto,[81] perchè sto qua con grandissimo disagio e con fatiche istreme e non attendo a altro che a lavorare e el dì e la notte, e ò durata tanta fatica e duro, che se io n'avessi a rifare un'altra, non crederrei che la vita mi bastassi, perchè è stato una grandissima opera; e se la fussi stata alle mani d'un altro, ci sarebbe capitato male dentro. Ma io stimo gli orazioni di qualche persona m'abbino aiutato e tenuto sano, perchè era contro l'opinione di tutta Bolognia che io la conducessi mai: poichè la fu gittata, e prima ancora, non era chi credessi che io la gittassi mai. Basta che io l'ò condotta a buon termine, ma non l'àrò finita per tutto questo mese, come stimavo; ma di quest'altro a ogni modo sarà finita, e tornerò. Però state tutti di buona voglia, perchè io farò ciò che io v'ò promesso a ogni modo. Conforta Lodovico e Giovansimone da mia parte e scrivimi come la fa Giovansimone, e attendete a imparare e a stare a bottega, acciò che voi sapiate fare quando vi bisognierà; chè sarà presto. A dì dieci di novembre.
Michelagniolo in Bolognia.
[89]
Museo Britannico. Di Bologna, 21 di dicembre (1507).
A Buonarroto di Lodovico di Buonarrota Simoni in Firenze. Data nella bottega di Lorenzo Strozi, Arte di lana, in Porta Rossa.
Buonarroto. — Io ti mando una lettera in questa, la quale è d'importanza assai, e va al cardinale di Pavia[83] a Roma: però subito che l'ài ricevuta, va' a trovare el San Gallo, e vedi se lui à modo di mandarla ch'ella vadi bene; e se San Gallo non è in Firenze, o non la può mandare, falle una coverta e mandala a Giovanni Balducci e prègalo per mia parte che la mandi a Pavia, ciò è al detto Cardinale, e scrivi a Giovanni che in questa quaresima io sarò a Roma e racomandami a lui. Racomandami ancora al San Gallo e digli, che i' ò a mente la sua faccienda e che presto io sarò costà. Manda la detta lettera a ogni modo, perchè non posso partire di qua, se non ò risposta.
A dì ventuno di dicembre.
Michelagniolo in Bolognia.
[90]
Museo Britannico. Di Bologna, (5 di gennaio 1508).
A Buonarroto di Lodovico di Buonarrota Simoni in Firenze. Data in bottega di Lorenzo Strozi, Arte di lana, in Porta Rossa.
Buonarroto. — I' ò inteso per l'ultima tua come ài fatto buon servigio della lettera di Pavia. L'ò avuto caro, perchè stimo sarà andata bene. Duolmi assai che tu abbi male, come scrivi, pure abbi pazienza e sta' di buona voglia, perchè di corto sarò costà e faròvi fare quello che voi vorrete o con Lorenzo[84] o da voi, come vi parrà più utile e sicuro. Io non vi dico l'apunto quando mi partirò di qua, perchè io non lo so ancora; ma io credo a ogni modo infra quindici dì partire, overo essere a ordine da partire: e parmi mille anni, perchè istò qua i' modo che se tu 'l sapessi, te ne increscierebe. Non altro. Non mi scriver più a Bolognia, se non è cosa che importi, perchè delle lettere n'è fatto cattivo servigio. Conforta tutti gli altri per mia parte. Non so a quanti dì noi ci siamo, ma so che domani è Befania.
Michelagniolo in Bolognia.
[91]
Archivio Buonarroti. Di Bologna, (18 di febbraio 1508).
A Buonarroto di Lodovico di Buonarrota Simoni in Firenze. Data nella bottega di Lorenzo Strozi, Arte di lana, in Porta Rossa.
Buonarroto. — Egli è già quindici dì che io credetti essere costà, perchè io stimavo súbito finita la mia figura, che costoro la mettessino in opera. Ora costoro mi dòndolano e non ne fanno niente: e io ò comessione dal Papa non mi partire, s'ella non è in opera: i' modo, che e' mi pare essere impacciato. Starò a vedere ancora tutta questa settimana: e se e' non dànno altro ordine, io me ne verrò a ogni modo,[85] sanza osservare la comessione.
In questa sarà una che va al cardinale di Pavia, nella quale gli replico questa cosa, acciò che e' non si possa dolere. Però fa'gli una coverta e dirizala a Giuliano da Sangallo per mia parte, e prègalo che la dia in propria mano.[86]
(Dietro, di mano di Buonarroto.)
1507, da Bologna, a' dì 18 di febraio: ricevuta dì detto.
[92]
Museo Britannico. Di Roma, 2 di luglio (1508).
A Buonarroto di Lodovico Simoni in Firenze.
Buonarroto. — L'aportatore di questa sarà uno giovine spagnuolo, il quale viene costà per imparare a dipigniere, e àmmi richiesto che io gli facci vedere el mio cartone che io cominciai alla Sala;[88] però fa' che tu gli facci aver le chiavi a ogni modo e se tu puoi aiutarlo di niente, fallo per mio amore, perchè è buono giovane.
Giovansimone si sta qua, e questa settimana passata è stato amalato; che non m'à dato picola passione, oltre a quelle che i' ò: pure ora sta assai bene. Credo si tornerà presto costà, se farà a mio modo, perchè l'aria di qua non mi pare facci per lui. Racomandami a Tomaso comandatore, e all'Araudo.
A' dì dua di luglio.
Michelagniolo in Roma.
Racomandami a Giovanni da Ricasoli.
[93]
Archivio Buonarroti. Di Roma, (di luglio 1508).
Buonarroto di Lodovico Buonarroti. Firenze.
Buonarroto. — I' ò inteso per una tua come di costà le cose vanno: della qual cosa n'ò dispiaciere assai, e più ancora vegiendo nel bisognio che voi siate, e massimamente di Lodovico, che tu mi scrivi com'egli àrebbe bisognio di farsi qualche cosa indosso.
Io scrissi più giorni fa a Lodovico, come io avevo marmi qua per quatrociento ducati largi, e com'io ci ò debito su ciento quaranta ducati largi, e com'io non ò un quatrino; e così lo scrivo a te, perchè tu vega che per adesso non vi posso aiutare, perchè i' ò a pagare questo debito e ancora mi bisognia vivere, e oltr'a questo, pagare la pigione. Sì che ò delle fatiche assai: ma spero d'uscirne presto e potervi aiutare.
Tu mi scrivi che io cierchi d'uno aviamento per te: io non saperrei che mi trovare, nè che mi ciercare. Io manderò più presto che io potrò per te, e starai tanto a Roma, che tu troverai qualche aviamento a tuo modo. Non altro. Con questa sarà una del Granaccio. Priègoti gniene dia, e ricordagli che mi facci il servizio che io gli domando.
Michelagniolo scultore in Roma.
[94]
Museo Britannico. Di Roma, 31 di luglio (1508).
A Buonarroto di Lodovico di Buonarrota Simoni in Firenze.
Buonarroto. — Io ti mando la rifiutagione ch'io ò fatta per man di notaio, come Lodovico mi manda a chiedere, della redità di Francesco:[89] però súbito che tu l'ài, dàlla a Lodovico, che e' sappi che la sarà in questa lettera. Avisoti come Piero Basso[90] si partì di qua martedì mattina amalato, o volessi io o no: e' me n'è saputo male, perchè sono restato solo, e anche perchè ò paura non si muoia per la via: ma e' s'era cacciato tanta paura nel capo di questa aria, che mai non ce l'ò potuto tenere e credo sarebe guarito in quatro dì, se ci fussi stato, per quel che m'era detto da altri. Però avisami s'egli è gunto costà.
In questa sarà una lettera che va a uno che si chiama Giovanni Michi, el quale volse già stare meco qua e ancora mi scrive che starebbe: e io per questa lettera gli rispondo quello che gli à a fare se e' vòle. Però ti prego che tu vadi in San Lorenzo, dove lui mi scrive che sta, e fa' di trovarlo e da' gli la lettera e fa' d'avere risposta resoluta, perchè io non posso star solo: e anche non si truova di chi fidarsi. Avisami subito.
Io ti scrissi come voi fermassi quel pezzo di terra di Nicolò della Buca e facessiti far tempo un mese. Così credo che àrete fatto: e io ò a mandare intorno a mezo agosto danari costà per comperare azurro, infra quali manderò ancora quegli di Nicolò. Raguaglia Lodovico. Non ò tempo da scrivere.
[95] Intesi come lo spagnuolo non aveva avuto la grazia d'andare alla Sala. L'ò avuto caro; ma prègagli[91] per mia parte quando gli vedi, che faccino così ancora agli altri: e racomandami ancora a loro.
A dì ultimo di luglio.
Michelagniolo in Roma.
Ancora con questa fia una del Granaccio. Dàlla, perchè importa.
[96]
Museo Britannico. Di Roma, 5 d'agosto (1508).
A Buonarroto di Lodovico di Buonarrota Simoni in Firenze. Data in bottega di Lorenzo Strozi.
Buonarroto. — Io mandai, oggi fa otto dì, la rifiutagione: credo l'àrete avuta. Tu mi di' che m'ài scritto di Baccino; io non so quello ti voglia dire, e se tu ài scritto, io non l'ò avuta. Lodovico mi scrisse, è forse un mese, di Baccio di Mariotto. Non so se tu ti vuoi dire di quello. Avisa quello vuoi dire.
Di Bastiano lavoratore non dico altro: se lui volessi far bene, non sare' da mutarlo: ma io non vo' che e' si dia a intendere che l'uomo sia una bestia. Io fu' cagione che Lodovico lo mettessi lassù, per le cose grandi che e' mi disse di fare in quel podere; ora l'à dimenticato il tristo, ma io non l'ò dimenticato io. Digli da mia parte, che se e' non fa el debito suo, che non mi vi aspetti, che per aventura potrei essere presto di costà.
Io ti scrissi come Piero Basso s'era partito di qua amalato, o volessi io o no. Avisami se gli è giunto ancora costà. Non ò tempo da scrivere. A dì.... d'agosto.
Michelagniolo in Roma.
[97]
Museo Britannico. Di Roma, (17 d'ottobre 1509).
A Buonarroto di Lodovico di Buonarrota Simoni in Firenze.
Buonarroto. — Io ebi el pane: è buono, ma non è però da farne incetta, perchè ci sarebbe poco guadagnio. Io dètti al fante cinque carlini, e apena che me lo volessi dare. Resto per l'ultima tua avisato come Lorenzo[94] passerà di qua e come io gli debba fare buona ciera. Mi pare che tu non sappi com'io sto qua. Per tanto t'ò per iscusato. Quello che io potrò, lo farò. Di Gismondo intendo come vien qua per ispedire la sua faccenda. Digli per mia parte che non facci disegnio nessuno sopra di me, non perchè io non l'ami come fratello, ma perchè io non lo posso aiutare di cosa nessuna. Io son tenuto a amare più me che gli altri, e non posso servire a me delle cose necessarie. Io sto qua in grande afanno e con grandissima fatica di corpo, e non ò amici di nessuna sorte, e none voglio; e non ò tanto tempo che io possa mangiare el bisonio mio: però non mi sia data più noia, che io none potrei soportar più un'oncia.
Della bottega vi conforto a essere solleciti; e piacemi che Giovansimone si sia aviato a fare bene: ingegniatevi d'acrescere gustamente o mantenere quello che voi avete, acciò che voi vi sappiate poi reggiere i' maggiore cosa; perchè ò speranza, come torno di costà, che voi farete da voi, se sarete uomini da ciò. Di' a Lodovico che io non gli ò risposto, perchè non ò avuto tempo: e non vi maravigliate quando non scrivo.
Michelagniolo scultore in Roma.
[98]
Museo Britannico. Di Roma, (1509).
A Buonarroto di Lodovico Simoni in Firenze.
Buonarroto. — Intendo per l'ultima tua come siate sani tutti e come Lodovico à avuto un altro uficio. Tutto mi piace, e confortolo acettare, quando la sia cosa che per e' casi che possono avenire, lui si possa tornare a suo' posta in Firenze. Io mi sto qua all'usato e àrò finita la mia pittura per tutta quest'altra settimana, ciò è la parte che io cominciai; e com'io l'ò scoperta, credo che io àrò danari e ancora m'ingiegnierò d'aver licenza per costà per un mese. Non so che si seguirà: n'àrei bisognio, perchè non sono molto sano. Non ò tempo da scrivere altro. V'aviserò come seguirà.
Michelagniolo scultore in Roma.
[99]
Museo Britannico. Di Roma, 26 d'ottobre 1510.
A Buonarroto di Lodovico di Buonarrota Simoni in Firenze.
Buonarroto. — Io ebbi ieri cinque ciento ducati d'oro di camera dal Datario[97] del Papa e ònne dati qua a Giovanni Balducci quatrociento sessantatrè e mezo, perchè costà me ne facci dare, overo pagare da Bonifazio Fazi quatro ciento cinquanta d'oro in oro largi. I' ò ordinato che e' sieno pagati a te. Però, visto la presente, anderai a Bonifazio, e lui te gli pagerà, ciò è ti darà ducati quatrociento cinquanta d'oro largi: e se lui non potessi pagartegli per insino i' dieci dì, abbi pazienza: dipoi te gli fa' dare a ogni modo e portagli a Santa Maria Nuova allo spedalingo e fa' gli mettere a mio conto, come stanno gli altri, e mena teco o Giovansimone o Gismondo o tutt'a dua, e non levare i danari dal banco, se lo Spedalingo non è in Fiorenza. Dipoi, quando gli ài fatti aconciare allo Spedalingo a mio conto, avisami subito l'apunto di quanti danari io v'ò: e non parlare a nessuno di simil cosa. A Lodovico scriverrò per quest'altro. Se tu vedi Michelagniolo Tanagli, digli per mia parte, che da dua mesi in qua i' ò avuta tanta noia e passione, che io non ò potuto scrivergli niente, e che io farò quanto potrò di trovare qualche corniola o qualche medaglia buona per lui, e ringrazialo del cacio: e di quest'altro sabato gli scriverrò. A dì venti sei d'ottobre 1510.
Michelagniolo scultore in Roma.
[100]
Museo Britannico. Di Roma, 23 1510.
A Buonarroto di Lodovico Simoni in Firenze.
Buonarroto. — In questa sarà una di messere Agniolo.[99] Dàlla subito. Io credo che e' mi bisognierà infra pochi dì ritornare a Bolognia, perchè el Datario del Papa con chi io venni da Bolognia, mi promesse quando partì di qua, che subito che e' fussi a Bolognia, mi farebbe provedere, che io potrei lavorare. È un mese che andò: ancora non ò inteso niente. Aspetterò ancora tutta quest'altra settimana. Di poi credo, se altro non c'è, andare a Bolognia e passerò di costà. E non altro. Avisane Lodovico e di' che io sto bene.
A dì venti tre.... 1510.
Michelagniolo scultore in Roma.
[101]
Museo Britannico. Di Roma, 11 di gennaio (1511).
A Buonarroto di Lodovico di Buonarrota Simoni in Firenze. Data nella bottega di Lorenzo Strozi, Arte di lana.
Buonarroto. — Io gunsi qua martedì sera a salvamento, Idio grazia. Dipoi ò avuto e' danari qua, come mi fu scritto costà che io àrei; e in questa sarà una prima di cambio di ducati dugento venti otto d'oro largi da Lanfredino Lanfredini. Fa' d'averne promessa e pagamento al tempo, e come tu gli ài avuti, portali allo Spedalingo e fa' gli aconciare a mio conto, e fa' aconciare ancora gli altri ultimi che io mandai allo Spedalingo propio, e piglia el libro e le carte; dipoi m'avisa del numero, tutto che v'è.
Se tu vedi l'Araudo, digli che ringrazi per mia parte la signoria del Gonfaloniere, e a lui mi racomanda. Io non ò stasera tempo: questo altro sabato gli scriverrò. Quando vai allo Spedalingo, mena teco uno di cotestoro e none parlate con altri. Non altro. Tieni serrato el cassone, che e' mie' panni non sieno rubati come a Gismondo. A dì undici di gennaio.
Michelagniolo di Bonarrota Simoni
iscultore in Roma.
[102]
Archivio Buonarroti. Di Roma, 10 di gennaio (1511).
A Buonarroto di Lodovico Simoni in Firenze.
Buonarroto. — Io ebi più giorni fà una tua lettera, per la quale ò inteso l'animo tuo apunto; e perchè sarebbe lungo a rispondere pienamente a ogni cosa, ti dirò brevemente il parere mio. De' casi della bottega io son d'animo di fare tanto quanto v'ò promesso, come torno costà; e benchè io abi scritto, che adesso si compri una possessione, io son d'animo ancora di far la bottega, perchè finendo qua e risquotendo quello che io resterò avere, ci sarà per fare quello v'ò promesso. Del trovar tu ora chi ti vole mettere in mano dua o tre mila ducati largi e che tu facci una bottega: questa è migliore borsa che la mia. Parmi che tu accetti a ogni modo; ma guarda di non essere ingannato, perchè e' non si trova chi voglia meglio a altri che a sè. Tu mi di' che questo tale ti vorrebbe dare una sua figliuola per moglie; e io ti dico che tutte l'oferte che e' ti fa, ti mancheranno, dalla moglie in fuora, quando e' te l'àrà apicata adosso; e quella àrai più che tu non vorrai. Ancora ti dico, che a me non piace impacciarsi per avarizia con uomini più vili assai che non se' tu: l'avarizia è grandissimo pecato e nessuna cosa ove sia pecato, può aver buon fine. A me pare che tu dia buone parole e intrattenga la cosa per insino che io abi finito qua, che io vega come io mi trovo. E questo sarà infra tre mesi, vel circa. Ora fa' quanto a te pare. Io non t'ò potuto prima rispondere.
A dì dieci di gennaio.
Michelagniolo scultore in Roma.
(Di mano di Buonarroto.)
1510, da Roma; a dì 15 di gennaio ricevuta.
[103]
Museo Britannico. Di Roma, 26 di gennaio 1511.
A Buonarroto di Lodovico di Buonarrota Simoni in Firenze.
Buonarroto. — Io ti mandai ogi fa quindici dì dugento venti otto ducati d'oro largi, e' quali detti qua a Francesco Perini. Lui mi fece la lettera del cambio che costà ti fussino pagati da uno degli Orlandini, e la detta lettera méssi in una mia e manda'tela. Dòvevone avere risposta ieri: non l'avendo avuta, stimo la lettera non ti sia stata presentata, e se pure, quella di oggi fa quindici non t'è stata presentata, overo è ita male. Francesco Perini mi fece oggi fà otto dì un'altra di cambio, che vi si conteneva il medesimo e messila in una mia e manda'tela. Però súbito visto la presente, se non ài avuto le lettere o danari, avisami in ogni modo e manda le lettere per Bonifazio Fazi, perchè me n'è fatto migliore servigio. E se tu ài avuti e' danari, va', portagli allo Spedalingo e fa' aconciare da lui propio questi e gli altri ultimi che tu rimettesti a mio conto, e avisa.
Io ebi el fardello. Ancora ò inteso di Baccio: parmi da tôrle[100] a fitto a ogni modo. Non ò tempo da scrivere: rispondimi a ogni modo, perchè m'importa, e presto come più puoi. A dì venti sei di gennaio 1510.
Michelagniolo in Roma.
[104]
Archivio Buonarroti. Di Roma, (24 di luglio 1512).
A Buonarroto di Lodovico Simoni in Firenze.
Buonarroto. — Io non ò tempo da rispondere alla tua, perchè è notte, e ancora quand'io avessi tempo, non ti posso rispondere resoluto per insino che io non vego la fine delle cose mia di qua. Io sarò questo settembre costà e farò tanto quant'io potrò per voi, com'io ò fatto insino a ora. Io stento più che uomo che fussi mai; mal sano e con grandissima fatica; e pure ò pazienzia per venire al fine desiderato. Ben potete avere pazienzia dua mesi voi, stando diecimila volte meglio che non sto io.
Michelagniolo scultore in Roma.
(Dietro, di mano di Buonarroto.)
1512, a dì 28 di luglio: de' dì 24 detto, da Roma.
[105]
Archivio Buonarroti. Di Roma, di luglio (1512).
A Buonarroto di Lodovico Simoni in Firenze.
Buonarroto. — Intendo per la tua come àresti caro intendere dove a me piacessi che e' si comprassi: io intesi il simile per l'ultima di Lodovico, ma non ò avuto prima tempo da scrivere.
A me pare che sopra tutte le cose si cerchi buon sodo, sia poi dove si vòle la possessione; che io non me curo niente: come piace a voi, così piace a me. Ancora abiate cura comprare da giente che a un bisognio l'uomo possa combattere con esso lui. Di Luigi Gerardini non so che mi dire: s'ella non è buona entrata, nè anche buon sodo, io non so quello che s'abbia a comprare altro: tant'è che a me non dà noia nessuna in qual luogo voi vi compriate: e di questo non bignia[101] più scrivere, purchè la cosa sia sicura: e non correte a furia, che noi non fussimo gabati. Non mi acade altro. Quando vedi Giovanni Da Ricasoli, racomandami a lui.
Michelagniolo scultore in Roma:
di luglio, non so a quanti.
[106]
Archivio Buonarroti. Di Roma, (21 d'agosto 1512).
A Buonarroto di Lodovico Simoni in Firenze.
Buonarroto. — Io ò avuta una tua lettera, alla quale rispondo brevemente per non aver tempo. Del mio tornare costà, io non posso tornare, se io non finisco l'opera, la quale stimo finire per tutto settembre; vero è che è sì gran lavoro, che non mi so aporre a quindici dì. Basta che nanzi Ognisanti sarò costà a ogni modo, se io non muoio in questo mezo. Io sollecito più ch'io posso, perchè mi par mille anni eser costà.
Michelagniolo scultore in Roma.
(Dietro, di mano di Buonarroto.)
1512, a dì 25 d'agosto: de' dì 21 detto, da Roma.
[107]
Archivio Buonarroti. Di Roma, (5 di settembre 1512).
A Buonarroto di Lodovico Simoni in Firenze.
Buonarroto. — Io non t'ò scritto più dì fa, perchè non mi è acaduto: ora intendendo di qua come costà passono le cose, mi pare di scrivervi l'animo mio, e questo è, che sendo la Terra in mala disposizione,[102] come si dice qua, che voi tutti veggiate di ritrarvi in qualche parte che voi siate sicuri, e abandonare la roba e ogni cosa; perchè molto più vale la vita che la roba; e se non avete danari da levarvi di costà, andate allo Spedalingo e fatevene dare; e se io fussi in voi, io leverei tutti e' danari che lo Spedalingo à di mio, e verrei a Siena e tôrei una casa e starei lì tanto, che costì s'assettassino le cose. Credo che la procura che io feci a Lodovico, non sia ancora finito el tempo suo che lui possa ancora risquotere e' mia danari; però se bisognia, pigliategli e spendete in simili casi di pericoli quello che bisognia; el resto mi serberete: e de' casi della Terra non vi impaciate di niente nè in fatti nè in parole, e fate come si fa alla morìa; siate e' primi a fugire. Non altro. Avisami di qualcosa più presto che tu puoi, perchè sto con gran passione.
Michelagniolo scultore in Roma.
(Dietro, di mano di Buonarroto.)
1512, da Roma, a dì 9 di settembre: de' dì 5 detto.
[108]
Archivio Buonarroti. Di Roma, 18 di settembre (1512).
A Buonarroto di Lodovico Simoni in Firenze.
Buonarroto. — Io intesi per l'ultima tua come la Terra stava in gran pericolo; onde n'ò avuta gran passione. Ora s'è detto di nuovo che la Casa de' Medici è entrata in Firenze[103] e che ogni cosa è aconcia: per la qual cosa credo che sia cessato il pericolo, cioè degli Spagnuoli, e non credo che e' bisogni più partirsi; però statevi in pace, e non vi fate amici nè familiari di nessuno, se non di Dio; e non parlate di nessuno nè bene nè male, perchè non si sa el fine delle cose: attendete solo a' casi vostri.
E' quaranta ducati che Lodovico à levati da Santa Maria Nuova, io vi scrissi l'altro dì una lettera che in casi di pericoli della vita voi ne spendessi non che quaranta, ma tutti: ma da questo in fuora, io non v'ò dato licenza che voi gli tochiate. Io v'aviso che io non ò un grosso e sono si può dire scalzo e gnudo e non posso avere el mio resto, se io non ò finita l'opera: e patisco grandissimi disagi e fatiche. Però quando voi ancora soportassi qualche disagio, non vi incresca, e i' mentre che voi potete aiutare de' vostri danari, non mi togliete e' mia, salvo che in casi di pericoli, come è detto. E pure quando avessi qualche grandissimo bisognio, vi prego che prima me lo scriviate, se vi piace. Io sarò costà presto. Non mancherà a modo nessuno, che io non facci l'Ognisanti costà, se a Dio piacerà.
A dì 18 di settembre.
Michelagniolo scultore in Roma.
(Dietro, di mano di Buonarroto.)
1512; da Roma, a dì 23 di settembre: de' dì 18 detto.
[109]
Archivio Buonarroti. Di Roma, (30 di luglio 1513).
A Buonarroto di Lodovico Simoni in Firenze.
Buonarroto. — Michele scarpellino[105] è venuto qua a stare meco e àmmi richiesto di cierti danari per le sue giente costà: e' quali io te gli mando. Però subito va' a Bonifazio, e lui ti darà ducati quatro largi, e dàgli a Meo di Chimenti scarpellino[106] che lavora nell'Opera,[107] e dàgli e dàgli[108] la lettera che fia con questa, che va a lui, e fatti fare una fede di sua mano, come e' gli à ricievuti da me per Michele: e màndamela.
Il detto Michele m'à ditto come tu gli ài mostro che ài speso a Settigniano circa sessanta ducati. Io mi ricordo che tu me lo dicesti anche qua a tavola, che avevi speso del tuo dimolti ducati. Io feci le vista di non ti intendere e non mi maravigliai niente, perchè io ti conosco. Io credo che tu gli abbi scritti e che tu ne tenga conto per potercegli un dì domandare. E io vorrei sapere dalla tua ingratitudine con quali danari tu gli ài guadagniati; l'altra vorrei sapere, se tu tien conto di quegli dugiento venti otto ducati che voi mi togliesti da Santa Maria Nuova, e di molte altre centinaia che io ò speso in casa e in voi, e de' disagi e degli stenti che io ò avuti per aiutarvi. Vorrei sapere, se tu ne tien conto. Se tu avessi tanto intelletto che tu conosciessi el vero, tu non diresti: io ò speso tanto del mio: e anche non saresti venuti qua a sollecitare con meco il fatto vostro, vegiendo com'io mi sono portato con voi pel tempo passato; anzi àresti detto: Michelagniolo sa quello che e' ci à scritto, e se e' non lo fa così ora, debe aver qualche impedimento che noi non sapiàno: e star pazienti: perchè e' non è bene spronar quello cavallo che corre quanto e' può, e più che e' non può. Ma voi non m'avete [110] mai conosciuto, e non mi conosciete. Idio ve lo perdoni! perchè lui m'à fatto la grazia che io rega a quello che io rego, overo ò retto, acciò che voi siate aiutati: ma lo conoscierete quando non m'àrete.
Io t'aviso come non credo poter venire questo setembre costà, perchè sono sollecitato i' modo i' modo[109] che io non posso aver tempo da mangiare. Idio voglia che io possa reggiere: però io voglio, com'io posso, fare la procura a Lodovico, com'io scrissi: chè io non l'ò mai dimenticato, e vogliovi mettere i' mano mille ducati d'oro largi, com'io v'ò promesso, a ciò che cogli altri che voi avete, voi cominciate a fare da voi. Io non voglio niente di vostri guadagni, ma io voglio esser sicuro che in capo di dieci anni, voi, vivendo io, mi consegniate in robe o in danari questi mille ducati, quand'io gli rivolessi; che non credo che questo abia a venire; ma quando mi venissi il bisognio, io gli possa riavere, come è detto. E questo sarà un freno a voi, che vo' non gli manderete male: però pensate e consigliatevi e scrivetemi come voi volete fare. E' quattrociento ducati che voi avete di mio, voglio che si dividino in quatro parte, e che e' ne tochi ciento per uno: e così ve gli dono. Ciento a Lodovico, ciento a te, ciento a Giovansimone, e ciento a Gismondo; con questo con questo,[110] che voi non possiate farne altro che tenergli insieme in sulla bottega. Non altro. Mostra la lettera a Lodovico, e resolvetevi di quello che volete fare, e assicuratemi, come v'ò scritto. A' dì trenta di luglio. Abbi a mente di dare e' danari che io ti mando di Michele.
Michelagniolo scultore in Roma.
(Dietro, di mano di Buonarroto.)
1513; da Roma, a dì XI d'agosto: de' dì 30 di luglio ricevuta.
(Di mano di Lodovico.)
De' 100 ducati dà a' sua frategli e a me, che non gli ebbi mai.
[111]
Archivio Buonarroti. Di Roma, (31 di marzo 1515).
A Buonarroto di Lodovico Simoni in Firenze.
Buonarroto. — In questa sarà una lettera di cambio di ducati novecento d'oro largi, e' quali m'ànno a pagare i Benintendi, cioè Lorenzo Benintendi, visto la presente: fa' d'averne la promessa in questo mezo, se io non fussi gunto costà: che credo partirmi domattina. A dì ultimo di marzo.
Michelagniolo scultore in Roma.
(Dietro, di mano di Buonarroto.)
Da Roma: a dì 5 d'aprile 1515 ricevuta.
[112]
Museo Britannico. Di Roma, 28 di aprile (1515).
A Buonarroto di Lodovico Simoni in Firenze.
Buonarroto. — Io son gunto adesso in Roma a salvamento, grazia di Dio. Prègoti che tu mi mandi quel perpigniano più presto che tu puoi e tô'lo di quello colore pieno che tu mi mostrasti un saggio, e fa' sopr'ogni cosa che sia bello: e tônne cinque braccia e fa' di mandarlo o pel fante o per altri, pur che e' venga presto: e intendi poi dallo Spedalingo se e' mi può far pagar qua quegli trecento novanta cinque ducati; e ritienti di questi quello che costerà il detto perpigniano; e prègoti lo mandi presto, e dirizalo a me o a Domenico Boninsegni in palazo in casa el cardinale de' Medici. Non ò da dire altro per adesso. A dì venti 8 d'aprile.
Michelagniolo in Roma.
[113]
Museo Britannico. Di Roma, (19 di maggio 1515).
A Buonarroto di Lodovico Simoni in Firenze.
Buonarroto. — I' ò ricevuto el perpigniano: è buono e bello. La lettera del cambio che tu mi mandasti, none sta bene, perchè la dice che e' Gadi mi pagino ducati di camera e io gli ò avere d'oro largi: però non gli ò voluti pigliare: e rimàndoti la lettera in questa. Fàttene fare un'altra che stia bene e rimàndamela. Non altro. Non ò tempo da scrivere.
Michelagniolo in Roma.
[114]
Museo Britannico. Di Roma, (2 di giugno 1515).
A Buonarroto di Lodovico Simoni in Firenze.
Buonarroto. — I' ò ricevuti e' danari da' Gadi, ciò è trecento novanta tre ducati largi. Tu mi scrivi che vorresti che io t'aiutassi qua di quella cosa che tu mi parlasti costà quando v'ero. A me non basta l'animo aiutarti di simil cosa, perchè non ci ò mezo; che se io l'avessi, m'aiuterei delle cose mia che importano molto più. Dello scrivere costà a Filipo,[111] io non ci ò tal familiarità, che io lo facessi, e ancora so che lui non farebbe conto di mia lettere: pure se tu vuoi che io gli scriva, scrivimi una lettera tutta intera come tu la vòi, e io la farò come quella apunto.
In questa sarà una che va a Carrara: prègoti che tu vega di mandarla segretamente che e' non lo sappi nè Michele,[112] nè nessuno dell'Opera, nè altri. Vedi se Luigi Gerardini avessi modo da mandarla bene: e racomandami a lui e digli che io lo ristorerò. Non altro.
Michelagniolo scultore in Roma.
[115]
Museo Britannico. Di Roma, 16 di giugno 1515.
A Buonarroto di Lodovico Simoni in Firenze.
Buonarroto. — Io ò scritto la lettera a Filipo Strozi: guarda se ti piace e dàgniene: quando non stéssi bene, so che m'àrà scusato, perchè non è mia professione: basta che e' ti serva. Io vorrei che tu trovassi lo spedalingo di Santa Maria Nuova e che tu mi facessi pagar qua mille quatro cento ducati di quegli che gli à di mio, perchè qua mi bisognia fare sforzo grande questa state di finire presto questo lavoro,[113] perchè stimo poi avere a essere a' servizi del Papa.[114] E per questo ò comperato forse venti migliaia di rame per gittar certe figure. Bisogniami danari: però visto la presente, fa' con lo Spedalingo che e' me gli facci pagare; e se tu potessi fare con Pier Francesco Borgerini, che è costà, che lui me gli facessi pagare qua da' sua, l'àrei molto caro, perchè Pier Francesco è mio amico e mi servirebe bene: e non far rumore, perchè vorrei mi fussino pagati qua segretamente: e di quello che resta a Santa Maria Nuova, pigliane buona cautela dallo Spedalingo, per buon rispetto. Io aspetto e' danari. Non altro.
A dì 16 di gugnio 1515.
Michelagniolo in Roma.
[116]
Museo Britannico. Di Roma, (30 di giugno 1515).
A Buonarroto di Lodovico Simoni in Firenze.
Buonarroto. — Passando io a questi dì dal banco de' Borgerini, mi disse el cassiere avermi a pagare cierti danari e ch'erono a mia posta. Non gli ò voluti pigliare, se prima non ò lettere da te della quantità. Scrissi la lettera che tu mi domandasti. So che non stava bene, perchè non è mia professione e non ò 'l capo a simil cose. Altro non m'acade. Con questa sarà una lettera che va a Michele. Prègoti che la dia a lui propio.
Michelagniolo in Roma.
[117]
Museo Britannico. Di Roma, (7 di luglio 1515).
A Buonarroto di Lodovico Simoni in Firenze.
Buonarroto. — I' ò ricievuto e' danari da' Borgerini e ànnomi servito bene. Ora io vorrei che tu pigliassi e' libro e le carte del resto de' danari ch'egli à[115] e che tu me lo mandassi per tenerlo apresso di me, benchè io gli vo' cavar di mano presto ciò che gli à di mio, per buon rispetto: e basta.
Intesi per la tua ultima, come la lettera che io ti mandai[116] stava bene e come la potrebbe giovare ne' casi dell'albitrio. Dio il voglia! Manda'ti pel passato in una tua, una di Michele: vorrei mi facessi rispondere, acciò che io possa pigliare altro partito. Benchè e' non sia da fondar cosa nessuna sopra Michele, pure questa cosa che io gli domando, credo che la sappi, ciò è se io son per avere marmi questa state da Pietra Santa; perchè qua m'à detto Domenico Boninsegni che intende che la strada[117] è presso è fatta: però di' a Michele che mi risponda. Non altro. Badate a' fatti vostri e massimo dell'anima, perchè oggi par che bisognia.
Michelagniolo scultore in Roma.
[118]
Museo Britannico. Di Roma, (28 di luglio 1515).
A Buonarroto di Lodovico Simoni in Firenze.
Buonarroto. — Io t'avisai pel passato come avevo ricievuto e' danari da' Borgerini: ancora ti scrissi com'io volevo presto levare el resto: però se ti pare da dare un toco allo Spedalingo, come infra quindici me ne bisognia un'altra parte, mi farai piacere. Intesi come la lettera che io ti scrissi per Filipo,[118] à giovato allo sgravo: n'ò avuto piacere. Quando sarà di qua lo ringrazierò. Non altro. Non ò tempo da scrivere.
Michelagniolo in Roma.
[119]
Museo Britannico. Di Roma, (1 d'agosto 1515).
A Buonarroto di Lodovico Simoni in Firenze.
Buonarroto. — Io ò visto per la tua ultima come stanno e' danari, e' libro e le carte: òll'avuto caro, benchè ò fantasia di levarnegli presto, come t'ò scritto: e quando sarà tempo t'aviserò. In questa sarà una che va a Michele: fa' di dargniene. Io non gli scrivo, perchè io non sappi che gli è pazo, ma perchè io ò di bisognio d'una certa quantità di marmi e non so come mi fare. A Carrara non voglio andare io, perchè non posso, e non posso mandar nessuno che sia el bisognio, perchè si e' non son pazi, e' son traditori e tristi; come quel ribaldo di Bernardino[119] che mi peggiorò cento ducati in quel che gli stette qua, sanza l'essere ito cicalando e dolendosi di me per tutto Roma: che l'ho saputo, poi che io son qua. Egli è un gran ribaldo: guardatevi da lui come dal fuoco, e fate che non entri in casa per conto nessuno. Sono uscito di proposito. Non m'acade altro. Darai la lettera a Michele.
Michelagniolo in Roma.
[120]
Museo Britannico. Di Roma, 4 d'agosto (1515).
A Buonarroto di Lodovico di Lionardo Simoni in Firenze.
Buonarroto. — Perchè i' ò inteso qua certe cose dello Spedalingo che non mi piacciono, tu che se' costà più apresso debbi veder overo intender meglio la cosa, che non fo io; però quando ti paressi che e' mia danari corressin pericolo nessuno, fa'megli pagar qua. Va a Pier Francesco Borgerini e lui me gli farà pagar qua: e se ti par da farlo, fa' presto, subito visto la presente, e non aver rispetto nessuno: se non, rispondimi quello che ti pare. Àrei caro ancora che tu intendessi un poco, se quella strada de' marmi[120] si fa da Michele o da altri e che tu m'avisassi. Prègoti mi risponda presto, perchè sto in gielosia, e avisami come sta Lodovico, perchè è assai non m'à scritto.
A dì quatro d'agosto.
Michelagniolo in Roma.
[121]
Archivio Buonarroti. Di Roma, 11 d'agosto (1515).
A Buonarroto di Lodovico Simoni in Firenze.
Buonarroto. — Per l'ultima tua intendo come lo Spedalingo ti disse che non avea finiti di riscuotere ancora e' mie' danari: questo mi pare un mal segnio: dubito non avere a combatter seco. Io poi che tornai di costà non ò mai lavorato: solo ò atteso a far modegli e a mettere a ordine e' lavoro, i' modo che io possa fare uno sforzo grande e finirlo in dua o tre anni per forza d'uomini: e così ò promesso:[121] e sono entrato in grande ispese, solo sopra 'l fondamento di cotesti danari che io ò costà; stimando avergli a mia posta, come vòle la ragione e come si fa de' dipositi: e che adesso e' mi mancassino, io stare' fresco! Però subito, visto la presente, anderai a trovar lo Spedalingo e di' che e' mi bisogniono adesso a ogni modo, e che io crederrei, quando non gli avessi di mio, che e' me gli prestassi e che e' me ne servissi del suo, avendo tenuti tanti danari tanto tempo sanza interesso nessuno; e quando gli voglia contare, fa'megli pagare qua da Pier Francesco Borgerini; e [122] quando lui me gli voglia far pagar qua lui, faccimegli pagare: con questo, che io gli abbi súbito. Rispondimi quello segue, e io t'aviserò quello àrai a fare: e fa intendere allo Spedalingo, che io ò ordinato inanzi che passi quattro mesi, fargli dipositare nelle sua mane sei mila ducati d'oro. Non altro. De' marmi che mi scrivi, non è cosa da te: io farò ben tanto o in un modo o in un altro, che io sarò servito. Intendo come costà non si fa niente. Statevi in pace temporegiando me' che potete, e non vi impacciate se non de' casi vostri. Rispondimi presto.
A dì undici d'agosto.
Michelagniolo in Roma.
In questa sarà una che va a Carrara al Zara:[122] non sarà suggellata; prègoti ne scriva qualcuna a quel modo, e che me ne mandi tante, che n'abi qualcuna: e poi sugiella la mia, e anche quella gli manda per miglior via che tu pòi.
(Dietro, di mano di Buonarroto.)
1515. Di Roma, a dì 16 d'agosto: de' dì 11 ricevuta.
[123]
Museo Britannico. Di Roma, (18 d'agosto 1515).
A Buonarroto di Lodovico Simoni in Firenze.
Buonarroto. — Io non ò tempo da scriverti a lungo; solo questi dua versi per dirti com'io aspetto e' danari, come ti scrissi per l'ultima mia. De' campi che tu mi di' che Lodovico ti fa scrivere, digli che io gli tôrrò, ma lasciàno passare prima dua mesi. Non altro. Attendete a far bene, perchè bisognia.
Michelagniolo scultore in Roma.
[124]
Museo Britannico. Di Roma, (25 d'agosto 1515).
A Buonarroto di Lodovico Simoni in Firenze.
Buonarroto. — Io ebi dua lettere di cambio: e' Borgerini l'ànno accettate e ànnomi fatto fede come gli ànno in diposito di mio e' detti danari, e stanno a mia posta. Di quest'altra settimana me gli farò dare. Tu mi scrivi che Pier Francesco mi manderà el resto: io ti dico che se Pier Francesco non à modo di farmegli pagare qua adesso sanza suo danno, che tu gli rimetta súbito in Santa Maria Nuova e piglia e' libro e le carte e màndamelo. Prègoti che questa faccenda tu la facci presto: e avisami de' casi tua e della bottega. Abbi pazienza e ingiegniati con ogni diligienza mantenere quel capitale che voi avete. Non altro. Sabato non scrissi, perchè 'l fante si spacciò venerdì, che io nol seppi.
Michelagniolo scultore in Roma.
[125]
Archivio Buonarroti. Di Roma, (1 di settembre 1515).
A Buonarroto di Lodovico Simoni in Firenze.
Buonarroto. — Io ebbi le lettere e porta'le a' Borgerini e lascia'vi e' danari in diposito. Ogi, o lunedì, anderò per essi. Un'altra volta non levare da Santa Maria Nova e' danari, se tu non sai prima di potermegli far pagar qua; e none levare se non quant'e' tu me ne fai pagare; però el resto, se tu non me gli ài mandati, rimettigli súbito in Santa Maria Nova, e fa d'avere e' libro e le carte e màndamelo, e fa' presto quant'e' puoi, e non lasciare e' mia danari in man d'altri; chè io non conosco uomo che viva. Tu ti duoli meco de' casi della bottega: abbi pazienzia: per tutto è delle passione più che tu non credi e non sai. Questi tempi io gli ò aspettati già più anni sono, e òvene sempre avisati, che e' non era tempo da entrare in simil cosa. Pure ingegniati mantenere el capitale e attendete all'anima, perchè le cose potrebbono ire più là che tu non credi. Rispondi al padre di Betto[123] da Rovezzano, che io non ò marmi da lavorare; che io l'àrei accettato volentieri: e non gli dare altra speranza. Con questa sarà una che va a messere Antonio, cancelliere del marchese di Carrara. Fanne buon servigio e avisa.
Michelagniolo in Roma.
(Dietro, di mano di Buonarroto.)
1515. Di Roma, a dì 5 di settembre: de' dì primo di detto ricevuta.
[126]
Archivio Buonarroti. Di Roma, (8 di settembre 1515).
A Buonarroto di Lodovico Simoni in Firenze.
Buonarroto. — Intendo per l'ultima tua come il resto dei danari sono in Santa Maria Nova. Io ti scrissi che tu ve gli rimettessi, credendo, secondo che tu m'avevi scritto, che tu gli avessi dati a Pier Francesco che me gli mandassi per un mulattiere; e perchè e' non mi piaceva, ti scrissi gli rimettessi dove s'erano. Ora tu mi di' non gli avere levati: la cosa sta adunche bene: non bisognia più parlarne. Quando n'àrò di bisognio, t'aviserò. Tu mi scrivi in un modo, che par che tu creda che io abi più cura delle cose del mondo, ch'e' non si conviene: eh io n'ò più cura per voi che per me medesimo, com'io ò sempre fatto. Io non vo drieto a favole, e non son però pazzo afatto, come voi credete; e credo che voi gusterete meglio le lettere che io v'ò scritto da quattro anni in qua, di qui a qualche tempo, che voi non fate adesso, se non mi inganno; e s'io m'inganno, i' non mi inganno in cose cattive, perchè io so che d'ogni tempo è buono aver cura di sè e delle sua cose. Io mi ricordo che tu volevi pigliar certo partito circa diciotto mesi fà, o più o meno non lo so; io ti scrissi che e' non era ancora tempo; che tu lasciassi passare un anno per buon rispetto. In questo tempo, pochi dì poi morì el re di Francia: tu mi rispondesti overo scrivesti dipoi, che el re era morto e che in Italia non era più pericolo di cosa nessuna, e che io andavo drieto a frati e a favole, e facestiti befe di me. Vedi che 'l re non è però morto:[124] e sare' molto meglio per noi che voi vi fussi governati a mio modo già parechi anni sono: e basta. Io ò avuta con la tua una lettera che viene da Carrara dal Zara[125] e mostra aver desiderio di servirmi: io non gli scrivo niente, perchè io ò [127] scritto a messer Antonio da Massa, cancelliere del marchese di Carrara, per l'ultima che io ti mandai. Credo gliene àrai mandata: e non vo' dare altra comessione a altri, se prima non ò risposta da lui. Non altro.
Michelagniolo scultore in Roma.
(Dietro, di mano di Buonarroto.)
1515. Di Roma, a dì 12 di setembre: de' dì 8 detto ricevuta.
[128]
Museo Britannico. Di Roma, 22 di settembre 1515.
A Buonarroto di Lodovico Simoni in Firenze.
Buonarroto. — Io t'ò scritto più volte el parer mio e così sono per far sempre, perchè fo per bene vostro ciò che io fo, e benchè tu abi un altro opinione, questo non importa niente: vero è che e' non è da farsi befe di nessuno, e lo star con timore in questi tempi e provedersi per l'anima e pel corpo non può nuocere niente.
Io àrei caro che tu mi facessi pagar qua de' danari, quando tu intendessi che e' fussi tempo che e' non se ne perdessi niente. Non altro. Attendete a stare in pace e quel che non si può fare, non si facci: s'e' tempi sono cattivi, bisognia avere pazienza; e pensate che ciò che io fo, fo per voi, come per me.
A dì 22 di settembre 1515.
Michelagniolo in Roma.
[129]
Museo Britannico. Di Roma, (20 d'ottobre 1515).
A Buonarroto di Lodovico Simoni in Firenze.
Buonarroto. — Io t'ò scritto che tu mi facci pagar qua que' danari, e così ti scrivo di nuovo, quando e' torni bene a chi tu me gli fai pagare; perchè come t'ò scritto, non voglio obrigi, o manco che io posso. E' primi danari che tu mi facesti pagar qua, ne guadagniò dua per cento chi me gli pagò; e' secondi, ne perdè: chè non fu mia intenzione, perchè non m'intendo di queste cose. Stimavo che e' si facessi quel medesimo. Ora di questi fa come tu voi, purchè e' mi sieno pagati quando ti vien bene. Sappi che io non voglio dar carico nè noia nessuna a Pier Francesco Borgerini, perchè io gli voglio essere manco obrigato che io posso, perchè io gli ò a fare una certa cosa di pittura,[126] e parrebe che io ricercassi el pagamento inanzi: però non voglio obrigo seco, perchè io gli voglio bene e non voglio niente da lui e vo'lo servire per amore e non per obrigo: e servirollo, se io potrò, più volentieri che uomo che io servissi mai, perchè gli è veramente giovane da bene: e s'io non m'inganno, di Fiorentini qua non à pari. Intendo come di costà presto farete festa dell'acordo.[127] L'ò molto caro, perchè el nostro bene mi piace assai; pur non di manco attendi alle cose tua e non ti impaciar di niente, e quel che per altre lettere t'ò scritto, non te ne far befe. Non altro.
Con questa sarà una: prego la mandi bene a Carrara.
Michelagniolo in Roma.
[130]
Museo Britannico. Di Roma, (3 di novembre 1515).
A Buonarroto di Lodovico Simoni in Firenze.
Buonarroto. — I' ò avuto la letera del cambio del resto de' danari. Non son ito ancora al banco de' Borgerini: v'anderò di quest'altra settimana. Credo mi serviranno bene, com'ànno fatto altre volte. Tu mi scrivi, che lo Spedalingo s'è doluto di me, che io abbia levati tanti danari in sì poco tempo: parmi che e' sia un gran matto a dolersi di simil cosa, facendom'io rendere el mio che gli à goduto tanto, e più ancora avendomi oferto cinque cento ducati del suo, quando bisogniassi. Ma io non mi maraviglio, perchè io so chi egli è.[128] Tu mi richiedi di danari, e di' che ora le cose sono aconcie e che e' si comincia a riscuotere e a lavorare. Io mi rido del fatto tuo, e maràvigliomi di certe cose che tu mi scrivi. Ora io non sono per replicare altro: de' danari io non posso, perchè a me bisognia lavorare du' anni inanzi che io sia del pari con costoro; tanti danari ò avuti. Sì che andate temporegiando e non vi manca da vivere: e atendi a riscuotere el più che tu puoi, e non entrare in più faccende per tutto questo verno, e non dar niente a credenza. Queste cose io te l'ò a scrivere, perchè io sono obrigato, intendendola a questo modo: so ben che tu te ne fai befe. Non altro.
Michelagniolo scultore in Roma.
[131]
Museo Britannico. Di Roma, (6 di novembre 1515).
A Buonarroto di Lodovico Simoni in Firenze.
Buonarroto. — Tu mi scrivi che ài parlato allo Spedalingo, e che come e' torna dice che farà 'l bisognio. Tu mi di' che anderai a trovare el garzone di Pier Francesco e che me gli farai pagar qua. Io ti scrissi che quando tu trovavi da potermegli far pagare, che tu lo facessi. Pier Francesco dice che ne perde: io non gli voglio far danno, nè che patisca per mio amore, perch'io non voglio esser obrigato a nessuno: però non gli sendo comodo, nè a lui nè a altri, làsciagli più presto stare dove e' sono. Non m'acade altro. El Papa s'è partito da Roma e qui si dice che viene costà.[129]
Michelagniolo scultore in Roma.
[132]
Museo Britannico. Di Carrara, 23 di novembre 1516.
A Buonarroto di Lodovico Simoni in Firenze.
Buonarroto. — Io ò inteso per le tua ultime[130] come Lodovico è stato per morire, e come ultimamente el medico dice, non acadendo altro, che gli è fuora di pericolo: poichè così è, io non mi metterò a venire costà, perchè m'è sconcio assai: pure quando ci fussi pericolo, io lo vorrei vedere a ogni modo inanzi che e' morissi, se io dovessi morire seco insieme. ma io ò buona speranza che gli starà bene, e però non vengo: e quando pure avenisse che egli ricascassi; che Dio lui e noi ne guardi; fa che e' non gli manchi niente delle cose dell'anima e de' sacramenti della Chiesa, e fatti lasciare da lui se e' vuole che noi facciamo cosa nessuna per l'anima sua; e delle cose necessarie al corpo, fate che e' non gli manchi niente: perchè io non mi sono afaticato mai se non per lui, per aiutarlo ne' sua bisogni inanzi che lui muoia, e così fa che la donna tua attenda con amore quando bisogni al suo governo, perchè la ristorerò e tutti voi altri quando bisogniassi. Non abbiate rispetto nessuno se vi dovessi mettere ciò che noi abbiàno. Non m'acade altro. State in pace, e avisami, perchè sto con passione e timore assai.
Una lettera che sarà in questa, dàlla a Stefano sellaio che la mandi a Roma ne' Borgerini. Fanne far buon servizio, perchè son cose che importano.
A dì venti tre di novembre 1516.
[133]
Archivio Buonarroti. Di Carrara, 13 di marzo 1517.
A Buonarroto di Lodovico Simoni in Firenze.
Buonarroto. — Io non ò prima risposto a una tua per non aver da mandar le lettere .... o che ò dell'altre faccende che mi danno più noia. Dell'uficio .... che tu mi di' avere avuto, fanne come ti pare a te, che io non me ne intendo: che ò tempo da pensare a simile cose! Tu mi avisi che ài venduto el mio cavallo e che ai pagato per Luigi Gerardini e' danari: ài fatto bene: serbami el resto. Io ti aviso che non credo venire costà per parechi mesi, perchè ò auto commessione dal Papa fare la facciata di San Lorenzo, come àrai inteso. Non bisognia che io venga a veder più che Baccio d'Agnolo solleciti il modello, perchè n'ò fatto qua uno io a mio modo .... e non ò più bisognio di lui. Però come è detto .... avessi modo di mandare qua pel vostro mulo, avisami per chi l'ò mandare: e non lo posso tenere perchè non ò comodità nè di biada nè di paglia nè di fieno. Parmi .... voi, manda súbito per esso, e io darò a colui .... mi scriverrai. Se non mandi, lo rimanderò .... vorrei avere a mandare costà per non .... Non acade altro. Siate sani. Cristo vi guardi ....
A dì tredici di marzo 1516.
Michelagniolo in Carrara.
[134]
Museo Britannico. Di Pietrasanta, 2 d'aprile (1518).
A Buonarroto di Lodovico Simoni in Firenze.
Buonarroto. — Io vorrei che tu mi avisassi se Iacopo Salviati à fatto fare el partito a' Consoli dell'Arte della lana secondo la minuta, come mi promesse, e se non l'à fatto fare, prègalo per mia parte che lo facci; e quando tu vedessi che e' non fussi per farlo, avisami, acciò che io mi ritraga di qua, perchè mi son messo in una cosa da impoverire e anche non mi riesce come stimavo: pur nondimanco, quando mi sia osservato quello ch'è detto, sono per sequitare la impresa con grandissima spesa e noia, senza certezza nessuna per ancora.
Circa a' casi della strada[132] qua, di' a Iacopo, che io farò tanto quanto piace alla sua Magnificenzia, e che quello mi commetterà, non se ne troverrà mai ingannato, perchè io non cerco l'utile mio in simile cose, ma l'utile e l'onore de' padroni e della patria: e se io ò chiesto al Papa o al Cardinale che mi dieno alturità sopra questa strada, l'ò fatto solo per potere comandare e farla dirizare in que' luoghi dove sono e' marmi migliori; che non gli conoscie ognuno: e non l'ò chiesta per farla fare per guadagniare, che io non penso a simile cosa; anzi prego la magnificenzia di Iacopo che la facci fare a maestro Donato,[133] perchè vale assai in questa cosa, e ò che e' sia fedele; e che a me dia alturità di farla adirizare e aconciare come mi pare, perchè conosco dove sono e' marmi migliori e so che strada bisognia a carregiare e credo megliorarci assai per chi spenderà. Però fa' intendere quello ti scrivo a detto Iacopo e racomandami a sua Magnificenzia, e prega quella mi racomandi a Pisa a' sua uomini che mi faccino favore a trovare barche per levare e' mia marmi da Carrara. Sono stato a Gienova e ò condotto quattro barche alla spiaggia per [135] caricargli. E' Carraresi ànno corotti e' padroni di dette barche e ànno pensato d'assediarmi, i' modo che io non ò fatto conclusione nessuna, e credo oggi andare a Pisa per provedere dell'altre. Però racomandami, com'è detto, e scrivimi. A dì dua d'aprile.
Michelagniolo in Pietra Santa.
Fate di Piero,[134] che sta meco, come faresti di me; e se gli bisognia danari, dategli, e io vi sodisfarò.
[136]
Museo Britannico. Di Pisa, 7 d'aprile (1518).
A Buonarroto di Lodovico Simoni in Firenze.
Buonarroto. — Io ero assediato, come ti scrissi, di condurre e' mia marmi; e gunto a Pisa, col favore di Iacopo Salviati gli ò allogati qua da un padrone di barca per gusto prezo e sarò servito: e tutto à fatto Francesco Peri per amore di Iacopo, come è detto. Però ti prego mi racomandi alla sua Magnificienza e ringrazi quella, perchè riconosco da quella grandissimo servizio e tutti noi gli dobiamo essere obrigati insino della vita. Io ò una sua lettera e non rispondo a quella per non essere sofiziente, ma infra quindici dì sarò costà e a boca spero risponder meglio che in iscritto non saperei fare. La strada e ogni cosa spero anderà bene. Fallo intendere e ringrazia e racomandami, come è detto. Io mi parto adesso e vo a Pietra Santa, e Francesco Peri mi dà cento ducati che io gli porti al Comessario[135] di Pietra Santa per la strada.
A dì sette d'aprile.
Michelagniolo in Pisa.
[137]
Museo Britannico. Di Pietrasanta, (18 d'aprile 1518).
A Buonarroto di Lodovico Simoni in Firenze.
Buonarroto. — Intendo per la tua el partito[136] non è fatto ancora: io n'ò passione assai: però io mando costì un mio garzone a posta, solo per questo, che stia a vedere tutto giovedì se 'l partito si fa, e venerdì mattina si parta e vengami a rispondere: e se 'l partito sarà fatto com'io l'ò chiesto, seguiterò la impresa; quando non sia fatto per tutto giovedì, come tu mi scrivi, non stimerò però che Iacopo Salviati non abbi volontà di farlo, ma che e' non possa; e monterò súbito a cavallo e anderò a trovare el cardinale de' Medici e el Papa, e dirò loro el fatto mio, e qui lascierò la impresa e ritorneromi a Carrara; chè ne sono pregato come si prega Cristo. Questi scarpellini che io menai di costà non si intendono niente al mondo nè delle cave nè de' marmi. Còstonmi già più di cento trenta ducati e non m'ànno ancora cavata un scaglia di marmo che buona sia, e vanno ciurmando per tutto che ànno trovato gran cose e cercono di lavorare per l'Opera[137] e per altri co' danari che gli ànno ricevuti da me. Non so che favore s'abino: ma ogni cosa saperà el Papa. Io poi che mi fermai qui ò buttato via circa trecento ducati, e non vego ancor nulla che sia per me. Io ò tolto a risucitar morti a voler domesticar questi monti e a mettere l'arte in questo paese; che quando l'Arte della lana mi déssi, oltre a' marmi, cento ducati el mese, che io facessi quello che io fo, non farebbe male, non che non mi fare el partito. Però racomandami a Iacopo [138] Salviati e scrivi pel mio garzone come la cosa e' va, acciò che io pigli partito súbito, perchè mi consumo a star qui sospeso.
Michelagniolo in Pietra Santa.
Le barche che io noleggiai a Pisa non sono mai arrivate. Credo essere stato ucciellato: e così mi vanno tutte le cose. Oh maledetto mille volte el dì e l'ora che io mi parti' da Carrara! Quest'è cagione della mia rovina: ma io vi ritornerò presto. Oggi è peccato a far bene. Racomandami a Giovanni da Ricasoli.
[139]
Museo Britannico. Di Seravezza, (12 d'agosto 1518).
A Buonarroto di Lodovico Simoni in Firenze.
Buonarroto. — Se io non fussi costà a tempo di pagare la gabella del terreno che io comperai,[138] vedi d'acordarla in qualche modo che io non caschi in contumacia, per tanto che io torni; che sarà infra un mese. Le cose mia di qua stimo anderanno bene, ma con grandissima noia. Io mando costà Michele[139] acattare certe cose dall'Opera:[140] se gli bisogniassi un mulo per portarle qua, aiutagniene trovare, che e' si spenda el manco che e' si può.
Michelagniolo in Seraveza.
[140]
Museo Britannico. Di Seravezza, ( d'agosto 1518).
A Buonarroto di Lodovico Simoni in Firenze.
Buonarroto. — Degli scarpellini che vennon qua, solo c'è restato Meo e Ciecone;[141] gli altri se ne sono venuti: ebbono qua da me quatro ducati e promessi loro danari continuamente da vivere, acciò che e' potessino sodisfarmi. Ànno lavorato pochi dì e con dispetto, i' modo che quel tristerello di Rubechio[142] m'à presso che guasto una colonna che ò cavata. Ma più mi duole che vengono costà e danno cattiva fama a me e alle cave de' marmi per iscaricare loro, in modo che volendo poi degli uomini, none posso avere. Vorrei almeno, poichè e' m'ànno gabato, che e' si stessino cheti. Però io t'aviso, acciò che tu gli facci star cheti con qualche paura o di Iacopo Salviati, o come pare a te, perchè questi giottoncegli fanno gran danno a quest'opera e anche a me.
Michelagniolo in Seraveza.
[141]
Museo Britannico. Di Seravezza, (2 di settembre 1518).
A Buonarroto di Lodovico Simoni in Firenze.
Buonarroto. — Io ebi per una tua come Donato Caponi t'avea messo per le mani una certa possessione, e ancora come el Capitolo[143] voleva vendere quel resto delle terre. Io non ti posso rispondere nè all'una cosa nè all'altra, perchè non sono resoluto. Parleremo poi costà insieme.
Gli scarpellini che vennono qua, non iscontorono niente: lavororono solamente per que' pochi danari che io dètti loro: poi s'andorono con Dio. Vero è che Meo e Ciecone sarebono stati e àrebon fatto ciò che avessino potuto, ma non potevano così soli far niente; i' modo che io dètti loro licenzia.
Sandro[144] s'è partito ancora lui di qua. È stato qua parechi mesi con un mulo e con un muletto in sulle pompe, atteso a pescare e a vaghegiare. Àmmi buttato via cento ducati: à lasciato qua una certa quantità di marmi con testimoni che io pigli quegli che fanno per me. Io non ve ne trovo tanti per me che vaglino venti cinque ducati, perchè sono una ribalderìa. O per malizia o per ignioranzia e' m'à trattato molto male. Com'io sono costà voglio essere sodisfatto a' ogni modo. Non altro. Credo ancora starò un mese di qua.
Michelagniolo in Seraveza.
Una lettera che sarà in questa, prègoti la sugielli e fagli una coverta colla sopra scritta che dica: A maestro Piero Rosselli[145] architettore in Roma; e dirizala al Banco de' Borgerini in Roma.
[142]
Museo Britannico. Di Seravezza, (16 di settembre 1518).
A Buonarroto di Lodovico Simoni in Firenze.
Buonarroto. — Intendo per la tua come ài per le mani un podere di là da Fiesole poco, che è cosa buona, e ancora Pier Francesco Borgerini t'à parlato della casa.
Io ti dico della casa di Pier Francesco che io son per tôrla per gusto prezzo, quando l'aria non sia cattiva.
Del podere ancora sono per tôrlo, se ti pare cosa buona; però se puoi tenere le cose sospese, fa'llo tanto che io sia costà; che stimo tornare infra quindici o venti dì.
Di Ciecone tu mi di' che s'io voglio che e' venga adesso che gli è guarito, che e' verrà volentieri. Rispondigli, che adesso comincia qua el verno, che non ci fa se non piovere e non si può stare nelle montagne a lavorare: però non mi pare che e' sia da venire ora, chè butteremo el tempo e' danari.
Io scrivo a Berto[146] quello m'ocorre. Racomandami a lui.
Avisami quando mi scrivi come sta Gismondo, e di' a Pietro[147] che attenda a imparare e che io sarò costà presto.
Michelagniolo in Seraveza.
[143]
Museo Britannico. Di Settignano?, (1518?).
A Buonarroto in Firenze.
Buonarroto. — Io àrei caro che tu intendessi quante staiora sono quelle terre da Santa Caterina e quello che le montano. Le non sono le terre che noi andiamo a vedere; le son quelle di sopra. Io l'ò segniate a Pietro e lui ti mostrerà quali son desse: e questo ti priego facci presto, perchè mi bisognía rispondere a Giovanni da Ricasoli che le tien sospese per mio conto.
Della casa di Pier Francesco, se io fussi certo averla, io l'aspetterei qualche mese; ma bisognierebe farne ora el contratto, e io darei adesso e' danari in diposito: quanto che no, non è da parlarne più. Rispondimi più presto che puoi.
Michelagniolo.
[144]
Archivio Buonarroti. Di Firenze, 22 d'agosto 1527.
A Buonarroto a Settignano.
Buonarroto. — I' ò avuto oggi uno uficio: scrivano strasordinario de' Cinque del Contado.[148] Dice che e' dura un anno, e che e' s'à quatro ducati el mese, e che e' si può fare fare a chi l'uomo vuole. Io non so, e non posso attendervi: bisogniami o rifiutarlo o darlo, overo farlo fare a altri. Guarda se fa per te.... che a questi tempi io non ti consiglio che tu venga a Firenze: pure te l'ò voluto fare intendere, inanzi che io lo rifiuti; chè ò quattordici dì di tempo. Rispondi.
A dì 22 d'agosto 1527.
Michelagniolo in Firenze.
[145]
Museo Britannico. Di Firenze, ( di luglio 1527).
A Buonarroto a Settignano.
Buonarroto. — Io sono andato a trovare messere Antonio Vespucci:[150] àmmi detto che io non posso secondo le leggie fare fare l'uficio che io ò avuto a un altro, e che sebene e' si fa fare a altri, che e' si fa per consuetudine e non per leggie: che se io mi voglio arristiare accettarlo per farlo fare a altri, che io m'arristi, ma che io potrei essere tanburato[151] e averne noia. Però a me parrebbe di rifiutarlo, non tanto per questo, quant'e' per conto della peste che mi pare che la vadi tutta via di male in peggio, e non vorrei che a stanza di quaranta ducati tu mettessi a pericolo la vita tua. Io t'aiuterò di quello che io potrò. Rispondimi presto quello che ti pare che io facci, perchè domani bisognia che io sia resoluto, acciò possino rifare un altro, se rifiuto.
Michelagniolo in Firenze.
Non toccare le lettere che io ti mando con mano.
FINE DELLE LETTERE A BUONARROTO.
DAL 1507 AL 1546.
Archivio Buonarroti. Di Bologna, 20 d'aprile (1507).
A Giovan Simone di Lodovico di Buonarrota Simoni in Firenze.
Giovan Simone. — Io non ò fatto risposta a una tua, ricievuta già più giorni sono, per non avere avuto tempo. Ora t'aviso per questa, come la cosa mia[152] di qua va bene infino a ora, e così spero àrà buon fine; che a Dio piaccia: e quando così sia, ciò è che io esca a bene di questa cosa, io verrò súbito, overo tornerò di costà, e farò tanto, quanto ò promesso di fare a tutti voi, ciò è d'aiutarvi con quello che io ò, in quel modo che voi vorrete e che vorrà nostro padre. Però sta' di buona voglia e attendi a bottega, come o quanto puoi, perchè spero presto farete bottega da voi e del vostro: e se intenderete dell'arte e saperrete fare, vi gioverà assai. Però attendi con amore.
Tu mi scrivi d'un certo medico tuo amico, il quale t'à ditto che la morìa è un cattivo male e che e' se ne muore. Ò caro averlo inteso, perchè qua n'è assai, e non si sono acorti ancora questi bologniesi che e' se ne muoia. Però sarebe buono e' venissi di qua, che forse lo darebe loro ad intendere colla sperienza: la qual cosa a loro gioverebbe assai. Non ò da dirti altro. Io sono sano e sto bene, e spero presto essere di costà. A dì venti d'aprile.
Non avevo più carta.
Michelagniolo in Bolognia.
[148]
Archivio Buonarroti. Di Bologna, 28 d'aprile (1507).
A Giovan Simone di Lodovico di Buonarrota Simoni in Firenze. Data in bottega di Lorenzo Strozi, Arte di lana, in Porta Rossa.
Giovan Simone. — Io risposi a una tua lettera già più giorni sono. Credo l'abi avuta e inteso l'animo mio: e se non l'avessi avuta, per questa intenderai quel medesimo che per quella ti scrivevo.
Io credo che Buonarroto t'abbi raguagliato qual sia l'animo mio, e così è certo; e súbito che io sarò costà, sé a Dio piace, io sono per farvi fare o da voi o a compagnia, come vorrete voi, in quel modo che più sicuro ci parrà. Però sta di buona voglia e credi afermativo quello che io ti dico. Non ò tempo da scrivere; però scriverrò più pienamente un'altra volta. Io sto bene, e ò finita la mia figura di cera: di questa settimana che viene comincerò a fare la forma di sopra, e credo che in venti o venticinque dì la sarà fatta: dipoi darò ordine da gittarla, e se vien bene, in fra poco tempo sarò costà.
A dì ventiotto d'aprile.
Michelagniolo in Bolognia.
[149]
Archivio Buonarroti. Di Bologna, 2 di maggio (1507).
A Giovan Simone di Lodovico di Buonarrota Simoni in Firenze. Data nella bottega di Lorenzo Strozzi, Arte di lana, in Porta Rossa. Firenze.
Giovan Simone. — Io ebbi più giorni fa una tua lettera, della quale ebi piacere assai. Dipoi t'ò scritto dua lettere: e per la buona fortuna che io soglio avere nell'altre, similmente la credo avere avuta ancora in queste, ciò è che tu non l'abbi avute.
Io t'aviso come e' non passeranno dua mesi che io sarò costà: che a Dio piaccia; e quello che io v'ò promesso a Buonarroto e a te, quello son disposto di fare. Io non ti scrivo particularmente l'animo mio, nè quanto è il mio desiderio d'aiutarvi; perchè non voglio che altri sappi e' fatti nostri: ma sta' di buona voglia, perchè gli è aparechiata per te maggiore, overo miglior cosa che tu non pensi. Non ò da dirti altro intorno a questo. Sappi come qua s'afoga nelle coraze, e è già con oggi quatro giorni, che la terra è istata tutta in arme e in gran romore e pericolo, e massimo per la parte della Chiesa; e questo è stato per conto de' fuoriusciti,[153] cioè de' Bentivogli, e' quali ànno fatto pruova di rientrare con gran moltitudine di giente; ma l'animo grande e la prudenzia della signoria del Legato, col suo gran provedimento che à fatto, credo che a questa ora abbi liberata da loro un'altra volta la Terra; perchè a ventitrè ore stasera c'è nuove del campo loro, che e' si tornavono adietro con poco loro onore. Non altro. Priega Idio per me, e vivi lieto, perchè tosto sarò di costà.
A dì dua di maggio.
Michelagniolo in Bolognia.
[150]
Archivio Buonarroti. Di Roma, ( di luglio 1508).[154]
A Giovan Simone di Lodovico Buonarroti in Firenze.
Giovan Simone. — E' si dice che chi fa bene al buono, el fa diventare migliore, e al tristo, diventa peggiore. Io ò provato già più anni sono con buone parole e con fatti di ridurti al viver bene e in pace con tuo padre e con noi altri: e tu pèggiori tuttavia. Io non ti dico che tu sia tristo; ma tu se'i' modo, che tu non mi piaci più nè a me nè agli altri. Io ti potrei fare un lungo discorso intorno a' casi tua, ma le sarebon parole, come l'altre che t'ò già fatte. Io per abreviare, ti so dire per cosa cierta, che tu non ài nulla al mondo, e le spese e la tornata di casa ti do io e òtti dato da qualche tempo in qua per l'amor de Dio, credendo che tu fussi mio fratello, come gli altri. Ora io son certo che tu non se' mio fratello; perchè se tu fussi, tu non minacceresti mio padre; anzi se' una bestia: e io come bestia ti tratterò. Sappi che chi vede minacciare o dare al padre suo, è tenuto a mettervi la vita: e basta. Io ti dico che tu non ài nulla al mondo: e com'io sento u' minimo che de' casi tua, io verrò per le poste insino costà e mosterrotti l'error tuo e insegnierotti straziar la roba tua, e ficar fuoco nelle case e ne' poderi che tu (non) à' guadagniati tu: tu non se' dove tu credi. Se io vengo costà, io ti mostrerrò cosa che tu ne piangierai a cald'ochi e conoscierai in su quel che tu fondi la tua superbia.
Io t'ò a dir questo ancor di nuovo; che se tu vòi attendere a far bene e a onorare e riverir tuo padre, che io t'aiuterò come gli altri e faròvi infra poco tempo fare una buona bottega. Quando tu non facci così, io sarò costà e aconcierò [151] e' casi tua i' modo, che tu conoscierai ciò che tu se', meglio che tu conosciessi mai, e saperai ciò che tu ài al mondo e vedra'lo in ogni luogo dove tu anderai. Non altro. Dov'io manco di parole, superirò co' fatti.
Michelagniolo in Roma.
Io non posso fare che io non ti scriva ancora dua versi; e questo è, che io son ito da dodici anni in qua tapinando per tutta Italia; sopportato ogni vergognia; patito ogni stento; lacerato il corpo mio in ogni fatica; messa la vita propria a mille pericoli, solo per aiutar la casa mia; e ora che io ò cominciato a rilevarla un poco, tu solo voglia esser quello che scompigli e rovini in una ora quel che i' ò fatto in tanti anni e con tante fatiche; al corpo di Cristo che non sarà vero! che io sono per iscompigliare diecimila tua pari, quando e' bisognierà. Or sia savio, e non tentare chi à altra passione.
[152]
Archivio Buonarroti. Di Firenze, ( d'aprile 1532).[155]
A Giovan Simone Buonaroti in Firenze.
Giovan Simone. — E' mi bisognia stamani andare insino a Roma per cosa che m'importa assai; però io ti mando quattro ducati per mona Margerita, acciò che tu ti possa aiutare, e quando àrai di bisognio, mentre che io non ci sono, farmelo scrivere: e io t'aiuterò sempre dovunche io sarò. Non ti posso venire a vedere, perchè non ò tempo. Prega Iddio per me e sta' lieto il più che puoi.
Michelagniolo a San Lorenzo.
[153]
Archivio Buonarroti. Di Firenze, (1533).
A Giovan Simone Buonarroti a Settignano.
Giovan Simone. — Mona Margerita non l'à intesa bene: parlando l'altra mattina di te e di Gismondo, presente ser Giovan Francesco,[156] io dissi, che avevo fatto per tutti voi sempre più che per me medesimo e patiti molti disagi, perchè non ne patissi voi, e che voi non avevi mai fatto altro che dir male di per tutto Firenze. Questo è ciò che io dissi: e così non fussi vero in vostro servigio! che vi siate fatti tenere bestie. Dello star costì, io ò caro che tu vi stia e pigli le tua comodità e attenda a guarire; che io di quel ch'io potrò, non vi mancherò mai, perchè guardo al debito mio e non alle vostre parole. Àrei ben caro che tu vi conducessi da dormire, acciò che mona Margerita vi potessi stare anch'ella: e perchè mio padre alla morte me la racomandò, non la abandonerò mai.
Michelagniolo in Firenze.
[154]
Archivio Buonarroti. Di Firenze, (1533).
Giovan Simone. — Io ò per le mani un giovane per la Ceca,[158] il quale è de Sachetti e à nome Benedetto, e à uno fratello che à per moglie una de' Medici, e un altro che è prigione nella cittadella di Pisa, un altro n'ebbe che ebbe nome Albizo che morì a Roma. Se gli conosci, àrei caro inanzi facessi altro, sapere quello che te ne pare; e puoi mandarmelo a dire per mona Margerita, e non ne parlare con altri.
Michelagniolo in San Lorenzo.
[155]
Archivio Buonarroti. Di Roma, 7 d'agosto 1540.
Giovan Simone. — Io ò conto stamani adì sette d'agosto 1540 a Bartolomeo Angelini scudi secento cinquanta d'oro in oro, e' quali gli rimetta costà a Bonifazio Fazi per riscuotere il podere di Pazzolatica; però come l'avete fatto intendere a Michele,[160] e che Bonifazio gli abbi detto avere da pagarli settecento ducati di sette lire l'uno, ogni volta che dia sodo recipiente, súbito potete entrare in sul podere. Però tu e 'l prete potete andare a parlare a Bonifazio e vi dirà quello che occorre.
Ancora ti fo intendere, come poi che io sono a Roma, ò mandato costà circa due mila ducati con questi ultimi, e tutti quant'io n'ò mandati, sempre inanzi gli ò dati di contanti a Bartolomeo Angelini; e perchè io non tengo scrittura di cosa nessuna, e perchè noi siàn mortali e vien gente nuova, vorrei per bene di chi resta di noi, che sempre si potesse vedere che detti danari sono usciti da me. Però vorrei, se è cosa lecita, parlarne con Bonifazio, a chi gli ò sempre fatti rimettere, che gli conci in modo, che sempre si vegga che sono usciti da me. Altro non ò che dire circa questo. Abiate riguardo a mona Margerita e ditegli, che se si rià questi dua poderi, che la potrà tenere una serva, come gli scrissi.
Michelagniolo in Roma.
[156]
Archivio Buonarroti. Di Roma, (6 di dicembre 1544).
A Giovan Simone e Gismondo.
Io ò pensato più tempo fa di porre in sur una arte di lana a Lionardo a poco a poco per insino a mille scudi, portandosi lui bene; con questa condizione, che senza vostra licenzia non gli possa levare nè farne altro; e ò ordine di cominciare tal cosa con dugento scudi, e' quali farò pagare ora costà, se mi rispondete che io lo facci; e quando vi paia che io lo facci, vi bisognia aver cura che e' non si mettino in luogo di pericolo, perchè io non gli ò trovati per la strada. Rispondete quello che vi pare da fare: vo' potete meglio di me conoscere e vedere i portamenti di Lionardo, e se è da impacciarsene.
Michelagniolo Buonarroti in Roma.
[157]
Archivio Buonarroti. Di Roma, (1547).
A Giovan Simone di Lodovico Buonarroti in Firenze.
Giovan Simone. — I' ò avuto da ser Giovan Francesco più lettere del tuo male; di che n'ò avuto dispiacer grandissimo: e più, per non esser costà, per non ti potere aiutare, come mi son sempre ingegniato di fare: pure farò quello che io potrò, o ingegnierommi che e' non ti manchi niente: e ora per questa ti mando dieci iscudi, e promèttoti ancora che per l'avenire non ti lascierò mancare niente di quello che potrò, stando qua. Però confortati e ingegniati di guarire e non pensare a altro; che a quell'ora mancherà a te che a me; che per quello che e' mi par vedere, al fine ci sarà più roba che uomini. Altro non mi acade. Racomandati a Dio che ti può aiutare più che non poss'io, e fammi scrivere e' tuo' bisogni quando t'acade.
Michelagniolo in Roma.
FINE DELLE LETTERE A GIOVAN SIMONE.
DAL 1540 AL 1542.
Archivio Buonarroti. Di Roma, (1540?).
A Gismondo di Lodovico Buonarroti in Firenze.
Gismondo. — Io mando costà venti ducati di sette lire l'uno, e' quali ò dati qua a Bartolomeo Angelini che te li facci pagare costà da Bonifazio Fazi: però visto la presente, va' per essi e to'ne dieci per te e cinque ne dà a mona Margerita; gli altri cinque da'gli a Lionardo, se si porta bene, se non, ispendigli per casa in quel che fa bisognio, e avvisa della ricieuta e dà la lettera al banco di Bonifazio o a chi ti pare altri, e dirizzala a Bartolomeo Angiolini alla Dogana.
Michelagniolo in Roma.
[160]
Archivio Buonarroti. Di Roma, 16 di dicembre 1542.
A Gismondo di Lodovico Buonarroti Simoni in Firenze.
Gismondo. — Io ti mando cinquanta scudi d'oro in oro, e' quali ò dati oggi a' dì sedici di dicembre qua in Roma al banco di messer Salvestro da Monteaguto, che ti sien pagati costà in Firenze: però anderai al banco de' Capponi e ti saranno pagati: fanne i tuo' bisogni, e quando fai la quitanza, di': per tanti n'à dati Michelagniolo in Roma al banco di messer Salvestro da Monteaguto: come è detto; e avisami della ricevuta.
A dì sedici di dicembre 1542.
Michelagniolo Buonarroti in Roma.
FINE DELLE LETTERE A GISMONDO.
DAL 1540 AL 1563.
Museo Britannico. Di Roma, (1540?).
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Io ò una lettera da Gismondo che dice che vorrebbe che io gli facessi dare costà da' mia ministri nove staia di grano. Io non so chi si sieno costà e' mia ministri, ma io so bene che del mio io non ò fatto più parte a uno che a un altro: però di' a mona Margerita, che gli dia qualche cosa di quello che si può, e a lui digli da mia parte, che e' ci fa poco onore a esersi fatto un contadino. Ancora di' a mona Margerita che per mio conto non dia nulla a persona, fuor che di quegli di casa; perchè io non vorrei che qualcuno gli andassi a mostrare di fare e' fatti mia e facèssila fare di qualche cosa, come un par di Donato del Sera; perchè e' non à ditto per me parola, che e' non abbi da me avuto uno scudo. Però àvisala da mia parte e di' che stia di buona voglia: e tu fa' d'essere uomo da bene.
Michelagniolo in Roma.
[162]
Museo Britannico. Di Roma, ( del luglio 1540).
A Lionardo Buonarroti in Firenze.
Lionardo. — I' ò ricievuto con la tuo' lettera tre camice e sonmi molto maravigliato me l'abbiate mandate, perchè son sì grosse che qua non è contadino nessuno che non si vergogniassi a portarle; e quando ben fussino state sottile, non vorrei me l'avessi mandate, perchè quando n'àrò bisognio, manderò i danari da comperarne. Del podere da Pazzolatica infra quindici o venti dì farò pagare costà a Bonifazio Fazi settecento ducati per riscuoterlo; ma bisogna prima vedere in che modo Michele gli soda, acciò che la tua sorella, quando avenissi caso nessuno, volendo, ne possa cavare la dota che à dato. Però pàrlane un poco con Gismondo, e rispondetemi; perchè, se non veggo che e' settecento ducati sien ben sodi, non lo risquoterò. Altro non mi acade. Conforta mona Margerita a star di buona voglia e tu trattala bene di fatti e di parole, e fa' d'essere uomo da bene, altrimenti io ti fo intendere che tu non goderai niente del mio.
Michelagniolo in Roma.
[163]
Museo Britannico. Di Roma, ( del novembre 1540).
A Lionardo di Buonarroto.
Lionardo. — Michele mi scrive che vorrebbe che io facessi costà un procuratore a chi e' rinunzi il podere di Pazzolatica: io ò fatto procuratore Giovansimone e Gismondo e a loro lo può rinunziare:[161] e con questa sarà la procura. Sì che dàlla loro che ricevino detto podere da Michele e la quitanza de' danari che à ricievuti.
Ò inteso la morte di mona Margerita e ònne grandissima passione, più che se mi fussi stata sorella, perchè era donna da bene e per essere invechiata in casa nostra, e per essermi stata racomandata da nostro padre, ero disposto, come sa Iddio, fargli presto qualche bene. Non gli è piaciuto che l'aspetti: bisognia aver pazienzia. Circa il governo di casa, vi bisognierà pensarvi, e non isperare in me, perchè son vechio e con grandissima fatica governo me. Voi avete tanto, che se state uniti in pace insieme, potrete tenere una buona serva e vivere da uomini da bene: e io mentre che vivo v'aiuterò; quanto che nol facciate, io me ne laverò le mani.
Ancora vorrei che fussi con detto Michele a vedere che restano i danari che gli à spesi ne' buoi di Pazzolatica e nella casa, cavando le gravezze che si son pagate, come lui mi scrive.
Vostro Michelagniolo in Roma.
[164]
Museo Britannico. Di Roma, (1541).
A Lionardo di Buonarroto in Firenze.
Lionardo. — I' ò dati qui cinquanta ducati di sette lire l'uno a Bartolomeo Angelini che gli rimetta costì ne' Fazi: però va', truova ser Giovan Francesco[162] e andate al banco insieme, e la prima cosa fa ch'el banco gli renda i danari del campo che i' ò comperato, che gli à pagati per me; e ch'el banco scriva per che conto io gli rendo detti danari, acciò che e' sien renduti per terza persona e aparisca sempre come à fatto lui: e quello che vi resta di detti danari, fategli pagare al Guicciardino nel medesimo modo, che si dica per che conto: e quello che mancherà per sodisfarlo come vuole, come m'acade di mandare altri danari, gli manderò insieme con quegli, perchè non ò comodità ora. Altro non m'acade.
Michelagniolo in Roma.
[165]
Museo Britannico. Di Roma, (1541)
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Io ò avuto i ravigguoli, cioè sei coppie, i quali credo che costà eron begli, ma qua eron molto guasti: credo c'avessin dell'aqqua: però cose tanto tènere non son da mandare. In soma, basta, io gli ò avuti. Non acade dirne altro.
Che le cose vadin bene, come mi scrivi, e delle possessione e della bottega, mi piace assai. Bisognia ringraziarne Idio, e attendere a far bene. Altro non m'acade.
Michelagniolo in Roma.
[166]
Archivio Buonarroti. Di Roma, ( d'agosto 1541).
A Lionardo Buonarroti in Firenze.
Lionardo. — Per la tua intendo come desideri venire a Roma questo settembre: a me pare ch'el tempo del venire sia la quaresima: però, poichè ài indugiato tanto, puoi aspettare insino al detto tempo; e in questo mezzo vedrò come seguiranno le cose mia, perchè non mi vanno a mio modo. Attendi a farti uomo da bene, e ricòrdati di quel che ti lasciò tuo padre, e di quel che tu ài ora, e ringraziane Iddio. A Michele Guicciardini vorrei che andassi e gli dicessi com'io ò inteso per la sua com'egli sta bene e quanto si contenta di tre figluoli masti che à; di che ò piacer grandissimo: e benchè la Francesca, come mi scrive, non sia in buona disposizione, digli da mia parte, che e' non si può avere in questo mondo le felicità intere, e che abbi pazienza e mi racomandi a lei, e che io non gli risponderò per ora altrimenti, perchè non posso: e racomandami a lui.
Michelagniolo Buonarroti in Roma.
(Di mano di Lionardo.)
Da Roma, 1541.
[167]
Archivio Buonarroti. Di Roma, 25 d'agosto 1541.
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Tu mi scrivi che vuoi venire a Roma questo settembre col Guicciardino. Io ti dico che e' non è tempo ancora, perchè non sarebbe altro che acrescermi noia, oltra gli affanni che io ò. Questo dico ancora per Michele, perchè sono tanto ocupato, che io non ò tempo da badare a voi, e ogni altra picola cosa m'è grandissimo fastidio, non c'altro, pure a scriver questa. Bisognia indugiare a questa quaresima, che io manderò per te e manderòtti danari che tu ti metta a ordine, che tu non venga qua com'una bestia. Io scrissi ancora a Michele e consiglia'lo che anche lui indugiassi a questa quaresima, per poterlo intratenere, perchè sarò libero; ma forse gli à qualche faccenda a Roma, che gli bisognia eserci questo settembre; io non lo so; ma quando questo non sia, di nuovo lo consiglio, non venga prima che questa quaresima, perchè questo settembre non àrò tempo non c'altro da parlargli, e massimo che Urbino, che sta meco, va questo settembre a Urbino, e làsciami qui solo in tanta noia. Non mi mancherebe altro, che avervi a far la cucina! Leggi questa lettera a Michele e prègalo che indugi a questa quaresima, come è detto. Impara a scrivere, che mi pare tu pèggiori tuttavia.
Michelagniolo in Roma.
(Di mano di Lionardo.)
1541, da Roma, addì 25 d'agosto.
[168]
Archivio Buonarroti. Di Roma, 19 di gennaio 1542.
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Benchè io abi scritto al prete,[163] pensavo scrivere il medesimo a te; dipoi non ò avuto tempo, e ancora perchè lo scrivere mi dà noia. Ti mando in questa, aperta quella del prete, per la quale intenderai il medesimo ch'i' volevo scrivere a te, cioè com'io ti mando cinquanta scudi d'oro in oro e quello che tu n'ài a fare, volendo venire a Roma, e come gli ài a serbare, tanto ch'i' te ne mandi altri cinquanta, non volendo venire. E' detti cinquanta scudi che io ti mando d'oro in oro, io gli ò mandati stamani a dì diciannove di gennaio per Urbino, che sta meco, a Bartolomeo Bettini, cioè a' Cavalcanti e Giraldi; e in questa sarà la lettera: andrai con essa a' Salviati, e te gli pageranno: fa' la quitanza in modo che stia bene, cioè per tanti ricevuti da me in Roma.
Leggi la lettera del prete e poi gniene dà o vero dagniene prima, e lui te la leggerà e fa' quello che la ti dice del venire o del non venire; e se fai disegnio di venire, avisamene prima, perchè parlerò qua con qualche mulattiere, uomo da bene, che tu venga seco: e quando tu voglia pur venire, fa' che nol sappi Michele, perchè non ò il modo d'accettarlo, come vedrai se vieni.
Michele detto mi à scritto che vorrebbe che io gli mandassi nove ducati e dua terzi, che dice che restò avere quand'io riscossi il podere di Pazzolatica. Un'altra volta me gli chiese, e 'l prete mi scrisse, che facendo conto seco, gli mostrò che e' non gli aveva avere: però prega il prete che ti dica o mi scriva se io gnien'ò a mandare o sì o no.
Michelagniolo in Roma.
(Di mano di Lionardo.)
Da Roma, 1541, adì.... di gennaio: de' dì 19 detto.
[169]
Archivio Buonarroti. Di Roma, 4 di febbraio 1542.
A Lionardo di Buonarroto.
Lionardo. — Tu mi scrivi che non ti par da venire e che serbi i cinquanta scudi tanto ch'i' mandi gli altri cinquanta per mettere in sulla bottega. Io gli manderò ora, ma voglio prima il parer di Giovan Simone e di Gismondo, perchè voglio che e' sien presenti al mettergli in sulla bottega, e che le cose s'acconcino bene, e per le loro mani, e con lor parere, come ti scrissi, perchè son mia frategli; però io lo scrivo loro; fa' che e' mi rispondino il parer loro, e io non mancherò di quel c'ò scritto.
Io ti scrissi ch'el Guicciardino mi chiedeva nove scudi over ducati e dua terzi, che dice che restò avere, quand'io riscossi el podere di Pazzolatico, e che tu m'avisassi se gli aveva avere o sì o no. Tu non mi ài risposto niente: però prega messer Giovan Francesco che ti dica, se io gnien'ò a dare di ragione: e scrivimelo, acciò gniene mandi. Altro non acade.
A dì 4 di febraio 1542.
Michelagniolo in Roma.
(Di mano di Lionardo.)
1541, da Roma: addì 11 di febraio (de' dì detto) ricevuta.
[170]
Archivio Buonarroti. Di Roma, ( di marzo 1543).
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Io ebbi sabato sera il contratto, e con questa sarà la retificagione. Non s'è fatta prima, perchè prima non è venuto il contratto, che è stato ritenuto costà da coloro a chi lo davi che mi fussi mandato. Altro non ò che dire, nè ò tempo da scrivere, nè ò letto ancor le lettere. Ringrazia il prete per mia parte, perchè à durato gran fatica per noi e fàttoci gran servigio, e massimo a voi costà.
Michelagniolo Buonarroti in Roma.
[171]
Museo Britannico. Di Roma, ( dell'aprile 1543).
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Io ò fatto cercare tutti e' banchi di Roma e non truovo che qua sia venuto altro contratto che l'ultimo, di che io ò mandata la retificagione: però noi crediamo che e' sia stato ritenuto costà. Se non v'era cose o lettere che importassino, non è da pensarvi più; e se v'erano, bisognia aver pazienzia. La retificagione scrivi aver ricevuta e data al prete; che l'ò caro, poi che none sta male: ancora, lei credo che la stia bene. Altro non m'acade. Racomandami a lui, ciò è a messer Giovan Francesco, e ringràzialo da mia parte. Ò caro che abbi parlato al Bettino, e ancora a lui mi racomanda e ringràzialo, quando lo riscontri.
Michelagniolo in Roma.
[172]
Archivio Buonarroti. Di Roma, 14 di aprile 1543.
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Io intendo per la tua e del prete dove désti il contratto, perchè mi fussi mandato: qua non è venuto; e sonne certo, perchè 'l Bettino me l'àrebbe mandato insino a casa: però io stimo che sia stato ritenuto costà dal banco ove lo désti. Se volete che io l'abbi, datelo a Francesco d'Antonio Salvetti che l'adirizi qua a Luigi del Riccio, e sarammi dato súbito, e io retificherò. Altro non mi acade. None scrivo al prete, perchè non ò tempo: racomandami a lui e ringràzialo delle fatiche e noie che gli diàno: e quando mi scrivi, non far nella sopra scritta: Michelagniolo Simoni, nè scultore; basta dir: Michelagniol Buonarroti: che così son conosciuto qua: e così n'avisa il prete.
A dì quattordici d'aprile 1543.
Michelagniolo Buonarroti in Roma.
(Di mano di Luigi del Riccio.)
Messer Francesco Salvetti date in propria mano et ne ricuperate risposta.
(Di mano di Lionardo.)
Di Roma, 1543, a dì 19 d'aprile: de' dì 14 detto.
[173]
Archivio Buonarroti. Di Roma, (29 di marzo 1544).
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Intendo per la tua, come i marmi sono stati stimati cento settanta scudi,[164] e quello che s'à a fare dei danari quando vi sieno pagati. A me pare, quando paia a' mia frategli, che e' si mettino per te in sun una bottega, dove pare a loro, e che tu ne tiri il frutto che è onesto, e che senza licenzia loro tu none possa disporre altrimenti. Ancora mi pare, che la stanza dove son detti marmi, che voi cerchiate di venderla, e e' danari che n'àrete, con la medesima condizione porli dove quegli de' marmi; dipoi potrò aggugniervi altri danari, secondo che ti porterai; chè mi par che ancora non abbi imparato a scrivere.
A messer Giovan Francesco ò risposto circa la testa del duca[165] che io non vi posso attendere, come è vero che io non posso per le noie che ò, ma più per la vechiezza, perchè non veggo lume.
Del comprare il podere di Luigi Gerardi, di che mi fai scrivere, a me non pare d'avere altro a Firenze che quello che io v'ò, perchè l'avervi assai, non è altro c'avervi assai noie, e massimo non possendo io servire; però mi pare da comperare qualche cosa altrove, che io ancora ne potessi cavar frutto in mia vechiezza, perchè quello che m'à dato il Papa mi potrebbe esser tolto, non servendo; e già dua volte l'ò avuto a difendere. Sì che rispondi di detto podere al prete che me ne scrive. Altro non ò che dirti. Attendi a far bene.
Michelagniolo in Roma.
(Di mano di Luigi del Riccio.)
Messer Francesco Salvetti date in propria mano et mandate risposta.
(Di mano di Lionardo.)
1544, da Roma, del 3 d'aprile: de' dì 29 di marzo.
[174]
Archivio Buonarroti. Di Roma, (11 di luglio 1544).
Lionardo. — Io sono stato male: e tu a stanza di ser Giovan Francesco se' venuto a darmi la morte, e a vedere s'i' lasco niente. Che non v'à tanto del mio a Firenze che ti basti? tu non puoi negar di non somigliar tuo padre, che a Firenze mi cacciò di casa mia. Sappi che io ò fatto testamento in modo, che di quel ch'i' ò a Roma, tu non v'ài più a pensare. Però vatti con Dio e non m'arrivare innanzi e non mi scriver ma' più, e fa' a modo del prete.
Michelagniolo.
(Di mano di Lionardo.)
1544. Ricevuta addì 11 di luglio in Roma.
[175]
Archivio Buonarroti. Di Roma, (6 di dicembre 1544).
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Io non vo' però mancare di quello che più tempo ò pensato; e questo è d'aiutarti, quando intenda che tu ti porti bene: però in questa sarà una che va a Giovan Simone e a Gismondo, dov'io scrivo loro quello che mi pare da fare per te; ma non lo voglio fare se non me ne consigliono: però dàlla loro e di' che mi rispondino.
Michelagniolo Buonarroti in Roma.
(Di mano di Lionardo.)
1544. Ricevuta addì 11 di dicembre: de' dì 6 di detto.
[176]
Archivio Buonarroti. Di Roma, (27 di dicembre 1544).
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Io ò dato qui nel banco degli Covoni scudi dugento d'oro in oro che vi sien pagati costà, per farne quello che per l'ultima mia vi scrissi: però anderai a' Capponi con Gismondo, o con Giovan Simone, e e' vi saranno pagati; cioè vi sarà dati scudi dugento d'oro in oro, com'io ò dati qua. E la intenzione mia è, che Giovan Simone e Gismondo gli mettano in lor nome per te in su l'arte della lana, che pare a voi sien sicuri; e che io non ne sia nominato in conto nessuno: con questa condizione, che i frutti sien tua e che di detti danari non se ne possa mai disporre, nè levare, nè fare altro, se voi non siate tutti a tre d'acordo, cioè Giovan Simone e Gismondo e tu. E quando gli mettete in su la bottega, circa all'aconciare bene le scritture, acciò non si facci errore, vorrei che tu chiamassi Michele Guicciardini che vi fussi presente con Giovan Simone e Gismondo; perchè credo che intenda: e da mia parte verrà volentieri. E dipoi fammi scrivere da Giovan Simone e da Gismondo la ricevuta di detti danari, e come avete aconcio la cosa: e racomandami a Michele. E quando o Giovan Simone o Gismondo non possino venire teco a pigliare detti danari, saranno dati a te solo e porter'agli loro, che se ne facci come di sopra è ditto.
E quando fate a' Capponi la ricevuta di detti danari, fatela per tanti ricevuti gli Covoni da Michelagniolo in Roma.
Con questa sarà la lettera de' Covoni che va a' Capponi, per la quale vi saranno pagati i detti danari.
Mandami copia della partita che fate aconciare dove mettete i danari.
In Roma a dì venti sette di dicembre mille cinque cento quaranta quattro, ad Incarnatione.
Michelagniolo Buonarroti in Roma.
(Di mano di Lionardo.)
1544, di Roma, addì primo di gennaio: de' dì 27 del paxato.
[177]
Archivio Buonarroti. Di Roma, ( di gennaio 1545).
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Io ò avuta la ricevuta de' dugento scudi da Giovan Simone e da te; e del mettergli più in un luogo che in un altro, io non ve ne so dar consiglio, nè posso, perchè non son costà e non me ne intendo. Francesco Salvetti, parente qua di messer Luigi del Riccio, à scritto qua che i maestri tua son molto sicuri e uomini da bene; pure fate quello che voi credete non perdere.
Altro non m'acade. Racomandami al Guicciardino.
Michelagniolo in Roma.
(Di mano di Lionardo.)
1544, di Roma: ricevuta a dì 16 di gennaio.
[178]
Archivio Buonarroti. Di Roma, (15 di febbraio 1545).
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Intendo per le tua lettere, come non trovate ancora dove porre i danari ch'io vi mandai, perchè, secondo che mi scrivi, chi à 'l modo a fare l'arte col suo, non vuole danari d'altri. Adunche chi piglia i danari d'altri, è segnio che non à il modo a far del suo: dunche è pericoloso: però a me piace che voi andiate adagio a porgli in ogni luogo, purchè voi non gli straziate; perchè sarebbe vostro danno. Io quando potrò, a poco a poco, come v'ò scritto, per insino a mille scudi vi manderò; dipoi vo' pensare alla vita mia, perchè son vechio e non posso più durar fatica. El porto[167] che mi dètte il Papa, lo voglio rinunziare, perchè tengo a disagio troppi, e per buono rispetto non mi piace tenerlo; e però mi bisognia fare qua una entrata da poter vivere con miglior governo che io non fo. Però sappiate tener quello che avete, che io non posso più per voi.
Michele intendo che à avuto un figluolo mastio, e che lui e la Francesca stanno bene: n'ò grandissimo piacere. Credo che n'abbi già quattro: Idio gniene dia consolazione. Racomandami a lui e ringràzialo da mia parte della fatica che dura per te, perchè non è manco per me; di che gli resto obrigato. Non rispondo alla sua, perchè male intendo la sua lettera, e ancora perchè credo che questa farà il medesimo effetto: però leggigniene.
Michelagniolo Buonarroti in Roma.
(Di mano di Luigi del Riccio.)
Lionardo del Riccio fate dare in propria mano.
(Di mano di Lionardo.)
Ihesus, da Roma. Ricevuta a dì 20 di febraio 1544.
[179]
Archivio Buonarroti. Di Roma, (5 d'aprile 1545).
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Intendo per la tua come non avete ancor fatto niente: io dico che non è d'aver fretta, nè anche da farne molto rumore con gli amici, perchè pochi si truova de' buoni.
Io ò pensato in fra dua mesi mandare altrettanta[168] danari, ma non mi piace gli abbiate a tenere in casa, perchè son pericolosi; pure farò quello che tutti voi mi scriverrete; e perchè io non son costà e non posso giudicare qual sia meglio farne in questi tempi, la rimetto in voi: se vi par di poterne far cosa più sicura e utile, fate come volete: io m'ingegnierò in fra un anno mandarvi tutta la quantità che v'ò promessa. Altro non v'ò che dire. Racomandami a Michele e alla Francesca.
Michelagniolo in Roma.
(Di mano di Lionardo.)
Di Roma. Ricevuta addì 9 d'aprile 1545.
[180]
Archivio Buonarroti. Di Roma, (9 di maggio 1545).
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Io non credo che e' si possa tener danari in luogo nessuno a guadagnio che non sia usura, se none stanno al danno come all'utile. Quand'io vi scrissi che se voi volevi fare altro de' danari che io vi mandavo, che vi paressi più sicuro, intendevo di comperare qualche cosa, come quella terra di Nicolò della Buca o altro che vi paressi, e non porre in su banco nessuno, che son tutti fallaci.
Ancora vi scrissi che avevo a ordine altrettanta danari,[169] e che tutti voi mi scrivesti se volevi ch'i' gli mandassi ora o no, per non avere ancora trovatone partito: però rispondete, e tanto farò.
Tu mi scrivi dell'uficio che ài avuto; io ti dico che tu se' giovane e ài viste poche cose; io ti ricordo che l'andare inanzi, a Firenze è peggio che tornare adietro.
A Giovan Simone di', che un comento di Dante d'un Luchese,[170] che c'è di nuovo, non è molto lodato da ch'intende, e non è da farne stima; nessuno altro ce n'è di nuovo che io sappi.
A Michele Guicciardini mi racomanda, e digli che io son sano, ma con molta noia e tanta, ch'io non ò tempo da mangiare; però fa' mie scuse se io non gli rispondo. Tu puoi leggergli questa, e fia il medesimo: e alla Francesca di', che prieghi Iddio per me.
Ancora ti dico, quando ti fussi scritto niente per mio conto, non gli credere se non v'è un verso di mia mano.[171]
(Di mano di Lionardo.)
Di Roma, 1545, a dì 13 di maggio: de' dì 9 detto.
[181]
Archivio Buonarroti. Di Roma, (23 di maggio 1545).
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Io ò dato oggi questo dì ventitre di maggio 1545 a' Covoni in Roma scudi dugento d'oro in oro, che e' vi sieno pagati costà. Però andate a' Capponi tu e Giovan Simone o Gismondo, come volete, e e' vi saranno pagati, cioè vi saranno pagati scudi dugento d'oro in oro, come ò dati qua: e così fate la quitanza, e mandatemi la copia.
Michelagniolo in Roma.
(Di mano di Luigi del Riccio.)
Lionardo del Riccio date bene.
(Di mano di Lionardo.)
Di Roma, 1545, addì 27 di magio: de' dì 23 detto ricevuta.
[182]
Museo Britannico. Di Roma, (1545).
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Io ti scrissi sabato passato che àrei avuto più caro dua fiaschi di trebbiano, che otto camice che tu m'ài mandate. Ora t'aviso come ò ricievuto una soma di trebbiano, cioè 44 fiaschi, de' quali n'ò mandati sei al Papa e a altri amici, tanto che gli ò allogati quasi tutti, perchè io none posso bere; e benchè io ti scrivessi così, non è però che io voglia che tu mi mandi più una cosa che un'altra. A me basta che tu sia uomo da bene, e che ti facci onore e a noi altri.
Michelagniolo in Roma.
[183]
Archivio Buonarroti. Di Roma, ( di luglio 1545).
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Del trebbiano io feci la ricevuta al vetturale che lo portò, di quaranta cinque fiaschi, e scrissiti che tu non mi mandassi niente, e così ti scrivo di nuovo, se io non te ne richieggo. Del trovare partito de' danari, e' mi pare che Giovan Simone la 'ntenda meglio di te, perchè nell'andare adagio si fa manco errori. Voi avete da vivere e non siate cacciati; però bisognia aver pazienzia e far poco romore, acciò che e' non vi sien tolti; e quando potrò, ve ne manderò degli altri insino al numero promesso.
Michelagniolo in Roma.
(Di mano di Lionardo.)
Addì.... del luglio 1545.
[184]
Archivio Buonarroti. Di Roma, (31 di dicembre 1545).
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Tu mi scrivi che ài inteso di più case da comperare, in fra le quali mi scrivi di quella che fu di Zanobi Buondelmonti, e questa mi pare più onorevole che tutte l'altre; però mi pare da intendere l'ultimo prezzo e se e' v'è sicurtà buona, tôrla; ma non ti fidare di Bernardo Basso:[172] mostra di prestargli fede, ma non gli creder niente, perchè è un gran fellone. Sì che fa d'esser savio, che bisognia, e massimo nel comperare. Nel Quartier nostro in via Ghibellina, mi piacerebbe assai, ma le vôlte[173] ogni verno s'empion d'aqqua: sì che pensa e cònsigliati bene, e quando sarai resoluto co' mia frategli insieme, m'aviserai della spesa e io tanto farò pagare costà quanto bisognierà.
Io ebbi circa un mese fa una lettera da messer Giovan Francesco con un'altra inclusa che non conteneva niente; però fa' mie scusa se io non risposi e racomandami a lui.
Quando scrivi, dirizza le lettere al Bettino, cioè a' Cavalcanti o a Girolamo Ubaldini. Altro non acade. Racomandami a Michele e alla Francesca.
Michelagniolo in Roma.
(Di mano di Lionardo.)
1545, di Roma. Riceuta addì 7 di gennaro: de l'ultimo di dicembre.
[185]
Archivio Buonarroti. Di Roma, 9 di gennaio 1546.
Al suo carissimo Lionardo Buonarroti come figliuolo in Fiorenza.
Lionardo. — I' ò oggi questo dì nove di gennaro 1545, dato qui in Roma a messer Luigi del Riccio scudi secento d'oro in oro, e' quali te li facci pagare costì in Firenze, per finirvi il numero de' mille scudi promessivi: però anderete a Piero di Gino Capponi e vi saranno pagati; fàtene la quitanza per tanti pagàtine qua, come è detto.
E messer Luigi detto scriverrà qui disotto l'animo mio verso di voi, perchè non mi sento bene e non posso più scrivere;[174] però sono guarito[175] et no' harò più male, Iddio grazia: così lo prego: il simile farai tu.
Io sono resoluto, oltre alli sopradetti danari, provedere costì a Giovan Simone, Gismondo, et a te scudi tremila d'oro in oro, cioè scudi mille per uno, ma a tutti insieme; con questo che si investischino in beni stabili o in qualche altra cosa che vi porti utile, e che resti alla casa. Però andate pensando di metterli in qualche cosa stabile et buona, et quando havete qualcosa che vi paia a proposito, avisatemelo, che vi farò la provisione de' danari. Et questa lettera fia comune a tutti a tre voi. Et non mi occorrendo altro, mi vi raccomando. Iddio ec. ec.
In Roma, il dì sopradetto.
Io Michelagniolo Buonarroti in Roma.
(Di mano di Lionardo.)
1545, di Roma, addì.... del dì 9 detto, cioè de' dì 9 di gennaio, da Michelagnolo Buonarrotti.
[186]
Archivio Buonarroti. Di Roma, (16 di gennaio 1546).
Al suo carissimo Lionardo Buonarroti come figliuolo in Firenze.
[176]Lionardo carissimo. — Io ti scrissi sabato passato alli 9, et ti rimissi scudi 600 da Piero Capponi per via di Luigi del Riccio, come harai visto, che ne attendo risposta.
Ancora ti dissi come io mi ero resoluto provedere a Giovansimone, Gismondo et a te scudi tremila, ogni volta trovassi da rinvestirli in cosa buona e stabile da rimanere alla casa: che andrete cercando et aviserete alla giornata.
Ora io intendo qui da uno mio amicissimo che e' si vendono li stabili di Francesco Corboli, che abita a Vinezia et fallì più mesi sono; e quali mi è detto, sono una casa antica posta costì nel quartiere di Santo Spirito et certe possesioni tutte insieme con para sei di bovi et con una buona casa o palazotto da oste poste a Monte Spertoli, che sarebbono d'una spesa vel circa a questa. Però vorrei che Giovansimone e tu ve ne informassi bene, intendendo quanto hanno di decima, di che bontà sono et rendita, come sono in ordine e se vi è sopra lite o imbrogli et quello vi pare vaglino: et di tutto mi date, quanto prima possete, risposta.
[177]Messer Luigi del Riccio, non mi sentendo io bene, m'à servito di scrivervi di certe possessione che mi sono state messe qua per le mani, come intenderete: però abbiate cura che cosa sono, e rispondete presto.
Michelagniolo Buonarroti in Roma.
(Di mano di Luigi del Riccio.)
Di grazia messer Piero Capponi fate dar súbito.
(Di mano di Lionardo.)
1546, di Roma a dì.... di gennaio ricevuta: de' dì 9 (sic) detto. Di messere Michelagnolo Buonarroti.
[187]
Archivio Buonarroti. Di Roma, (6 di febbraio 1546).
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Tu se' stato molto presto a darmi aviso delle possessione de' Corboli: io non credetti che tu fussi ancora a Firenze. Che à' tu paura che io non mi penta, come forse se' stato imburiassato? e io ti dico che voglio andare adagio, perchè e' danari gli ò qua guadagniati con quella fatica che non può sapere chi è nato calzato e vestito come tu.
Circa all'esser venuto a Roma con tanta furia, io non so se tu venissi così presto, quand'io fussi in miseria e che e' mi mancassi il pane: basta che tu gitti via e' danari che tu non ài guadagniati. Tanta gelosia ài di non perdere questa redità! e di' che gli era l'obrigo tuo venirci per l'amore che mi porti: l'amore del tarlo! Se mi portassi amore, m'àresti scritto adesso: Michelagniolo, spendete i tremila scudi costà per voi, perchè voi ci avete dato tanto, che ci basta: noi abbiam più cara la vostra vita, che la vostra roba.
Voi siate vissuti del mio già quaranta anni, nè mai ò avuto da voi, non c'altro, una buona parola.
Vero è che l'anno passato fusti tanto predicato e ripreso, che per la vergognia mi mandasti una soma di trebbiano; che non l'avessi anche mandata!
Io non ti scrivo questo, perchè io non voglia comperare; io voglio comperare per farmi una entrata per me, perchè non posso più lavorare; ma voglio andare adagio, per non comperare qualche noia: sì che non abbi fretta.
Michelagniolo in Roma.
Quando costà ti fussi detto o chiesto niente da mia parte, se non vedi un verso di mia mano, non credere a nessuno.
[188] E' mille ducati overo scudi che io t'ò mandati, se tu consideri che fine ànno le bottege o per via di cattivi ministri o d'altro, tu comprerrai più presto la possessione, perchè è cosa più stabile. Pur consigliatevi insieme e fate quello che meglio vi pare.
(Di mano di Lionardo.)
1545, da Roma. Ricevuta addì 11 di febraio: de' dì 6 detto.
[189]
Archivio Buonarroti. Di Roma, (15 di febbraio 1546).
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Circa al comperare o al porre in sur una bottega i danari che io v'ò mandati, consigliatevene fra voi, e fate quello che voi conoscete che sia il meglio, perchè io non me ne intendo.
Delle possessione de' Corboli n'ò un certo aviso che non mi piace, cioè che e' v'è su un albitrio di venticinque scudi: quando fussi vero, non mi mancherebbe altra noia, comperandole. E ancora m'è ditto, che certi loro parenti ci ànno su qualche ragione.
Io non m'intendo di queste cose: però bisognia andare adagio e aprir ben gli ochi, e quando si trovassi che le fussi cose sicure, per giusto prezzo sarei per comperarle, se sono cose buone, e massimamente insieme e ben confinate.
Però attèndivi e avisami quello che ne 'ntendi, e quello che è gudicato che vaglino. Altro non ò che dire. Racomandami al Guicciardino e alla Francesca.
Io ò bisognio di farmi una entrata, perchè quella che io ò avuta insino a ora dal Papa, non possendo più lavorare, non è gusto che io la tenga: e le dette possessione mi farebono parte di detta entrata: e più presto per vostro amore mi par da comperare a Firenze che altrove o dette possessione o altre.
Michelagniolo Buonarroti in Roma.
(Di mano di Lionardo.)
1545, di Roma. Riceuta addì 20 di febraio.
[190]
Archivio Buonarroti. Di Roma, (6 di marzo 1546).
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Tu mi scrivi che avete trovato da far certa compagnia con un del Palagio e altri, e che io me ne informi. Io non conosco e non ò modo nessuno da 'nformarmi di simil cosa; ma perchè oggi non c'è se non fraude, e non si può fidar di persona, vi consiglio che andiate adagio, e massimo non vi mancando il pane; e nell'andare adagio si scuopre di molte cose, e massimo che chi apre una bottega d'un'arte che e' non vi sia dentro valente, rovina presto: e non bisognia pensar di potersi più rifare in questi tempi.
Delle terre de' Corboli, io n'ò vari avisi; e perchè io per la lunga sperienza son sospettoso, io l'ò licenziate, acciò che in mia vechieza io non entri in qualche briga, e dopo me vi lasci altri: però non vi attender più.
Michelagniolo Buonarroti in Roma.
(Di mano di Lionardo.)
1545, di Roma. Riceuta addì 11 di marzo: de' dì 6 detto.
[191]
Museo Britannico. Di Roma, 29 d'aprile (1546).
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — La casa della via de' Martegli non mi piace, perchè non mi pare che sia strada da noi: quella dell'Arte della lana nella via de' Servi, poi che v'è buon sodo, se è al proposito di stanze e d'altro, pigliàtela: e avisatemi de' danari che vi mancano e io súbito ve gli farò pagare. Ma abiate cura di non esser fatti fare; che questo romore del volere comperare una casa non facci l'incanto artifizioso. A me parrebbe di vederla, ciò è che voi la vedessi prima molto bene, e informarsi della valuta: e quando vedessi che 'l prezzo non fussi gusto, lasciarla a chi la vuole: perchè i danari non si truovon per le strade. Pure, come ò detto, io vi manderò i danari che mancheranno, e dòvi libera commessione di tôrla e non la tôrre, come a voi vi pare. Altro non m'acade. Avisatemi quello avete fatto.
A dì venti nove aprile.
Io non dico circa la compera che e' s'abbi a guardare in dieci scudi, ma in una cosa disonesta.
Michelagniolo Buonarroti in Roma.
[192]
Archivio Buonarroti. Di Roma, (30 d'aprile 1546).
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Io ebbi le camice: dipoi intesi per un'altra tua d'una entrata d'un mulino che si poteva comperare, e ultimamente mi scrivi d'un'altra possessione presso a Firenze. El mulino non mi piaqque, perchè non mi fido d'entrata in su l'aqqua, e anche questo di che mi scrivi ora mi par troppo in su le porte. Quando si trovassi qualche cosa discosto otto o dieci miglia, mi parrebbe più al proposito, ma non ci è fretta. Però none far tanto romore. Altro non mi acade. Quand'io non rispondo alle tua, pensa che io ò il capo a altro che a scrivere. Racomandami al Guicciardino e alla Francesca.
Michelagniolo Buonarroti in Roma.
(Di mano di Lionardo.)
1546, di Roma. Riceuta a dì 4 di magio.
[193]
Archivio Buonarroti. Di Roma, (26 di maggio 1546).
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — I' ò ricevuto il contratto e parmi che stia bene; però ringrazia messer Giovan Francesco, perchè m'à fatto piacer grande, e prègalo che ringrazi Bernardo Bini e racomandami a lui. Altro non mi acade; chè per l'ultima mia vi scrissi, cioè che voi facciate circa il comperare quello che vi pare, pur che siate ben sodi e che non s'abbi a piatire. In questa sarà una di messer Giovan Francesco: dà' e racomandami a lui.
Michelagniolo in Roma.
(Di mano di Lionardo.)
1546, di Roma, addì 30 di magio: de' dì 26 deto.
[194]
Archivio Buonarroti. Di Roma, (5 di giugno 1546).
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Io ò fatto copiare la minuta della procura senza senza[178] vederla altrimenti, e fo procuratore te e màndotela. Fàtela veder voi e se la sta a vostro modo, mi basta: che io ò il capo a altro che a procure: e non mi scriver più; chè ogni volta che io ò una tua lettera mi vien la febbre, tanta fatica duro a leggierla! Io non so dove tu t'abbi imparato a scrivere. Credo che se avessi a scrivere al maggiore asino del mondo, scriveresti con più diligenzia. Però e' non m'agugniete noie a quelle che io ò, che n'ò tante che mi bastano. La procura voi l'avete a far vedere e studiare; e se nol farete, vostro danno.
Michelagniolo in Roma.
(Di mano di Lionardo.)
1546, di Roma, addì 9 di gugnio: de' dì 5 detto.
[195]
Archivio Buonarroti. Di Roma, (4 di settembre 1546).
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Tu m'ài scritto una gran bibbia per picola cosa: che non è altro che darmi noia. De' danari, de' danari[179] che mi scrivi quello che n'avete a fare, consigliatevene tra voi e spendetegli in quello che v'è più bisognio. Altro non m'acade, nè ò anche tempo da scrivere.
Michelagniolo in Roma.
(Di mano di Lionardo.)
1546, di Roma, a dì 9 di settembre: de' dì 4 detto.
[196]
Archivio Buonarroti. Di Roma, (13 di novembre 1546).
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Io non t'ò scritto, poichè tu m'avisasti della pratica che tu avevi circa al far bottega. Io ti dico, che tu non abbi fretta: e quando tu indugiassi ancora uno anno, non credo che fussi mal nessuno, avendo da vivere. Io ò pensato a questi dì, che e' sare' bene comperare una casa costà onorevole di mille cinquecento scudi vel circa, o più se più bisogniassi; perchè quella ove state, avendo tu a tôrre donna, non è capace, e ancora perch'io son vechio, dar luogo a questi danari: sì che cerca e avisa.
Ò ricevuto a questi dì una lettera della Francesca: vorrei che tu andassi a dirgli che io farò quanto mi scrive, e che io, benchè non gli scriva, non ò però dimenticato nè Michele nè lei; ma sono in troppe ocupazione e non ò tempo da scrivere. Racomandami a Michele e a lei.
Michelagniolo in Roma.
(D'altra mano.)
Datela bene Ser Olivieri.
(Di mano di Lionardo.)
Di Roma, 1546. Riceuta addì 20 di novembre: de' dì 13 detto.
[197]
Archivio Buonarroti. Di Roma, (4 di dicembre 1546).
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Io ò ricevuto sedici marzolini, e quattro iuli pagato al mulattiere. Tu debbi aver ricevuta la lettera che ti scrissi del comperare una casa onorevole, e ora, mentre che scrivo, m'è stata portata una tua della ricevuta di detta, dove mi di' che anderai a vicitare Michele e la Francesca e farai l'ambasciata: e racomandami a loro. Circa il comperare la casa, io vi raffermo il medesimo, cioè che cerchiate di comperare una casa che sia onorevole, di mille cinquecento o dumila scudi e che sia nel Quartier nostro,[180] se si può; e io, súbito che àrete trovato cosa al proposito, farò pagare costà i danari. Io dico questo, perchè una casa onorevole nella città fa onore assai, perchè si vede più che non fanno le possessione, e perchè noi siàn pure cittadini discesi di nobilissima stirpe. Mi son sempre ingegniato di risucitar la casa nostra, ma non ò avuto frategli da ciò. Però ingegniatevi di fare quello che io vi scrivo, e che Gismondo torni abitare in Firenze, acciò che con tanta mia vergognia non si dica più qua, che io ò un fratello che a Settigniano va dietro a' buoi: e quando àrete compera la casa, ancora si comperrà dell'altre cose.
Un dì che io abi tempo, v'aviserò dell'origine nostra e donde venimo e quando a Firenze,[181] che forse nol sapete voi; però non si vuol tôrsi quello che Dio ci à dato.
Michelagniolo Buonarroti in Roma.
(D'altra mano.)
Messer Giovanni Olivieri di grazia fàtela dare.
(Di mano di Lionardo.)
1546, di Roma, addì 11 di dicembre: del dì 4 detto.
[198]
Museo Britannico. Di Roma, ( di dicembre 1546).
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — E' mi venne alle mani circa un anno fa un libro scritto a mano di cronache fiorentine, dove trovai circa dugento anni fa, se ben mi ricordo, un Buonarroto Simoni più volte de' Signori, dipoi un Simone Buonarroti, dipoi un Michele di Buonarroto Simoni, dipoi un Francesco Buonarroti. Non vi trovai Lionardo, che fu de' Signori, padre di Lodovico nostro padre, perchè non veniva tanto in qua. Però a me pare che tu ti scriva Lionardo di Buonarroto Buonarroti Simoni. Del resto della risposta alla tua non acade, perchè non ài ancora inteso niente della cosa ti scrissi, nè della casa.
Michelagniolo in Roma.
[199]
Archivio Buonarroti. Di Roma, (22 di gennaio 1547).
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Intendo per la tua come ài messo un mezano overo sensale per conto della casa de' Buondelmonti, e come intendi che la spesa è 2400 scudi. Di così mi scrivesti per l'altra. Parmi un gran numero di danari, e non credo se cercon di vendere, che in questi tempi gli truovino di contanti, come farei io. Però tu anderai intendendo e avisera'mi, e in questo mezo potrai cercare d'altro; e come ti scrissi nel Quartier nostro mi piacerebbe; ma l'empiersi le vôlte d'acqua, non mi pare di poca importanza. Circa il cominciare a mandare costà danari, vorrei mandargli per la via usata, come a tempo di messer Luigi,[183] cioè che e' vi fussino pagati costà da' Capponi, e sapere a chi io gli ò a dare qua; però se lo puoi intendere da' detti Capponi, avisa, perchè comincierò[184] a poco a poco i danari per detta casa.
Michelagniolo in Roma.
(D'altra mano.)
Ser Olivieri date súbito ch'è di amico e importa.
(Di mano di Lionardo.)
1546, di Roma, addì 27 di gennaio: de' dì 22 detto.
[200]
Archivio Buonarroti. Di Roma, 11 di febbraio 1547.
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Io ò portato oggi adì 11 di febbraio 1546 scudi cinquecento d'oro in oro a messer Bindo Altoviti, che tanti ne facci pagar costà; e così vi saranno pagati da' Capponi. Però in questa sarà la lettera del cambio. Andrete tu e Gismondo per essi, e fate la ricievuta che stia bene; cioè che tanti n'ò dati qua di contanti: e màndami la copia: e quando mi scrivi, adirizza le lettere a messere Girolamo Ubaldini: e se tenete danari in casa, l'una mana non si fidi de l'altra, perchè è grandissimo pericolo. Circa il comperare la casa, non andate dietro a chi non vuol vendere, perchè non vagliono manco i danari che le case: se non quella, un'altra.
Michelagniolo Buonarroti in Roma.
(Di mano di Lionardo.)
1546, di Roma, addì 17 di febraio: de' dì 11 detto.
[201]
Archivio Buonarroti. Di Roma, 5 di marzo 1547.
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Io ò inteso per l'ultima tua come ài ricievuti i cinquecento scudi che ti mandai, e la copia della quitanza: e stamani a dì cinque di marzo 1546 ò portati a messer Bindo Altoviti altri cinquecento scudi d'oro in oro, che te gli facci medesimamente pagare costà da' Capponi o a te o a Gismondo o amendua voi: e in questa sarà la lettera del cambio. Però anderete per essi: e fa' la quitanza che stia bene e màndami la copia: e quando àrete comperata la casa, vi manderò quello che mancherà, secondo che m'aviserete. Quello ch'i' fo, è solo perchè avendo tu a tôr donna, la casa ove state non mi pare al proposito. A questo lascierò pensare a te e a' mia frategli; però quando sia vòlto a simil cosa, fàmelo intendere e dove, acciò possa dire il parer mio: e credo sare' bene, perchè morendo senza reda, ogni cosa ne va allo Spedale. Altro non m'acade. Racomandami al prete.
Michelagniolo Buonarroti in Roma.
(Di mano di Lionardo.)
1546, di Roma, addì 10 di marzo: de' dì 5 detto riceuta.
[202]
Museo Britannico. Di Roma, ( di marzo 1547).
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Io ò avuto la quitanza degli scudi che avete ricevuti da' Capponi per quegli che contai qui agli Altoviti, e sòmi maravigliato che Gismondo nè per questi ultimi nè pe' primi sie venuto teco per essi, perchè ciò che io mando,[185] non manco per loro che per te; e tu mi scrivi che mi ringrazi del bene che io ti fo, e à'mi a scrivere: noi vi ringraziamo del bene che voi ci fate. Con quelle medesime condizione che io ti scrissi, quando ti mandai i danari per porre in sur una bottega, t'ò mandato questi, ciò è che tu non faccia niente senza il consenso de' mia frategli. Circa il comperare casa, io te l'ò scritto, perchè quando ti paia di tôr donna, come mi par necessario, la casa ove state non è capace del bisognio, e non trovando voi da comperare cosa al proposito, penso dove siate in via Ghibellina vi potessi allargare, ciò è finire i becategli della casa insino in sul canto e rivoltargli per l'altra strada, comperando la casetta che v'è sotto, se fussi abastanza. Pure quando troviate da fare una compera sicura e onorevole, mi pare che sarà meglio; e io vi manderò quello che mancherà. Circa il tôr donna, qua me n'è stato parlato da più persone; qual m'è piaciuta e qual no. Stimo che ancora ne sia stato parlato a te. Però se se' vòlto a ciò, avisami; e se ài fantasia più a una che a un'altra: e io ti dirò il parer mio. Altro non m'acade.
Michelagniolo Buonarroti in Roma.
[203]
Museo Britannico. Di Roma, (1547).
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — L'apportatore di questa sarà uno scarpellino da Settigniano che à nome Iacopo, il quale dice che vuole vendere certe terre vicine a noi, luogo detto Fraschetta. Però dillo a Gismondo, e vedete che cose sono; e quando sia bene il comperarle e che e' vi sia buon sodo, che e' non si comperi un piato, avisatemi, e della spesa; e quando non sia molto grande, vi manderò i danari. Circa della compera della casa, non credo che abiate poi fatto altro. Di quell'altra cosa[186] te n'ài a contentar tu: basta a me che tu me n'avisi prima. Altro non m'acade.
Michelagniolo in Roma.
[204]
Museo Britannico. Di Roma, (1547).
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Io ò inteso per le vostre, del podere del Fraschetta: basta, non bisognia più pensarvi. Tu mi scrivi che la casa della via de' Servi s'è venduta allo incanto e che la non era a ogni modo al proposito: e pur par che vi fussi piaciuta prima, secondo mi scrivesti; ma se è venduta, sia pel meglio. Di quella di Giovanni Corsi, di che ora mi scrivi, intendo di quella che è in sul canto della piazza di Santa Croce, riscontro la casa degli Orlandini, la quale a me piace, se piace a voi: ma dubiterei forte del sodo quando si vendessi: però vendendosi e facendo noi disegnio di comperarla, bisognia aprir ben gli ochi. Se è in vendita, avisatemi di quel se ne domanda. Io so che è casa antica, e credo che dentro sia molto mal composta. Ò ricievuto una soma di trebbiano, manco sei fiaschi, di quaranta quattro; tre rotti e tre n'è restati a la dogana, e dieci n'ò mandati al Papa. Dio voglia che e' riesca buono. Altro non m'acade. Racomandami al Guicciardino, a la Francesca e a messer Giovan Francesco.
Michelagniolo in Roma.
[205]
Museo Britannico. Di Roma, ( di settembre 1547).
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Stasera al tardi ò una tua lettera, e ò poco tempo da scrivere. Circa la casa de' Corsi, mi fu detto l'altra volta che me ne scrivesti, che v'era un vicino rico che era per tôrla, e non la togliendo, dubito non sia cosa pericolosa: però aprite gli ochi, che non comperiate qualche piato. Del resto se vi piace, per gusto prezzo pigliatela, se la potete avere. Circa la limosina a me basta esser certo che l'abiate fatta, e basta aver la ricievuta dal Munistero, e di me non avete a far menzione nessuna. Del bambino del Guicciardino n'ò avuto quella passione che se fussi mio figliuolo: confortagli a pazienzia e racomandami a loro. A messer Giovan Francesco mi racomanda e ringrazialo e digli, che s'io non fo verso di lui il debito, che m'abi per iscusato, perchè sono in troppe noie e massimo ora che ò perduto il porto,[187] resto a vivere in su' danari sechi.[188] Idio ci aiuti. Altro non mi acade. Di' a messer Giovan Francesco che mi racomandi al Bugiardino,[189] se è vivo.
Michelagniolo Buonarroti in Roma.
[206]
Museo Britannico. Di Roma, (1547).
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Circa la casa de' Corsi, tu mi scrivi che la vendita non sarà così presta per rispetto dell'avervi a murare, e che per ora ti parrebe d'atendere alla bottega, e che ài trovato uno da far compagnia seco. A me pare, che se la detta casa à il guscio delle mura di fuori sano, e che e' vi sia buon sodo, che la si debba tôrre, per dar luogo a que' danari. El di dentro si può poi aconciare a poco a poco. Dipoi comperata detta casa, ti resta tanto che tu potrai bene acompagniarti a bottega, benchè non mi par che sien tempi da mettere danari in aria: e non truovo che a Firenze sien durate le famiglie, se non per forza di cose stabile: però cònsigliati meglio: e ciò che farete, farete per voi. Circa la limosina, mi pare che tu la stracuri troppo: se tu non dài del mio per l'anima di tuo padre, manco daresti del tuo. A messer Giovan Francesco racomandami e ringrazialo e digli che circa al darti donna, che io aspetto un amico mio che non è in Roma, che mi vuol mettere inanzi tre o quatro cose: e io ve n'aviserò; e vedrem se vi sarà cosa per noi.
Michelagniolo Buonarroti in Roma.
[207]
Museo Britannico. Di Roma, (1547).
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Per quel ch'io intendo per l'ultima tua della casa de' Corsi, a me pare che vi sia poco del buono e assai del cattivo: e queste case vechie, se non se n'à un gran mercato, mi par che non s'abino a tôrre; perchè come si comincia a volerle rassettare, si truova tuttavia più cattiva materia, in modo che sare' meglio farne una tutta di nuovo: e ancora mi dispiace, per non esser casa sana per rispetto de l'umidezza del terreno. Penso che peggio sia la vôlta; di che non mi scrivi niente, e secondo mi scrivi, solo il sodo è cosa buona. Del prezzo tu mi di' mille secento fiorini: io non intendo che fiorini; ma come si sieno, io credo che vi si spendere' più che la non si comperassi a restaurarla. Nondimeno sendo in luogo onorevole, io non vi dico però resolutamente che voi non la togliate, e massimo se v'è buon sodo, come mi scrivi. Però consigliatevi bene, e quello che farete, riputerò che sia sempre il meglio; perchè tener danari è cosa pericolosa. Altro non m'acade, se non che quand'e' pur siate vòlti al tôrla, fatela ben vedere e tirate il prezzo basso il più che potete.
Michelagniolo Buonarroti in Roma.
[208]
Museo Britannico. Di Roma, (1547).
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Io ti scrissi circa il tôr donna: che t'avisai di tre che m'era stato parlato qua, l'una è una figluola d'Alamanno de' Medici, l'altra figluola di Domenico Gugni, e l'altra figluola di Cherubin Fortini. Io none conosco nessuno di questi: però non te ne posso dir nè ben nè male, nè consigliarti più dell'una che dell'altra. Però se Michele Guicciardini volessi durarci un poco di fatica, potrebbe intender che cose sono e darcene aviso; e così se avessi notizia d'altro. Però prièganelo da mia parte e racomandami a lui. Circa il comperar casa, a me pare che innanzi al tôr donna sia cosa necessaria, perchè quella dove state so che non è capace. Però quando me ne scrivi, fa' ch'i' possa intendere le lette[190] se vuoi ch'i' ti risponda del parer mio. Messer Giovan Francesco ancora circa a questi casi potrebbe dar qualche buon consiglio, perchè è pratico e vechio: racomandami a lui. Ma sopra tutto bisognia il consiglio di Dio, perchè è gran partito: e ricòrdoti ancora che dalla moglie al marito almen vuole esser sempre dieci anni di differenzia, e aver cura che oltre alla bontà sia sana. Altro non ò che dire.
Michelagniolo in Roma.
[209]
Museo Britannico. Di Roma, (1547).
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Io ò ricievuti quattordici marzolini, e dicoti quello che altre volte t'ò scritto, che non mi mandi niente, se io non te lo fo intendere.
Circa la casa de' Corsi i' dubito che 'l mostrare che altri la voglia non sia per farti saltare. A me pare che detta casa, sendo dentro come è, che l'oferta che ài fatta stia bene: però statevi un poco a vedere.
Circa l'altra casa che tu di' verso il canto agli Alberti, mi par troppa spesa a la grandezza e al non essere anche finita: pure io dico che non posso far giudicio delle cose che io ne son sì lontano; e così ti rispondo ancora del far bottega; che la non è mia professione e non te ne so parlare. Il bene e 'l male che voi farete, à esser vostro.
Io ti scrissi circa il tôr donna di tre, di che m'è stato parlato qua: non ti consiglio di nessuna, perchè non ò notizia de' cittadini fiorentini. El Guicciardino in simil casi ti potrà aiutare. Racomandami a lui e a la Francesca.
Michelagniolo Buonarroti in Roma.
[210]
Museo Britannico. Di Roma, (1547).
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Io ò la ricevuta della limosina, che mi piace. Circa la casa de' Corsi se e' v'è vicini che la voglino, lasciala lor pigliare, e di' che tu non vuoi dar noia a persona, e statti a vedere e aspetta d'esserne pregato. A messer Giovan Francesco racomandami e ringrazialo da mia parte, perchè gli son molto obrigato; e digli che quell'uomo da bene che gli rispose che io non ero uomo di Stato, non può esser se non gentile e discreto, perchè disse il vero: che tal pensiero mi dessino le cose di Roma, che quelle degli Stati!
D'un'altra casa che tu mi scrivi, la lettera per non la potere intendere, non ti posso anche rispondere: io non ò mai lettera da te che non mi venga la febre inanzi che io la possi leggiere: io non so dove tu t'ài imparato a scrivere. Poco amore!
Michelagniolo in Roma.
[211]
Museo Britannico. Di Roma, ( di luglio 1547).
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Io intendo per l'ultima tua circa il comperar della casa, come Giovanni Corsi è morto, e come non sai che se ne faranno le rede della casa sua; e ancora mi scrivi che credi che quella di Zanobi Buondelmonti si venderà: e a me non piacere' manco che quella de' Corsi; ma qual si possa aver de l'una delle dua, a me pare che la si debba pigliare e non guardare in cento scudi, pur che con ogni diligenzia si cerchi buon sodo: e questo mi par da far più presto che si può, perchè avendo o volendo tu tôr donna, per ogni rispetto fa più per te tôrla, mentre son vivo, che dopo la morte mia. Io per finire di mandarvi i danari, che io stimo che possa mancare a la valuta d'una di dette case, comincierò forse di quest'altra settimana a mandarvi qualche scudo; e perchè nella tua mi mandi una lettera di qualche limosina, darai di quel che vi manderò a quella donna quello che ti parrà. Altro non m'acade. Racomandami al Guicciardino e a la Francesca. A messer Giovan Francesco ancora mi racomanda e fa' mie scusa, che se non fo il debito mio, è che io sono in troppo afanno.
Michelagniolo in Roma.
[191]Vorrei che per mezzo di messer Giovan Francesco tu avessi l'altezza della cupola di Santa Maria del Fiore, da dove comincia la lanterna insino in terra, e poi l'altezza di tutta la lanterna, e màndassimela: e màndami segniato in su la lettera un terzo del braccio fiorentino.
[212]
Museo Britannico. Di Roma, 6 d'agosto 1547.
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Io mando cinque cento cinquanta scudi d'oro in oro, che così ò conti qui a messer Bartolomeo Bettini. Tu ài andare per essi a' Salviati, come dice la poliza che sarà in questa. Farete la quitanza che stia bene, ciò è per tanti che n'à ricievuti qui di contanti detto messer Bartolomeo in Roma; e màndamene la copia. I detti cinque cento scudi io ve gli mando per conto di quegli che mancheranno a mille che vi mandai per la compera della casa; e di quello che ancora mancherà per detta compera, ve gli manderò quando me n'aviserete. De' cinquanta scudi dànne quattro o sei a quella donna, di chi mi mandasti una lettera per la ultima tua, se ti pare; del resto, per insino in cinquanta, quando mi manderai la ricevuta, io t'aviserò quello voglio che se ne facci. A dì sei d'agosto 1547.
Michelagniolo in Roma.
[213]
Museo Britannico. Di Roma, ( d'agosto 1547).
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Io ò per la tua la ricievuta de' cinque cento cinquanta scudi d'oro in oro, com'io contai qua al Bettino. Tu mi scrivi che ne darai quattro a quella donna per l'amor de Dio: che mi piace: el resto per insino in cinquanta ancora voglio che si dieno per l'amore di Dio, parte per l'anima di Buonarroto tuo padre e parte per la mia. Però vedi d'intendere di qualche cittadino bisognioso che abbi fanciulle o da maritare o da mettere in munistero, e dàgniene, ma secretamente, e abi cura di non essere gabbato, e fàttene far ricievuta e màndamela, perchè io parlo de' cittadini e che io so che a' bisogni si vergogniono andare mendicando. Circa il tôr moglie, io ti dico che non ti posso dare[192] più una che un'altra, perchè è tanto che io non fui costà, che io non posso sapere in che condizione vi sieno i cittadini: però bisognia vi pensiate da voi: e quando àrete trovato cosa che vi piacia, àrò ben caro averne aviso.
Tu mi mandasti un braccio d'ottone, come se io fussi muratore o legnaiuolo che l'abbi a portare meco. Mi vergogniai d'averlo in casa e dèttilo via.
La Francesca mi scrive che non è ben sana e che à quattro figluoli e che è in molti afanni del none esser ben sana. Me ne sa male assai: dell'altre cose, io non credo che gli manchi niente. Circa gli afanni, io credo averne molti più di lei e òvi aggunto la vechiezza e non ò tempo da intrattenere parenti: però confortala a pazienzia da mia parte e racomandami al Guicciardino.
De' danari che io v'ò mandati, vi consiglio a spendergli in qualche cosa buona o possessione o altro, perchè è gran pericolo a tenergli, e massimo oggi. Però fate di dormire con gli ochi aperti.
Michelagniolo Buonarroti in Roma.
[214]
Museo Britannico. Di Roma, (17 di dicembre 1547).
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Intendo per la tua d'un piato che n'è stato mosso di certe terre a Settigniano, e che io vi mandi una procura che voi possiate difenderle. La procura sarà in questa, e credo che bisogni che io vi mandi un libro di contratti che io feci fare in forma propia a ser Giovanni da Romena, che mi costò diciotto ducati; dove non può essere che e' non vi sia il contratto di dette terre; e con esso libro manderò più contratti e retificagione e altre scritture che importano ciò ch'io ò al mondo. Però vorrei che tu trovassi un vetturale fidato, e che tu lo mandassi a me quando viene a Roma; e io gli darò un fardello delle dette scritture, il qual sarà circa venti libre; e vorrei che tu facessi seco patti e non guardassi in un mezzo scudo, acciò che te le porti a salvamento: e digli che quando porterà la tua lettera della ricievuta, che ancora io gli donerò qualche cosa. Della bottega, el Guicciardino mi scrive che tu l'ài pregato ch'egli entri a compagnia; e tu mi scrivi che se' stato pregato: sie come si vuole, pur che facciate cose chiare, perchè siàn poveri d'amici e parenti, e non c'è il modo a combattere. Del nome della casa io vi metterei quel Simone a ogni modo,[193] e se è troppo lungo, chi nol può leggere, lo lasci stare.[194]
[215]
Museo Britannico. Di Roma, 24 di dicembre 1547.
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Tu mi scrivi che siate stati citati per conto del Monte che sta per sodo del podere che io comperai da Pier Tedaldi, che ne voglion comperare terre che stien pure pel medesimo sodo, e che voi non potete consentire a questo senza mia licenzia. Io vi do licenzia che voi facciate tanto quanto vi pare che sia bene, quant'e' farei io se fussi costà. Della settimana passata ti mandai la procura che mi chiedesti, e scrissiti che tu trovassi un vetturale fidato, e che quando e' venissi a Roma, tu lo mandassi a me con una tua lettera, perchè gli voglio dare uno fardelletto di scritture che sarà circa venti libre, nel quale sarà un libro di contratti che feci fare a ser Giovanni da Romena, con altri contratti e scritture di grandissima importanza. Però fa' il mercato costà col vetturale e non guardare in un mezzo scudo e pagera'lo costà, acciò che lo porti più fedelmente. Altro non m'acade. A dì venti quattro di dicembre 1547.
Michelagniolo Buonarroti in Roma.
[216]
Museo Britannico. Di Roma, (6 di gennaio 1548).
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Egli è stato oggi a me con una tua lettera uno che dice che è figliuolo di Lorenzo del Cione vetturale, per il fardello de' contratti che io scrissi di mandarti. Io non lo conosco, ma credendo che e' sia quello che tu mi mandi per essi, gniene do, e pure con sospetto, perchè è cosa che 'mporta assai. Alla ricievuta mi scriverrai per il medesimo e io gli donerò qualche cosa, come ti scrissi. Io l'ò messo in una scatola e rinvóltola bene doppiamente in panno incerato, in modo è ammagliato, in modo che l'aqqua non gli può far danno. Altro non ò che dire. A dì non so, ma oggi è Befania.
Nel libro de' contratti v'è una lettera del conte Alessandro da Canossa,[195] che io ò trovato in casa a questi dì; il quale mi venne già a visitare a Roma come parente. Àbine cura.
Michelagniolo Buonarroti in Roma.
[217]
Museo Britannico. Di Roma, (16 di gennaio 1548).
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Io ò per l'ultima tua la morte di Giovansimone.[197] N'ò avuto grandissima passione, perchè speravo, benchè io sia vechio, vederlo inanzi ch'e' morissi, e inanzi che morissi io: è piaciuto così a Dio: pazienzia! Àrei caro intendere particularmente che morte à fatta, e se è morto confessato e comunicato con tutte le cose ordinate dalla Chiesa; perchè quando l'abbia avute, e che io il sappi, n'àrò manco passione.
Circa le scritture e' libro de' contratti che io ti scrissi che tu mandassi il mulattiere per essi, io le dètti a quello che venne con la tua lettera, e fu el dì di Befania, se ben mi ricordo, che credo che sieno oggi dieci dì; e dèttigniene in una scatola grande rinvolta in panno incerato, amagliata e bene aconcia: però cerca d'averla e avisami della ricievuta, perchè importa assai. Altro non ti posso dir per questa, perchè ò ricievuta la lettera tardi e non ò tempo da scrivere. Racomandami al Guicciardino e a la Francesca e a messer Giovanfrancesco.
Michelagniolo Buonarroti in Roma.
[218]
Museo Britannico. Di Roma, ( di gennaio 1548).
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Io ò per la tua la ricievuta della scatola co' libro de' contratti, e come a tempo: e così pensavo che bisogniassi. Della casa de' Corsi mi pare da stare a vedere più che si può, per non essere fatto saltare. Della compagnia non acade che mi mandi copia, perchè non me ne intendo. Se tu farai bene, tu farai per te.
Circa la morte di Giovansimone, di che mi scrivi, tu la passi molto leggiermente, perchè non mi dài aviso più particolare d'ogni cosa e di quello che gli à lasciato. Io ti ricordo che gli era mio fratello, e come e' si fussi, e' non è che non mi dolga, e voglia che e' si facci del bene per l'anima sua, com'io ò fatto per l'anima di tuo padre: sì che guarda a non essere ingrato di quello ch'è stato fatto per te, che non avevi nulla al mondo. Mi meraviglio di Gismondo che non me n'abbi scritto niente, perchè toca a lui come a me; e a te toca quello che noi vogliàno e non più niente.
Michelagniolo in Roma.
[219]
Museo Britannico. Di Roma, ( del febbraio 1548).
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Poi che ultimamente io t'ebbi scritto, trovai una lettera in casa, dove m'avisi di tutto quello che s'è trovato di Giovansimone. Dipoi n'ò un'altra che m'avisa particularmente della morte che à fatta: di quello che è restato del suo, me ne potevi dare aviso per la prima, che io non l'avessi a sapere da altri prima che da te, com'io n'ebbi: però n'ebbi sdegnio grandissimo. Della morte, mi scrivi, che se bene non à avuto tutte le cose ordinate dalla Chiesa, che pure à avuto buona contrizione: e questa per la salute basta, se così è. Di quello che à lasciato, secondo la ragione n'è reda Gismondo, non avendo fatto testamento: e di questo io vi dico che voi ne facciate quel bene che voi potete per l'anima sua, e non abbiate rispetto a' danari, perchè io non vi mancherò di quello che farete. Circa e' contratti e le scritture che io vi mandai, riguardatele con diligenzia, perchè ancora potrebbero bisogniare. Della casa de' Corsi a me pare che tu stia in su l'oferta che tu ài fatta, perchè se la vorranno vendere, sendo come m'ài scritto, non credo che ne truovi più ne' tempi che siàno. Altro non m'acade.
Michelagniolo Buonarroti in Roma.
[220]
Museo Britannico. Di Roma, (23 di febbraio 1548).
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Io ti scrissi come avevo dipoi ricievuto una tua di tutto quello che aveva lasciato Giovansimone, e di tutto, secondo la ragione, n'à a essere reda Gismondo; e così gli fate quel bene a l'anima che potete, e io ancora non mancherò. Per tôr moglie, io t'avisai di tre, di che m'era stato parlato qua; no' me n'ài risposto niente: a te sta il tôrla o non la tôrre, o più una che un'altra, pur che sia nobile e bene allevata, e più presto senza dota che con assai dota, per poter vivere in pace. Altro no' mi acade. Ringrazia la Francesca e confòrtala a pazienzia, e racomandami a Michele e a lei.
Michelagniolo Buonarroti in Roma.
[221]
Museo Britannico. Di Roma, ( del marzo 1548).
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Io ò caro che tu m'abbi avisato del bando,[198] perchè se mi sono guardato insino a ora del parlare e praticare con fuorusciti, mi guarderò molto più per l'avenire. Circa l'essere stato amalato in casa gli Strozzi,[199] io non tengo d'essere stato in casa loro, ma in camera di messer Luigi del Riccio, il quale era molto mio amico, e poi che morì Bartolomeo Angelini, non ò trovato uomo per fare le mia faciende meglio di lui, nè più fedelmente; e poi che morì, in detta casa non ò più praticato, come ne può far testimonanzia tutta Roma, e di che sorte sia la vita mia, perchè sto sempre solo, vo poco attorno e non parlo a persona e massimo di Fiorentini; e s'io son salutato per la via, non posso fare ch'i' non risponda con buone parole; e passo via: e se io avessi notizia quali sono e' fuoriusciti, io non risponderei in modo nessuno: e come ò detto, da qui inanzi mi guarderò molto bene, e massimo che io ò tanti altri pensieri, che io ò fatica di vivere.
Circa il far bottega, fate quello che a voi par di far bene, perchè non è mia professione e none posso dar buon consiglio; solo vi dico questo, che se voi mandate male i danari che avete, che voi non siate più per rifarvi.
Michelagniolo in Roma.
[222]
Archivio Buonarroti. Di Roma, 7 d'aprile 1548.
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Io non ò risposto prima a l'ultima tua, perchè non ò potuto. Circa al tôr donna, tu di' che ti par da lasciar passare questa state: se a te pare, pare ancora a me. Dell'andare a Loreto dell'andare a Loreto[200] per tuo padre, se e' fu boto, mi pare da sodisfarlo a ogni modo; se gli è per bene che tu voglia far per l'anima sua, io darei più presto quello che tu spenderesti per la via, costà per l'amor di Dio, per lui, che fare altrimenti: perchè portar danari a' preti, Dio sa quel che ne fanno; e ancora il perder tempo, facendo bottega, non mi pare a proposito. Però e' ti bisognia, se tu ne vuoi far bene, stare in grandissima servitù, e por da canto i pensieri della giovanezza. Altro non m'acade. Circa la casa de' Corsi, vorre' sapere se ma' poi te n'è stato parlato. Racomandami al prete, al Guicciardino e a la Francesca.
A dì 7 d'aprile 1548.
Michelagniolo in Roma.
(Di mano di Lionardo.)
1548, di Roma, addì 11 d'aprile: de' dì 7 detto.
[223]
Archivio Buonarroti. Di Roma, 14 d'aprile 1548.
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Io ò con una tua la copia della scritta della Compagnia dell'arte della lana che avete fatta. Non acadeva, perchè non me ne intendo. Credo che l'abbiate considerata bene e che la stia bene: e così piaccia a Dio. Della cosa che mi scrivi da Santa Caterina, fate quello che pare a voi, pur che facciate cose chiare, che e' non s'abbi a combattere. Della casa de' Tornabuoni, è vero che è fuor del nostro Quartiere, pure il prezzo e l'esser sicuro potrebbe aconciare ogni cosa: però àvisamene. Altro non m'acade. Vorrei che mi mandassi la mia natività,[201] come mi mandasti un'altra volta, appunto come sta in su libro di nostro padre, perchè l'ò perduta. Adì 14 d'aprile 1548.
Michelagniolo Buonarroti in Roma.
(Di mano di Lionardo.)
1548, di Roma, addì 19 d'aprile: de' dì 14 detto.
[224]
Archivio Buonarroti. Di Roma, (28 d'aprile 1548).
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Io rifiuto la redità di Giovansimone, e in questa ne sarà il contratto. Circa la casa della via de' Servi, o d'altra, io vi do licenzia che voi facciate tutto quello che vi pare il meglio e a posta vostra, purchè abiate buone sicurtà e togliate cosa onorevole e non guardate in danari. A messer Giovan Francesco mi racomanda e digli, che poi che e' mi s'è offerto di far fare a Bernardo Bini quella fede che io gli ò chiesta, per via di contratto; che io l'àrò molto cara e farammi grandissimo piacere: e tu pagerai il contratto che sarà picola cosa e màndamela, e ringràzialo e racomandami a lui.
Michelagniolo Buonarroti in Roma.
(Di mano di Lionardo.)
1548. Di Roma, riceuta addì 4 di magio: de' dì 28 paxato.
[225]
Archivio Buonarroti. Di Roma, (2 di maggio 1548).
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Io ebbi il caratello delle pere che furono ottantasei; manda'ne trentatre al Papa: parvo'gli belle e èbele molto care. Del caratello del cacio, la Dogana dice che quel vetturale è un tristo, e che in dogana non lo portò; in modo che, com'io posso sapere che e' sia a Roma, io gli farò quello che merita, non per conto del cacio, ma per insegniarli far poca stima degli uomini. Io sono stato a questi dì molto male per non potere orinare, perchè ne son forte difettoso; pure adesso sto meglio: io te lo scrivo, perchè qualche cicalone non ti scriva mille bugie per farti saltare. Al prete di' che non mi scriva più a Michelagnolo scultore, perchè io non ci son conosciuto se non per Michelagniolo Buonarroti, e che se un cittadino fiorentino vuol far dipigniere una tavola da altare, che bisognia che e' truovi un dipintore: che io non fu' mai pittore nè scultore, come chi ne fa bottega. Sempre me ne son guardato per l'onore di mie padre e de' mia frategli, ben io abbi servito tre Papi: che è stato forza. Altro non acade. Per l'ultima del passato àrai inteso l'openione mio circa la donna. Di questi versi ch'i' ò scritti del prete, non gniene dir niente, ch'i' vo' mostrar di non avere avuto la sua lettera.
Michelagniolo Buonarroti in Roma.
(Di mano di Lionardo.)
1548. Di Roma, addì 7 di magio: de' dì 2 deto.
[226]
Archivio Buonarroti. Di Roma, 12 di maggio 1548.
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Io v'ò scritto più volte della casa e delle terre da Santa Caterina e d'ogni altra cosa, che voi facciate quello che pare a voi; dico circa il comperare, pur che d'ogni cosa v'assicuriate in modo che e' non s'abbi a piatire. Ricòrdovi che le terre che io comperai da Santa Caterina, le comperai libere e così l'ò tenute in sino a oggi; che voi non le sottomettessi a tanto l'anno, come quelle che volete comperare: però fate destinzione dall'una parte a l'altra. Altro non m'acade. Ringrazia messer Giovan Francesco, perchè mi fa gran piacere, benchè e' none importi molto. Abbi cura grandissima d'ogni picola cosa delle scritture della scatola che io ti mandai, perchè importano assai. A dì dodici di maggio 1548.
Michelagniolo Buonarroti in Roma.
(Di mano di Lionardo.)
1548, di Roma, addì 16 di magio: de' dì 12 detto.
[227]
Archivio Buonarroti. Di Roma, ( di giugno 1548).
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Io ò ricievuto una soma di trebbiano e òlla avuta cara; nondimeno io ti dico, che tu non mi mandi più cosa nessuna, se io non te la mando a chiedere, perchè ti manderò i danari di quello che vorrò. Circa la bottega àrei caro m'avisassi come ti riescie. Altro non ò che dire. Racomandami al Guicciardino e alla Francesca e a messer Giovan Francesco.
Michelagniolo in Roma.
(Di mano di Lionardo.)
1548, di Roma, addì.... di giugno: de' dì.... detto.
[228]
Archivio Buonarroti. Di Roma, (28 di luglio 1548).
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Tu mi scrivi come se' ricerco che comperi la casa de' Buondelmonti e con che patti; io ti rispondo che la casa mi piace, ma 'l modo del comperarla non mi pare altro che prestarvi su danari: però io licenzierei chi te la mette inanzi, perchè comperare una casa e non sapere se l'uomo se l'à a tenere o sì o no, mi pare una pazzia. Altro non m'acade. Racomandami al Guicciardino e alla Francesca.
Michelagniolo in Roma.
(Di mano di Lionardo.)
1548, di Roma, addì 2 d'agosto: de' dì 28 paxato.
[229]
Archivio Buonarroti. Di Roma, 10 d'agosto 1548.
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Tu mi scrivi che avete per le mani un podere di mille trecento fiorini fuor della Porta al Prato. Se gli è cosa buona, a me pare che voi lo togliate a ogni modo, purchè abiate buon sodo, che e' non s'abbia a combattere: e bisognia aver cura che e' sia in luogo che Arno non gli possa nuocere. Quando si trovassi da fare qualche spesa grossa in una possessione lontana da Firenze dieci o quindici miglia, cioè di tre o quattro mila scudi, io la tôrrei, quando ne potessi aver l'entrata io; perchè, avendo perduto il Porto,[202] m'è di bisognio farmi qualche entrata che non mi possa esser tolta; e più volentieri la farei costà che altrove. Io ti scrivo questo, perchè, quando intendessi di qualche cosa buona o di più o di manco prezzo, me ne dia aviso e non ne fare romore. Altro non m'acade. Saluta tutti da mia parte e racomandami a messer Giovan Francesco. Adì dieci d'agosto 1548.
Michelagniolo in Roma.
(Di mano di Lionardo.)
1548, di Roma, addì 17 d'agosto: de' dì 10 detto.
[230]
Museo Britannico. Di Roma, ( d'agosto 1548).
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — L'ultima tua lettera per non la potere nè sapere leggere, io la gittai in sul fuoco: però io non te ne posso risponder niente. Io t'ò scritto più volte, che ogni volta che io ò una tua lettera, che e' mi vien la febre, inanzi che io impari a leggierla. Però io ti dico, che da qui inanzi tu non mi scriva più, e se tu ài da farmi intender niente, togli uno che sappi scrivere, che io ò il capo a altro che stare a spasimare intorno alle tua lettere. Messer Giovan Francesco mi scrive che tu vorresti venire a Roma per qualche dì: io me ne son maravigliato, perchè avendo tu fatto la compagnia, come m'ài scritto, che tu ti possa partire. Però abbi cura di non gittare via i danari che io v'ò mandati: e similmente ancor Gismondo ne debbe aver cura, perchè chi non gli à guadagniati, non gli conoscie; e questo si vede per isperienza, che la maggior parte di quegli che nascono in richezza, la gitton via e muoion rovinati. Sichè apri gli ochi e pensa e conosci in che miserie e fatiche vivo io, sendo vechio come sono. A questi dì un cittadin fiorentino m'è venuto a parlare d'una fanciulla de' Ginori, della quale mi dice che n'è stato parlato costà a te, e che la ti piace. Io non credo che e' sia vero, e anche non te ne so consigliare, perchè no' n'ò notizia. Ma non mi piace già che tu tôgga per donna una, che se 'l padre avessi da dargli dota conveniente, non te la darebbe. Vorrei che chi ti vuol dar moglie, pensassi di darla a te, non alla roba tua. A me pare che gli abbi a venir da te il non cercar gran dota al tôr moglie, e non da altri volèrtela dare, perchè la non à dota. Però tu ài solo a desiderare la sanità dell'anima e del corpo a la nobiltà del sangue; e de' costumi e che parenti ell'à: che importa assai.
Altro non ò che dire. Racomandami a messer Giovan Francesco.
Michelagniolo Buonarroti in Roma.
[231]
Archivio Buonarroti. Di Roma, 15 di settembre 1548.
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — E' non m'acade scriverti per questa per altro, che per far coverta a una risposta di una di Guliano Bugiardini: però dàgniene; e se non lo conosci, fàttelo insegniar da messer Giovan Francesco. Sono stato un poco di mala voglia per non potere orinare, pure ora sto assai bene. Avisami come la fai circa la bottega, e se uomo che venga di qua ti parlassi di niente da mia parte, non creder se non ne vedi mia lettere. Adì quindici di settembre 1548.
Michelagniolo Buonarroti in Roma.
(Di mano di Lionardo.)
Di Roma, 1548, addì 20 di settembre: de' dì 15 detto.
[232]
Archivio Buonarroti. Di Roma, (20 d'ottobre 1548).
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Intendo per la tua delle possessione che son per vendersi in quel di San Miniato al Tedesco. Io dico che non è paese nessuno nel contado di Firenze che manco mi piaccia, per molti rispetti; pur non di meno non è da mancare d'intendere che cose sono, perchè potrebbono esser tale e tal sodo che e' sarie da pigliarle. Però intendi, ma più segretamente che puoi. Altro non m'acade per ora, e ò poco tempo da scrivere.
Michelagniolo in Roma.
(Di mano di Lionardo.)
1548, di Roma, addì 25 d'ottobre: de' dì 20 detto.
[233]
Archivio Buonarroti. Di Roma, 29 di dicembre 1548.
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — A questi dì m'è stato parlato di nuovo, per conto di darti donna, di dua fanciulle, le quale credo che ancora te ne scrivessi l'anno passato: e queste sono una figluola d'Alamanno de' Medici, l'altra figluola di Cherubino Fortini: in quella de' Medici credo che non sian molti danari e che anche sia troppo attempata. Dell'altra ne so manco parlare; in modo che mal ti posso consigliare più d'una che d'un'altra, perchè n'ò poca notizia: ma ben mi pare che non ci sendo di noi altri che tu, debba tôrla; ma siàno in tempi che per più conti bisognia aprir bene gli ochi: però pènsavi, e quando tu abbi più una fantasia che un'altra, avisami. Tu mi scrivesti circa un mese fa d'una certa possessione: io ò avuto, come t'ò scritto più volte, voglia di fare una entrata costà per poter viver qua senza durar fatica, perchè son vechio e non posso più; ma da un mese in qua me n'è mezzo uscita la voglia. Penserò qualche altro modo da vivere, e spero Dio m'aiuterà. Altro non acade. A' ventinove di dicembre 1548.
Michelagniolo in Roma.
(Di mano di Lionardo.)
1548, di Roma, addì 3 di gennaio: de' dì 29 pasato.
[234]
Archivio Buonarroti. Di Roma, 18 gennaio 1549.
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — La casa che tu mi scrivi, mi par che tu dica che la sia di quegli da Gagliano, e' quali solevano stare nella via del Cocomero, come mi scrivi, a man ritta andando verso San Marco, apresso al canto della piazza di San Nicolò. Se è questa, io no' n'ò notizia nessuna: però cercate di vederla, e se è cosa al proposito e che il luogo vi sodisfaccia, toglietela: e sopratutto bisognia aver cura del sodo e che sia casa onorevole. Circa il tôr donna, io ò inteso come le dua di che ti scrissi, son maritate. Àsi a pensare che non avea a essere: àssi a racomandarsi a Dio e aver fede che Lui t'aparechi cosa al proposito. Io son vechio, come sapete, e perchè ogni ora potrebbe esser l'ultima mia, e avendo qua un certo capitale, benchè non sia gran cosa, non vorrei però che andassi male, perchè l'ò guadagniato con molta fatica: però io ò pensato se a metterlo costà in Santa Maria Nuova fussi sicuro, per tanto se ne pigliassi qualche partito e che ancora a' mia bisogni me ne potessi servire, come per malattie o altre necessità, e che e' non mi fussi tolto. Pàrlane con Gismondo, e avisatemi del vostro parere.
Poi che ebbi scritto, parlando con uno amico mio della casa di quegli da Gagliano, me la lodò molto; se è quella di che mi scrivi, mi pare da tôrla ad ogni modo e non guardare in cento scudi, pur che 'l sodo sia buono: e avisatemi de' danari che bisogniano e a chi io gli ò a dar qua, che e' vi sien pagati. Altro non m'acade.
Michelagniolo Buonarroti in Roma.
A dì diciotto di gennaio 1549.
A messer Giovan Francesco digli che da un mese in qua io sono ito poco attorno, perchè non mi son sentito troppo bene, ma che io troverrò il Bettino che [235] à più pratica in Corte che non ò io, e vedrò che noi insieme gli gioviàno il più che si può. Io ò pochissime pratiche in Roma e non conosco quegli che lo possono servire; e se io richieggo un di questi d'una cosa, per ogniuna richieggon me di mille. Però mi bisognia praticar pochi: pure farò quello che potrò. Racomandami a lui.
(Di mano di Lionardo.)
1548, di Roma, addì 25 di gennaio: de' dì 18 detto.
[236]
Archivio Buonarroti. Di Roma, (25 di gennaio 1549).
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Il cacio che tu m'ai mandato, io ò avuto la lettera, ma non ò già avuto il cacio: credo che 'l mulattiere che l'à portato là l'abbi venduto a qualcun'altro, perchè ò mandato più volte alla Dogana per esso. Detto mulattiere à trovato mille favole e à dato tante parole, che se n'è andato: in modo che io dubito che e' non sia un tristo. Però non mi mandar più niente, che m'è più noia che utile.
Della casa m'avisasti, se è quella di quegli da Gagliano, come risposi a la tua, mi par da tôrla, come ti scrissi, perchè m'è lodata assai. Circa al tôr donna, stamani ò uno aviso di più fanciulle che s'ànno a maritare: credo che sia un sensale quello che scrive, benchè non vi metta il nome suo: e detto aviso te lo mando in questa, acciò se no' n'ài notizia, tu lo intenda, e io per quest'altra ti scriverrò il parer mio, perchè ora non ò tempo. Non mostrare a nessuno ch'io t'abbi mandato il detto aviso.
Michelagniolo Buonarroti in Roma.
(Di mano di Lionardo.)
1548, di Roma, a dì 31 di gennaio: dei dì.... detto.
[237]
Archivio Buonarroti. Di Roma, 1 di febbraio 1549.
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Io ti mandai per l'ultima mia una nota di più fanciulle da marito, la quale mi fu mandata di costà, credo da qualche sensale, e non può esser se non omo di poco giudicio, perchè send'io stato sedici overo diciasette anni fermo a Roma, dovea pur pensare che notizia io possa avere delle famiglie di Firenze.
Però io ti dico, che se tu vuoi tôr donna, che tu non stia a mia bada, perchè non ti posso consigliare del meglio; ma ben ti dico che tu non vadi dietro a' danari, ma solo a la bontà e alla buona fama.
Io credo che in Firenze sia molte famiglie nobile e povere, che sarebbe una limosina a 'mparentassi con loro, quand'e' bene non vi fussi dota; perchè non vi sarebbe anche superbia. Tu ài bisognio d'una che stia teco e che tu gli possa comandare, e che non voglia stare in su le pompe, e andare ogni dì a conviti e a nozze; perchè dove è corte, è facil cosa a diventar puttana, e massimo chi è senza parenti. E non è d'aver rispetto a dire che e' paia che tu ti voglia nobilitare, perchè gli è noto che noi siàno antichi cittadini fiorentini e nobili quant'è ogni altra casa; però racomandati a Dio e prègalo che t'aparechi il bisognio tuo: e io àrò ben caro quando truovi cosa che ti paia il proposito, innanzi che stringa il parentado, me n'avisi.
Circa la casa di che mi scrivesti, io ti risposi che la m'era lodata e che tu no' guardassi in cento scudi.
Ancora m'avisasti di un podere a Monte Spertoli: ti risposi che e' me n'era uscito la voglia, non perchè così fussi, ma per altro rispetto. Ora ti dico che quand'e' tu truovi cosa buona, e che io possa goder l'entrata, che tu me n'avisi; perchè se sarà cosa sicura, io la torrò: e della casa, quando la tolga, avisami [238] de' danari che ò a mandare; e far presto quel che s'à da fare, perch'el tempo è brieve.
Di quello che ti scrissi di Santa Maria Nuova ne sono sconsigliato: però non vi pensate. A dì primo di febbraio 1549.[203]
(Di mano di Lionardo.)
1548, di Roma, a dì 7 di febraio: de' dì primo detto.
[239]
Museo Britannico. Di Roma, 9 di febbraio 1549.
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Io ò mandato Urbino più volte a la Dogana per conto del cacio che mi mandasti. Gli uomini della Dogana dicono che 'l vetturale l'à venduto in su l'osteria, o vero lo lasciò costà, perchè qua non misse in dogana se non cinque carategli di cacio, e' quali la Dogana tutti consegnò a' lor padroni. È forza che detto vetturale sia un gran giottone, perchè in Roma à fuggito Urbino più che gli à potuto, finchè s'è partito. Ma se ci ritorna, tu mi dirai novelle!
Della casa tu mi ài avisato del sodo che non vi sodisfa: io dico che gli è meglio non comperare niente, che comperare un piato. Di Santa Maria Nuova, io resto informato non bisognia più parlarne. Del tôr donna, io ti mandai la nota che ài ricevuto. La lettera fu portata in casa e non so da chi: e quando tu avessi qualche fantasia più d'una che d'un'altra, àrò caro me n'avisi inanzi che facci altro. Altro non m'acade e non ò anche tempo per ora. Adì nove di febbraio 1549.
Michelagniolo Buonarroti in Roma.
[240]
Museo Britannico. Di Roma, 16 di febbraio 1549.
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — In questa sarà una della Francesca, la quale, secondo che mi scrive Michele, sta molto mal contenta. Io la conforto il meglio ch'i' so: però pòrtagniene e racomandami a lei. Della casa e del podere non ò da scriverti altro: e benchè io scrivessi che gli era da far presto, perchè il tempo è breve, non è però da far sì presto, che l'uomo facci qualche errore; e quel che non si può far bene, non si debba fare. Per ora non ò tempo da scrivere altro.
A dì sedici di febraio 1549.
Michelagniolo in Roma.
[241]
Museo Britannico. Di Roma, 21 di febbraio 1549.
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Io t'ò scritto più volte circa il tôr donna, che tu non creda a uomo nessuno che te ne parli da mia parte, se tu non vedi mia lettere. Io di nuovo te lo replico, perchè Bartolomeo Bettini[204] è più d'un anno che cominciò a tentarmi di darti una sua nipote. Io gli ò dato sempre parole. Ora di nuovo m'à ritentato forte per mezzo d'un mio amico. Io ò risposto, che so che tu ti se' vòlto a una che ti piace e che tu ài dato quasi intenzione, e che io non te ne voglio stôrre. Io t'aviso, acciò che tu sappi rispondere, perchè credo che costà te ne farà parlare caldamente. Non ti lasciare pigliare al bocone, perchè l'oferte sono assai, e tu resterai in modo, che tu non àrai bisognio. Bartolomeo è uomo dabene e servente e dassai, ma non è nostro pari, e tu ài la tua sorella in casa e' Guicciardini. Non credo che bisogni dirti altro, perchè so che tu sai che e' val più l'onore che la roba. Altro non ò che dirti. Racomandami al Guicciardino e alla Francesca e digli da mia parte che si dia pace, perchè l'à di molti compagni nelle tribulazione e massimo oggi, che chi è migliore più patiscie.
A dì 21 di febraio 1549.
Michelagniolo Buonarroti in Roma.
[242]
Museo Britannico. Di Roma, 15 di marzo 1549.
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Quello che io ti scrissi per la mia ultima, non acade riplicare altrimenti. Circa il male mio del non potere orinare, io ne sono stato poi molto male, muggiato dì e notte senza dormire e senza riposo nessuno, e per quello che gudicano e' medici, dicono che io ò il mal della pietra. Ancora none son certo: pure mi vo medicando per detto male, e èmi data buona speranza. Nondimeno per essere io vechio e con un sì crudelissimo male, non ò da promettermela. Io son consigliato d'andare al bagnio di Viterbo, e non si può prima che al prencipio di maggio; e in questo mezzo andrò temporeggiando il meglio che potrò, e forse àrò grazia che tal male non sarà desso, o di qualche buon riparo: però ò bisognio dell'aiuto di Dio. Però di' alla Francesca che ne facci orazione e digli che se la sapessi com'io sono stato, che la vedrebbe non esser senza compagni nella miseria. Io del resto della persona son quasi com'ero di trenta anni. Èmi sopraggunto questo male pe' gran disagi e per poco stimar la vita mia. Pazienzia! Forse anderà meglio ch'io none stimo, co' l'aiuto di Dio; e quando altrimenti, t'aviserò: perchè voglio aconciar le cose mia dell'anima e del corpo, e a questo sarà necessario che tu ci sia; e quando mi parrà tempo, te ne aviserò: e senza le mia lettere non ti muover per parole di nessun altro. Se è pietra, mi dicono i medici che è in sul prencipio e che è picola: e però, come è detto, mi dànno buona speranza.
Quando tu avessi notizia di qualche estrema miseria in qualche casa nobile, che credo che e' ve ne sia, avisami, e chi; che per insino in cinquanta scudi io te gli manderò che gli dia per l'anima mia. Questi non ànno a diminuir niente di quello che ò ordinato lasciare a voi: però fallo a ogni modo.
A dì 15 di marzo 1549.
Michelagniolo Buonarroti in Roma.
[243]
Museo Britannico. Di Roma, 23 di marzo 1549.
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Io ti scrissi per l'ultima mia del mio male della pietra, il quale è cosa crudelissima, come sa chi l'à provato. Dipoi sendomi stato dato a bere una certa aqqua, m'à fatto gittar tanta materia grossa e bianca per orina con qualche pezzo della scorza della pietra, che io son molto megliorato; e abiàno speranza che in breve tempo io n'abbi a restar libero; grazia di Dio, e di qualche buona persona: e di quello che seguirà, sarete avisati. Della limosina che ti scrissi, non acade replicare: so che cercherai con diligenzia.
Questo male m'à fatto pensare d'aconciare i casi mia dell'anima e del corpo più che io non àrei fatto: e ò fatto un poco di bozza di testamento come a me pare, la quale per quest'altra se potrò ve la scriverrò, e voi mi direte il parer vostro: ma vorrei bene che le lettere andassino per buona via. Altro non m'acade per ora.
A dì 23 di marzo 1549.
Michelagniolo Buonarroti in Roma.
[244]
Museo Britannico. Di Roma, 29 di marzo 1549.
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Io ò mandato stamani per Urbino, a dì ventinove di marzo 1549, a Bartolomeo Bettini scudi cinquanta d'oro in oro, acciò ne facci quello che ti scrissi. Tu m'ài avisato d'uno de' Cerretani[205] che à a mettere una fanciulla in munistero: io no' n'ò notizia nessuna. Guarda di dare dove è 'l bisognio e non per amicizia nè per parentado, ma per l'amore di Dio, e fa' d'averne ricievuta, e non dir donde si vengino. In questa sarà la poliza del Bettino di detti danari. Va per essi e avisa.
Àrei a scriver più cose, come ti scrissi, ma lo scrivere mi dà noia, perchè non mi sento bene: pure a rispetto a quello che sono stato, mi pare essere risucitato; e perchè ò cominciato a gittare qualche poco della pietra, ò buona speranza.
Michelagniolo Buonarroti in Roma.
[245]
Museo Britannico. Di Roma, 5 d'aprile 1549.
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Della settimana passata mandai per Urbino al Bettino scudi cinquanta d'oro in oro, i quali ti facessi pagare costà. Credo gl'àrai ricievuti e che ne farai quel tanto che ti scrissi, o a quello de' Ceretani o a altri, dove vedrai il bisognio: e dara'ne aviso. Circa l'aconciare i casi mia di che ti scrissi, io non volevo dire altro, se non che per esser vechio e amalato, che mi pareva di far testamento. E 'l testamento è questo: ciò è di lasciare a Gismondo e a te ciò che i' ò, in questo modo: che tanto n'abbi a far Gismondo mio fratello, quante tu mio nipote, e che delle cose mia none possa pigliar partito nessuno l'uno senza il consenso dell'altro; e questo, quando vi paia far per via di notaio, io sempre retificherò.
Circa la malattia mia, io sto asai meglio. Noi sia' certi che io ò la pietra, ma è cosa picola e per grazia di Dio e per virtù dell'aqua ch'i' beo, si va consumando a poco a poco, in modo ch'i' spero restarne libero. Ma pure, perchè son vechio e per molti altri respetti, àre' caro quel mobile che ò qua tenerlo costà, che stéssi a' mia bisogni e poi restassi a voi: e questo sarebbe un circa quattro mila scudi; e massim'ora, che avendo andare al bagnio, mi vorrei star qua più spedito ch'i' potessi. Sie con Gismondo e pensateci un poco e avisate, perchè è cosa che non fa manco per voi che per me.
Circa il tôr donna, stamani m'è stato a trovare uno amico mio e àmi pregato ch'io ti dia aviso d'una figluola di Lionardo Ginori, nata per madre de' Soderini. Io te ne do aviso come sono stato pregato, ma non te ne so parlare altrimenti, perchè no' n'ò notizia: però pènsavi bene e non aver rispetto a cosa nessuna; e quando se' resoluto, rispondimi, acciò ch'i' possa rispondere o del sì o del no a l'amico mio.
A dì cinque d'aprile 1549.
Michelagniolo Buonarroti in Roma.
[246] Io àrei bene avuto caro che inanzi che avessi tolto donna, avessi comperato una casa più onorevole e capace che quella ove siate, e io v'àrei mandati i danari.
Questo ch'io ti scrivo di quella de' Ginori, te lo scrivo solo perchè sono stato pregato, non perchè pigli più una che un'altra. Fa' pure secondo che ti va a fantasia e non aver rispetto nessuno, come altre volte t'ò scritto. A me basta saperlo inanzi al fatto: però cerca e pènsavi e non indugiare, quando abbi il capo a simil cosa.
[247]
Museo Britannico. Di Roma, 13 d'aprile 1549.
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Io ò avuto la ricievuta de' cinquanta scudi dal Munistero. Piacemi che gli abbi allogati bene, nè acade dirne altro. Per l'ultima mia ti scrissi come ero stato pregato ti déssi aviso d'una figluola di Lionardo Ginori; e così feci. Àspettone risposta, per rispondere a l'amico mio: e benchè io t'abbi dato questo aviso, non fare però se non tanto, quanto a te piace e non guardare al mio scrivere. Cònsigliati bene, e se non te ne contenti, rispondimi senza rispetto, acciò possa licenziare l'amico. Io ti scrissi che àrei avuto caro di tener costà certi danari, come àrai inteso, per istar qua con manco pensieri, e massimo sendo io vechio: però, quando si possa fare che io ne sia sicuro, lo fare' volentieri, ma non vorrei uscir della padella e cascar nella brace. Credo, quando si trovassi da mettergli in beni, cioè in terre o in case, che non ci sia altro modo sicuro: sì che pensatevi, perchè fa per voi. Circa la casa di che mi scrivi apresso al Proconsolo, il luogo a me non sodisfa, come fa quella della via del Cocomero. Quando si fussi potuta avere con buon sodo, non mi par si sie trovato meglio. Del mio male io ne sto con buona speranza, perchè vo pur megliorando, grazia di Dio; ma pur credo mi bisognierà andare al bagnio: che così dicono i medici. Io ebbi nella tua una del Bugiardino:[206] un'altra volta non mettere in tua lettere quelle di nessuno altro, per buon rispetto. El Bugiardino è buona persona, ma è sempice uomo: e basta. Quando tu fussi richiesto di mandarmi lettere nelle tua, di' che non t'acade scrivermi.
A dì 13 d'aprile 1549.
Michelagniolo Buonarroti in Roma.
[248]
Museo Britannico. Di Roma, 25 d'aprile 1549.
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Io non ti potetti scrivere sabato, perchè ebbi la tua troppo tardi, e oggi a' dì 25 d'aprile 1549 ò un'altra tua dei venti di detto del medesimo tenore. Circa il podere di Chianti, io dico che a me piace più presto di comperare, che tener danari; e se detto podere è cosa buona, a me pare da tôrlo a ogni modo e massimo sendo buon sodo, come mi scrivete. Ma ben mi par da vederlo prima; e piacendovi, tôrlo a ogni modo e non guardare in cinquanta scudi: e così vi do commessione, che, piacendovi, voi lo togliate a ogni modo e non guardiate in danari e avisiate; e súbito vi farò pagare costà quello che monterà: e quando ne fussi in vendita qualcun'altro d'altrettanta spesa, con simil sodo, dico che v'attendiate, e manderò ancora i danari di quello, perchè è meglio che tenergli perduti: overo in una casa, quando si truovi.
Circa 'l mio male, io ne sto assai meglio, e spero, con maraviglia di molti; perchè ero tenuto per morto, e così mi credevo. Ò avuto buon medico,[207] ma più credo agli orazioni che alle medicine. Non altro. Per quest'altra ti scriverrò altre cose.[208]
[249]
Museo Britannico. Di Roma, (2 di maggio 1549).
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Com'io t'ò scritto un'altra volta, così ti raffermo per questa, cioè che voi andiate a vedere il podere di Chianti, di che m'ài scritto, e se è cosa che vi piaccia, lo togliate a ogni modo e non guardate in cinquanta scudi: e così vi do commessione libera, cioè che sendo cosa buona, lo togliate a ogni modo e non guardate in danari: e avisatemi, perchè vi manderò súbito quello che monterà.
Circa il tôr donna, io ti scrissi d'una figluola di Lionardo Ginori, com'io fu' pregato qua da uno amico mio. Tu mi rispondesti, ricordandomi quello di tal cosa ti scrissi l'anno passato. Io te lo scrissi, perchè ò paura delle pompe e delle pazzie che vògliano queste case di famiglia, e perchè tu non avessi a essere stiavo d'una donna. Nondimeno quande la cosa ti piacessi, non àresti a guardare al mio scrivere, perchè de' cittadini di Firenze io ne sono igniorantissimo. Però se ti piace tal parentado, non avere cura a quel ch'i' scrissi, e se non ti piace, none far niente; perchè della donna t'ài a contentar tu: e quando ne sarai contento tu, ne sarò contento anch'io. Rispondi liberamente, che io non ò interesso qua con amico nessuno, perch'io abbi a fare più che per te. Del mal mio crudele che io ò avuto, send'io stato tenuto morto, isto tanto bene, che mi pare esser risucitato. Altro non m'acade. Rispondi quando se' risoluto, e non far mai cosa a stanza di nessuno, che interamente non ti contenti.
Michelagniolo Buonarroti in Roma.
[250]
Museo Britannico. Di Roma, 11 di maggio 1549.
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Io resto avisato per l'ultima tua del podere di Chianti. Però, poi che è cosa buona, fate che e' vi resti a ogni modo e non guardate i' danari. Tu mi scrivi di nuovo di quello da Monte Spertoli e d'una bottega che si vende in Porta Rossa; e io vi dico, che se voi trovate buon sodo, che voi togliate ancora la bottega e 'l podere se è cosa buona, e dòvi commissione libera, che per insino in quattro mila scudi d'oro in oro, che voi gli spendiate e non abbiate rispetto se non a' sodi: e questo fia meglio che tenere in su i banchi, perchè non me ne fido; e sia qual si voglia. Del tôr donna, di quella che io ti scrissi che m'avea parlato un mio amico, non me n'avendo tu risposto altrimenti, io ò licenziato l'amico e dittogli che cerchi suo ventura. Altro non m'acade. Come ò detto di sopra, comperate liberamente dove i sodi son buoni, e più presto che si può, e avisate.
A dì undici di maggio 1549.
Michelagniolo Buonarroti in Roma.
[251]
Museo Britannico. Di Roma, 25 di maggio 1549.
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Per l'ultima tua intendo come vi sono restate le possessione di Chianti.[209] Mi pare che tu dica per dumila trecento fiorini di sette lire l'uno. Se son cose buone, come mi scrivi, avete fatto bene a non guardare in danari. Io ò portato a Bartolomeo Bettini scudi cinque cento d'oro in oro che te gli facci pagare costà per principio del pagamento, e quest'altro sabato per gli Altoviti ne manderò altri cinque cento; e come e' c'è Urbino, che andò più dì fa a Urbino, che ci sarà infra otto o dieci dì, vi manderò il resto. Gli scudi d'oro in oro che io vi mando, vaglion qua undici iuli l'uno. Della possessione di Monte Spertoli, quando sia cosa buona e che e' la vendino in popilli, fate che anche quella vi resti, e non guardate in danari. Altro non m'acade. Va' pe' detti danari, e avisa. E in questa sarà la poliza del cambio.[210]
A dì venti cinque di maggio 1549.
[252]
Museo Britannico. Di Roma, 1 di giugno 1549.
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Stamani a dì primo di gugnio 1549 ò portato agli Altoviti scudi mille d'oro in oro e cinquecento n'ò portati a Bartolomeo Bettini, che te gli faccino pagare costà per conto del pagamento del podere di Chianti. Le polize del cambio e degli Altoviti e del Bettino saranno in questa. Però va' per essi e scrivimi quello che manca, acciò si facci presto per rispetto della ricolta come mi scrivi. Del podere di Monte Spertoli, dicovi che v'attendiate se è cosa buona e non guardiate in danari, ma non dico però che per averlo si pagi il doppio più che e' non vale, com'io credo sie fatto di questo di Chianti; ma che e' non si guardi in cinquanta scudi. Del mio male sto assai meglio, che non si credeva. Altro non m'acade. Scrivi quel che bisognia.
Michelagniolo Buonarroti in Roma.
[253]
Museo Britannico. Di Roma, (8 di giugno 1549).
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Circa il podere da Monte Spertoli, avendo a pagare più che non vale, quattro cento scudi, mi par cosa disonesta. Dubito che e' non paia che voi n'abbiate troppa voglia e che voi non siate fatti saltare. Io non credo che sievi chi lo comperre' tanti scudi più che e' non vale. In cinquanta o cento scudi non è da guardare: pure io la rimetto in voi, se vi par di tôrlo, toglietelo, che ciò che voi farete, sarà ben fatto. La procura io non l'ò potuta fare, ma intendo sì male le tua lettere che mi fanno ogni volta venire la febbre a leggierle. Vedrò di farla in quest'altra settimana, se intendo come. Io ò avuto il trebbiano: il fardelletto di che mi scrivi, non è ancora venuto. Del mio male io ne sto assai bene, a rispetto a quel che sono stato. Io ò beuto circa dua mesi sera e mattina d'una aqqua d'una fontana che è quaranta miglia presso a Roma, la quale rompe la pietra: e questa à rotto la mia e fàttomene orinar gran parte. Bisògniamene fare amunizione[211] in casa e non bere nè cucinar con altra, e tenere altra vita che non soglio.[212]
[254]
Museo Britannico. Di Roma, (15 di giugno 1549).
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Io ebbi il ruotolo della rascia: parmi che sia molto bella: ma era meglio che tu l'avessi data per l'amor di Dio a qualche povera persona. Circa al contratto di che mi scrivi, io dico che l'Uficio de' popilli suole essere un male uficio: però bisognia aprir gli ochi, e sare' buono farlo volgare, acciò che ogn'uomo l'intendessi. E' danari che io t'ò fatti pagare dal Bettino, credetti gli avessi costà súbito; e io credo che e' sieno ancora qua, in modo che la ricolta che tu mi scrivesti di quest'anno non s'àrà. Del podere di Monte Spertoli ti scrissi a bastanza. Quattro cento scudi di più che e' non vale, sarebbe un altro podere. Però mi pare d'andare adagio. La procura che mi chiedi sarà in questa.
Michelagniolo Buonarroti in Roma.
[255]
Museo Britannico. Di Roma, (12 di luglio 1549).
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Le terre di che mi scrivi che sono in Chianti apresso apresso[213] c'avete comperato, mi pare da tôrle a ogni modo, quando vi sia buon sodo per dugento cinquanta scudi: che come mi scrivi della copia del contratto e d'altri conti, a me basta che le cose sien fatte fedelmente e che le stien bene: non mi curo d'altro: e avisate di quel che bisognia. Non ò tempo da scrivere altrimenti.
Michelagniolo in Roma.
[256]
Museo Britannico. Di Roma, 19 di luglio 1549.
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Io ò per l'ultima tua tutte le spese fatte nella possessione di Chianti: la qual cosa non acadeva, perchè se son bene spesi, come mi scrivi, ogni cosa sta bene. Delle terre che confinano con detta possessione, di che mi scrivesti, ti risposi che le togliessi se v'era buon sodo. Di Monte Spertoli non è poi seguìto altro. Sarà buon tôrlo, quando fussi in vendita, sendovi il sodo de' popilli, come mi scrivesti. A questi dì ò avuto una lettera da quella donna del Tessitore che dice averti voluto dare per moglie una per padre de' Capponi e per madre de' Nicolini, la quale è nel munistero di Candeli; e àmmi scritto una lunga bibbia con una predichetta che mi conforta a viver bene e a far delle limosine: e te dice aver confortato a viver da cristiano, e dèbbeti aver ditto che è spirata da Dio di darti detta fanciulla. Io dico che la fare' molto meglio attendere a tessere o a filare, che andare spacciando tanta santità. Mi par che la voglia essere un'altra suor Domenica:[214] però non ti fidar di lei. E circa al tôr donna, come mi par che sia necessario, io di più una che un'altra non ti posso consigliare, perchè non ò notizie de' cittadini, come tu puoi pensare e come altre volte t'ò scritto: però bisognia che tu stesso bisognia[215] vi pensi e cerchi con diligenzia e pregi Idio che t'acompagni bene: e quando trovassi cosa che ti piacessi, àre' ben caro, inanzi l'effetto, me n'avisassi. Altro non m'acade.
A dì 19 di luglio 1549.
Michelagnolo in Roma.
[257]
Museo Britannico. Di Roma, (3) d'agosto 1549.
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Per l'ultima tua mi scrivi del podere di Monte Spertoli che e' non è al proposito: non bisognia più pensarvi. Circa la casa, non trovando da comperarne una, mi di' che si potrebbe rassettar la nostra dove state, e che sarebbe una spesa di sessanta scudi. Io dico che se a te pare, che tu lo facci, acciò che questo non tenga adietro il tôr donna. Ma perchè la casa è in cattivo luogo per rispetto del fiume, non mi par però da spendervi molto, avendone a comperare un'altra. Pure fa' tanto quante conosci il bisognio. Altro non m'acade, nè ò tempo da scrivere.
A dì.... d'agosto 1549.
Michelagniolo in Roma.
[258]
Museo Britannico. Di Roma, (18 d'agosto 1549).
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Oggi fa quindici dì ti risposi circa la casa di via Gibellina che tu l'aconciassi come ti pareva, per tanto che se ne truovi un'altra; e così ti rafermo. Altro non ti scrivo per ora, perchè non ò tempo.
Michelagniolo in Roma.
[259]
Museo Britannico. Di Roma, (25 d'agosto 1549).
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Questa è per coverta d'una della Francesca. Dàlla súbito. Non mi acade altro. Dell'aconciare la casa, ti scrissi che tu facessi tanto quanto ti parea necessario. Delle terre di Chianti vicine a le comperate, ti scrissi per giusto prezzo le togliessi, quando vi fussi buon sodo: e così ti rafermo.
Michelagniolo in Roma.
[260]
Museo Britannico. Di Roma, 21 di dicembre 1549.
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Per risposta dell'ultima tua, egli è vero che i' ò avuto grandissimo dispiacere e non manco danno della morte del Papa,[216] perchè ò avuto bene da Sua Santità e speravo ancora meglio. È così piaciuto a Dio: bisognia aver pazienzia. La morte sua è stata bella, con buon conoscimento in sino all'ultima parola. Idio abbi misericordia dell'anima sua. Altro non mi acade circa questo. Le cose di costà credo vi vadin bene, e de' casi del tôr tu donna non mi pare che se ne parli più: penso che tu vi pensi e che non vegga ancora cosa al tuo proposito. Circa l'esser mio, io mi sto col mio male il me' ch'i' posso, e a rispetto agli altri vechi non ò da dolermi, grazia di Dio. Qua s'aspetta d'ora in ora il Papa nuovo. Iddio sa 'l bisognio de' Cristiani e basta. Racomandami al prete. Altro non m'acade. A dì ventuno di dicembre 1549.
Michelagniolo in Roma.
[261]
Archivio Buonarroti. Di Roma, 16 di febbraio 1550.
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Circa le terre di Chianti di che mi scrivi, io non ti posso rispondere, se io non so come voi state a danari.
Tu mi scrivesti più tempo fa, che volevi rassettar la casa di via Gibellina, non trovando altra casa da comperare; dipoi non so quello che t'abbi fatto o speso o che ti resta.
Se tu ricerchi le mia lettere, tu troverrai che già molti mesi sono che io ti scrissi, che dubitando che 'l Papa per la vechiezza non mi mancassi, volevo far costà, più presto che altrove, una entrata che in mia vechiezza non avessi a mendicare, e massimo avendo fatto rico altri con grandissimi stenti. Però àvisami come le cose stanno e io ti risponderò. Qua mi truovo poco capitale, e quel poco se lo spendessi costà, mi potre' qua morir di fame. Però, come è detto, avisa e come le cose vanno, e io penserò anch'io al fatto mio e risponderotti. Altro non acade.
A dì sedici di febraio 1550.
Michelagniolo in Roma.
(Di mano di Lionardo.)
1549, di Roma, a dì 21 di febraio: de' dì 16 predetto.
[262]
Archivio Buonarroti. Di Roma, 1 di marzo 1550.
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Io non ti scrissi che tu mi rendessi tanti conti, ma che io non ti potevo rispondere delle terre di Chianti, se non mi avisavi come voi vi trovavi danari, perchè del capitale che mi restava qua ne volevo fare qualche entrata per me. Ora mi pare, secondo che m'avisi, che e' vi resti danari da potere comperare dette terre: però attendetevi; e se trovate che vi sia buon sodo, toglietele a ogni modo, se vi pare che le sien cosa buona e a proposito: e io penserò qua a' casi mia.
Vero è che quando avessi trova(to) costà da farmi una entrata di cento scudi l'anno, l'àrei fatta, e fare'la ancora quando potessi o credessi valermene a' mia bisogni: ma credo none sare' niente, come ti scrissi.
A dì primo di marzo 1550.
Michelagniolo in Roma.
[263]
Archivio Buonarroti. Di Roma, 7 d'agosto 1550.
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Poi la ricevuta del trebbiano e delle camicie non m'è acaduto scriverti; ora, perchè mi tornerebbe bene avere dua Brevi di papa Paolo,[217] dove si contiene la provigione che Sua Santità mi fa a vita, stando a Roma al suo servizio: i quali Brevi mandai costà con l'altre scritture nella scatola che tu ricevesti, e gli ànno a essere in certi stagniati: so che gli conoscerai: però gli puoi involtargli 'n un poco d'incerato e mettergli 'n una scatoletta bene amagliata: e se vedi di potermegli mandare per un fidato, che e' non vadin male, màndamegli e condànnagli in quel che ti pare, acciò che mi sien dati. Io gli voglio mostrare al Papa, acciò che vegga che secondo quegli io son creditore, credo, di più di dumila scudi di suo' Santità: non già che tal cosa m'abbi a giovare, ma per mio contento. Credo che 'l procaccio gli potrebbe portare, perchè son picola cosa.
Del caso del tôr donna non se ne parla più, e a me è detto da ognuno che io ti die moglie; come se io n'avessi mille nella scarsella. Io non ò modo da pensarvi, perchè non ò notizia de' cittadini. Àrei ben caro e sare' necessario che tu la togliessi; ma io non posso far altro, come più volte t'ò scritto.
Altro non m'acade. Racomandami al prete e agli amici. A dì 7 d'agosto 1550.
Michelagniolo Buonarroti in Roma.
(Di mano di Lionardo.)
1550, di Roma, adì 13 d'agosto: de' dì 7 detto.
[264]
Archivio Buonarroti. Di Roma, 16 d'agosto 1550.
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Per l'ultima tua mi scrivi, come il Cepperello vuol vendere il podere che confina co' nostri a Settigniano, e che quella donna che l'à a vita; se ben è forza che lo tenga insino a la morte; trovando detto Cepperello da venderlo ora, le verebbe del prezzo quel tanto che si conviene di quel tempo che detta donna può vivere; entrando dopo la morte sua in possessione. A me non pare che la sia cosa da fare per molti casi che possono avenire, che sarien pericolosi, non sendo in possessione: però bisognia aspettare che la muoia: e se 'l Cepperello mi viene a parlare, gli dirò l'animo mio: non son già per andare a trovar lui.
Ti scrissi de' dua Brevi, come àrai inteso: se vedi di potermegli mandare per un fidato che io gli abia, màndamegli; se non, làsciagli stare.
Circa il tôr donna, tu mi scrivi che vuoi prima venir qua a parlarmi a boca: io circa al governo sto molto male e con grande spesa, come vedrai; per questo non dico che tu manchi di venire, ma parmi che e' sia da lasciar passare mezzo settembre, e in questo mezo se mi trovassi una serva che fussi buona e netta; benchè sie difficile, perchè son tutte puttane e porche; avisami: io do dieci iuli il mese; vivo poveramente, ma io pago bene.
A questi dì m'è stato parlato per te d'una figluola d'Altovito Altoviti: non à padre nè madre, e è nel munistero di San Martino. Non conosco e non so che mi ti dire intorno a ciò. A dì 16 d'agosto 1550.
Michelagniolo Buonarroti in Roma.
(Di mano di Lionardo.)
1550, di Roma, addì 20 d'agosto: de' dì 16 detto.
[265]
Archivio Buonarroti. Di Roma, 22 d'agosto 1550.
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Io ò ricevuto i Brevi, e pagato tre iuli come mi scrivi.
Del podere del Cepperello ti risposi che comperarlo e pagarlo ora, e non entrare ora in possessione, non mi parea cosa da farla: non ò poi inteso altro.
Scrissiti ultimamente d'una serva: ora credo essermi provisto: però none cercare altrimenti.
Del tôr donna, mi scrivesti che prima mi volevi parlare a boca; ti risposi che da mezzo settembre in là potevi venire a tua posta; benchè potresti far di manco, perchè tanto ti saperrò io dire de' cittadini di Firenze a boca qua, quant'io te ne so scrivere; che none so niente; perchè non pratico con nessuno, nè con altri. Altro non mi acade.
Saluta la Francesca da mia parte e digli che come posso risponderò a la sua, e che attenda a star sana.
A 22 d'agosto 1550.
Michelagniolo in Roma.
(Di mano di Lionardo.)
1550, di Roma, addì 27 d'agosto: de' dì 22 detto.
[266]
Archivio Buonarroti. Di Roma, 31 d'agosto 1550.
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Circa il podere del Cepperello, tu mi scrivi che lo potrebbe comperare tale che no' l'àremo per male; di questo io me ne fo beffe, perchè so che a Firenze si fa buona iustizia. Ma perchè e' vi sta bene, se vi si truova buona sicurtà, toglietelo; ma non so come vi troviate danari, perchè non son per mandarvene più: chè quel capitale che m'è rimasto, ne voglio fare qua entrata per me.
Ti scrissi la ricievuta del Breve, e secondochè abiàn visto, resto creditore di più di dumila scudi d'oro: non so che si seguirà: non ci ò speranza nessuna.
Della serva, ti scrissi come m'ero provisto. Avisami del sopra detto podere quello che ne domanda.
A dì ultimo d'agosto 1550.
Michelagniolo in Roma.
(Di mano di Lionardo.)
1550, addì 4 di setembre: de' dì 31 del passato.
[267]
Archivio Buonarroti. Di Roma, 6 di settembre 1550.
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Tu mi scrivesti del podere del Cepperello che lo comperrebbe qualcuno che lo àremo per male; e io per l'ultima ti risposi che voi lo comperassi, ma che io non ero per mandarvi più danari. Non ò poi inteso altro da voi. Circa al venire qua; quanto al venire qua per vicitarmi, queste vicitazione oramai io so di che sorte le sono; se none avessi a venir per altro, potresti per tal conto non venire: ma poi che ti piace venire, per quello che mi scrivi, vien più presto che puoi, acciò che nanzi le piove sia ritornato costà. Altro non m'acade. A dì sei di settembre 1550.
Michelagniolo in Roma.
(Di mano di Lionardo.)
1550, di Roma, addì 11 di setembre: de' dì 6 detto.
[268]
Archivio Buonarroti. Di Roma, (4 d'ottobre 1550).
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Per l'ultima m'avisi che se' a ordine per venire a Roma, e che innanzi che parta, aspetterai una mia e poi partirai. Non m'acade dirti altro. Ricievuta questa, pàrtiti a tu' posta. Credo sapra' in Roma trovar la casa, cioè a riscontro a Santa Maria del Loreto presso al Macello de' Corvi.
A dì 4 d'ottobre 1550.
Michelagniolo Buonarroti in Roma.
(Di mano di Lionardo.)
1550, di Roma, addì 10 d'otobre: de' dì 4 detto.
[269]
Archivio Buonarroti. Di Roma, 14 di novembre (1550).
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Io ebi la tua da Aqualagnia, e tanto si fece, quanto scrivesti; e oggi a' 14 di novenbre ò la tua dell'essere arrivato a Firenze con buon tempo: di tutto sie ringraziato Iddio.
Circa a' ravigguoli, io gli ebbi, ma tutti apicati insieme e guasti. Credo gl'incassasti troppo freschi, o forse ebon dell'aqqua per la via: peraltro eron molto begli. Altro non ò che scriverti per ora.
Michelagniolo in Roma.
(Di mano di Lionardo.)
Ieshus. 1550. Da Roma, addì 21 di novembre: de' dì 15 detto.
[270]
Museo Britannico. Di Roma, 20 di dicembre 1550.
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Io ebbi e' marzolini, cioè dodici caci. Sono molto begli: ne farò parte agli amici e parte per casa. E come altre volte v'ò scritto, non mi mandate più cosa nessuna, se io non ve ne chieggo, e massimo di quelle che vi costano danari.
Circa il tôr donna, come è necessario, io non ò che dirti; se non che tu non guardi a dota, perchè e' c'è più roba che uomini: solo ài aver l'ochio a la nobiltà, a la sanità, e più alla bontà, che a altro. Circa la bellezza, non sendo tu però el più bel giovane di Firenze, non te n'ài da curar troppo, purchè non sia storpiata nè schifa. Altro non m'acade circa questo.
Ebbi ieri una lettera da messer Giovanfrancesco che mi domanda se io ò cosa nessuna della Marchesa di Pescara.[218] Vorrei che tu gli dicessi che io cercherò e risponderògli sabato che viene; benchè io non credo aver niente: perchè quando stetti amalato fuor di casa, mi fu tolto di molte cose. Àrei caro, quando tu sapessi qualche strema miseria di qualche cittadino nobile e massimo di quelli che ànno fanciulle in casa, che tu m'avisassi, perchè gli farei qualche bene per l'anima mia.
A dì 20 di dicembre 1550.
Michelagniolo Buonarroti in Roma.
[271]
Archivio Buonarroti. Di Roma, 28 di febbraio 1551.
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Per l'ultima tua, circa il tôr donna, intendo come ancora none se' a cosa nessuna: mi dispiace; perchè è pur cosa necessaria tôrla, e come altre volte t'ò scritto, non mi pare che tu, avendo quel che tu ài e quel che tu àrai, che tu abi a guardare a dota, ma solo a la bontà, a la sanità e a la nobilità, e far conto quando una bene allevata, buona, sana e nobile non abbi niente, di tôrla per fare una limosina; e quando questo facessi, non saresti obrigato a le pompe e pazzie delle donne; onde ne seguiteria più pace in casa: e del parer di volersi nobilitare, come già mi scrivesti, questo non è cosa valida, perchè si sa che noi siàn antichi cittadini fiorentini. Però pensa a quello che io ti scrivo, perchè tu non se' anche di sorte e di persona, che tu sia degnio della prima bellezza di Firenze. Racomandati, acciò che tu non ti inganni.
Della limosina che io ti scrissi far costà, tu mi rispondesti ch'i' t'avisassi quant'io volevo dare, come se io avessi 'l modo a dar qualche centinaio di scudi. Quand'e' tu fusti qua ultimamente, mi portasti un pezzo di panno, il quale mi parve intendere che ti fussi costo da venti a venti cinque scudi, e questi e questi,[219] pensai allora di dargli in Firenze per l'anime di tutti noi. Dipoi per la carestia grande che c'è qua, si son convertiti in pane e anche se non c'è altro socorso, dubito non ci moriàno tutti di fame.
Altro non mi acade. Racomandami al prete e quando potrò, risponderò a quel che già mi domandò.
A dì ultimo di febraio 1551.
Michelagniolo in Roma.
(Di mano di Lionardo.)
1550, di Roma, addì 5 di marzo: de' dì 28 paxato.
[272]
Museo Britannico. Di Roma, 7 di marzo 1551.
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Io ebbi le pere, cioè novanta sette bronche, poi che così le battezzate. Non mi acade altro circa questo. Del caso del tôr donna, te ne scrissi sabato passato il parer mio, cioè che tu non abbi rispetto a dota, ma solo all'esser di buon sangue, nobile, e bene allevata e sana: altro non so che dirti di cose particulare, perchè di Firenze io ne so quel che uno che non v'è mai stato. Èmmi a questi dì stato parlato d'una degli Alessandri, ma non ò inteso particular nessuno. Se ne intenderò, per quest'altra te ne darò aviso.
Messer Giovanfrancesco mi richiese circa un mese fa di qualche cosa di quelle della Marchesa di Pescara, se io n'avevo. Io ò un libretto in carta pecora che la mi donò circa dieci anni sono, nel quale è cento tre sonetti, senza quegli che mi mandò poi da Viterbo in carta bambagina, che son quaranta; i quali feci legare nel medesimo libretto e in quel tempo li prestai a molte persone, in modo che per tutto ci sono in istampa.[220] Ò poi molte lettere che la mi scrivea da Orvieto e da Viterbo. Ecco ciò ch'io ò della Marchesa. Però mostra questa a detto prete, e avisami di quello che ti risponde.
Circa i danari ch'i' ti scrissi già dar costà per limosina, com'io credo ti scrivessi sabato, mi bisognia convertirgli in pane per la carestia che c'è, in modo che se non ci aparisce altro socorso, dubito che non abbiàno a morir tutti di fame.
A dì 7 di marzo 1551.
Michelagniolo in Roma.
[273]
Archivio Buonarroti. Di Roma, 8 di maggio 1551.
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Circa il tôr donna; della medesima cosa che mi scrivi ora, me ne parlasti qua quando ci fusti, e allora me ne informai e none trovai se non bene; però ti dico, che la fanciulla per padre e per madre mi piace assai. L'altre cose, cioè di sanità e di tempo, le puoi intendere meglio costà: però se ti pare di farne parlare come mi scrivi, io la rimetto in te, e Dio ci facci grazia del meglio.
Circa i' libretto de' sonetti della Marchesa, io non lo mando, perchè lo farò copiare prima, e poi lo manderò. Altro non acade.
A dì 8 di maggio 1551.
Michelagniolo in Roma.
(Di mano di Lionardo.)
Di Roma, 1551; addì 14 di magio: de' dì 8 deto.
[274]
Archivio Buonarroti. Di Roma, 22 di maggio 1551.
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Io ti risposi pel passato com'io m'ero informato della cosa de' Nasi, e che io non avevo trovato se non bene. Dipoi m'è stato di nuovo riparlato d'una figluola di Filippo Girolami, per madre d'una sorella di Bindo Altoviti: io non ò notizia che cosa si sia; pure non ò voluto mancare di dartene aviso. Questa de' Nasi, per la informazione ch'io n'ò, quando sia così, mi piace, e così ti scrissi. Però attendendoci tu, àrò caro m'avisi quello che ne segue, e ancora m'avisi quello che intendi dell'altra de' Girolami.
Di maggio a dì 22 1551.
Michelagniolo in Roma.
(Di mano di Lionardo.)
1551, di Roma, a dì 27 di magio: de' dì 22 decto.
[275]
Archivio Buonarroti. Di Roma, 28 di giugno 1551.
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Io ebbi, oggi fa otto dì, una soma di trebbiano, cioè quaranta 4 fiaschi; ònne presentato a più amici: è stato tenuto il meglio che quest'anno sia venuto a Roma. Ti ringrazio, nè altro ò che dir circa questo.
Della cosa de' Nasi tu mi scrivi che non ài ancora avuto risposta da Andrea Quaratesi: io non credo che per simil cose sia da fondarsi molto ne' casi sua; e 'l tempo con questo aspettare passa e non ritorna. A me pare, quand'e' si truovassi una fanciulla nobile, bene allevata e buona e poverissima; che questa sarebbe, per istare in pace, molto a proposito; tôrla senza dota per l'amore di Dio; e credo che in Firenze si truovi simil cose: e questo a me piacerebbe molto, acciò che tu non ti obrigassi a pompe e a pazzie, e che tu fussi ventura a altri, come altri è stato a te: ma tu ti truovi rico, e non sai come. Non mi vo' distender più a narrarti la miseria in che io trovai la casa nostra, quand'io cominciai aiutarla; che non basterebbe un libro; e mai ò trovato se non ingratitudine: però fa di riconoscer da Dio il grado in che tu se', e non andar drieto a pompe e a pazzie.
A dì 28 di gugnio 1551.
Michelagniolo in Roma.
(Di mano di Lionardo.)
1551, addì 2 di luglio: de' dì 28 del paxato.
[276]
Archivio Buonarroti. Di Roma, (17) d'ottobre 1551.
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Per l'ultima tua intendo come ti se' informato di quella de' Girolami, e che none senti altro che bene; però quando vi fussi le parte buone che si debbe desiderare in simil cosa, non mi pare che la dota debba guastare il parentado: però pensavi bene, perchè il parentado mi pare assai onorevole, e a me piacerebbe, quando vi fussi le parti buone, come ò detto, cioè ben allevata e di buona fama e costumi, come si desidera: e questo puoi andare intendendo con diligenzia e credere a pochi. Altro non mi acade. Desidero asai che di voi resti qualche reda. Ricòrdoti che quando ti fussi parlato da mia parte di cosa nessuna, se non vedi mie lettere, non prestar fede. A dì.... d'ottobre 1551.
Michelagnolo Buonarroti in Roma.
(Di mano di Lionardo.)
1551, di Roma, addì 23 d'otobre: de' dì 17 deto.
[277]
Archivio Buonarroti. Di Roma, 19 di dicembre 1551.
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Io ò inteso per l'ultima tua della corta vista, che non mi pare picol difetto; però io ti rispondo, che qua non ò promesso niente, e non avendo ancora tu promesso costà niente, che mi pare da non se ne impacciare, essendone tu certo; perchè, come mi scrivi, e' va per redità. Ora io ti dico di nuovo quel che altre volte t'ò scritto, che tu cerchi d'una che sia sana, e più per l'amor di Dio che per dota, purchè sia buona e nobile; e non ti die noia l'esser povera, perchè si sta più in pace; e la dota che sarebbe conveniente, te la darò io. Circa questo non mi acade altro. Io mi truovo vechio e un poco di capitale, il quale non vorrei spender qua: però quando trovassi costà una buona casa o possessione che fussi cosa sicura per una spesa di mille cinquecento scudi, sarei per tôrla: però cèrcane, perchè morendo io qua, come può avenire ogni ora, che non vadin male.
A dì 19 dicembre 1551.
Michelagniolo Buonarroti in Roma.
(Di mano di Lionardo.)
Addì.... di gienaio: de' dì 19 passato.
[278]
Museo Britannico. Di Roma, 19 di dicembre (1551).
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Di quella cosa che mi scrivi, sendone tu certo, e non avendo promesso costà niente, nè io qua, non mi pare che sia cosa da impacciarsene; e come t'ò scritto altre volte, cercare d'una che sia sana e tôrla più per l'amor di Dio, che per altro, pur che sia nobile e buona; e non ti die noia che sia povera, perchè si sta più in pace. Non ò tempo da distendermi altrimenti, ma ò scrittoti più appieno per uno scarpellino che si chiama il Fantasia, che si parte di qua domattina. Truòvalo, e fatti dar la lettera.
A 19 di dicembre.
Michelagniolo in Roma.
[279]
Archivio Buonarroti. Di Roma, 20 di febbraio 1552.
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Parlando io a questi dì qua col tio[221] di quella cosa, mi disse che si maravigliava molto che la fussi tornat'a dietro, e che stimava che qualche magrone l'avessi impedita, per entrare in quella roba o per redarla: m'è parso di darti aviso di dette parole.
Ora mentre scrivo, m'è stata portata una tua, per la quale intendo di una figluola di Carlo di Giovanni Strozzi. Giovanni Strozzi conobbi che io ero fanciullo, e era un uomo da bene: altro non ò che dirtene: conobbi anche Carlo; e credo che possa esser cosa buona.
Circa le possessione che m'avisi, non mi piaccion presso a Firenze: in Chianti mi pare che sarebbe più a proposito; però quando vi si trovassi cosa sicura, sare' da farlo, e non guardare in dugento scudi.
Circa il tôr donna, io non ò qua modo d'intendere di cosa nessuna, perchè non ò pratica di Fiorentini nessuna, e manco d'altri.
Io son vechio come per l'ultima mia ti scrissi, e per levar la speranza vana a qualcuno, quando la sia, io penso di far testamento e lasciar ciò ch'io ò costà a Gismondo mio fratello e a te mio nipote, e che l'uno none possa pigliar partito di nessuna sorte senza il consenso dell'altro; e che restando voi senza reda legittima, ogni cosa redi Sa' Martino, cioè che l'entrate si dieno per l'amor di Dio a' vergognosi, cioè a' cittadini poveri, o altrimenti che sia meglio, come mi consiglierete. A dì venti di febraio mille cinquecento cinquanta dua.
Michelagniolo Buonarroti in Roma.
(Di mano di Lionardo.)
1551, da Roma, alli 26 di febraio: de' dì 20 deto.
(D'altra mano.)
Dàtela bene, perchè è di messer Michelagniolo Buonaruoti.
[280]
Archivio Buonarroti. Di Roma, 1 d'aprile 1552.
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Circa al tôr donna, io ò un aviso da uno amico mio, che quel difetto che ti fe' tirare adrieto da quella che ti scrissi, non è vero, cioè della corta vista, ma che t'è stato ditto da uno tuo amico per darti una sua cosa; e perchè la non è ancora da marito, à fatto per intrattenerti tanto che la sia per dartela. Però quando quella cosa della vista non sia vera, e che e' non vi sia altro difetto, a me pareva che la fussi cosa per farla. Però abi cura di non esser menato pel naso da gente molto inferiore che quella. Io non t'ò che dire altro circa questo. Ricòrdati che 'l tempo passa, e che io non vorrei essermi afaticato tutto il tempo della mie vita per gente strana: ma 'l testamento spero provegga.
A dì primo d'aprile 1552.
Michelagniolo in Roma.
(Di mano di Lionardo.)
Di Roma, addì 7 d'aprile: de' dì primo detto, 1552.
[281]
Archivio Buonarroti. Di Roma, 23 d'aprile 1552.
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Io ti scrissi dell'aviso che io avevo avuto di costà, cioè che quel difetto della vista non era vero, e d'altre cose, come intendesti. Ora tu mi rispondi che ne se' certo, ma che se io voglio, che la tôrrai; e io ti dico, che sendo la cosa come mi scrivi, che e' non se ne parli più, e che tu cerchi di tôr donna a ogni modo e non guardare a dota, purchè sia cittadina e buona; e non stare a bada di parenti, che forse non piace loro che tu la tôgga; e ingégniati di trovare una di sorte che non si vergogni, quando bisogni, di rigovernar le scodelle e l'altre cose di casa, aciò che tu non t'abbi a consumare in pompe e in pazzie. Io intendo che in Firenze è gran miseria e massimo ne' nobili; però non guardando a dota, io credo che si possa trovar cosa al proposito: come t'ò scritto altre volte, far conto di fare una limosina. Adì 23 d'aprile 1552.
Michelagniolo in Roma.
[282]
Archivio Buonarroti. Di Roma, 24 di giugno 1552.
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — I' ò avuto il trebbiano, cioè quaranta quattro fiaschi; di che ti ringrazio. Parmi molto buono, ma poco lo posso godere, perchè dato ch'i' n'ò agli amici qualche fiasco, quel che mi resta, in pochi dì s'inforza. Però un'altr'anno s'io ci sarò, basterà mandarne dieci fiasci, se ci fie modo, per la soma d'un altro.
A questi dì fu qui il vescovo de' Minerbetti,[222] e riscontrandolo con messer Giorgio pittore,[223] mi domandò di te e circa al darti donna: di che ragionamo: mi disse che avea una cosa buona da darti, e che anche non s'avea a tôrla per l'amor di Dio. Non ricercai altro, perchè mi parve che andassi in fretta. Ora tu mi scrivi che non so chi de' sua t'ànno parlato costà e confortàtoti a tôr donna, e dittoti che io n'ò gran desiderio. Questo tu te lo puo' sapere per le lettere ch'io t'ò più volte scritte, e così ti raffermo, acciò che l'esser nostro non finisca qui; benchè non sare' però disfatto il mondo: pure ogni animale s'ingegnia conservare la suo' spezie. Però io desidero che tu tolga donna, trovando cosa al proposito, cioè sana e bene allevata, d'uomini di buona fama, e quando vi sia le parte buone che si ricercano in simil caso non aver rispetto a la dota: e quand'e' pure tu non ti sentissi della sanità della persona da tôr donna, meglio è ingegniarsi di vivere che amazzarsi per fare altri. Questo ti dico io ultimamente, perchè io veggo andar la cosa a lunga, e non vorrei che tu facessi a mie' stanza cosa che fussi contra te medesimo, perchè non àresti mai bene e io non sarei mai contento.
Del trovarti io qua cosa che sia al proposito, tu puoi pensar ch'io non sia [283] al mondo in simil caso, perchè non ò pratica nessuna, e massimo de' Fiorentini; ma àrò ben caro che quando tu abbi qualche cosa alle mani, m'avisi prima che stringa la cosa. Altro non ò da dirti. Prega Dio che ce la die buona. A dì 24 di gugnio 1552.
Michelagniolo Buonarroti in Roma.
(Di mano di Lionardo.)
1552, di Roma, adì 30 di giugno: de' dì 24 deto.
[284]
Museo Britannico. Di Roma, (d'ottobre 1552).
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Io ò avuto piacere grande, avendo inteso per la tua come quella cosa ti sodisfa. Ma abbi cura che non sendo certo delle dua che tu à' viste insieme, qual si sie quella di che si parla, che e' non te ne sia data una per un'altra, come fu fatto già a uno amico mio. Però apri gli ochi, e non aver fretta. Circa alla dota io soderò e farò ciò che tu mi dirai: ma a me è stato detto qua che e' non v'è dota nessuna. Però vacci col calzar del piombo, perchè non si può mai tornare adrieto, e io n'àrei grandissima passione, quando o per la dota o per altro non te ne sodisfacessi. El parentado, come ti scrissi, mi piace assai, e essendovi poi le parte che si desiderano in simil caso, non mi par da guardare nella dota quand'ella non sia come desideri. Io t'ò detto che tu apra gli ochi, perchè sèndone sollecitato, mi par che non debbe esser così, sendo chi e' son da ogni parte, bisognia farne e farne fare orazione, acciò che segua il meglio, perchè simil cose si fanno solo una volta.
Michelangniolo in Roma.
[285]
Archivio Buonarroti. Di Roma, 28 d'ottobre 1552.
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — In questa sarà la risposta ch'i' fo a Michele Guicciardini circa al tôr tu donna; e scrivogli com'io son parato a sodar la dota in su le cose mia, come o dove a te pare, e pregolo che in questa cosa duri un poco di fatica: però pórtagli la lettera e lui ti mostrerà circa 'l sodo come mi par da fare, o altrimenti come a te parrà: e a te dico, che tu non compri la gatta in saco, che tu facci di veder cogli ochi tuo' molto bene, perchè potrebbe esser zoppa o mal sana, da non esser mai contento; però úsaci diligenzia quanto puoi e racomàndatene a Dio. Altro non m'acade, e lo scriver m'è gran fastidio. A dì 28 d'ottobre 1552.
Michelagniolo Buonarroti in Roma.
(Di mano di Lionardo.)
1552, di Roma, addì 28 otobre: a dì 22 deto.
[286]
Archivio Buonarroti. Di Roma, 5 di novembre 1552.
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — I' ò una tua con una di Michele, a le quali non mi pare da rispondere altrimenti che quello ch'io vi scrissi, oggi fa otto dì; e queste credo l'abbiate avute; e così raffermo per questa: cioè che io per non esser stato costà, non ò notizia delle famiglie di Firenze; ma che io ò tal fede nel Guicciardino, che io non credo che ti consigliassi di cosa che non fussi al proposito: ma che tu facessi di vederla cogli ochi tuoi: e della dota, ti scrissi che tu la sodassi in su le cose mia dove ti pare, e mandassimi il contratto, che io retificherei a ciò che tu facessi. Credo le lettere l'abiate avute. Altro circa a questo non ò da dirti.
Àrei caro che quando tu trovassi da comperare una casa di mille per in sino in dumila scudi, me ne déssi aviso. Cèrcane e fanne cercar con diligenzia. Non ò or tempo da scrivertene altro.
A cinque di novembre 1552.
Michelagniolo Buonarroti in Roma.
[287]
Archivio Buonarroti. Di Roma, (del 21 novembre 1552).
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — E' mi par che le cose che ànno cattivo prencipio non possino aver buon fine. Io resto avisato per l'ultima tua, come circa quella cosa t'è mancato di quello che volontariamente t'era promesso; io ti dico, che benchè più volte t'abbi scritto che tu non guardi in danari, non mi par però che t'abbia a eser mancate le promesse; e perchè l'isdegnio à gran forza, a me parrebbe di non ne parlar più, se già tu non vi vedessi tante altre cose al proposito tuo, che non ti paressi da guardare in picola cosa. Di questo non intendendo particularmente le cose, non so che me ne dire: racomandarsene a Dio, e stimar che quel che segue sia il meglio: nè credo abia a mancar d'aconciarsi bene con la sua grazia.
Per l'ultima mia ti scrissi che tu cercassi di comperare una casa onorevole e in buon luogo, perchè pur quando acadessi ch'i' tornassi a Firenze, vorrei aver dove stare, e ancora perchè son vechio, e' vorrei dar luogo a quel poco del capitale che ò qua e starci più leggiermente ch'i' posso. Altro non mi acade. Non rispondo al Guicciardino, perchè non ò ancora saputo leggier la sua; io non so dove voi v'abbiate imparato a scrivere. Fa' mie scuse, e racomandami a lui e alla Francesca.[224]
(Di mano di Lionardo.)
1552, riceuta a dì 26 di novembre.
[288]
Archivio Buonarroti. Di Roma, 17 di dicembre 1552.
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Tu mi scrivi di dua partiti che ti son messi inanzi: a me piacciono molto più che quel di prima, ma perchè non ò da chi m'informarmi di tal cosa, non te ne posso scrivere particularmente cosa nessuna: bisognia che tu cerchi tu e pregi Iddio che ti dia il meglio. A me pare che tu abbi aver cura alla bontà e sanità, più che a nessun'altra cosa. Non ti posso dire altro circa a questo.
Della casa che io ti scrissi, dico, che quando se ne trovassi una in buon luogo che fussi onorevole e con buon sodo, ch'io non guarderei in danari, per insino alla quantità che ti scrissi. A dì 17 di dicembre 1552.
Michelagniolo in Roma.
(Di mano di Lionardo.)
1552, di Roma, addì 22 di dicembre: de' dì 17 deto.
[289]
Museo Britannico. Di Roma, (18 di marzo? 1553).
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Tu mi scrivesti già d'una figluola di Donato Ridolfi, per madre di quegli del Benino, e ora per quella che rispondi a Urbino, di nuovo me lo ramenti. Io non te ne posso nè consigliare nè sconsigliare, perchè, come t'ò scritto altre volte, io non ò notizia di famiglia nessuna di Firenze, e qua non pratico con nessun fiorentino: ma stimo bene, che avèndotene parlato il Guicciardino, che la possa esser cosa al proposito, sendo parente e di pura e buona coscienzia. Però io ti dico che tu lo pregi da mia parte che per l'amor di Dio s'afatichi un poco per simil cosa, o di questa de' Ridolfi o d'un'altra, tanto che si truovi cosa al proposito; restandogli obrigatissimo: e così prega la Francesca e racòmandami loro. Io t'ò scritto più volte che tu non guardi a dota, ma solo a nobilità, sanità e bontà; e quando si truovi queste cose, non ài aver rispetto a nessuna altra, perchè sendo tu uomo da bene non ti può mancare.
Urbino ti scrisse quello che gli era stato detto qua di te: che n'ebi passione: però non praticar cogl'uomini di Settigniano, che tu none caverai altro che vergognia.
Michelagniolo Buonarroti in Roma.
[290]
Archivio Buonarroti. Di Roma, 25 di marzo 1553.
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Io ò per l'ultima tua come tu ài circa il tôr donna rappicato pratica per quella de' Ridolfi. E' debbe esser quattro mesi o più, che io ti risposi di dua partiti di che mi scrivesti, che mi piacevono, e tu non me n'ài poi scritto altro; in modo che io non ti intendo e non so che fantasia si sia la tua: e questa pratica è già durata tanto, che la m'à straco, per modo che io non so più che mi ti scrivere. Questa de' Ridolfi, se tu n'ài buona informazione che ti piaccia, tò'la, e quello che io t'ò scritto altre volte del sodo, quel medesimo ti raffermo: e se e' non ti piace di tôr questa nè nessuna altra, io ne lascio il pensiero a te. Io ò atteso sessanta anni a' casi vostri; ora son vechio e bisògniami pensare a' mia: sichè pigliala come a te pare; che ciò che tu farai, à a esser per te e non per me, che ci ò a star poco. Quando ebbi la tua, n'ebbi un'altra del Guicciardino, e perchè è del medesimo tinore, non m'acade rispondergli altrimenti. Racomandami a lui e alla Francesca. Altro non m'acade. A dì 25 di marzo 1553.
Michelagniolo in Roma.
[291]
Archivio Buonarroti. Di Roma, 22 d'aprile 1553.
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Io ò per la tua come la pratica rappicata per conto della figluola di Donato Ridolfi è venuta a effetto: di che ne sia ringraziato Idio; pregandolo che ciò sia seguito con la sua grazia. Circa il sodo della dota, io ò fatto dire la procura in te, e così con questa te la mando, acciò che sodi la dota che mi scrivi di mille cinquecento ducati di sette lire l'uno, dove a te pare delle cose mia. Ò parlato con messer Lorenzo Ridolfi e fatto le parole conveniente meglio che ò saputo. Altro non m'acade per ora. Scriverra'mi poi come la cosa seguirà, e io penserò di mandar qualche cosa, come s'usa.
A dì 22 d'aprile 1553.
Michelangniolo Buonarroti in Roma.
[292]
Archivio Buonarroti. Di Roma, 30 d'aprile 1553.
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Súbito che io ebbi la tua del parentado fatto, ti mandai la procura che tu potessi sodare sopra le cose mia la dota;[225] cioè mille cinquecento ducati di sette lire l'uno. Credo l'abbi avuta e ch'ella stia bene; el notaio che l'à fatta è d'alturità, perchè è notaio del Consolato de' Fiorentini e di Camera.
Per l'ultima tua intendo come l'una parte e l'altra resta sodisfatta di tal parentado; di che ne ringrazio Dio: e come Urbino torna da Urbino, che sarà infra quindici dì, farò il debito mio.
A l'ultimo d'aprile 1553.
Michelagniolo in Roma.
[293]
Museo Britannico. Di Roma, 20 di maggio 1553.
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Io ò per l'ultima tua, come tu ài la donna in casa e come tu ne resti molto sodisfatto, e come mi saluti da sua parte e come non ài ancora sodato la dota. Della sodisfazione che n'ài, n'ò grandissimo piacere e parmi sia da ringraziarne Idio continuamente quante l'uomo sa e può. Del sodar la dota, se tu non l'ài, non la sodare e tien gli ochi aperti, perchè in questi casi de' danari sempre nasce qualche discordia. Io non m'intendo di queste cose, ma a me pare che avessi voluto aconciare ogni cosa inanzi che la donna avessi in casa. Circa il salutarmi da sua parte, ringràziala e fagli quelle oferte da mia parte che meglio saperrai fare a boca, che io non saperrei scrivere. Io voglio pur che paia che la sia moglie d'un mio nipote, ma non ò potuto farne ancora segnio, perchè non c'è stato Urbino. Ora è tornato due dì fa: però io penso di farne qualche dimostrazione. Èmmi detto che un bel vezzo di perle di valuta starebbe bene. Ò messo a cercarne uno orefice amico d'Urbino, e spero trovarle, ma none dire ancor nulla a lei: e se altro ti par ch'i' facci, avisàmene. Altro non mi acade. Fa' di vivere e pon mente e considera, perchè molto è sempre maggiore il numero delle vedove che de' vedovi.
A dì venti di maggio 1553.
Michelagniolo Buonarroti in Roma.
[294]
Archivio Buonarroti. Di Roma, 21 di giugno 1553.
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — I' ò ricievuto la soma del trebbiano che m'ai mandato, cioè quaranta quattro fiasci:[226] è molto buono, ma è troppo, perchè non ò più a chi ne donar come solevo; però se sarò vivo quest'altro anno, non voglio me ne mandi più.
Io ò provisto a dua anelli per la Cassandra, un diamante e un rubino; non so per chi mandartegli. Àmi ditto Urbino che si parte di qua dopo San Giovanni uno Lattanzio da San Gimigniano[227] tuo amico: ò pensato di dargli a lui che te gli porti, o vero tu mi adirizzi qualcun fidato, acciò che non sien cambiati, o che non vadin male. Avisami più presto che puoi quel che ti par ch'i' faccia. Come gli àrai, àrò caro gli facci stimare, per vedere se sono stato gabbato, perchè no' me ne intendo.
A dì 21 di gugnio 1553.
Michelagniolo Buonarroti in Roma.
[295]
Archivio Buonarroti. Di Roma, 22 di luglio 1553.
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Io ti mando pel procaccio i dua anelli, cioè uno diamante e uno rubino, e màndogli in una scatoletta amagliata, come mi scrivesti. Al procaccio darai tre iuli pel porto, e tre iuli gli ò promessi, se mi porta la ricievuta; però fàgniene; e àrò caro che detti anegli gli facci vedere, e m'avisi di quello che sono stimati. Altro non m'acade.
A dì 22 di luglio 1553.
Michelagniolo Buonarroti in Roma.
(Dietro sotto l'indirizzo è parimente di mano di Michelangelo.)
tre iuli ài a dare pel porto al procaccio.
[296]
Museo Britannico. Di Roma, 5 d'agosto 1553.
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Io ebbi le camice, cioè otto camice: sono una cosa bella e massimo la tela: l'ò care assai. Ma pure ò per male che le togliate a voi, perchè a me non manca. Ringrazia la Cassandra da mia parte e fagli oferte di ciò che io posso qua, delle cose di Roma o d'altro, che io non sono per mancarli. Ò avuta la ricievuta de' dua anelli e quello che sono stati stimati: l'ò caro, perchè son certo non essere stato ingannato: e benchè io abbi mandato picola cosa, un'altra volta superiréno in qualche altra cosa che e' l'abbi fantasia, secondo che tu m'aviserai. Altro non m'acade circa questo. Fa' di vivere e sta' in pace.
A dì 5 d'agosto 1553.
Michelagniolo Buonarroti in Roma.
[297]
Archivio Buonarroti. Di Roma, 24 di ottobre 1553.
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Io ò per la tua, come la Cassandra è gravida; del che n'ò piacer grandissimo, perchè spero pur che di noi resti qualche reda o femina o mastio che si sia; e di tutto s'à a ringraziare Idio. A questi dì è tornato di costà il Cepperello e à ditto a Urbino che mi voleva parlare; penso che sia per conto del suo podere che confina co' nostri. Avisami se n'à parlato costà niente con esso voi, perchè quando si potessi avere, sarebbe molto a proposito.
Altro non mi acade. Saluta messer Giovan Francesco da mia parte, e avisami come (la fa).
A 24 d'ottobre 1553.
Michelagniolo Buonarroti in Roma.
[298]
Museo Britannico. Di Roma, (del marzo 1554).
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Io ebbi una tua della settimana passata, dove mi scrivi la contentezza che tu ài continuamente della Cassandra: di che ne abbiamo a ringraziare (Idio), e tanto più quanto è cosa più rara. Ringràziala e racomandami a lei; a quando delle cose di qua gli piacessi niente, dàmene avviso. Circa al por nome a' figluoli che tu aspetti, a me parrebbe che tu rifacessi tuo padre, e se è femina, nostra madre, ciò è Buonarroto e Francesca. Non di manco io la rimetto in te. Altro non m'acade. Riguàrdati e fa' di vivere.
Michelagniolo Buonarroti in Roma.
[299]
Museo Britannico. Di Roma, (dell'aprile 1554).
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Io ò per la tua come la Cassandra è presso al parto e come vorresti intendere il parer mio del nome de' putti: della femina, se sia così, tu mi scrivi esser risoluto, per e' sua buon portamenti; del mastio, quando sia, io non so che mi ti dire. Àrei ben caro che questo nome Buonarroto non mancasse in casa, sendoci durato già trecento anni in casa. Altro non ò che dire, e lo scrivere m'è noia assai. Attendi a vivere.
Michelagniolo Buonarroti in Roma.
[300]
Archivio Buonarroti. Di Roma, 21 d'aprile 1554.
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Intendo per la tua come la Cassandra à partorito un bel figluolo e come la sta bene, e che gli porrete nome Buonarroto. Di tutto n'ò avuto grandissima allegrezza. Idio ne sia ringraziato; e lo facci buono, acciò ci facci onore e mantenga la casa. Ringrazia la Cassandra da mia parte e racomandami a lei. Altro non m'acade. Son breve allo scrivere, perchè non ò tempo. A dì ventuno d'aprile 1554.
Michelagniolo in Roma.
[301]
Archivio Buonarroti. Di Roma, (8 di dicembre 1554).
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Io ho ricevuto i caci che m'ài mandati, cioè dodici marzolini; son molto begli e buoni: n'ò fatto parte agli amici, e 'l resto per in casa. Altro non m'acade circa a questo. Del mio essere, secondo l'età, non mi pare di stare peggio che gli altri della medesima età; e di voi tutti stimo bene e così della Cassandra. Racomandami a lei, e digli ch'i' prego Iddio che la facci un altro bel figluolo mastio. Altro non m'acade.
Michelagniolo Buonarroti in Roma.
(Di mano di Lionardo.)
Di Roma, 1554, addì 14 di dicembre: de' dì 8 detto.
[302]
Archivio Buonarroti. Di Roma, 26 di gennaio 1555.
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Io ho mandati costà cento scudi d'oro in oro e' quali ò pagati qua, overo mandati per Urbino che sta meco a messer Bartolomeo Bussotti in Roma, che ti sieno pagati costà a tuo piacere. Però anderai a trovare messere Simone Rinuccini con la poliza che sarà in questa, e lui te gli pagerà; e di detti danari vorrei ne comperassi diciannove palmi di rascia pagonazza scura, la più bella che truovi, per fare una vesta a la moglie d'Urbino; del resto, vorrei che ne facessi limosine, ove ti pare che ne sia più bisognio, e massimo per fanciulle.
Io ti scrissi della ricievuta de' marzolini. Altro non m'acade: àvisami del seguito di detti scudi, e manda la detta rascia più presto che puoi. A dì 26 di gennaio 1555.
Michelagniolo Buonarroti in Roma.
[303]
Archivio Buonarroti. Di Roma, 9 di febbraio 1555.
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Intendo per la tua come ài ricevuti i cento scudi che io ti ò mandati, e come ài inteso per la mia quello che tu n'ài a fare, cioè a mandarmi dicianove palmi di rascia pagonazza scura, e del resto farne limosine dove e come pare a te, e darmene aviso.
Circa al bambino che tu aspetti, tu mi scrivi che ti parrebbe porgli nome Michelagniolo. Io dico che se così piace a voi, piace anche a me; ma se sarà femina, non so che mi dire. Contentavi[228] voi, e massimo la Cassandra, alla quale mi racomanderai. Altro non m'acade. Circa le limosine di che ti scrivo, fanne poco romore. A dì 9 di febraio 1555.
Michelagniolo Buonarroti in Roma.
(Di mano di Lionardo.)
1554, addì 16 di febraio: de' dì 9 detto.
[304]
Archivio Buonarroti. Di Roma, 2 di marzo 1555.
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Io ebbi la rascia: è molto bella, e a torla qua sarebbe costa molto più e non sare' stata sì bella: del che Urbino te ne ringrazia quanto sa e può.
Circa a quel de' Bardi, mi piace quel che ài fatto e così séguita del resto senza romore. Qua si dice che costà è gran carestia e miseria; però è tempo, il più che l'uomo può, di guadagniare qual cosa per l'anima. Altro non m'acade. Séguita e àvisami. Altro non m'acade.[229] A dì 2 di marzo 1555.
Michelagniolo Buonarroti in Roma.
[305]
Archivio Buonarroti. Di Roma, (del marzo 1555).
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — I' ò per l'ultima tua la morte di Michelagniolo, e tanto quanto n'ebbi allegrezza, n'ò passione; anzi molto più. Bisognia aver pazienza e stimar che sia stato meglio che se fussi morto in vechiezza. Ingegniati di viver tu, perchè sarebbe con tanta fatica la roba senza uomini.
Il Cepperello à ditto a Urbino che vien costà, e che la donna che avea a vita il podere, di che già si parlò, è morta; credo sarà con esso teco. Se lo vuol dare pel gusto prezzo con buona sicurtà, piglialo e avisami, e io ti manderò i danari.
Michelagniolo Buonarroti in Roma.
[306]
Archivio Buonarroti. Di Roma, 30 di marzo 1555.
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Messer Francesco Bandini m'à domandato s'io voglio vendere le terre ch'io ò da Santa Caterina, che à uno suo amico che le comperrebbe volentieri. Io gli ò ditto che ogni cosa mia costà è vostra, e che voi ne farete, sarà ben fatto: e così vi rafermo. Però siate insieme tu e Gismondo e vedete che vi torna meglio, o danari o tenere le terre; e rispondi resoluto, acciò possa rispondere a detto messer Francesco. Altro non m'acade circa questo.
Un manovale della Fabrica qua di Santo Pietro m'à dato qua due scudi d'oro, che io gli mandi alla madre; però leggierai la poliza che sarà in questa, e dara'gli a chi la dice, perchè non ò da mandargli altrimenti.
A dì 30 di marzo 1555.
Michelagniolo Buonarroti in Roma.
[307]
Archivio Buonarroti. Di Roma, 10 di maggio 1555.
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Io ti scrissi circa un mese fa che tu déssi dua scudi d'oro alla madre di Masino da Macìa che sta qua per manovale, che tanti n'avea qua dati a me, che io gniene mandassi. Non ò mai avuto risposta. Àrei caro m'avisassi se avesti la lettera e se gli à' dati o sì o no. Altro per questa non m'acade.
In questa sarà una di messer Giorgio pittore. Àrei caro che la déssi in sua propia mano, perchè è cosa che m'importa assai. A dì dieci di maggio 1555.
Michelagniolo Buonarroti in Roma.
[308]
Archivio Buonarroti. Di Roma, 25 di maggio 1555.
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Circa le terre di Santa Caterina, io ti scrissi che tu fussi con Gismondo, e che voi ne pigliassi quel partito che fussi più utile per voi. Ora mi scrivi che a voi par da venderle e a me non potrebbe più piacere; sichè vendete e non aspettate altro, e de' danari acordavene[230] insieme. Ài dati i danari alla madre di Masino? Altro non ò che dire: riguàrdati: e Dio ci aiuti. Adì 25, 1555 di maggio.[231]
Michelagniolo in Roma.
[309]
Archivio Buonarroti. Di Roma, 22 di giugno 1555.
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Io ti mando in questa una lettera che tu la dia a messer Giorgio Vasari e racomandami a lui.
Delle terre di Santa Caterina io ti scrissi, che a me piacea assai che voi le vendessi, e che vendendole, i danari ne facciate quello che vi pare, come di cosa vostra: però quando siate d'acordo con chi le vuole, datemene aviso, acciò che io vi mandi la procura. Altro non m'acade. Attendi a star sano e vivere. A dì 22 di gugnio 1555.
Michelagniolo Buonarroti in Roma.
(Di mano di Lionardo.)
Di Roma, addì 26 di giugno: de' dì 22 detto, 1555.
[310]
Archivio Buonarroti. Di Roma, 5 di luglio 1555.
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Tu mi scrivi per l'ultima tua esser d'accordo con lo Spedalingo di Bonifazio delle terre mia da Santa Caterina, cioè di dargniene per trecento venti scudi, e che io ti mandi la procura. Io te la manderò di questa settimana che viene a ogni modo. Non ò potuto prima per ragione di crudelissimo male che io ò avuto in un piede, che non m'à lasciato uscir fuora e àmi dato noia a più cose: dicono ch'è spezie di gotte: non mi manca altro in mia vechiezza! pure ora ne sto assai bene: e come ho detto, di questa settimana che viene, te la manderò a ogni modo. Tien fermo l'acordo, perchè mi piace assai. Altro non m'acade. A dì cinque di luglio 1555.
Michelagniolo Buonarroti in Roma.
(Di mano di Lionardo.)
Di Roma, 1555, addì 11 di luglio: de' dì 5 detto.
[311]
Archivio Buonarroti. Di Roma, 13 di luglio 1555.
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Io ti mando la procura che tu possi dare le terre dette da Santa Caterina allo Spedalingo, e a chi altri ti pare; e de' danari, che tu e Gismondo ne facciate quello che vi pare il meglio. Delle terre che furno di Niccolò della Buca, a me piacerebbe come mi scrivi, quando vi fussi buon sodo.
In questa sarà una a Gismondo: confòrtalo da mia parte a pazienza, e digli che degli affanni i' n'ò anch'io la parte mia: e non gli mancar di niente. A dì 13 di luglio 1555.
Michelagniolo Buonarroti in Roma.
[312]
Raccolta già Bustelli. Di Roma, 28 di settembre 1555.
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.[232]
Lionardo. — Io ho inteso per l'ultima tua come il Duca[233] è stato a vedere i dua modegli della facciata di San Lorenzo[234] e come Sua Signoria gli à domandati. Io ti dico che avevi súbito a mandargli, dove Sua Signoria gli voleva, senza scrivermene altrimenti: e così àresti a far d'ogni altra cosa nostra, quando avessimo cosa che gli piacessi.
Con questa sarà la risposta di quella di messer Giorgio, e circa la scala della Libreria[235] io gnene do notizia, come per un sogno di quel poco ch'i' mi posso ricordare: e màndoti la lettera sua aperta, acciò che tu la legga e così aperta gniene dia.
Mi piace che stiate bene tu e la Cassandra e 'l putto, ma di Gismondo n'ho gran passione e duolmi assai; ma non sono anch'io senza difetti e con molte brighe e noie, e di più ch'io ho già tenuto Urbino tre mesi nel letto malato e èvvi ancora; che m'è stato d'un gran fastidio e noia: ringraziare Dio d'ogni cosa. Confortalo da mia parte e aiutalo quanto tu puoi. A dì 28 di settembre 1555.
Michelagniolo Buonarroti in Roma.
[313]
Archivio Buonarroti. Di Roma, 30 di novembre 1555.
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Io ò per la tua la morte di Gismondo mio fratello[236] e non senza grandissimo dolore. Bisognia aver pazienza: e poi ch'è morto con buon conoscimento e con tutti e' sacramenti che ordina la Chiesa, è da ringraziarne Idio.
Io son qua in molti affanni, e ancora ò Urbino nel letto molto mal condotto; non so che se ne seguirà: io n'ò quel dispiacere che se fussi mio figluolo, perchè è stato meco venticinque anni molto fedelmente; e perchè son vechio, non ò più tempo a fare un altro a mio proposito: però mi duol molto: però se ài costà nessuna persona divota, ti prego facci pregare Idio per la sua sanità.
A dì trenta di novembre 1555.
Michelagniolo Buonarroti in Roma.
(Di mano di Lionardo.)
Di Roma, 1555, addì 7 di dicembre: de' dì 30 passato.
[314]
Archivio Buonarroti. Di Roma, 4 di dicembre 1555.
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Circa alle sustanze che à lasciate Gismondo, di che mi scrivi, io dico che ogni cosa à restare a te. Fa' d'osservare il suo testamento e di fare orazion per l'anima sua, che altro non si gli può fare.
Àvisoti come iersera, a dì tre di dicembre a ore 4 passò di questa vita Francesco detto Urbino,[237] con grandissimo mio affanno; e àmmi lasciato molto aflitto e tribolato, tanto che mi sare' stato più dolce il morir con esso seco, per l'amore che io gli portavo: e non ne meritava manco; perchè s'era fatto un valente uomo, pieno di fede e lealtà; onde a me pare essere ora restato per la [315] morte sua senza vita: e non mi posso dar pace. Però àrei caro di vederti: ma non so come tu ti possa partire di costà per amor della donna. Àvisami se infra un mese o un mese e mezo tu potessi venire insino qua, intendendo sempre con licenzia del Duca. I' ò ditto che 'l tuo venire sie con licenzia del Duca, per bene: ma non credo che bisogni: gòvernala come ti pare, e rispondi. Scrivi se tu puoi venire, e io ti scriverrò quande tu t'àrai a partire, perchè io voglio che prima sia partita di casa la moglie d'Urbino.
Michelagniolo Buonarroti in Roma.
[316]
Archivio Buonarroti. Di Roma, 11 di gennaio 1556.
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Io ti scrissi della settimana passata la morte d'Urbino[238] e com'io ero restato in gran disordine e molto malcontento, e come àrei caro che tu venissi insino qua. E così ti scrivo di nuovo, che quando tu possa acomodar le cose tua costà senza pericolo o danno per un mese, che tu ti metta a ordine per venire. Quando non ti tornassi bene, o che fussi per seguirne danno o per sospetto di strade o per altro, indugia tanto che ti paia tempo da venire; e quando ti par tempo, vieni, perchè i' son vechio e ò caro parlarti inanzi ch'i' muoia. Altro non m'acade. Se altro ti fussi scritto, no' prestar fede se non alle mie lettere. A dì undi(ci) di gennaio 1556.[239]
Michelagniolo Buonarroti in Roma.
[317]
Archivio Buonarroti. Di Roma, 7 di marzo 1556.
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — I' ò per la tua come siate gunti a salvamento, di che n'ò piacere grandissimo, e più stando bene la Cassandra e gli altri. Io qua mi sto nel medesimo termine che mi lasciasti, e del riavere le cose mia ancora non è seguito altro che parole. Starò a veder quello che segue quante potrò.
Dello spender costà dumila scudi, come ti dissi qua, o in casa o in possessione, io son del medesimo parere; però quando trovassi cosa al proposito, dànne aviso.
La moglie d'Urbino mi manda a chiedere sette braccia di panno nero che sia bello e leggieri, e che súbito mi manderà e' danari del costo: però io àrei caro che tu me lo mandassi; e pàgalo: e quel manco che costerà, darai come restàmo: e come acade che io t'abbi a mandar danari, te gli rimetterò nella somma de' cento. Altro non m'acade. Ringrazia la Cassandra e racomandami a lei.
Adì 7 di marzo 1556.
Michelagniolo Buonarroti in Roma.
(Di mano di Lionardo.)
Addì 14 di marzo: de' dì 7 detto; di Roma, 1555.
[318]
Archivio Buonarroti. Di Roma, 11 d'aprile 1556.
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Tu t'abbattesti bene a dare a un gran tristo quel panno; io l'ò aspettato qua un mese e fattolo aspettare a altri, con grandissimo dispiacere. Io ti priego, che intenda quel che questo tristo mulattiere n'à fato: e se si ritruova, màndalo più presto che tu puoi; se non si ritruova, se si tiene ragione, fa gastigare cotesto tristo e fàgniene pagare e màndamene altre sette braccia. E' non mi mancava afanni! io n'ò avuto e ò tanta noia e dispiacere, che non si potrebbe dire.
A la Francesca io risponderò a la sua un'altra volta, perchè adesso non mi sento da scrivere. Racomandami a lei e a Michele e a tutti gli altri. A dì undici d'aprile 1556.
Michelagniolo Buonarroti in Roma.
[319]
Archivio Buonarroti. Di Roma, 25 d'aprile 1556.
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — I' ò avuto il panno, grazia di Dio, e come truovo un mulattier fidato lo manderò alla Cornelia.[240]
Io non t'ò mai risposto della casa che mi scrivesti per compera, perchè ò avuto da pensare a altro. Ora ti dico, che in quello luogo la non mi piace, perchè mi par troppo streto e maninconico: la vorrei in luogo più arioso e aperto: e non guardare in ispesa: e se non casa, possessione: perchè mi vorrei alleggerire qua quant'io posso di quel poco del capita(le) che io ci ò, perchè son molto diminuito, poi che morì Urbino, e ogni ora potrebbe esser la mia, e Dio sa come andassino poi le cose mia: però pensa a quello che io ti scrivo, perchè t'importa asai.
Vorrei e àrei caro mi déssi un poco d'aviso come ài governata la cosa delle limosine e come vi sarebbe ancor da farne, chi potessi. Altro non m'acade. Racomandami a la Cassandra e cerca di vivere el più che puoi, che la roba non resti senza le persone. Adì 25 d'aprile 1556.
Michelagniolo Buonarroti in Roma.
[320]
Archivio Buonarroti. Di Roma, 8 di maggio 1556.
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — I' ò con la tua di molte ricevute; io no l'ò volute vedere e òllo avute[241] molto per male, perchè e' par che tu creda che io non mi fidi di te. Io avevo caro sapere in che modo l'avevi distribuite e dove, per sapere in che persone è la povertà, e bastava darmene un po' d'aviso per la lettera.
Tu mi scrivi che la Cassandra non si sente bene; n'ò passione e duolmi assai: però non mancar di cosa nessuna, e se posso far niente, àvisami, e racomandami a lei.
Della casa di che mi scrivi, non mi piace il luogo; meglio è star così, che non se ne contentare. Io ti scrissi che àrei voluto dar luogo a un poco di capital ch'io ò, pe' casi che possono venire, send'io vechio e mal condizionato: io non ò poi voluto tôr porzione per più rispetti che non acade dire.
A dì 8 di maggio 1556.
Michelagniolo Buonarroti in Roma.
[321]
Archivio Buonarroti. Di Roma, 31 di maggio 1556.
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Io non risposi a l'altra tua, perchè non potetti. Ora ti dico circa il podere del Cepperello che quando s'acosti a prezzo ragionevole, che tu lo togga a ogni modo; e ancora dico, che oltre al podere del Cepperello, che tu spenda dumila scudi in quello che pare a te, perchè della casa, se io non truovo cosa al proposito, cioè in luogo aperto e spazioso, io voglio più presto che tu toga una possessione.
Ò avuto una lettera dalla Francesca, per la quale mi prega ch'i' facci una limosina di dieci scudi a un suo confessore per una povera fanciulla che mette nel munistero di Santa Lucia. Io la voglio fare per amor della Francesca; perchè so che se non fussi buona limosina, che non me ne richiederebbe; ma non so come me gli far pagar costà: però vorre' ch'el detto confessore, se avessi qua un amico di chi si potessi fidare, che io gniene darei, quando me ne désse aviso.
Che la Cassandra stia bene, come mi scrivi, n'ò grandissimo piacere. Racomandami a lei, e ingegniatevi di vivere.
Adì ultimo di maggio 1556.
Michelagniolo Buonarroti in Roma.
[322]
Museo Britannico. Di Roma, (del giugno 1556).
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Io ebbi il caratello de' ceci bianchi e rossi e de' pisegli e delle mele. Se non te l'ò scritto prima, non m'è paruto cosa che importi, e perchè lo scrivere m'è di gran noia e fastidio. Altro non mi acade. Attendi a vivere. Io son vechio e malsano: e quando m'acaderà niente di pericolo, te lo farò intendere, se àrò tempo. Se trovassi messer Giorgio[242] digli, che della cosa sua io non lo posso aiutare; che lo farei volentieri, e che io n'ho parlato con messer Salustio,[243] e che m'à risposto averci durato fatica e che non ci vede ordine. Mi pare a me che bisogni farsi a messer Piergiovanni.[244]
Michelangniolo Buonarroti in Roma.
[323]
Archivio Buonarroti. Di Roma, 27 di giugno 1556.
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Io ti mando[245] d'oro in oro che tanti n'ò dati qua a messer Francesco Bandini che te gli[246] pagar costà, e la poliza sarà in questa. Pòrtagli a la Francesca che gli dia per quella fanciulla, di che m'à scritto.
Del Cepperello tu ài a pensare, ch'egli è certo che tu desideri di comperare quel podere, e ingegnierassi di farti fare di cento scudi almeno: sì che fa' il me' che tu puoi. Di quello che tu potevi spendere in quel che a te pareva, io te lo scrissi per l'altra. Non acade, non acade[247] altro.
Adì venti 7 di gugno 1556.
Michelangniolo in Roma.
[324]
Archivio Buonarroti. Di Roma, 4 di luglio 1556.
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Io non ti scrissi del trebbiano per la fretta. Io l'ebbi, cioè trentasei fiasci. È il migliore che tu ci abbi mai mandato: io te ne ringrazio, ma duolmi che tu sia entrato in questa spesa e massimamente, perchè, mancati tutti gli amici, e' non ò più a chi ne dare.
Del podere del Cepperello tu à' mostro d'avere troppa voglia; tutto il contraro di quello che io ti dissi qua: basta che la vedova di mala vita ne vuol dare un tesoro: astuzie goffe da farmi correre: pure sia come si vuole: fa' il meglio che tu puoi e to'lo, e avisami come e dove io t'ò a far pagare i denari, co' manco romore che si può. Altro non m'acade. Mi piace che tutti stiate bene: ringraziato sie Dio.
Adì 4 di luglio 1556.
Michelagniolo Buonarroti in Roma.
[325]
Archivio Buonarroti. Di Roma, 25 di luglio 1556.
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Io intesi per l'ultima tua come eri d'acordo col Cepperello e del prezzo. Ora io ti dico che benchè sia caro cento scudi, che tu ài fatto bene: ma vorrei inanzi che io facessi pagare costà i danari, che tu t'assicurassi del sodo con diligenzia, e che tu non corressi a furia come à' fatto in sino a ora, e che tu m'avisassi dell'appunto de' danari che io t'ò a far pagare costà, cioè di quanti scudi io t'ò a far pagare costà o d'oro o di moneta. Lo scudo d'oro qua sono undici iuli, e di moneta, dieci. E se io indugiassi qualche dì a farti pagare i danari, non posso fare altro; perchè c'è da pensare a altro più che tu non credi, e non ò chi mi serva di simil cose. Bastiano[248] è forte ammalato, e dubito non si muoia. Tien fermo il mercato con Cepperello. Altro non m'acade. Credo stiate tutti bene e similmente la Cassandra. Racomandami a lei e pregàmo Iddio che ci aiuti, che ce n'è di bisognio.
Adì venticinque di luglio 1556.
Michelagniolo Buonarroti in Roma.
[326]
Archivio Buonarroti. Di Roma, 1 d'agosto 1556.
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — La tuo' furia mi pèggiora almeno cinquanta scudi d'oro: ma più mi duole che ài fatto più stima d'un pezzo di terra, che delle mie parole. Tu sai quel che io ti dissi; che tu mostrassi che io non lo volevo, e che noi ci facessimo pregar di comperarlo: e tu súbito che fusti costà vi mettesti su i sensali con gran sollecitudine. Ora poi ch'è fatto, fa' di vivere e goderlo.
Ieri ebi una tua, venuta molto in fretta, dove mi scrivi che se' per fare il contratto, e che 'l tutto monta secento cinquanta scudi d'oro in oro,[249] e che io dia detti scudi a messer Francesco Bandini che te li farà pagar costà da' Capponi; e così farò: ma non posso prima che quest'altra settimana, che Bastiano, sendo megliorato, comincierà a uscir fuora e verrà al banco a contargli, perchè non ò altri che mi serva. Altro non m'acade.
Adì primo d'agosto 1556.
Michelagniolo Buonarroti in Roma.
[327]
Archivio Buonarroti. Di Roma, 8 d'agosto 1556.
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Bastiano à cominciato a uscir fuora, e lunedì o martedì verrà a' Bandini a contare i danari, e così ti saranno pagati costà nel modo che tu m'ài scritto. Circa la compera, tu l'ài governata a tuo modo e non a mio; à'mi peggiorato almeno cinquanta scudi. Egli è ben vero che l'amor propio inganna tutti gli omini. Ricòrdati di tuo padre e della morte che fece,[250] e io, Dio grazia, sono ancor vivo. Altro non m'acade.
Adì 8 d'agosto 1556.
Michelagniolo Buonarroti in Roma.
[328]
Archivio Buonarroti. Di Roma, 15 d'agosto 1556.
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Io portai iermatina al banco de' Bandini scudi secento cinquanta d'oro in oro, e in questa sarà la lettera: va' e pàgagli, come se' d'accordo. Tu mi scrivi de' danari ch'i' ti scrissi che tu spendessi a tuo modo: tu sai bene che non si intendeva nel podere del Cepperello, che è cosa vechia, praticata già più di venti anni e già col pensiero era comperato: ma tu l'ài voluta intendere e governare secondo l'appetito tuo. La cosa è fatta. Attendi a vivere e fa' poco romore, e massimo a Settigniano: che non ci manca altro che essere in voce di Settignianesi tu e la donna tua qua e costà. Io non ti scrivo a caso, perchè tu ài un cervello molto contrario al mio. Altro non m'accade. Adì 15 d'agosto 1556.
La lettera di detti scudi sarà[251] sarà in questa.
Michelagniolo Buonarroti in Roma.
[329]
Archivio Buonarroti. Di Roma, di settembre 1556.
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Circa il soddisfare il boto di che mi scrivi, io ti dico che a me non par tempo d'andare attorno: e parmi per ora. Del pore nome Michelagniolo a la creatura che tu aspetti, a me piace, o altro nome, purchè sia di casa: e Giovansimone ancora starebbe bene. Fa' come a te pare, che io ne son contento. Altro non m'acade.
Adì.... di settembre 1556.
Michelagniolo Buonarroti in Roma.
[330]
Museo Britannico. Di Roma, 31 d'ottobre 1556.
A Lionardo Buonarrotti Simoni, nipote carissimo. In Firenze. Raccomandasi alli Cortesi che la diano súbito. In Firenze.
Lionardo nipote carissimo. — Più giorni sono ricevei una tua, alla quale prima non ho fatto risposta, per non aver auto comodità: et ora sopperirò al tutto, acciò non ti maravigli, et perchè intendi. Trovandomi più d'un mese fa che la fabrica di San Pietro s'era allentata del lavorare, mi disposi andare fino a Loreto per alcuna mia divozione: così trovandomi in Spoleti un poco stracco, mi fermai alquanto per mio riposo: cosicchè quivi non possetti conseguire l'intenzion mia; chè mi fu mandato un homo a posta che io mi dovessi ritornare in Roma. Il che, per non disubbidire, mi mossi e ritornai in Roma: dove io, grazia del Signore, mi trovo, et qui si sta come a Dio piace, rispetto ai frangenti che ci sono:[252] sì che io non mi stenderò in altro, se non che qui ci sono buone speranze della pace: che a Dio piaccia sia. Attendi a star sano, pregando Dio ci aiuti. Di Roma, addì ultimo d'ottobre 1556.
Tuo come padre,
(Sottoscritto) Michelagniolo Buonarroti in Roma.
[331]
Archivio Buonarroti. Di Roma, 19 di dicembre 1556.
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Io ti scrissi della mia ritornata a Roma. Dipoi ebbi una tua, dove intesi come la Cassandra aveva partorita una bambina e che in pochi dì la s'era morta; di che n'ò avuto dispiacere assai: ma non me ne maraviglio, perchè noi abiàn questa sorte di non avere a multiplicare in famiglia a Firenze. Però prega Idio che e' viva quello che tu ài, e fa' di vivere anche tu, acciò che ogni cosa non abi a rimanere allo Spedale. Altro non m'acade. Racomandami a la Cassandra e a Dio, ch'i' n'ò bisognio.
In questa sarà una di messer Giorgio pittore: dàlla più presto che puoi.
Adì 19 di dicembre[253] 1556.
Michelagniolo Buonarroti in Roma.
[332]
Archivio Buonarroti. Di Roma, 6 di febbraio 1557.
Al suo carissimo Lionardo Buonarroti nipote carissimo in Firenze.
Lionardo carissimo. — Ho riceuto la vostra lettera et visto quanto mi scrivi circa sua Eccellenzia, imperò darai la inclusa a messer Lionardo[254] et scusami; che io non sono per mancare a sua Eccellenzia della promessa, et come vedrò il tempo, non mancherò; ma non posso così súbito, perchè bisogna dar ordine alle cose mie di qua: sì che io non ti dirò altro per adesso, per avere auto le lettere in sulle 24 ore di sabato. Così atendi a star sano et Dio ti guardi.
Di Roma, il dì 6 di febraro 1557.
(Sottoscritto) Michelagniolo.
[333]
Archivio Buonarroti. Di Roma, 13 di febbraio 1557.
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Venendomi a trovar qua in Roma circa du' anni sono messer Lionardo,[255] uomo del duca di Firenze, mi disse che sua Signoria àrebbe avuto grandissimo piacere ch'i' fussi ritornato in Firenze, e fecemi molte oferte da sua parte. Io gli risposi, che pregavo suo Signoria che mi concedessi tanto tempo che io potessi lasciare la fabrica di Santo Pietro in tal termine, che la non potessi esser mutata con altro disegnio fuori dell'ordine mio. Ò poi seguitato, non avendo inteso altro, in detta Fabrica, e ancora non è a detto termine; e di più m'è agunto che m'è forza fare un modello grande di legniame con la cupola e la lanterna,[256] per lasciarla terminata come à a essere finita del tutto; e di questo son pregato da tutta Roma, massimamente dal Reverendissimo Cardinale di Carpi: in modo che io credo che a far questo mi bisogni star qua non manco d'un anno; e questo tempo prego il Duca che per l'amor di Cristo e di Santo Pietro me lo conceda, acciò ch'io possa tornare a Firenze senza questo stimolo, con animo di non aver a tornar più a Roma. Circa l'esser serrata la Fabrica, questo non è vero, perchè, come si vede, ci lavora pure ancora sessanta uomini fra scarpellini, muratori e manovali, e con speranza di seguitare.
Questa lettera io vorrei che tu la leggiessi al Duca, e pregassi suo Signoria da mia parte, che mi facessi grazia del tempo sopra detto, ch'i' ò di bisognio inanzi ch'i' possa tornare a Firenze; perchè se mi fussi mutato la composizione di detta Fabrica, come l'invidia cerca di fare, sare' come non aver fatto niente insino a ora.[257]
(Di mano di Lionardo.)
Di Roma. Riceuta addì 18 febraio 1556: de' dì 13 istante.
[334]
Archivio Buonarroti. Di Roma, 4 di maggio 1557.
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Io ti mando costà per messer Francesco Bandini scudi cinquanta d'oro in oro, perchè tu mi mandi otto braccia di rascia nera la più legiera e bella che tu truovi, e dua braccia d'ermisino. Queste cose m'à mandato a chiedere la moglie d'Urbino: però mandamele più presto che puoi, e avisami della spesa; e del resto de' cinquanta scudi che io ti mando, fanne limosine dove ti pare che sie più bisognio. Altro circa questo non mi acade.
Io son vechio, come sai, e ò molti difetti nella persona, in modo che io mi sento poco lontan dalla morte, in modo che questo settembre, se sarò vivo, àrò caro che tu venga insin qua per aconciar le cose mia e nostre: e fa' pregare Idio per me; s'intende s'i' non sono prima costà. In questa sarà la lettera de' danari e una di messer Giorgo Vasari. Dàlla più presto che puoi e racomandami a lui, e avisami d'ogni cosa. Altre volte t'ò scritto, che tu non creda a nessuno che parli di me, se tu non vedi mia lettere.
Per farmi tornar costà, forse per ricuperare l'onore della sua partita di qua, dico di Bastiano da San Gimigniano, à ditto costà molte bugìe, forse a buon fine. A dì 4 di maggio 1557.
Michelagniolo Buonarroti in Roma.
(D'altra mano.)
D. (Donato) Capponi di grazia fàtela dar bene.
[335]
Archivio Buonarroti. Di Roma, 16 di giugno 1557.
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Io ò ricevuto la rascia e l'ermisino: come truovo chi la porti, la manderò, e súbito mi manderà i danari.[258] Del resto de' danari m'aviserai, quando n'àrai fatto quello che io ti scrissi.
Circa l'esser mio, sto male della persona, cioè con tutti i mali che sogliono avere i vechi; della pietra, che non posso orinare; del fianco, della schiena, in modo che spesso non posso salir la scala; e peggio è, perchè son pieno di passione; perchè lasciando le comodità ch'io ò qui a' mia mali, non ò a viver tre dì: e non vorrei perder per questo la grazia del Duca, nè vorrei mancar qua alla fabrica di Santo Pietro, nè mancare a me stesso. Prego Dio che m'aiuti e mi consigli; e se mi venisse male, cioè febre di pericolo, súbito manderei per te. Ma non ci pensare e non ti mettere a venire, se non ài mia lettere che tu venga.
Racomandami a messer Giorgio, che mi può giovare asai se vuole, perchè so che il Duca gli vuol bene.
A dì sedici di gugnio 1557.
Michelagniolo Buonarroti in Roma.
[336]
Raccolta già Bustelli. Di Roma, 1 di luglio 1557.
Lionardo. — Io vorrei più presto la morte che essere in disgrazia del Duca. Io in tutte le mie cose m'ingegno d'andare in verità, e se io ho tardato di venir costà come ho promesso, io ho sempre inteso con questa condizione di non partire di qua, se prima non conduco la fabbrica di San Pietro a termine che la non possa esser guasta nè mutata della mia composizione, e di non dare occasione di ritornarvi a rubare come solevano e come ancora aspettano i ladri: e questa diligenzia ò sempre usata e uso, perchè come molti credono e io ancora, esservi stato messo da Dio. Ma 'l venire al detto termine di detta fabbrica non m'è ancora, per esser mancati i danari e gli uomini, riuscito. Io perchè son vechio e non avendo a lasciare altro di me, non l'ò voluta abbandonare, e perchè servo per l'amor di Dio e in lui ho tutta la mia speranza.[260] Acciò che 'l Duca sappia la cagion del mio ritardare, la scrivo in questa con un po' di disegnio dell'errore, acciò ne dia notizia al Duca messer Giorgio.
A dì primo di luglio 1557.
Michelagniolo Buonarroti in Roma.[261]
[337]
Raccolta già Bustelli. Di Roma, 17 d'agosto 1557.
Lionardo. — Per l'ultima tua come per l'altre mi solleciti al tornare costà; e io ti dico che chi non è qua e non m'ode e non mi vede, non sa che starmi sia il mio qua. Però non bisognia dirmi altro. Io fo ciò ch'i' posso fare di me ne' termini ch'io mi trovo.
Circa la cortesia e amore e carità grandissima del Duca, io resto tanto vinto, ch'io non so che mi dire. Bisognia che messer Giorgio m'aiuti, perchè sa quanto bisognia ringraziare, e con che parole, uno che stima la mia vita più che non fo io medesimo, e massimo un senza pari. Altro non mi acade. Lo scrivere m'è di gran fastidio per esser vechio e pien di confusione. A dì 17 di agosto 1557.
Michelagniolo Buonarroti in Roma.
Spicca la metà di questo foglio e dàllo a messer Giorgio, perchè va a lui. Non ho scritto altrimenti, perchè non avevo più carta in casa.
[338]
Museo Britannico. Di Roma, di settembre 1557.
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Io ò inteso per l'ultima tua la gran rovina de' ponti e de' munisteri e delle case e de' morti che à fatto costà la piena,[263] e come voi a rispetto agli altri l'avete campata assai bene. Io l'avevo inteso prima, e così credo che abiate inteso di qua voi, che abiàno avuto il simile delle rovine e de' morti dalla piena del Tevere: e noi per essere in luogo alto l'abiam campata assai bene a rispetto agli altri. Prego Idio che ci guardi di peggio, com'io temo per e' nostri pecati.
Le cose mia di qua vanno non troppo bene: io dico circa la fabrica di Santo Pietro, perchè non basta ordinare le cose bene, ch'e' capomaestri o per ignioranza o per la malizia fanno sempre il contrario, e a me toca la passione dell'error mio. Dell'altre cose, tu 'l puoi considerare, sendo nell'età ch'i' sono. Altro non mi acade.
Michelagniolo Buonarroti.
[339]
Archivio Buonarroti. Di Roma, 16 di dicembre 1557.
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Tu mi scrivi per l'ultima tua, che bisogniandomi o serve o altro per mio governo, che io te n'avisi, che mi manderai tutto quello che mi bisognia. Io ti dico che per ora non mi acade altro, perchè ò dua buon garzoni che mi servono tanto che basta.
Altro non ò da scriverti. Da vechio sto assai bene e con buona speranza: fa' di vivere, e pregàmo Dio che c'aiuti. A dì sedici di dicembre 1557.[264]
(Di mano di Lionardo.)
1556, di Roma, ricevuta adì 22 di gennaio: de' dì 16 detto. (sic.)
[340]
Museo Britannico. Di Roma, (25 di giugno 1558).
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — I' ò avuto il trebbiano, e non senza vergognia e passione, perchè senza assaggiarlo n'ò presentato, credendo che fussi buono. Dipoi n'ò avuto il mal grado: quando bene e' fussi stato, no' lo avevi a mandare, perchè non son tempi da ciò. Attendi a vivere e non pensare a me; che quando m'acadessi cosa alcuna, te lo farei intendere. Io non t'ò risposto a più tuo' lettere, perchè lo scrivere m'è gran fastidio e noia, e perchè ò 'l capo a altro; e non importando, l'ò trascurato: e così farò per l'avenire.
Michelagniolo Buonarroti in Roma.
[341]
Archivio Buonarroti. Di Roma, 2 di luglio (1558).
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Io ti scrissi della ricievuta del trebbiano e come senza assaggiarlo prima, ne presentai parechi fiaschi, credendo che fussi come l'altro, che m'ài più volte mandato; ond'io n'ò avuto vergognia e passione. Se tu lo togliesti costà buono, è forza che 'l mulattiere abbi fatto qualche ribalderia per la via. Però non mi mandar più niente, se io non te ne richiego, perchè ogni cosa mi fa noia. Bada a vivere e governarti el meglio che puoi, e non pensare di qua a' casi; e quando m'acadessi più una cosa che un'altra, io te lo farò intendere.
A dì 2 di luglio.
Michelagniolo Buonarroti in Roma.
(Di mano di Lionardo.)
Di Roma, 1558. Riceuta addì 7 di luglio.
[342]
Archivio Buonarroti. Di Roma, (16 di luglio 1558).
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Io ebi della settimana passata una tua, per la quale intendo come stai bene, e 'l putto ancora. Idio gli dia lunga e buona vita, e di tutto sia ringraziato.
Circa il trebbiano di che mi scrivi, non acade farne scusa, e un'altra volta i danari che tu spenderesti a mandarmene, àrò più caro che tu gli dia per l'amor di Dio, perchè credo che vi sia de' bisogni, e secondo che si dice qua, avete gran carestia; e anche qua par che cominci il medesimo. Altro non m'acade. Ingégniati di vivere e star sano, e racomandami alla Cassandra.
Michelagniolo Buonarroti in Roma.
[343]
Archivio Buonarroti. Di Roma, 2 di dicembre 1558.
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — I' ò inteso la morte della bambina: non me ne maraviglio, perchè non fu mai in casa nostra più che un per volta. Io ti scrissi già di comperare costà una casa che fussi onorevole e in buon luogo: son della medesima voglia, perchè comperai qua circa novecento scudi di Monte, del quale me n'uscirei volentieri, e con la casa che io ò qua, e comperar costà: però m'avisa, quando trovassi cosa al proposito per insino in dumila scudi.
Altro non m'acade. Son vechio e qua duro gran fatica mal conosciuta, e fo per l'amor di Dio, e in quello spero e non in altro.
A dì 2 di dicembre 1558.
Michelagniolo Buonarroti.
(Di mano di Lionardo.)
Di Roma, 1558. Riceuta adì.... di dicembre: del 2 deto.
[344]
Archivio Buonarroti. Di Roma, 16 di dicembre 1558.
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Bartolomeo Amannato, capomaestro dell'Opera di Santa Maria del Fiore, mi scrive e domanda consiglio da parte del Duca d'una certa scala che s'à fare nella Librerria di San Lorenzo. Io n'ò fatto così grossamente un poco di bozza picola di terra, come mi par che la si possa fare, e ò pensato d'aconciarla qua in una scatola, e darla qua a chi lui mi scriverrà che gniene mandi: però pàrlagli e fàgniene intendere come più presto puoi.
Io ti scrissi per l'ultima d'una casa, perchè se di qua mi posso disobrigare innanzi la morte, vorrei saper d'avere costà un nido per me solo e mia brigate: e per questo fare, penso fare di qua danari di ciò che io ci ò: e se prima potessi con buona licenzia e di costà e di qua, prima lo farei; perchè, come ti scrissi, ci ò cattiva sorte.
A dì sedici di dicembre 1558.
Michelagniolo Buonarroti in Roma.
(Di mano di Lionardo.)
1558, di Roma, addì 23 di dicembre: de' 16 detto.
[345]
Archivio Buonarroti. Di Roma, 15 di luglio 1559.
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — I' ò ricievuto le camicie con tutte l'altre cose che dice la lettera. Ringrazia la Cassandra da mia parte, come saperrai fare.
I' ò avuto dua lettere che molto caldamente mi priegano ch'i' torni a Firenze. Io credo che tu non sappia, che circa quattro mesi fa, per mezzo del cardinale di Carpi, che è de' deputati della fabrica di Santo Pietro, io ebbi licenzia dal Duca di Firenze di seguitare in Roma la fabbrica di Santo Pietro; in modo che ne ringraziai Dio e ébine grandissimo piacere. Ora quello che tu mi scrivi sì caldamente, come è detto, non so se s'è pel desiderio che tu ài ch'io torni, o se pur la cosa sta altrimenti; però ciarisci un poco meglio, perchè ogni cosa mi dà passione e noia.
Òtti per buon rispetto a fare intendere, come i Fiorentini voglion fare qua una gran fabrica, cioè la lor chiesa, e tutti d'acordo m'ànno fatto e fanno forza ch'io ci attenda. Ò risposto che son qua a stanza del Duca per le cose di Santo (Pietro), e che senza sua licenzia non son per aver niente da me.
A dì quindici di gugnio[265] 1559.
Michelagniolo Buonarroti in Roma.
Lo scrivere m'è di grandissima noia alla mana, alla vista, e alla memoria. Così fa la vechiezza!
(Di mano di Lionardo.)
Riceuta adì 29 di luglio: de' dì 15 detto.
[346]
Museo Britannico. Di Roma, ( di dicembre 1559).
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — I' ò avute tutte le cose che dice la lettera: di che ti ringrazio: e ònne fatto parte agli amici. L'altra cosa, di che mi scrivi, s'aconcierà presto e bene: e manderòti ogni cosa chiara.
Michelagniolo in Roma.
[347]
Archivio Buonarroti. Di Roma, 16 di dicembre 1559.
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — I' ò ricevuti i dodici marzolini che tu mi mandi: son molto begli: faronne parte a qualche amico: e te ne ringrazio; e piacemi intendere che tutti state bene. Io qua son molto vechio e con molti difetti, come fa la vechiezza; però questa primavera àrò caro che tu venga insin qua per più rispetti, come ti scriverrò, e non prima. Altro non mi acade. A dì sedici di dicembre 1559.
Michelagniolo Buonarroti in Roma.
(Di mano di Lionardo.)
Di Roma, 1559, addì 22 di dicembre.
[348]
Museo Britannico. Di Roma, 7 di gennaio 1560.
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Io ò per le man di Simon del Bernia quindici marzolini e quattordici libre di salsiccia: l'ò avute care e similmente e' marzolini, perchè è carestia di simil cose; ma non vorrei già che entrassi più in spesa per simil cose, perchè qua la minor parte è la mia.
Io ti scrissi d'una casa per ridur costà ciò che io ò qua inanzi alla morte: non so che si seguirà, perchè ci son molto impacciato.
A l'Ammannato vorrei che gli dicessi, che sabato gli manderò il modello della scala della Libreria o per le man del parente o del procaccio, come più presto e meglio si potrà.
Poi che ebbi scritto, rimasi col parente, cioè col padre della sua donna,[266] che lui lo mandassi per un mulattiere ieri o oggi che è sabato, perchè pel procaccio si sarebbe guasto: e detto suo parente per insino adesso ch'è sera, non s'è lasciato ritrovare. Ò mandato a casa sua: non è in Roma. Come torna, gniene darò, come ò commessione.
Michelagniolo in Roma.
Fa' intender questo a l'Ammannato, e racomandami a lui.
[349]
Archivio Buonarroti. Di Roma, 14 di gennaio 1560.
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Ier mattina si partì il mulattiere che porta costà a l'Ammannato quel modelletto che gli promessi, e detto mulattiere si domanda Marco da Luca. Quello Battiferro, a chi io avevo commessione di darlo che lo mandassi, non è stato mai in Roma, se non poi che io l'ò mandato: e quando detto Marco ti viene a truovare con la scatola legata dov'è il modello, fàlla pigliare a detto Amannato acciò s'egli volessi donar qualche cosa; che qua non à avuto altro che un iulio: e racomandami a lui. A dì 14 di gennaio 1559.[267]
Michelagniolo Buonarroti in Roma.
(Di mano di Lionardo.)
Di Roma, 1559, addì 23 di gennaio: de' dì 14 detto.
[350]
Archivio Buonarroti. Di Roma, 10 di marzo 1560.
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Io ò avuti i ceci rossi e bianchi e piselli e faguoli: ògli avuti molto cari, benchè istia in modo che mal posso far quaresima per esser vechio come sono. Io ti scrissi più mesi sono, che àrei caro che tu venissi insino qua; e così ti raffermo: cioè che passato mezzo maggio che viene, t'aspetterò: e se non ti senti da venire o non puoi, avisa.
Michelagniolo in Roma.
(Di mano di Lionardo.)
Di Roma. Riceuta addì 16 di marzo, 1559.
[351]
Archivio Buonarroti. Di Roma, (15) di marzo 1560.
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Io non risposi sabato all'ultima tua, perchè non ebbi tempo: ora ti dico che ò avuto piacere grande della femina che ài avuta, perchè sendo noi soli, sarà pur buona a fare qualche buon parentado. Però abbiàtene cura, benchè io non m'abbi a trovare a quegli tempi. Io scrissi del venire tu a Roma: quando sarà tempo t'aviserò, come per altra volta t'ho scritto. Sappi che la maggior noia che io abbi a Roma, è d'avere a rispondere alle lettere.
Michelagniolo Buonarroti in Roma.
(Di mano di Lionardo.)
Di Roma. Riceuta addì 21 di marzo, 1559.
[352]
Archivio Buonarroti. Di Roma, 11 d'aprile 1560.
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Tu mi scrivesti che questa primavera volevi andare a Loreto; e che passeresti di qua. A me pare che sare' meglio andare prima a Loreto e al tornare, passare di qua: e potrai star qui qualche dì. Però scrivimi il dì che partirai, e fa' d'aver buona compagnia, perchè non nuoce d'ogni tempo. Altro non mi acade. Parmi che tu vadi inanzi a' caldi.
A dì undici d'aprile mille cinquecento sessanta.
Michelagniolo Buonarroti in Roma.
(Di mano di Lionardo.)
Di Roma, 1560: addì 19 d'aprile: de' dì 11 detto.
[353]
Archivio Buonarroti. Di Roma, 18 di maggio (1560).
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Io ò per l'ultima tua, come se' tornato da Loreto. Io t'aspettavo a Roma, tornando; ma veggo non avesti la mia lettera inanzi che partissi di Firenze. Ora poi che è seguito così, e che oramai siàno distante, mi pare per più rispetti che sie meglio indugiare a settembre il tuo venire, e allora t'aspetterò. Non mi acade altro per ora. Io vo sopportando la vechiezza el meglio ch'i' posso con tutti i suo' mali e disagi che porta seco: e raccomando a chi mi può aiutare.
A dì.... di maggio.
Michelagniolo Buonarroti in Roma.
(Di mano di Lionardo.)
Di Roma, addì 22 di magio 1560: de' dì 18 detto.
[354]
Archivio Buonarroti. Di Roma, 1 di giugno 1560.
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Poichè non se' venuto qua al tornar da Loreto, per non avere avuto la mia lettera, inanzi che partissi di Firenze, è meglio lasciar passar questa state e venire questo settembre. Altro non ò da scriverti per ora.
Michelagniolo in Roma.
(Di mano di Lionardo.)
1560, di Roma. Riceuta a dì 5 di gugno: de' dì primo detto.
[355]
Archivio Buonarroti. Di Roma, 27 di luglio (1560).
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Io ebbi una tua pochi dì sono con la morte di Lessandra tua figluola. N'ò avuto passione assai; ma mi sarei maravigliato se fussi campata, perchè in casa nostra none sta mai più che uno per volta. Bisognia aver pazienzia, e tanto più aver cura a chi ci resta. Altro non mi acade. Passati e' caldi, se potrai, verrai insin qua, come t'ò scritto altre volte; e quando ti parrà tempo, da'mene prima aviso.
A dì 27 di luglio.
Michelagniolo in Roma.
(Di mano di Lionardo.)
Di Roma, 1560, addì 31 di luglio: de' dì 27 detto.
[356]
Archivio Buonarroti. Di Roma, (27 d'ottobre 1560).
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Io ti scrissi più mesi sono, che àrei caro che tu venissi qua. Ora (ò) inteso per la tua, come ti parrebe indugiare insino a ottobre. Io ti dico che 4 mesi o più o meno non dànno noia: però sarà buono indugiare a questa primavera, che sarà miglior tempo da venire, e da tornare. Altro non mi acade. Quando sarà tempo, te lo farò intendere. Alli.... d'ottobre 1560.
Michelagniolo in Roma.
(Di mano di Lionardo.)
Di Roma, 1560. Riceuta addì 31 d'otobre.
[357]
Archivio Buonarroti. Di Roma, 12 di gennaio 1561.
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Io ebbi più dì sono da te dodici marzolini: sono stati begli e buoni: di che ti ringrazio. Non te n'ò scritto prima, perchè non ò potuto, e perchè lo scrivere, sendo vechio come sono, lo scrivere[268] m'è di gran fastidio. Altro non mi acade. Del venire ora qua non è tempo, perchè sto in modo, che sarebbe uno acresermi[269] noia e affanno. Quando sarà tempo, te n'aviserò.
A dì dodici di gennaio 15sessantuno.
Michelagniolo Buonarroti in Roma.
(Di mano di Lionardo.)
1560, di Roma, addì 17 di gennaio: de' dì 12 detto.
[358]
Archivio Buonarroti. Di Roma, 18 di febbraio 1561.
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Io t'aspetto qua in queste feste di Pasqua. Non m'è paruto tempo prima. Però se ti torna bene, non mancare.
A dì 8[270] di febbraio 15sessantuno.
Michelagniolo in Roma.
(Di mano di Lionardo.)
1560, di Roma, addì 23 di febbraio: de' dì 18 detto.
[359]
Archivio Buonarroti. Di Roma, 22 di marzo 1561.
A Lionardo Buonarroti in Firenze.
Lionardo. — Io t'aspetto dopo le feste o quando t'è comodo, perchè non è cosa che importi. Fa' d'aver buona compagnia, e non menar teco gente che io abbia a tener qua in casa, perchè ci ò donne e poche masserizie; e in fra due o tre dì ti potrai ritornare a Firenze, perchè con poche parole ti farò intendere l'animo mio.
Al venti dua di marzo mille cinque cento sessantuno.
Michelagniolo Buonarroti in Roma.
(Di mano di Lionardo.)
1561, di Roma, addì 27 di marzo: del 22 detto.
[360]
Archivio Buonarroti. Di Roma, (22 di giugno 1561).
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Io ò ricievuto oggi a dì venti dua di gugnio fiaschi quarantadua di trebbiano; di che ti ringrazio. È molto buono: faronne parte agli amici. El nome del mulattiere è Domenico da Feggine. E de' dua cappelli ti ringrazio. Àrei caro che m'avisassi come la fa la Francesca.
Michelagniolo in Roma.
(Di mano di Lionardo.)
1561, di Roma, addì 26 di giugno: de' dì 22 detto.
[361]
Museo Britannico. Di Roma, 18 di luglio 1561.
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Io ti scrissi la ricievuta del trebbiano e ultimamente com'io avevo caro d'intendere come sta la Francesca, e non ò avuta risposta nessuna. E ora perchè son vechio come sai, vorrei fare costà qualche bene per l'anima mia, ciò è limosine; che altro bene non ne posso fare, nè so. E per questo vorrei far pagare in Firenze una certa quantità di scudi, che tu gli andassi pagando overo dando per limosina dove è maggior bisognio. E' detti scudi saranno circa trecento. Ònne richiesto il Bandino, ciò è che me gli facci pagare costà; m'à risposto che infra quatro mesi gli porterà lui. Non voglio indugiar tanto: però se ài qualche amico fiorentino a chi io possa dargniene sicuramente che te gli dia costà, dàmene aviso, e tanto farò: e avisera'mi della ricevuta.
A dì diciotto di luglio mille cinque cento sessantuno.
Michelagniolo Buonarroti in Roma.
[362]
Archivio Buonarroti. Di Roma, 20 di settembre 1561.
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Io vorrei che tu cercassi fra le scritture di Lodovico nostro padre, se vi fussi la copia d'un contratto in forma Camera, fatto per conto di certe figure ch'i' promessi seguitare per papa Pio Secondo,[271] dopo de la morte sua; e perchè detta opera, per certe differenze restò sospessa circa cinquant'anni sono, e perchè io son vechio, vorrei aconciar detta cosa, a ciò che dopo me ingustamente non fussi dato noia a voi. Parmi ricordare che 'l notaio che fece in Vescovado detto contratto, si chiamassi Ser Donato Ciampelli. Èmi detto che tutte le sua scritture restassino a Ser Lorenzo Violi; però non trovando in casa detta copia, si potrebbe intendere dal figliolo di detto Ser Lorenzo e se l'à e che vi si trovassi detto contratto in forma Camera, non guardare in spesa nessuna averne una copia.
A dì venti di settembre 1561.
Io Michelangiolo Buonarroti.
(Di mano di Lionardo.)
1561, di Roma, addì 25 di settembre: del 20 detto.
[363]
Archivio Buonarroti. Di Roma, 30 di novembre (1561).
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — I' ò avuto dua delle tua lettere e una d'Antonio Maria Picoluomini e un contratto. Io non ti posso dire altro, perche l'Arcivescovo di Siena,[272] sua grazia, s'è messo a volere aconciare questa cosa, e perchè è uomo da bene e valente, credo ch'àrà buon fine; e quello che seguirà, t'aviserò. Non altro.
Di Roma, a dì ultimo di novembre.
Io Michelagniolo Buonarroti.
(Di mano di Lionardo.)
1561, di Roma, riceuta addì 4 di dicembre: de' dì ultimo di novembre.
[364]
Archivio Buonarroti. Di Roma, 12 di gennaio 1562.
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Io ti mandai, già più anni sono, una scatola di scritture di grande importanza, perchè non andassino qua male, per certi pericoli che c'erano. Ora m'acade per mia utilità e onore mostrarle al Papa: però vorrei che ora più presto che puoi per uomo fidato me le rimandassi; e condannale in quel che tu vuoi senza rispetto; che tanto gli (farò) dar qua. Di Roma, a dì dodici di gennaio mille cinquecento sessanta dua.
Michelagniolo Buonarroti.
(Di mano di Lionardo.)
1561, riceuta a dì 15 di gennaio: de' dì 15[273] detto.
(D'altra mano.)
D. (Donato) Capponi fàtene di grazia servizio.
[365]
Archivio Buonarroti. Di Roma, 31 di gennaio 1562.
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — I' ò avuto la scatola delle scritture. Òvi trovate più cose a proposito di quello ch'i' voglio poter mostrare, come ti scrissi. Vorrie fare copiare quelle che i' ò di bisognio, e poi rimetterle insieme e rimandartele. Altro non acade. Adì ultimo di gennaio in cinque cento sessanta dua; di Roma.
Io Michelagniolo Buonarroti.
[366]
Archivio Buonarroti. Di Roma, 14 di febbraio 1562.
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Io non ti rimando ancora le scritture che mi mandasti, perchè non ò potuto fare cosa nessuna di quello che io volevo, per rispetto del carnovale e del sentirsi male della vita. Ò avuto dolori colici molto crudeli: ora sto bene: e come ò aoperato dette scritture, me ne serberò la copia e rimanderoti ogni cosa, con quelle che io avevo prima. Riguàrdale, perchè è buono averle in casa.
A dì quattordici di febraio mille cinquecento sessanta dua.
Io Michelagniolo Buonarroti in Roma.
[367]
Archivio Buonarroti. Di Roma, 20 di febbraio 1562.
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — I' ò ricevuto un bariglione con tre sachetti di civaie, ceci rossi e bianchi e pisegli verdi; di che ti ringrazio. Altro no' mi acade. Sono stato un poco male di dolor colici: son passati, e sto assa' bene.
Adì venti febraio mille cinquecento sessanta dua.
Io Michelagniolo.
[368]
Archivio Buonarroti. Di Roma, 27 di giugno 1562.
Carissimo Nipote. — Per questa vi aviso come ho recevuto il trebbiano, che furno fiaschi 43, il quale mi è stato, al solito, grato. Non vi maravigliate, se io non vi scrivo, perchè sono vechio come sapete, et non posso durar fatica a scriver. Io sono sano; il simile sperando de voi tutti. Pregate Iddio per me. Se la Cassandra fa figliolo, póreteli nome Buonarroto; se sarà figliola, póretili nome Francesca. Altro non scrivo. Il Signor Iddio da mal vi guardi et me insieme con voi. Di Roma, il dì 27 de giugno 1562.
(Sottoscritto) Michelagniolo Buonarroti.
[369]
Archivio Buonarroti. Di Roma, 31 di gennaio 1563.
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — I' ò ricevuto il panno per Simon del Bernia mulattiere. Io ti ringrazio. Del venire a Roma, non mi serebbe c'aggugnier noie alle mie passione, per ora. Altro no' mi acade. A dì utimo di gennaio del sessanta 3.
Michelagniolo in Roma.
[370]
Archivio Buonarroti. Di Roma, 25 di giugno 1563.
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
A dì 25 di gugnio 1563.
Lionardo. — Io ò ricevuto il trebbiano con altre tua lettere e della Francesca. Non ò risposto prima, perchè la mano non mi serve a scrivere; el simile dissi al signore Imbasciatore[274] del Duca. Della lettera di messer Giorgo, io ti ringrazio; e fa' mie scuse con messer Giorgo, perchè son vechio. A voi mi racomando.
Io Michelagniolo Buonarroti.
[371]
Archivio Buonarroti. Di Roma, 21 d'agosto 1563.
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Veggo per la tua lettera che tu presti fede a certi invidiosi e tristi, che non possendo maneggiarmi nè rubarmi, ti scrivono molte bugìe. Sono una brigata di giottoni: e se' sì scioco, che tu presti lor fede de' casi mia, come s'io fussi un putto. Lèvategli dinanzi come scandalosi, invidiosi, e tristamente vissuti. Circa il patir del governo che tu mi scrivi e d'altro: quanto al governo, ti dico che io non potrei star meglio, nè più fedelmente esser in ogni cosa governato e trattato; circa l'esser rubato, di che credo voglia dire, ti dico che ò in casa gente che me ne posso dare pace e fidarmene. Però attendi a vivere, e non pensare a' casi mia, perchè io mi so guardare, bisogniando, e non sono un putto. Sta' sano. Di Roma, a dì 21 d'agosto 1563.
Michelagniolo.
(D'altra mano.)
A Jacopo Buonsigniori che ne faci servitio.
[372]
Archivio Buonarroti. Di Roma, 28 di dicembre 1563.
A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo. — Ebbi la tua ultima con dodici marzolini begli e buoni; te ne ringrazio: rallegrandomi del vostro buon essere, e 'l simile è di me. E avendo ricevuto pel passato più tua, e non avendo risposto, è mancato perchè la mano non mi serve; però da ora inanzi farò scrivere altri e io sottoscriverò. Altro non m'acade. Di Roma, a dì 28 di dicembre 1563.
Io Michelagniolo Buonarroti.
FINE DELLE LETTERE ALLA FAMIGLIA.
DAL 1496 AL 1561.
Archivio di Stato in Firenze.[276] Di Roma, 2 di luglio 1496.
(A Lorenzo di Pier Francesco de' Medici in Firenze).
Christus. Adì ij luglio 1496.
Magnifico Lorenzo etc. — Solo per avisarvi come sabato passato giugnemo a salvamento, e súbito andàmo a visitare il cardinale di San Giorgo,[278] e li presentai la vostra lettera. Parmi mi vedessi volentieri, e volle incontinente ch'io andasse a veder certe figure, dove i' ocupai tutto quel gorno, e però quello gorno non dètti l'altre vostre lettere. Dipoi domenica el Cardinale venne nella casa nuova, e fecemi domandare: andai a lui, e me domandò quello mi parea delle cose che aveva visto. Intorno a questo li dissi quello mi parea; e certo mi pare ci sia molte belle cose. Dipoi el Cardinale mi domandò se mi bastava l'animo di fare qualcosa di bello. Risposi ch'io non farei sì gran cose, ma che e' vedrebe quello che farei. Abiàmo comperato uno pezo di marmo d'una figura del naturale; e lunedì comincerò a lavorare. Dipoi lunedì passato presentai l'altre vostre lettere a Pagolo Rucellai,[279] el quale mi proferse que' danari, e 'l simile que' de' Cavalcanti. Dipoi dètti la lettera a Baldassarre,[280] e domanda'gli el bambino, e ch'io gli renderia [376] e' sua danari. Lui mi rispose molto aspramente, e che ne fare' prima cento pezi, e che el bambino lui l'aveva comperato e era suo, e che aveva lettere come egli avea sodisfatto a chi gnene mandò, e non dubitava d'àvello a rendere: e molto si lamentò di voi, dicendo che avete sparlato di lui: éccisi messo qualcuno de' nostri fiorentini per acordarci, e non ànno fatto niente. Ora fo conto fare per via del Cardinale: che così sono consigliato da Baldassarre Balducci.[281] Di quello seguirà, voi intenderete. Non altro per questa. A voi mi raccomando. Dio di male vi guardi.
Michelagniolo in Roma.
(Di fuori.)
Sandro di Botticello in Firenze.[282]
[377]
Archivio Buonarroti. Di Firenze, 2 di maggio 1506.
A maestro Guliano da Sangallo fiorentino, architettore del Papa in Roma.
Guliano. — Io ò inteso per una vostra come 'l Papa àuto a male la mia partita, e come sua Santità è per dipositare e fare quanto fumo d'accordo; e che io torni e non dubiti di cosa nessuna.
Della partita mia, egli è vero che io udi' dire el Sabato Santo al Papa, parlando con uno goelliere a tavola e col maestro delle cerimonie, che non voleva spendere più un baioco nè in pietre picole nè in grosse: ond'io ne presi amirazione assai: pure inanzi che io mi partissi, gli domandai parte del bisognio mio per seguire l'opera. La sua Santità mi rispose, ch'io tornassi lunedì: et vi tornai lunedì e martedì e mercoledì e giovedì; come quella vide. All'ultimo, el venerdì mattina io fui mandato fuora, ciò è cacciato via; e quel tale che me ne mandò, disse che mi conoscieva, ma che aveva tal commissione. Ond'io avendo udito il detto sabato le dette parole, e veggiendo poi l'effetto, ne venni in gran disperazione. Ma questo solo non fu cagione interamente della mia partita; ma fu pure altra cosa, la quale non voglio scrivere; basta ch'ella mi fe' pensare s'i' stavo a Roma, che fussi fatta prima la sepultura mia, che quella del Papa. E questa fu cagione della mia partita súbita.
Ora voi mi scrivete da parte del Papa; e così al Papa legierete questa: e intenda la sua Santità com'io sono disposto, più che io fussi mai, a seguire l'opera; e se quella vole fare la sepultura a ogni modo, no' gli debbe dare noia dov'io me la facci, purchè in capo de' cinque anni che noi siàno d'acordo, la sia murata [378] in Santo Pietro, dove a quella piacerà, e sia cosa bella, come io ò promesso: che son certo, se si fa, non à la par cosa tutto el mondo.
Ora se vuole la sua Santità seguitare, mèttami il detto diposito qua in Fiorenza, dov'io gli scriverrò, e io ò a ordine a Carrara molti marmi, e' quali farò venire qui e così farò venire cotesti che io ò costà: benchè mi fussi danno assai, non me ne curerei, per fare tale opera qua: e manderei di mano in mano le cose fatte in modo, che sua Santità ne piglierebe piacere, come se io stéssi a Roma o più, perchè vedrebbe le cose fatte, sanza averne altro fastidio. E de' detti danari e della detta opera m'obrigherrò come sua Santità vole e darogli quella sicurtà che domanderà qua in Fiorenza. Sia che si vole, ch'io l'assicurerò a ogni modo: e tutto Fiorenze basta. Ancora v'ò a dire questo: che la detta opera non è possibile la possa per questo prezzo fare a Roma: la qual cosa potrò fare qua per molte comodità che ci sono, le quali non sono costà; e ancora farò meglio e con più amore, perchè non àrò a pensare a tante cose. Per tanto, Guliano mio carissimo, vi prego mi facciate la risposta e presto. Non altro. Adì dua di maggio 1506.
Vostro Michelagniolo scultore in Fiorenze.
[379]
Archivio Buonarroti. Di Firenze, 13 di maggio (1508).
Al Reverendo in Cristo padre, frate Iacopo Iesuato in Firenze.
Frate Iacopo. — Avendo io a fare dipigniere qua cierte cose, overo dipignere, m'acade fàrvene avisato, perchè m'è di bisognio di cierta quantità d'azzurri begli: e quando voi abbiate da servirmene al presente, mi tornerebe comodità assai. Però vedete di mandare qua a' vostri frati quella quantità che voi avete, che sieno begli, e io vi prometto per gusto prezzo di tôrgli. E innanzi ch'io levi gli azzurri, vi farò pagare io vostri danari qua o costà, dove vorrete.
A' dì tredici di maggio.[284]
Vostro Michelagniolo scultore in Roma.
[380]
Archivio Buonarroti. Di Roma, 1512.
A Baldassarre (di Cagione da Carrara).
Baldassarre.[285] — Io mi maraviglio molto di voi, perchè avendomi scritto già tanto tempo fa avere a ordine tanti marmi, e avendo avuto tanti mesi di tempo mirabile e buono per navicare; avendo avuto da me cento ducati d'oro; non vi mancando di cosa nessuna; non so da che si venga che voi non mi servite. Io vi prego che voi súbito carichiate quegli marmi che voi mi dite avere a ordine, e vegniate quante più presto, meglio. Io v'aspetterò tutto questo mese: dipoi procedereno per quelle vie che noi sarèno consigliati da chi à più cura di queste cose di me: solo vi ricordo, che voi fate male a mancare della fede e a straziare chi vi fa utile.
Michelagniolo in Roma.
[381]
Archivio Buonarroti. Di Firenze, (20 di marzo 1517).
A Domenico (Buoninsegni. Roma).
Messer Domenico. — Io sono venuto a Firenze a vedere il modello[286] che Baccio à finito, e ò trovato che gli è quel medesimo, cioè una cosa da fanciulli. Se vi pare si mandi, scrivete. Io parto domattina e ritornomi a Carrara, e son rimasto con la Grassa[287] fare là un modello di terra, secondo il disegno e mandargniene. E lui mi dice ne farà fare uno che starà bene: non so come s'anderà: credo bisognerà all'ultimo che io lo facci da me. Duolmi questa cosa per rispetto del Cardinale e del Papa. Non posso fare altro.
Avvisovi com'io m'usci' della compagnia che io vi scrissi aver fatta a Carrara,[288] per buon rispetto, e allogato a quei medesimi cento carrate di marmi co' prezzi che io vi scrissi o poco meglio. E a un'altra compagnia, che io ò messa insieme, n'ò allogate altre cento e ànno tempo un anno a darmegli posti in barca.
[382]
Archivio Buonarroti. Di Carrara, (di aprile 1517).
A Domenico Buoninsegni in Roma.
Messer Domenico. — Bernardo Nicolini m'avisa avermi mandate certe vostre lettere, le quali io non ò avute. Credo parlino de' casi del modello.
Poi che io vi scrissi ultimamente, feci fare un modelletto a un che sta qui meco, picolo, per mandarvelo.
[383]
Archivio Buonarroti. Di Carrara, (2 di maggio 1517).
A Domenico (Buoninsegni. Roma).
Messer Domenico. — Poi che ultimamente io vi scrissi, non ò potuto attendere a fare modello, come vi scrissi fare: il perchè sarebe lungo a scrivere. Io n'avevo bozzato prima uno picoletto che servissi qua a me, di terra, il quale benchè sia torto com'un crespello, ve lo voglio mandare a ogni modo, acciò che questa cosa non paia una ciurmerìa.
Io v'ò da dir più cose: leggiete con pazienzia un poco, perchè importa. E questo è che a me basta l'animo far questa opera della facciata di San Lorenzo, che sia d'architettura e di scultura lo spechio di tutta Italia; ma bisognia che 'l Papa e 'l Cardinale si risolvino presto, se vogliono ch'io la facci o no. E se vogliono che io la facci, bisognia venire a qualche conclusione, ciò è o d'allogarmela in cottimo, e fidarsi interamente di me d'ogni cosa, o in qualche altro modo ch'e' penseranno loro, che io non lo so: il perchè questo lo intenderete.
Io, come vi scrissi, e poi che io vi scrissi, ò allogato molti marmi e dati danari qui e qua, e messo a cavare in vari luoghi. E qualche luogo dov'io ò speso, non mi sono poi riusciti e' marmi a mio modo, perchè sono cosa fallace, e più in queste pietre grande che io ò di bisognio, volendole belle come io le voglio; e in una pietra che io ò di già fatta tagliare, m'è venuto certi mancamenti di verso el Poggio che non si potevono indovinare, in modo che dua colonne che io vi volevo fare, non mi riescono, e òvi buttato la metà delle spese. E così di questi disordini non me ne può avenire sì pochi infra tanti marmi, che non montino qualche centinaio di ducati; e io non so tener conti e non posso mostrare all'ultimo avere speso, se non tanto quant'e' saranno e' marmi che io consegnierò. Farei volentieri come maestro Pier Fantini,[289] ma io non ò tanto unguento che [384] bastassi. Ancora perchè io sono vechio, non mi pare per megliorare dugiento o trecento ducati al Papa in questi marmi, perderci tanto tempo; e perchè io sono sollecitato di costà del lavoro mio,[290] mi bisognia pigliare partito a ogni modo.
E 'l partito si è questo. Sapendo io avere a fare el lavoro e 'l prezo, non mi curerei buttare quatro cento ducati, perchè non àrei a render conto, e capperei qua tre o quatro uomini de' meglio che ci sono, e allogerei loro tutti e marmi; e la qualità de' marmi avessi a essere come quegli che io ò cavati per insino adesso, che son mirabili, benchè io n'abi pochi. E di questo e de' danari che io déssi loro, n'àrei buona sicurtà in Luca, e co' marmi che io ò, darei ordine condurli a Firenze e andare a lavorare e pel Papa, e pel lavoro mio. E non avendo fatta questa conclusione soprascritta col Papa, a me non acade; e non potrei, quando volessi condurre e' marmi del mio lavoro a Firenze per averli poi a condurre a Roma, ma bisognierebemi venire a Roma presto a lavorare, perchè sono sollecitato, com'è detto.
La spesa della facciata, nel modo che io intendo di farla e metterla in opera, fra ogni cosa, che il Papa non s'abbi a impacciare più di niente, non può esser manco, secondo l'esamina che io ò fatta, che di trenta cinque mila ducati d'oro: e per tanto la piglierò a fare io in sei anni: con questo, che infra sei mesi, per rispetto de' marmi, mi bisognierebe almanco altri mille ducati; e quando questo non piaccia fare al Papa, bisognia, o che le spese ch'io ò cominciate a fare qua per la sopradetta opera, vadino per mio conto e a mio danno, e che io restituisca e' mille ducati al Papa, o che e' ci tenga uno che séguiti la impresa, perchè io per più rispetti mi voglio levar di qua a ogni modo.
Del detto prezo; ogni volta cominciata l'opera, che io conosciessi che la si potesse fare per manco, io vo verso el Papa e 'l Cardinale con tanta fede, che io ne gli aviserei molto più presto, che se 'l danno venissi sopra di me: ma più presto intendo farla, in modo che il prezo non sia a bastanza.
Messer Domenico, io vi prego che voi mi rispondiate resoluto dell'animo del Papa e del Cardinale, e questo mi fia grandissimo piacere, oltre a tutti gli altri che voi m'avete fatti.
[385]
Archivio Buonarroti. Di Pietrasanta, ( di marzo 1518).
A Pietro Urbano da Pistoia in Firenze.
Pietro. — Io intendo per una tua[291] come se' sano e attendi a 'mparare. Piacemi assai: afàticati, e non mancar per niente di disegniare e d'aiutarti di quello che puoi. E' danari che tu ài di bisognio, chiedigli a Gismondo per mia parte e tienne conto. Avisoti com'io sono stato per insino a Gienova a cercare delle barche per caricare e' marmi che io ò a Carrara e òlle condotte all'Avenza, e e' Carraresi ànno corrotto e' padroni di dette barche e ànnomi assediato in modo, che e' mi bisognia andare a Pisa a provedere dell'altre; e pàrtomi oggi: e come ò dato ordine a caricare e' detti marmi, súbito ne vengo: che stimo sarà in fra quindici dì. Attendi a far bene. Non bisognia che tu venga qua per ora. Non altro.
Michelagniolo in Pietra Santa.
[386]
Archivio Buonarroti. Di Firenze, ( di marzo 1518).
(A Domenico Buoninsegni in Roma).
Domenico. — Come e' marmi mi sono riusciti cosa bella e come quegli che sono buoni per l'opera di Santo Pietro, sono facili a cavare e più presso alla marina che gli altri, cioè in luogo detto la Corvara; e da questo luogo alla marina non s'à a fare spesa di strada, se non in quel poco di padule che è apresso alla marina. Ma a vuolere de' marmi per figure, come ò di bisognio io, bisognia allargare la strada fatta, dalla Corvara insino sopra Seraveza circa dua miglia, e circa un miglio o manco ne bisognia far di nuovo tutta, cioè tagliarla nel monte co' piconi insino dove si possono caricare e' marmi detti. Però quando el Papa non facci aconciare se non quello che à di bisognio pe' marmi sua, cioè el padule, io non ò el modo aconciare el resto, e non potrei aver de' marmi pel mio lavoro. E nol faccendola, non potrei aver parte cura a' marmi per Santo Pietro, com'io promessi al Cardinale: ma facendola el Papa tutta, potrei fare tanto, quanto promessi.
Tutto v'ho scritto per altre lettere. Ora voi siate savio e prudente, e so che mi volete bene: però vi prego che aconciate la cosa a vostro modo col Cardinale e che voi mi rispondiate presto, acciò che io possa pigliar partito; e non sendo altro, tornarmi costà all'usato. A Carrara non andrei, perchè non àrei e' marmi ch'i' ò di bisognio, in vent'anni. Dipoi ci ò acquistato gran nimicizia per rispetto di questa cosa, e sarammi forza, s'i' torno costà, far di bronzo, come parlammo insieme.
Avisovi come gli Operai[292] ànno già fatto gran disegnio sopra questa cosa de' marmi poi che e' furono raguagliati da me, e credo che gl'abino già fatto e' prezzi e le gabelle e passi, e che e' notai, arcinotai, proveditori, sotto-proveditori abino già pensato di radoppiare e' sugniacci[293] in quel paese. Però pensateci, e fate [387] quanto potete che questa cosa non balzi loro in mano, perchè sarebe poi più dificile averne da loro, che da Carrara. Io vi prego che voi mi rispondiate presto quello vi pare che io facci, e racomandatemi al Cardinale. Io sono qua come suo omo: però non farò se non quello mi scriverrete, perchè stimerò che sia sua intenzione.
Quand'io vi scrivo, se io non scrivessi così rettamente come si conviene, o se io non ritrovassi qualche volta el verbo principale, abiatemi per iscusato, perchè i' ò apicato un sonaglio a gli orechi, che non mi lascia pensar cosa ch'io voglia.
Vostro Michelagniolo scultore in Firenze.
[388]
Archivio Buonarroti. Di Pietrasanta, 29 di marzo (1518).
A Pietro Urbano a Firenze.
Pietro. — Tu ài a pagare gli scafaioli quando vengino a te e presentino la lettera di Donato, e ài a dar loro quello che dirà la lettera che ciascuno àrà di mia mano; e serba le lettere che e' ti dànno di Donato.
Pagerai ancora e' carradori, quando portino pezzi grossi, a ragione di venti cinque soldi el migliaio, e de' pezzi picoli, venti soldi: e tien conto e a chi tu pagi e di quello che portano.
Paga la gabella di novanta lire a' Contratti, e piglia el libro e le carte.
Dà a Baccio di Puccione i danari che e' ti domanda e tienne conto.
Compra delle canne e fa' acconciar le vite dell'orto; e se ti trovassi o terra o altra cosa asciutta da fare riempiere la stanza, fallo.
Compra un pezo di canapo di trenta braccia che non sia fracido, e pàgalo e tienne conto.
Cónfessati e attendi a 'mparare e abi cura alla casa.
Fa 'l conto con Gismondo e pàgalo, e fàtti dare 'l conto.
Làscioti ducati quaranta oggi questo dì venti nove di marzo.
[389]
Archivio Buonarroti. Di Firenze, (1518).
Al mio caro maestro Donato Benti scultore in Pietra Santa.
Maestro Donato mio caro. — Io vi prego mi racomandiate al comessario, e dite a sua Signoria che io ò fatto qua quello m'impose.
De' casi nostri, egli è stato qua Cecone[294] a me per danari: io non gli ò voluto dare niente, perchè io non so quello che e' s'abino fatto costà: però vi prego diciate loro, che m'avisino quello che ànno fatto, perchè se ànno avere, gli voglio dar loro; perchè non son mai per mancare di quello che dice el contratto.
Circa a' casi vostri, detto Cecone mi dice che voi gli tenete adietro con le misure, e che non possono lavorare e che e' Pietrasantesi che io messi a cavare, ànno lasciata l'impresa, e non fanno niente: le qual cose non credo. Presto sarò di costà. A voi mi racomando.
Vostro fedelissimo
Michelagniolo scultore in Firenze.
[390]
Archivio Buonarroti. Di Firenze, (1518).
A Niccolò (Quaratesi) in Firenze.
Niccolò. — Io non potetti iersera al Canto de' Bischeri rispondervi resoluto, come era l'animo mio di fare, perchè sendo colui per chi voi mi parlavi, presente, e forse avendogli voi dato qualche speranza di quello che lui da me desidera, dubitai non vi fare vergognia. E benchè io mi scotessi più volte, non dissi però recisamente quello ch'àrei ditto a voi solo. E ora per questa ve lo fo intendere: e questo è che io non posso pigliare nessuno garzone per un certo rispetto, e tanto manco, sendo forestiere. Però io vi dissi che non ero per far niente infra dua o tre mesi, perchè e' pigliassi partito, cioè perchè l'amico vostro non lasciassi qua el figliuolo sotto la mia speranza: e lui non la intese, ma rispose, che se io lo vedessi, che non che in casa, io me lo caccerei nel letto. Io vi dico che rinunzio a questa consolazione e non la voglio tôrre a lui. Però per mio conto voi lo licenzierete, e stimo lo saperrete fare e farete in modo, che e' se ne andrà contento. A voi mi racomando.
Vostro Michelagniolo in Firenze.
[391]
Archivio Buonarroti. Di Firenze, ( di maggio 1518).
(Al Capitano di Cortona).
Signor Capitano. — Send'io a Roma el primo anno di papa Leone, vi venne maestro Luca da Cortona pittore[294a] e riscontrandolo un dì apresso a Monte Giordano, mi disse che era venuto a parlare al Papa per avere non mi ricordo che cosa, e che era già stato per essergli stato tagliato la testa per amore della Casa de' Medici, e che gli parea come dire non essere riconosciuto: e dissemi altre simil cose che io non mi ricordo: e sopra a questi ragionamenti, mi richiese di quaranta iuli e mostrommi dov'io gniene avevo a mandare, cioè in bottega d'uno che fa le scarpe, dov'io credo che lui si tornava. E io, non avendo danari acanto, m'ero offerto di mandargniene: e così feci. Súbito che io fui a casa, io gli mandai detti quaranta iuli per uno mio garzone che si chiama, ovvero à nome Silvio,[294b] el quale credo sia oggi in Roma. Dipoi forse non riuscendo al detto maestro Luca el suo disegno; passati alquanti giorni, venne a casa mia dal Macello dei Corvi, nella casa che io tengo ancora oggi, e trovommi che io lavoravo in sur una figura di marmo, ritta, alta quatro braccia, che à le mani drieto,[294c] e dolfesi meco, e richiesemi d'altri quaranta iuli, che dice che se ne volea andare. Io andai su in camera, e porta'gli quaranta iuli, presente una fante Bolognese che stava meco, e anche credo che e' v'era el sopra detto garzone che gli aveva portati gli altri: e preso detti danari, s'andò con Dio. Non l'ò mai poi rivisto. Ma send'io allora mal sano, inanzi che detto maestro Luca si partissi di casa, mi dolfi seco del non potere lavorare; e lui mi disse: non dubitare che e' verranno gli Angioli da cielo a pigliarti le braccia e ti aiuteranno.
Questo vi scrivo io, perchè se dette cose fussino riplicate a detto maestro Luca, se ne ricorderebbe e non direbbe avermeli renduti [392] (come la)[295] .... vostra Signoria scrive a Buonarroto che lui dice, e più che voi .... ancora che credete che e' me gli abbi renduti. Questo non è (vero) .... che io sia uno grandissimo ribaldo e così sarebe (se io cercassi) .... di riavere quello che io avessi riavuto: ma la vo(stra Signoria penserà) .... ciò ch'ella vuole: io gli ò a riavere e così giuro. (E se la vostra Signoria mi vorrà) .... fare ragione, lo può fare; quanto che no, ac .... Capitano.
[393]
Archivio Buonarroti. Di Firenze, 15 di luglio 1518.
(Al cardinale Giulio de' Medici in Roma).
A dì xv di luglio 1518.
Monsignore Reverendissimo. — Sperando avere questo anno qualche quantità di marmi per l'opera di Santo Lorenzo in Firenze, e non trovando drento in Santo Lorenzo nè fuora appresso stanze al proposito per lavorargli, mi sono messo per farne una a comperare un pezzo di terreno da Santa Caterina dal Capitolo di Santa Maria del Fiore:[296] el quale terreno mi costa circa a trecento ducati d'oro larghi: e sono stato dreto a detto Capitolo due mesi, per avere detto terreno. Ànnomelo fatto pagare sessanta ducati più che non vale, mostrando che ne sa loro male, ma dicono non potere uscire di quello che dice la Bolla del vendere ch'egli ànno dal Papa. Ora se 'l Papa fa Bolle da potere rubare, io prego vostra Signoria Reverendissima ne facci fare una ancora a me, perchè n'ò più bisognio di loro; e se non s'usa di fare, io prego quella mi facci fare ragione in questo modo, cioè: questo terreno che io ò tolto, non è assai a quello ò di bisogno; ànne il Capitolo drieto a questo certa quantità: onde che io prego V. S. me ne facci dare un altro pezzo, nel quale io mi rifacci di quello che m'ànno tolto di più di quello che io ò comperato: e se resteranno avere, non voglio niente di loro.
Circa l'opera, e' principii sono difficili....
[394]
Archivio Buonarroti. Di Seravezza, ( d'agosto 1518).
A Berto da Filicaia in Firenze.
Berto. — Io mi raccomando a voi, e ringraziovi de' servizi e benefizi ricevuti, e son sempre con tutto quello che io posso e ò e so al vostro comando. Le cose di qua vanno assai bene. La strada si può dire che sia finita, perchè resta a fare poco, cioè resta a tagliare certi sassi o vero grotte: l'una è dove sbocca la strada che escie del fiume nella strada vecchia a Rimagno; l'altra grotta è poco passato Rimagno per andare a Seraveza, un sasso grande che attraversa la strada; e l'altra è a l'ultime case di Seravezza, andando verso la Corvara. Di poi s'à spianare col piccone in qualche luogo: e tutte queste cose perchè son breve, sarebon fatte in quindici dì, se ci fussino scarpellini che valessino qualche cosa. Del padule è forse otto dì non vi sono stato; allora andavano pure riempiendo el peggio che potevano. Stimo, se ànno seguitato, che a quest'ora sia finito. De' marmi, io ò la colonna cavata giù nel canale e presso alla strada a cinquanta braccia, a salvamento. È stata maggior cosa che io non stimavo a collarla giù: èccissi fatto male qualcuno nel collarla, e uno ci s'è dinocolato e morto súbito, e io ci sono stato per mettere la vita. L'altra colonna era quasi bozata: trovai un pelo che me la troncava: èmmi bisogniato rientrare nel poggio tanto quanto l'è grossa per fugire quel pelo, e così ò fatto, e stimo che adesso la vi sarà: e bòzasi tutta via. Non m'acade altro, se non pregovi parlando alla magnificenzia di Iacopo Salviati facciate mia scusa del non scrivere, perchè non ò ancora da scrivere cosa che mi piaccia: però nol fo. El luogo da cavare è qua molto aspro, e gli uomini molto ignoranti in simile esercizio: però bisognia una gran pazienza qualche mese, tanto che e' si sieno domesticati e' monti e amaestrati gli uomini; poi faremo più presto: basta che quello che io ò promesso, lo farò a ogni modo, e farò la più bella opera che si sia mai fatta in Italia, se Dio me n'aiuta.
Poi ch'io ò scritto, ò risposta da quegli uomini di Pietrasanta che tolsono a [395] cavare una certa quantità di marmi circa sei mesi fa, che non vogliono cavare nè rendermi e' cento ducati che io dètti loro. Parmi abino fatto una grande impresa, in modo che io e' so, che non l'ànno fatta senza favore, in modo che io fo disegno di venirmene costà agli Otto e domandare loro danni di questa giunteria: non so se si può fare: spero che la magnificenzia di Iacopo Salviati m'aiuterà della ragione.
[396]
Archivio Buonarroti. Di Seravezza, ( di settembre 1518).
A Pietro Urbano (in Firenze).[297]
Pietro. — Se tu se' guarito del dito e che ti paia di venire insino qua con Michele,[298] puoi venire, e portami dua camice. Se non ti pare di venire, màndamele per Michele, e avisami come tu stai.
Michelagniolo in Seraveza.
[397]
Archivio Buonarroti. Di Firenze, ( di settembre 1518).
A Monsignor Reverendissimo de' Medici in Roma.
Monsignore Reverendissimo. — Per l'opera di San Lorenzo a Pietra Santa si cava forte, e trovando e' Carraresi più umili che e' non sogliono, ancora ò ordinato cavare la gran quantità di marmi, in modo che alle prime aque spero averne in Firenze buona parte, e non credo mancar niente di quello che ò promesso io. Dio me ne dia grazia, perchè non fo stima d'altro al mondo che di piacervi. Credo àrò bisognio infra un mese di mille ducati: prego vostra Signoria Reverendissima non mi lasci mancare danari.
Ancora aviso vostra Signoria Reverendissima, com'io ò cerco e non ò mai trovato una casa capace da farvi tutta questa opera, cioè, le figure di marmo e di bronzo; e Matteo Bartoli a questi dì m'à trovato un sito mirabile e utile per farvi una stanza per simile opera: e quest'è la Piazza che è inanzi alla chiesa d'Ogni Santi: e e' Frati, secondo mi dice Matteo, son per vendermi le ragioni v'ànno su, e 'l popolo tutto se ne contenta, secondo detto Matteo, che è de' Sindachi. Non ci è altri che ci abbi da far niente, se non gl'ufitiali della Torre, che sono padroni del muro d'Arno, al quale sono apoggiate tutte le case di Borg'Ogni Santi; e questi mi daranno licenzia, con la stanza ch'io farò, mi v'appoggi ancora io. Resta solo che e' Frati àrebbon caro una lettera della vostra Signoria Reverendissima, che mostrassi che questa cosa gli è in piacere: e sarebe fatto ogni cosa. Però quando paia a quella farne scrivere dua versi o a' Frati o a Matteo, lo facci.
Servo della Vostra Signoria Reverendissima
Michelagniolo.
[398]
Archivio Buonarroti. Di Firenze, (21 di dicembre 1518).
Al mio caro amico Lionardo,[299] sellaio ne' Borgerini, in Roma.
Lionardo. — Io sono sollecitato da voi per l'ultima vostra, e òllo molto caro, perchè vego che voi lo fate per mio bene; ma io vi fo bene intendere, che tal sollecitamenti per un altro verso mi sono tutti coltellate, perchè io muoio di passione per non potere fare quello che io vorrei, per la mia mala sorte. Stasera fa otto dì tornò Pietro[300] che sta meco, da Porto Venere, con Donato[301] che sta meco là a Carrara per conto del caricare e' marmi, e lasciorno a Pisa una scafa carica, e non è mai comparita, perchè non è mai piovuto, e Arno è secco afatto: e altre quatro scafe sono in Pisa soldate per questi marmi; che, come e' piove, verranno tutte cariche e comincierò a lavorare forte. Io sto per questo conto peggio contento che uomo che sia nel mondo. Io sono ancora sollecitato da messer Metello Vari della sua figura,[302] che è anche là in Pisa e verrà in queste prime scafe. Io non gli ò mai risposto, nè anche voglio più scrivere a voi, finchè io non ò cominciato a lavorare; perchè io muoio di dolore e parmi essere diventato uno ciurmatore contro a mia voglia.
Ò a ordine qua una bella stanza, dov'io potrò rizare venti figure per volta: non la posso coprire, perchè in Firenze non ci è legniame e non ne può venire se e' non piove, e non credo oramai e' piova ma' più, se non quando mi àrà a far qualche danno.
Del Cardinale[303] non vi dico gli diciate altro, perchè so che gli à cattiva impressione de' fatti mia; ma la sperienzia lo farà presto chiaro. Racomandatemi a Sebastiano[304] e io a voi mi racomando.
Vostro Michelagniolo in Firenze.
[399]
Archivio Buonarroti. Di Firenze, 22 di dicembre (1518).
Al mio maggiore Francesco Peri ne' Salviati in Pisa.
Carissimo mio maggiore. — Io non son venuto a far conto, come più volte m'avete scritto, perchè non sono stato bene; ora son sano e gagliardo, e súbito che io ò una risposta che m'importa assai, che io aspetto da Roma, come l'ò, súbito monto a cavallo, e vengo costà a far conto e ciò che voi volete. Io vi priego, poi avete avuta tanta pazienza, l'abiate ancora questi pochi dì, e non pigliate ammirazione de' casi mia, perchè non ò potuto fare altro.
Dei servizii m'avete fatti e delle noie avete ricevute, io lo so, e conosco e restovi ubrigato in eterno, ofrendovi, benchè picola cosa sia, me con tutto quello che io ò e posso. E come è detto, in fra pochi dì sarò costà e aconcieremo le cose con consiglio vostro, in modo che e' non vi si dia più noia.
A dì ventidua di dicembre.
Vostro Michelagniolo scultore in Firenze.
[400]
Archivio Buonarroti. Di Firenze, 26 di dicembre 1518.
(A maestro Donato Benti in Seraveza).
Donato. — Io vi scrissi per Domenico detto el Zucca, compagnio di Andrea, come io sarei costà súbito fatto le feste. Ora sendo qua Francesco Peri, mi dice che vuole ancora stare qua per certe sua faccende, quattro o sei dì; e io avendo a far conto seco in Pisa, son rimasto d'aspettarlo per andar seco da Pisa e poi venirmene costà. E perchè in questo mezo che io tarderò qua, vi mando pel sopradetto Zucca, compagnio d'Andrea, ducati dieci largi, acciò che se fussi tempo da caricare, voi il possiate fare: e Francesco Peri m'à promesso che in Pisa saranno pagati e' noli di quanti marmi voi vi condurrete; e io, passati questi pochi dì, ne verrò con Francesco e farò conto a Pisa, e poi verrò costà e darovvi e' danari che voi vorrete. Io ò scritto a Roma della gabella di Pisa come mi avvisasti, e ancora come siate trattati costà; e spero avere risposta innanzi che io mi parta. Delle fatiche vostre io ne sono ultimamente avisato da Francesco Peri, benchè prima lo sapevo e conoscevo, di che io vi ringrazio e restovi ubrigatissimo, e son certo, vivendo questo Papa, che questa opera abbia a essere buona per voi.
A dì 26 di dicembre 1518.
Vostro Michelagniolo scultore in Firenze.
[401]
Archivio Buonarroti. Di Firenze, (26 di dicembre 1518).
A Donato Benti in Seraveza.[305]
Donato. — Poichè io vi scrissi per il compagno d'Andrea, ò trovato Francesco Peri, e lui m'à pregato che io l'aspetti ancora sei o otto dì, perchè à qua in Firenze certe faccende, che non può partire ancora. Io l'aspetterò per esser seco a Pisa per far conto e poi ne verrò costà. E in questo mezzo, perchè voi possiate seguitare el caricare quando fia tempo, io vi mando dieci ducati: e quando sarò costà, vi darò quello che vorrete; e Francesco Peri scriverrà a Pisa che e' saranno pagati e' noli, se caricassi innanzi che noi venissimo. Però seguitate quando potete, e sapiate che voi....
[402]
Archivio Buonarroti. Di Firenze, (1519).
(A messer Domenico Buoninsegni in Roma).
Messer Domenico. — Io m'acorgo per la vostra che Bernardo Nicolini v'à scritto ch'io mi sdegniai un poco seco per un vostro capitolo, che diceva, come el Signore di Carrara mi caricava assai e come el Cardinale si doleva di me: e questo è che io mi sdegniai, perchè in bottega d'un merciaio me lo lesse in publico a uso di processo, acciò che e' si sapessi per quello che io andavo a morire: e perchè io gli dissi: perchè non scriv'egli a me? Io vego che voi scrivete a me: però scrivete pure a lui o a me, come vi vien bene, e dopo la iustizia, quando sarà, vi prego non manifestiate il perchè, per onore della patria.
Io intendo per l'ultima vostra, come io farei bene allogare e' marmi di San Lorenzo. Io gli ò allogati già tre volte e tutte a tre sono restato gabato: e questo è, perchè gli scarpellini di qua non s'intendono de' marmi, e visto che e' non riesce loro, si vanno con Dio. E così ci ò buttato via parechi centinaia di ducati: e per questo m'è bisogniato starvi qualche volta a me a mettergli in opera, e a mostrar loro e' versi de' marmi e quelle cose che fanno danno e quali sono e' cattivi; e 'l modo ancora del cavare, perchè io in simil cose vi son dotto.
Ancora fu necessario che ultimamente io vi stéssi.
[403]
Archivio Buonarroti. Di Seravezza, 20 d'aprile (1519).
A Pietro Urbano in casa Michelagniolo scultore in Firenze.
Pietro. — Le cose sono andate molto male, e questo è che sabato mattina io mi messi a fare collare una colonna con grande ordine: e non mancava cosa nessuna, e poi che io l'ebbi collata forse cinquanta braccia, si ruppe uno anello dell'ulivella che era alla colonna, e la colonna se n'andò nel fiume in cento pezzi. El detto anello l'avea fatto fare Donato a un suo compare Lazzero ferraro; e quanto all'essere recipiente, quando fussi stato buono, era per reggere quatro colonne, e a vederlo di fuora non ci parea dubbio nessuno. Poichè s'è rotto, abbiàno visto la ribalderìa grande: che e' non era saldo drento niente e non v'era tanto ferro per grossezza che tenessi quant'è una costola di coltello; in modo che io mi maraviglio che reggessi tanto. Siàno stati a un grandissimo pericolo della vita tutti che eravamo attorno: e èssi guasto una mirabil pietra. Io lasciai questo carnovale questa cura di questi ferri a Donato, che andassi alla ferriera e togliessi ferri dolci e buoni: tu vedi come e' m'à tratato. E le casse delle taglie che e' m'à fatte fare sono anche nel collare questa colonna crepate tutte nell'anello, e sono anche loro state per rompersi; e son dua volte maggiore che quelle dell'Opera: chè, se fussi buon ferro, reggierieno un peso infinito. Ma il ferro è crudo e tristo e non si poteva far peggio: e questo è che Donato si tien con questo suo compare, e à mandato lui alla ferriera, e àmmi servito come tu vedi. Bisognia aver pazienza. Io sarò costà queste feste e comincerèno a lavorare, se piacerà a Dio. Racomandami a Francesco Scarfi.
A dì venti d'aprile.
Michelagniolo in Seravezza.
[404]
Archivio Buonarroti. Di Carrara, ( di aprile 1519).
A Pietro Urbano in Carrara .... Michelagnio .... in Firenze.[306]
.... stare una bella cosa di pietra i modo .... di dolore; l'altra che resta loro bozzata .... settimana, e perchè e' non mi pare che .... mi bisognia starci e così mi prega .... prima dua dì che e' non avenia el det .... dì e colleronne forse dua: però ti prego .... e carica in sur uno navicello o .... girelle di bronzo che io feci fare a go .... Francesco Peri e fa' 'l mercato e scrivi .... pregoti me le mandi súbito: fàttele .... consegniate: parla ancora agli Operai .... marmi e di' loro, che io non ò potuto essere .... loro per quello m'è avenuto e che non ....
Circa a' denari, fa' e' conti col Sbietta .... el più che tu puoi in Firenze e r .... fa fare ancora dua o tre mazuoli .... ferri e una lettera che sarà in questa .... mandàla el meglio che puoi, perchè m'importa ....
Michelagniolo .... in Seravezza.
Suggella la lettera che va a Roma .... sta e màndale ....
[405]
Archivio Buonarroti. Di Firenze, ( di maggio 1519).
A Pietro Urbano in Firenze.
Pietro. — Tu ài andare in Pietra Santa a ser Giovan Badessa e fara'ti dare il contratto[307] in forma propia che io ò fatto co' Carraresi, ciè col Pollina e con Leone e col Bello, di otto figure che m'ànno a fare, ciò è marmi per otto figure: quatro di quatro braccia e mezo, e quatro di cinque braccia, colla largezza e grosseza che dice el contratto. E detto contratto dice, overo credo che dica, che a mezo maggio io abbia a dare a' detti Carraresi ducati trenta d'oro largi, con questo che e' debino avere cavato a detto tempo figure quatro delle sopra ditte, dua di quatro braccia e mezo, e dua di cinque. Fara'ti leggiere el detto contratto e intenderai meglio quello che ài a fare: e se e' non ànno cavate dette quatro figure non ài a dar loro danari, e puoi dir loro che le càvino e poi me lo faccino intendere, e darò loro danari. E se l'ànno cavate, che sieno come dice il contratto, darai loro trenta ducati come dice el contratto, e daragli loro in Pietra Santa; e fànne far contratto al detto Ser Giovanni Badessa: e in Carrara faratti fare una fede, con testimoni, come tu vi se' stato a mezo maggio a portare a' detti cavatori danari per osservare el contratto.
Sarai con Marco, el quale à avuto dua ducati per bozzare la pietra che io avevo a Sponda, e farne una figura di quatro o cinque braccia; e vedi se l'à bozzata, e se puoi fargniene condurre alla marina e fare caricare quella che è in sulla spiaggia, che io ebbi da Leone, e questa, fallo: e Marco troverà le barche [406] a condurre in Pisa per e' noli usati. E ancora una figura di dua braccia ch'io ebbi da Cagione. Donato mi dice che dètte e' danari a Marco che la facessi condurre alla marina. Ser Giovan Badessa à avuto per levare el sopra detto contratto barili tre: finiscigli el pagamento, che credo sarà per insino in un ducato. Fa' el meglio che puoi.
[407]
Archivio Buonarroti. Di Seravezza, 6 d'agosto (1519).
A Girolamo del Bardella in Porto Venere.[308]
Girolamo. — Tornando a questi giorni da Roma, trovai una vostra lettera in Firenze scritta da' Salviati in Pisa, della quale non avete avuta risposta da me per non essere io stato in luogo che io l'abbia avuta. Ora avend'io inteso l'animo vostro per la detta lettera, cioè come àresti fatto l'impresa del condurre e' mia marmi dall'Avenza e da Pietrasanta in Pisa; m'è parso, send'io qui a Pietrasanta, scrivervi questi pochi versi per intendere se siate più d'animo di pigliare la detta condotta; e quando abiate animo di farlo, io sono in Seraveza. Piacciavi avisarmi dove ò a essere, acciò che ci troviamo insieme, perchè stimo resteremo d'acordo. Pregovi mi rispondiate presto e risoluto.
A dì sei d'agosto.
Vostro Michelagniolo scultore in Seraveza.
[408]
Archivio Buonarroti. Di Firenze, 17 di settembre (1519).
A Pietro Urbano in Pistoia.
Pietro. — Io ti mando el saione, un paio di calze, la cappa e il feltro per uno che si chiama il Turchetto che sta in bottega di Buonarroto. Àvisami come tu stai,[309] e se ti bisognia niente. Io sarei venuto costa a vederti, ma io son tanto occupato, che io non mi posso partire: pure, se bisognia che io venga, avisa: e quando tu ti senti da venirne, manda di costà qualcuno fidato pel mulo, e scrivimi quello che io gli ò a dare, e io lo pagerò. Sta' sano e di buona voglia, e se puoi scrivimi la ricevuta de' sopradetti panni.
A dì diciassette di settembre.
Michelagniolo scultore in Firenze.
[409]
Archivio Buonarroti. Di Firenze, (1519).
(A Meo delle Corte).
Meo. — I' son di nuovo sollecitato che io lavori, e che io mandi più presto che io posso a ricavare e' marmi che non son buoni: però io vi prego, che domattina un poco a migliore ora che l'usato, voi siate in sulla piazza di San Lorenzo, acciò che noi possiàn vedere dua pezzi di marmo che vi sono, se v'è mancamento, innanzi che 'l sole ci dia noia, che noi gli mettiam drento e che voi andiate via. Chiamate qualcun degli altri con esso voi, e fate chiamare el Forello, acciò si possa entrare dentro pe' ferri.
Vostro Michelagniolo.
[410]
Archivio Buonarroti. Di Firenze, (1519).
Al detto Meo.[310]
Meo. — Io ò di nuovo lettere che io cominci co' marmi che io ò, e che io mandi súbito a ricavare quegli che non son buoni: però vi prego che (voi siate) domattina un poco a migliore ora che l'usato, acciò che 'l sole non ci dia noia a vedere dua pezzi che vi sono, se v'è mancamento, e che noi gli mettiàn dentro e che voi andiate via.
Altra variante.
Meo. — Io vi prego che siate domattina un poco a migliore ora che l'usato a San Lorenzo, acciò che 'l sole non ci dia noia, a vedere e' mancamenti de' marmi.
[411]
Archivio Buonarroti. Di Firenze, (1519).
(A messer Domenico Buoninsegni in Roma).
Domenico. — Io sono parato ogni ora a metere la persona e la vita, quando (occorre)ssi[311] pel cardinale de' Medici. Io parlo circa casi delle sepulture e de' marmi che si sono allogati o vero dati a cavare a Carrara. Voi (sapete) circa questo la volontà del Cardinale molto meglio che non so io; però (avisate) tanto quanto vi pare che io facci, tanto farò. Io da me non ò m(odo) a cavalcare, nè danari da spendere. Che se avessi el modo, senza dire (altro farei) quello ch'io pensassi che fussi utile e piacere del Cardinale.
[412]
Raccolta già Bustelli. Di Firenze, ( di ottobre 1519).
A Pietro di Michelagniolo scultore in Seraveza.
Pietro. — E' viene costà certi scarpellini e staranno un dì a vedere la cava. Alla tornata loro avisami come tu stai e quando tu vuoi che io ti mandi il mulo: avisami a ogni modo; e se non puoi scrivere, fa' che io sia avisato a boca perchè sto con gielosia, non t'avendo io lasciato molto bene, come àrei voluto. Non altro. Riguardati.
Michelagniolo in Firenze.
[413]
Archivio Buonarroti. Di Firenze, (del giugno 1520).
(Al Cardinale Bernardo Dovizi in Roma).
Monsignore. — Io prego la vostra Reverendissima Signoria, non come amico o servo, perchè io non merito esser nè l'uno nè l'altro; ma come omo vile, povero e matto, che facci che Bastiano Veniziano pittore abi, poi ch'è morto Raffaello, qualche parte de' lavori di Palazo: e quando paia a vostra Signoria in un mio pari gittar via el servizio, penso che ancora nel servire e' matti, che rare volte si potrebe trovare qualche dolceza; come nelle cipolle per mutar cibo fa colui ch'è infastidito de' caponi. Degli uomini di conto ne servite el dì: prego vostra Signoria provi questo a me: e 'l servizio fia grandissimo, e Bastiano detto è valente omo: e se fia gittato in me, non fia così in Bastiano, perchè son certo farà onore a vostra Signoria.[312]
[414]
Museo di Berlino. Di Firenze, (1520).
A Sebastiano del Piombo? in Roma.[313]
Send'io a Carrara, per mia faccende, cioè per marmi per condurre a Roma per la sepultura di papa Iulio nel mille cinque cento sedici, mandò per me papa Leone per conto della facciata di San Lorenzo che voleva fare in Firenze. Ond'io a dì cinque di dicembre mi parti' di Carrara e andai a Roma, e là feci un disegno per detta facciata, sopr'al quale detto papa Leone mi dètte commessione ch'io facessi a Carrara cavare marmi per detta opera. Dipoi send'io tornato da Roma a Carrara l'ultimo di dicembre sopradetto, mandommi là papa Leone, per cavare e' marmi di detta opera, ducati mille per le mani di Iacopo Salviati, e portogli uno suo servitore detto Bentivoglio: e ricevetti detti danari circa a otto dì del mese vegnente, cioè di gennaio: e così ne feci quitanza. Dipoi l'agosto vegnente sendo richiesto dal Papa sopradetto del modello di detta opera, venni da Carrara a Firenze a farlo: e così lo feci di legname in forma propria con le figure di cera, e mandagniene a Roma. Súbito che lo vide mi fece andare là: e così andai, e tolsi sopra di me in cottimo la detta facciata, come apparisce per la scritta che ò con sua Santità:[314] e bisogniandomi per servire sua Santità condurre a Firenze e' marmi che io avevo a condurre a Roma per la sepultura di papa Iulio, com'io ò condotti, e dipoi lavorati, ricondurgli a Roma; mi promesse di cavarmi di tutte queste spese, cioè gabella e noli: che è una spesa di circa ottocento ducati, benchè la scritta non lo dica.[315]
E a dì sei di febraio mille cinque cento diciassette tornai da Roma a Firenze, e avend'io tolto in cottimo la facciata di San Lorenzo sopradetta, tutta a mie [415] spese, e avendomi a fare pagare in Firenze detto papa Leone quattro mila ducati per conto di detta opera, come apparisce per la scritta; a' dì circa venticinque ebbi da Iacopo Salviati ducati ottocento per detto e feci quitanza, e andai a Carrara. E non mi sendo là osservato contratti e allogazione fatte prima di marmi per detta opera, e volendomi e' Carraresi assediare; andai a far cavare detti marmi a Seraveza, montagna di Pietrasanta in su quello de' Fiorentini, e quivi avend'io già fatte bozzare sei colonne d'undici braccia e mezzo l'una e molti altri marmi, e fattovi l'aviamento che oggi si vede fatto; che mai più vi fu cavato innanzi; a' dì venti di marzo mille cinque cento diciotto venni a Firenze per danari per cominciare a condurre detti marmi, e a dì venti sei di marzo mille cinque cento diciannove mi fece pagare el cardinale de' Medici per detta opera per papa Leone, da' Gaddi di Firenze, ducati cinque cento: e così ne feci la quitanza. Dipoi in questo tempo medesimo el Cardinale per commessione del Papa mi fermò che io non seguissi più l'opera sopradetta, perchè dicevono volermi tôrre questa noia del condurre e' marmi, e che me gli volevano dare in Firenze loro, e far nuova convenzione: e così è stata la cosa per insino a oggi.
Ora in questo tempo avendo mandato per gli Operai di Santa Maria del Fiore una certa quantità di scarpellini a Pietrasanta, overo a Seraveza a occupare l'aviamento e tormi e' marmi che io ò fatto cavare per la facciata di San Lorenzo, per fare il pavimento di Santa Maria del Fiore, e volendo papa Leone seguire la facciata di San Lorenzo, e avendo el cardinale de' Medici fatta l'allogazione de' marmi di detta facciata a altri che a me, e avendo dato a questi tali, che ànno preso detta condotta, l'aviamento mio di Seraveza, senza far conto meco; mi sono doluto assai, perchè nè il Cardinale nè gli Operai non potevono entrare nelle cose mia, se prima non m'ero spiccato d'accordo dal Papa: e nel lasciare detta (facciata) di San Lorenzo d'accordo col Papa, mostrando le spese fatte e' danari ricevuti, detto aviamento e marmi e masserizie sarebbono di necessità tocche o a sua Santità o a me; e l'una parte e l'altra dopo questo ne poteva fare quello voleva.
Ora sopra questa cosa il Cardinale m'ha detto che io mostri e' danari ricevuti e le spese fatte, e che mi vuole liberare, per potere e per l'Opera[316] e per sè tôrre que' marmi che vuole nel sopradetto aviamento di Seraveza.
Però i' ò mostro avere ricevuti dumila trecento ducati ne' modi e tempi che in [416] questa si contiene, e ò mostro ancora avere spesi mille ottocento ducati: che di questi ce n'è spesi circa dugento cinquanta in parte ne' noli d'Arno de' marmi della sepultura di papa Iulio, che io ò condotti qui per servire papa Iulio a Roma; che sarà una spesa di più di cinquecento ducati. Non gli metto ancora a conto il modello di legname della facciata detta, che io gli mandai a Roma; non gli metto ancora a conto il tempo di tre anni che i' ò perduti in questo; non gli metto a conto che io sono rovinato per detta opera di San Lorenzo; non gli metto a conto il vituperio grandissimo de l'avermi condotto qua per far detta opera, e poi tôrmela: e non so perchè ancora; non gli metto a conto la casa mia di Roma che io ò lasciata, che v'è ito male, fra marmi e masserizie e lavoro fatto, per più di cinque cento ducati. Non mettendo a conto le sopradette cose, a me non resta in mano de' dumila trecento ducati, altro che cinquecento ducati.
Ora noi siamo d'accordo: papa Leone si pigli l'aviamento fatto co' marmi detti cavati, e io e' danari che mi restano in mano, e che io resti libero; e cònsigliomi ch'io facci fare un Breve e che 'l Papa lo segnerà.
Ora voi intendete tutta la cosa come sta. Io vi prego mi facciate una minuta di detto Breve, e che voi aconciate e' danari ricevuti per detta opera di San Lorenzo, in modo che e' non mi possino essere mai domandati; e ancora aconciate, come in cambio di detti danari che io ò ricevuti, papa Leone si piglia il sopradetto aviamento, marmi, masserizie....
[417]
Archivio Buonarroti. Di Firenze, ( di marzo 1521).
A Giusto di Matteo calzolaio in Pistoia.
Gusto. — Intendo per la vostra come el marito della Masina, cioè Iulio Forteguerri, venderebbe la casa che à qua in Via Mozza, quando avessi della lira venti soldi. E' debbe essere oramai l'anno che io ve ne parlai, e non avendo dipoi intesone mai niente, m'ero vòlto al murare in un orto che io ò lassù vicino. Ora se e' sonno per vendere detto Iulio e la Masina la detta casa per giusto prezo, io la piglierò e lascierò stare el murare. Però vi prego mi rispondiate presto, e avisatemi quello che ne vogliono: e io la farò vedere; e se sarà iusto, non sono per discostarmene. Altro non m'acade. Pietro[317] credo sarà giunto stasera a Roma, e presto stimo sarà di tornata.
A dì .... di marzo.
Vostro Michelagniolo scultore in Firenze.
[418]
Archivio Buonarroti. Di Firenze, (del febbraio 1522).
Al prudente giovane Gherardo Perini in Pesaro.
Tutti gli amici vostri meco insieme, Gherardo mio carissimo, si sono molto rallegrati, e più quegli che voi sapete che più v'amano, intendendo della sanità e del buono esser vostro per l'ultima vostra dal fedelissimo Zampino; e benchè la vostra umanità per la detta mi sforzi alla risposta, non mi sento però soffiziente a farla: solo vi dico questo: che noi amici vostri siamo il simile, cioè sani, e tutti ci racomandiamo a voi e massimamente ser Giovan Francesco, e 'l Piloto:[318] e la risposta, intendendo che presto avete a esser di qua, spero più pienamente farla a boca e sodisfarmi meglio d'ogni particularità, perchè è cosa che m'importa.
Adì non so quanti di febraio, secondo la mia fante.
Vostro fedelissimo e povero amico[319]
[419]
Archivio Buonarroti. Di Firenze, (1522).
Al mio caro Ser Giovan Francesco,[320] cappellano in Santa Maria del Fiore. Firenze.
Ser Giovan Francesco mio carissimo. — Perchè il primo sarto, come sapete, non può attendere, e essendo quest'ultimo che io ò preso vostro amico, vi prego mi raccomandiate a lui e gli diciate, non facci domenica che viene, come la passata, che non mi volse mai vedere quel giubbone in dosso: che forse l'àrebbe raconcio in modo mi starebbe bene; perchè questi pochi dì ch'io l'ò portato, m'à stretto molto forte e massimo nel petto. Non so se me l'avessi guasto per rubarne: benchè a me pare pure omo da fidarsene. Ora questo è fatto: per quest'altre cose, vi prego gli rammentiate un poco el caso mio, e che abi gli ochi seco quando un'altra volta mi coglie più misure; che io non vorrei avere a mutar più botteghe. Piglio sicurtà in voi. A riservire.
A ore venti tre e ogn'una mi pare un anno.
Vostro fedelissimo scultore
in Via Mozza presso al canto alla[321]
[420]
Archivio Buonarroti. Di Firenze, (del luglio 1523).
Al mio caro amico Bartolomeo Angelini in Roma.
Bartolomeo amico carissimo. — I' ò ricevuto in una vostra una del Cardinale:[322] di che mi son maravigliato, che per sì piccola cosa abbiate fatto scrivere, e tanto in fretta: alla quale non risponderò altrimenti, perchè non posso resoluto, come vorrei. A voi rispondo il medesimo che per l'altra, cioè come sono desideroso di servire suo Signoria Reverendissima, e ingegnierommene quanto potrò e più presto che potrò.
Io ò grande obrigo, e son vechio e mal disposto; che se io lavoro un dì, bisognia che io me ne posi quatro; però io non mi fido promettere di me molto resoluto. Ingegnierommi di servire a ogni modo, e dimostrarvi che io conosco l'amore che mi portate.
Altro non acade. Son sempre vostro. Racomandatemi a Sebastiano Veniziano.
Vostro Michelagniolo scultore in Firenze.
[421]
Museo Britannico. Di Firenze, (1523).
(A Ser Giovanni Francesco Fattucci in Roma).
Ser Giovanni Francesco. — E' sono ora circa dua anni ch'io tornai da Carrara d'allogare a cavare e' marmi delle sepulture del Cardinale, e andandogli a parlare, lui mi disse che io trovassi qualche buona risoluzione da far presto dette sepulture: io gli mandai scritti tutti e' modi del farle, come voi sapete che gli leggiesti, ciò è che io le farei in cottimo e a mesi e a giornate e in dono, come piacessi a sua Signoria, perchè desideravo di farle. Non fui acettato in modo nessuno. Fu detto che io non avevo el capo a servire il Cardinale. Dipoi riappiccando el Cardinale, gli offeri' di fare e' modelli di legniame grandi apunto come ànno a essere le sepulture, e farvi dentro tutte le figure di terra e di cimatura, della grandezza, e finite apunto come ànno a essere; e mostrai che questo sarebbe un breve modo, e una poca spesa a farle: che fu quando volemo comperare l'orto de' Caccini. Non fu niente, come sapete. Andando poi el Cardinale in Lombardia, andai súbito che lo 'ntesi a trovarlo, perchè desideravo di servirlo. Mi disse che io sollecitassi e' marmi e ch'io trovassi degli uomini, e che io facessi tanto quant'io potevo, che e' trovassi fatto qualche cosa, senza domandargli più di niente; e che se e' vivea, che farebbe ancora la facciata, e che lasciava a Domenico Boninsegni la commessione di tutti e' danari che bisogniavano. Partito el Cardinale, io scrissi tutte queste cose che m'avea dette a Domenico Boninsegni, e dissegli com'io ero parato a far tutto quello che desiderava el Cardinale; e di questo mi serbai la copia, e scrissi con testimoni, acciò che ognuno sapessi che e' non restava da me. Domenico mi venne súbito a trovare, e dissemi che non avea commessione nessuna, e che se io volevo niente, che lo scriverrebbe al Cardinale. Io gli dissi che non volevo niente. All'ultimo alla tornata del Cardinale, el Figiovanni mi disse che gli avea domandato di me. Io vi andai súbito, stimando volessi parlare delle sepulture; lui mi disse: «Noi vorrèmo pure che in queste sepulture fussi qualcosa di buono, [422] cioè qualcosa di tuo mano.» E non mi disse che volessi che io le facessi. Io mi parti', e dissi che tornerei a parlargli quando e' marmi ci sarebbono.
Ora voi sapete come a Roma el Papa è stato avisato di questa sepultura di Iulio, e come gli è stato fatto un moto propio per farlo segniare e procedermi contro e domandarmi quello che io ò avuto sopra detta opera, e danni e interessi: e sapete come el Papa disse, che questo si facci, se Michelagniolo non vuole fare la sepultura. Adunque bisognia ch'io la facci, se non voglio capitar male, come vedete che è ordinato. E se 'l Cardinale de' Medici vole ora di nuovo, come voi mi dite, che io facci le sepulture di San Lorenzo, voi vedete che io non posso, se lui non mi libera da questa cosa di Roma; e se lui mi libera, io gli prometto lavorare per lui senza premio nessuno tutto 'l tempo che io vivo; non già che io domandi la liberazione per non fare detta sepultura di Iulio, che io la fo volentieri, ma per servirlo: e se lui non mi vuole liberare, e che e' voglia qualche cosa di mia mano in dette sepulture, io m'ingegnierò, mentre lavorerò la sepultura di Iulio, di pigliar tempo di far cosa che gli paccia.
[423]
Archivio Buonarroti. Di Firenze, 25 di novembre (1523).
Al mio caro amico maestro Domenico,[324] detto Topolino, scarpellino in Carrara.
Maestro Domenico mio carissimo. — L'aportatore di questa sarà Bernardino di Pier Basso, che viene costà per certi pezi di marmo che à di bisognio. Prègovi che voi l'indirizzate dove e' sia servito bene e presto: io ve lo racomando quanto so e posso. Altro non m'acade intorno a questo. Àrete inteso come Medici è fatto papa:[325] di che mi pare si sia rallegrato tutto el mondo; ond'io stimo che qua, circa l'arte, si farà molte cose: però servite bene e con fede, acciò che e' s'abbi onore.
A dì venticinque novembre.
Vostro Michelagniolo scultore in Firenze.
[424]
Archivio Buonarroti. Di Firenze, (1524).
A papa Clemente VII in Roma.[326]
Beatissimo padre. — Perchè e' mezzi spesse volte sono cagione di grande scandali, però io ò preso ardire, senza quegli, scrivere a vostra Santità circa le sepulture qua di San Lorenzo. Io dico che non so qual si sia meglio, o 'l mal che giova, o 'l ben che nuoce. Io son certo, così pazzo e cattivo com'io sono, che se io fussi stato lasciato seguitare, come aveva cominciato, che oggi sarebbono tutti e' marmi per dette opere in Firenze, e con manco spesa che non s'è fatto insino a ora, bozzati al proposito; e sarebbon cosa mirabile, come degli altri che io ci ò condotti.
Ora io veggo la cosa andare a lungo, nè so come la si vadi. Però io mi scuso con vostra Santità, che se cosa avvenissi che non piacessi a quella, non ci avendo io alturità, non mi pare anche d'averci colpa: e priego quella, che volendo che io facci cosa nessuna, che non mi dia nell'arte mia uomini sopracapo, e che mi presti fede, e diemi libera commessione; e vedrà quello che io farò, e 'l conto che a quella renderò di me.
La lanterna qua della cappella di detto San Lorenzo, Stefano[327] l'à finita di metter su e scopertola, e piace universalmente a ogni uomo; e così spero farà a vostra Santità quando la vedrà. Facciàno fare la palla che viene alta circa un braccio: e io ò pensato, per variarla dall'altre, di farla a faccie: e così si fa.
Servo della Vostra Santità
Michelagniolo scultore in Firenze.
[425]
Archivio Buonarroti. Di Firenze, (1524).
Al mio maggiore Giovanni Spina (in Firenze).
Giovanni mio caro. — Perchè la penna è sempre più animosa che la lingua, vi scrivo quello che più volte a questi dì non mi sono ardito per rispetto dei tempi dirvi a boca: e questo è, che visto e' tempi, come è detto, contrarii all'arte mia, non so se io m'ò da sperare più provigione. Quand'io fossi certo non l'avere più avere, non resterei per questo che io non lavorassi e facessi per el Papa tutto quello che io potessi, ma non terrei già casa aperta per rispetto del debito che voi sapete che io ò, avendo dove tornarmi con molto manco spesa: e a voi ancora si leverebbe la noia della pigione. E quando la mia provvigione pur séguiti, io starò qui come sono stato e ingegnieromi fare el debito mio. Però io vi prego che voi mi diciate quello che voi ne intendete, acciò che io possa pensare a' fatti mia, restandovi obrigatissimo. Io vi rivedrò queste feste in Santa Maria del Fiore.
Vostro Michelagniolo a San Lorenzo.
[426]
Archivio Buonarroti. Di Firenze, (del gennaio 1524).
A Ser Giovan Francesco Fattucci in Roma.
Messer Giovan Francesco. — Voi mi ricercate per una vostra come stanno le cose mia con papa Iulio. Io vi dico che se potessi domandar danni e interessi, più presto stimerei avere avere, che avere a dare. Perchè quando mandò per me a Firenze, che credo fussi el secondo anno del suo Pontificato, io avevo tolto a fare la metà della sala del Consiglio di Firenze,[328] cioè a dipignere; che n'avevo tre mila ducati; e di già era fatto el cartone, come è noto a tutto Firenze; che mi parevon mezzi guadagnati. E de' dodici Apostoli che ancora avevo a fare per Santa Maria del Fiore[329] n'era bozato uno, come ancora si vede; e di già avevo condotti la maggior parte di marmi. E levandomi papa Iulio di qua, non ebbi nè dell'una cosa nè dell'altra niente. Dipoi sendo io a Roma con detto papa Iulio, e avendomi allogato la sua sepultura, nella quale andava mille ducati di marmi, me gli fece pagare e mandòmi a Carrara per essi; dov'io stetti otto mesi a fargli bozzare, e condussi quasi tutti in sulla piazza di Santo Pietro, e parte ne rimase a Ripa. Dipoi finito di pagare i noli di detti marmi e mancandomi e' danari ricevuti per detta opera, forni' la casa che io avevo in sulla piazza di Santo Pietro di letti e masserizie del mio, sopra la speranza della sepultura, e fe' venire garzoni da Firenze, che ancora n'è vivi, per lavorare; e dètti loro danari inanzi del mio. — In questo tempo papa [427] Iulio si mutò d'oppenione e non la volse più fare: e io non sapendo questo, andandogli a domandare danari, fui cacciato di camera: e per questo isdegno mi parti' súbito di Roma; e andò male ciò che io avevo in casa; e e' detti marmi ch'io avevo condotti, stettono insino alla creazione di papa Leone in sulla piazza di Santo Pietro: e dell'una parte e dell'altra n'andò male assai. Fra gli altri di quel ch'io posso provare, me ne fu tolti dua pezzi di quatro braccia e mezo l'uno da Ripa da Agostino Ghigi, che m'erono costi a me più di cinquanta ducati d'oro: e questi si potrebbon risquotere, perchè ci è e' testimoni. Ma per tornare a' marmi, dal tempo che io andai per essi e che io stetti a Carrara, insino a che io fui cacciato di Palazo, v'andò più d'un anno: del qual tempo non ebbi mai nulla, e messovi parecchi decine di ducati.
Dipoi la prima volta che papa Iulio andò a Bolognia, mi fu forza andare là con la coreggia al collo a chiedergli perdonanza; onde lui mi dètte a fare la figura sua di bronzo, che fu alta a sedere circa a sette braccia. Domandandomi che spesa la sarebbe, io gli risposi che credevo gittarla con mille ducati; ma che e' non era mia arte e che io non mi volevo obrigare; mi rispose: «Va, lavora e gitterella tante volte che la venga, e daremti tanto che tu sarai contento.» Per abreviare, la si gittò dua volte, e in capo di du' anni ch'io vi stetti, mi trovai avanzati quattro ducati e mezo. E di questo tempo non ebbi mai altro; e le spese tutte ch'io feci, ne' detti dui anni furno de' mille ducati con che io avevo ditto che la si gitterebbe: e' quali mi furono pagati in più volte da messere Antonio Maria da Legnia(me) bolognese.
Messo su la figura nella facciata di San Petronio e tornato a Roma, non volse ancora papa Iulio che io facessi la sepultura, e missemi a dipignere la vôlta di Sisto, e facèmo e' patti tre mila ducati. E 'l disegno primo di detta opera furono dodici Apostoli nelle lunette, e 'l resto un certo partimento ripieno d'adornamenti, come si usa.
Dipoi cominciata detta opera, mi parve riuscissi cosa povera, e dissi al Papa, come facendovi gli Apostoli soli mi parea che riuscissi cosa povera. Mi domandò perchè: io gli dissi, perchè furon poveri anche loro. Allora mi dètte nuova commessione ch'io facessi ciò ch'io volevo, e che mi contenterebe, e che io dipignessi insino alle storie di sotto. In questo tempo quasi finita la vôlta, el Papa ritornò a Bologna: ond'io v'andai dua volte per danari che io aveva avere, e non feci niente, e perde' tutto questo tempo, finchè ritornò a Roma. Ritornato a Roma, mi missi a far cartoni per detta opera, cioè per le teste e per le faccie attorno di [428] detta cappella di Sisto, e sperando aver danari e finire l'opera. Non potetti mai ottenere niente: e dolendomi un dì con messer Bernardo da Bibbiena e con Attalante,[330] com'io non potevo più stare a Roma e che mi bisogniava andar con Dio; messer Bernardo disse a Attalante che gniene rammentassi, che mi voleva far dare danari a ogni modo. E fecemi dare du' mila ducati di Camera; che son quelli con que' primi mille de' marmi ch'e' mi mettono a conto della sepultura; e io stimavo averne aver più pel tempo perduto e per l'opere fatte. E de' detti danari, avendo messer Bernardo et Attalante risucitatomi, donai a l'uno cento ducati, all'altro cinquanta.
Dipoi venne la morte di papa Iulio: e a tempo nel prencipio di Leone, Aginensis volendo accrescere la sua sepultura, cioè far maggiore opera che il disegno ch'io avevo fatto prima, si fece uno contratto.[331] E non volendo io ch'e' vi mettessino a conto della sepultura i detti tre mila ducati ch'io avevo ricievuti, mostrando ch'io avevo avere molto più; Aginensis mi disse, che io ero un ciurmadore.
[429]
Museo Britannico. Di Firenze, (del gennaio 1524).
A messer Gio. Francesco Fattucci in Roma.[332]
Ne' primi anni di papa Iulio, credo che fossi el secondo anno ch'io andai a star seco, dopo molti disegni della sua sepultura, uno gniene piacque, sopra 'l quale facemo el mercato: e tolsila a fare per dieci mila ducati, e andandovi di marmi ducati mille, me gli fece pagare, credo da' Salviati in Firenze: e mandommi pe' marmi. Andai, condussi e' marmi a Roma e uomini, e cominciai a lavorare el quadro e le figure: di che c'è ancora degli uomini che vi lavororno: e in capo d'otto o nove mesi el Papa si mutò d'openione, e non la volse seguitare; e io trovandomi in sulla spesa grande e non mi volendo dar suo Santità danari per detta opera, dolendomi io seco, gli dètti fastidio, in modo che mi fe' cacciar di camera. Ond'io per isdegno mi parti' súbito di Roma: e andò male tutto l'ordine che io avevo fatto per simile opera: che del mio mi costò più di trecento ducati simil disordine, senza el tempo mio e di sei mesi che io ero stato a Carrara: che io non ebbi mai niente: e e' marmi detti si restorno in sulla piazza di Santo Pietro. Dipoi circa sette o otto mesi che io stetti quasi ascoso per paura, sendo crucciato meco el Papa, mi bisognò per forza, non possendo stare a Firenze, andare a domandargli misericordia a Bologna; che fu la prima volta che e' v'andò: dove mi ritenne circa du' anni a fare la sua statua di bronzo, che fu alta a sedere sei braccia: e la convenzione fu questa. Domandandomi papa Iulio quello che si veniva di detta figura; gli dissi che e' non era mia arte el gittar di bronzo, e che io credevo con mille ducati d'oro gittarla, ma che non sapevo se mi riuscirebbe. E lui mi disse: «Gitteremla tante volte che la riesca, e daremti tanti danari quanti bisognierà.» E mandò per messere Antonio Maria dal Legnia(me), e dissegli che a mio piacere mi pagassi mille ducati. Io l'ebbi a gittar dua volte. Io posso mostrare avere speso [430] in cera trecento ducati, aver tenuto molti garzoni, e aver dato a maestro Bernardino,[333] che fu maestro d'artiglierie della Signoria di Firenze, trenta ducati el mese e la spesa e averlo tenuto parecchi mesi. Basta che all'ultimo messa la figura dove aveva a stare, con gran miseria, in capo di dua anni mi trovai avanzati quattro ducati e mezzo: di che io di detta opera sola stimo giustamente poterne domandare a papa Iulio più di mille ducati d'oro; perchè non ebbi mai che e' primi mille, com'è detto.
Dipoi, tornando a Roma, non volse ancora che io seguissi la sepultura, e volse che io dipigniessi la vôlta di Sisto: di che fumo d'accordo di tre mila ducati a tutte mie spese con poche figure semplicemente. Poi che io ebbi fatti certi disegni, mi parve che riuscissi cosa povera: onde lui mi rifece un'altra allogagione insino alle storie di sotto, e che io facessi nella vôlta quello che io volevo: che montava circa altrettanto: e così fumo d'accordo. Onde poi finita la vôlta, quando veniva l'utile, la cosa non andò innanzi, in modo che io stimo restare avere parecchi centinaia di ducati....
[431]
Archivio Buonarroti. Di Firenze, (del gennaio 1524).
A Ser Giovan Francesco Fattucci in Roma.
Messer Giovan Francesco. — Intendo per l'ultima vostra come la Santità del nostro Signore vuole che 'l disegnio della Libreria sia di mia mano. Io non ò notizia nessuna, nè so dove se la voglia fare: e se bene Stefano[334] me n'à parlato, non ci ò posto mente. Come torna da Carrara, io m'informerò da lui, e farò ciò che io saprò, benchè non sia mia professione.
Della pensione che voi mi scrivete, io non so di che voglia io mi sarò di qui a uno anno; e però non voglio promettere quello, di che io mi potrei pentire. Della provigione io ve n'ò scritto.
[432]
Archivio Buonarroti. Di Firenze, (del gennaio 1524).
A Ser Giovan Francesco Fattucci in Roma.
Per darvi qualche nuova, poi che gli è tanto che io non vi scrissi, sapiate che 'l Guidotto, come sapete, avea mille faccende, e in pochi dì s'è morto e à lasciato el suo cane libero a Donato, e Donato ha comperato per portare bruno una cioppa a linia masculina; la qual vedrete se vien costà, perchè è buona ancora a cavalcare.
Altro non m'acade. De' casi mia, poi che siate mio procuratore, come à voluto el Papa,[335] vi prego mi trattiate bene, come sempre avete fatto, che sapete che io ò più debito con esso voi pe' benefizi ricievuti, che non ànno, come si dice a Firenze, e' crocifissi di Santa Maria del Fiore col Noca calzaiuolo.[336]
[433]
Archivio Buonarroti. Di Firenze, 26 di gennaio 1524.
(A Piero Gondi in Firenze).[337]
Piero. — El povero ingrato à questa natura, che se voi lo sovvenite ne' sua bisogni, dice che quel tanto che gli date, a voi avanzava: se lo mettete in qualche opera per fargli bene, dice sempre che voi eri forzato, e per non la saper far voi, v'avete messo lui: e tutti e' benefizi che e' riceve, dice che è per necessità del benificatore. E quando e' benefizi ricevuti sono evidenti, che e' non si possono negare; l'ingrato aspetta tanto, che quello da chi egli à ricievuto del bene, caschi in qualche errore publico, che gli sia ocasione a dirne male, che gli sia creduto, per isciorsi dall'obrigo che gli pare avere. Così è sempre intervenuto contra di me: e non s'impacciò mai nessuno meco (io dico d'artigiani), che io non gli abi fatto bene con tutto el cuore: poi sopra qualche mia bizzarria o pazzia che e' dicono che io ò, che non nuoce se non a me, si son fondati a dir male di me e a vituperarmi: che è el premio di tutti gl'uomini da bene.
Io vi scrivo sopra e' ragionamenti di iersera, e sopra e' casi di Stefano:[338] io insino a qui non l'ò messo in luogo, che se io non vi potevo essere io, i' non n'avessi trovato un altro da mettervi: tutto ò fatto per fargli bene e non per mia utilità, ma per sua; e così ultimamente. Ciò che io fo, fo per suo bene, perchè ò fatto impresa di fargli bene, e non la posso lasciare: e non creda o non dica che io lo facci per mia bisogni, chè grazia di Dio non mi manca uomini: e se l'ò stimolato a questi dì più che l'ordinario, l'ò fatto perchè io sono ancora io più obrigato che l'ordinario: e èmmi forza intendere se e' può o se vuole, o se e' sa servirmi, per potere pensare a' casi mia. E non veggendo molto chiaro l'animo suo, richiesi iersera voi che fussi mezzo a farmi intendere l'oppenione suo, e se e' sa fare quello di che io lo richiego, o se e' può o se [434] e' vuole, o se e' sa e vuole e può: che voi intendessi da lui quello che e' vuole el mese a essere sopra e' garzoni e insegnare lor fare la materia e quello che io ordinerò: e e' garzoni gli ò a pagare io. Io vi richiesi iersera di questo, e di nuovo ve ne priego che voi mi facciate intendere, come è detto, l'animo suo: e non vi maravigliate ch'io mi sia messo a scrivervelo, perchè e' m'importa assai per più rispetti, e massimo per questo: che se io lasciassi sanza gustificarmi e mettessi in suo luogo altri, sarei publicato in fra e' Piagnioni per maggior traditore che fussi in questa terra, benchè io avessi ragione. Però priego mi serviate. Io vi do con sicurtà noia, perchè voi mostrate volermi bene.
Adì venti sei di gennaio 1523.
Michelagniolo scultore in Firenze.
[435]
Dai Mss. Ashburnham. Di Firenze, 6 di febbraio 1524.
A Giovanni Spina in Firenze.
Giovanni. — L'apportatore di questa sarà Stefano miniatore, al quale darete ducati quindici per conto de' modegli ch'io fo per papa Clemente, come per l'altra vi dissi.
Adì sei di febbraio mille cinque cento venti tre.
Ricievuti detto dì.
Vostro Michelagniolo scultore in Firenze.
[436]
Archivio Buonarroti. Di Firenze, (del luglio 1524).
A messer Giovan Francesco Fattucci in Roma.
Messer Giovan Francesco. — Per l'ultima vostra son ito a trovar lo Spina per intendere se à commessione di pagare per la Libreria, come per le sepulture; e visto ch'ei non l'à, non ò dato prencipio a detta opera, come m'avvisate; perchè non si può fare senza danari: e quando pur s'abbia a fare, pregovi facciate costà, che qua paghi lo Spina; perchè non si potrebbe trovare uomo più accomodato nè che facci con più amore e grazia simil cosa.
Del cominciare a lavorare, bisognia che io aspetti che e' marmi venghino, che non credo che venghino mai, tal ordine s'è tenuto! Àrei da scrivere cose che vo' stupiresti, ma non mi sare' creduto: basta, che l'è la mia rovina; perchè se fossi inanzi con l'opera più che io non sono, forse che 'l Papa àrebbe aconcio la cosa mia[340] e sarei fuora di tanto affanno: ma e' comparisce molto più lavoro a chi guasta, che non fa a chi aconcia. Trovai ieri uno che mi disse che io andassi a pagare, se non che all'ultimo di questo mese i' cascherò nelle pene. I' non credetti che ci fusse altre pene che quelle dell'inferno, o dua ducati d'albitrio, s'i' facessi un fondaco d'un'arte di seta o un battiloro, e 'l resto prestassi a usura. Abbiàno pagato trecento anni le gravezze a Firenze: almanco foss'io stato una volta famiglio del Proconsolo![341] E pur bisognia pagare. Sarammi tolto ogni cosa, perchè non ò el modo e verrommene costà. Àrei, se la cosa mi fussi aconcia, venduto qualche cosa e comperato Monte[342] che m'avessi pagato le gravezze, e potre' pure stare a Firenze.[343]
[437]
Archivio Buonarroti. Di Firenze, (8 d'agosto 1524).
A Giovanni Spina in Firenze.
Giovanni. — L'apportatore di questa sarà Niccolò di Giovanni detto il Sordo, al quale pagerete ducati tre per conto della pietra forte ch'egli à tolto a cavare per la Liberria di San Lorenzo. Pagategli a buon conto: e per le prime carrate vedrèno come servirà e del prezzo giusto e della bontà della pietra: e io pe' tre ducati detti prometto per lui.
Vostro Michelagniolo a San Lorenzo.
[438]
Archivio Buonarroti. Di Firenze, 29 d'agosto 1524.
A Giovanni Spina.
Giovanni. — Poi che io parti' ieri da voi, andai ripensando a' casi mia, e visto quanto el Papa à a cuore quest'opera di San Lorenzo, e quanto sono sollecitato da sua Santità; e avendomi quella volontariamente ordinata buona provigione, acciò che io abbia più comodità di servirlo più presto, e visto che el non la pigliare, mi ritarda, e che io non àrei scusa nessuna non servendo; mi sono mutato di proposito, e dove insino a ora non l'ò domandata, ora la domando; stimando che e' sia molto meglio e per più rispetti che non acade scrivere; e massimo per tornare nella casa a San Lorenzo che avete tolta, e aconciarmivi da omo dabene: che dà che dire e fammi danno assai el non vi tornare. Però io vorrei che voi mi déssi quella quantità di provigione che mi toca dal dì che la mi fu ordinata insino a ora: e se avete commessione di farlo, pregovi lo diciate a Antonio Mini che sta meco, aportatore di questa, e quando volete che io venga per essa.
Copia fatta el dì di San Giovanni dicollato 1524.[344]
Nell'altra parte del foglio è scritto d'altra mano:
✠ 1524.
Per mille ottociento braccia di vôlta in botte, a lire una, soldi dua el braccio, monta | L. 1880. | |
Per tremila cinqueciento venti braccia di mura grosse dall'ammattonato insino al tetto, a soldi sedici el bracio fornite, montano | fior. 402. | lire 2. |
d'oro in oro. | ||
[439] | ||
Di verso el chiostro. | ||
Per dumila braccia di risega a soldi sette el braccio, monta in tutto | fior. 100. | |
d'oro in oro. | ||
Di verso el chiostro. | ||
Per otto pilastri che vano dal fondamento insino al piano delle vôlte della Libreria, a venti ducati d'oro in oro l'uno, montono in tutto | fior. 100. | |
Per dumila braccia di risega di verso l'orto, montono | fior. 160. | |
Per otto pilastri di verso l'orto, montono | fior. 160. | |
Monta tutta la somma | fior. 1090. | lire 6. |
Il braccio del pilastro lire sette, la manifattura, disfare e rifare montono | fior. 200. | |
d'oro in oro. |
[440]
Dai Mss. Young. Ottley. Di Firenze, 18 d'ottobre 1524.
(A Giovanni Spina).
[345] .... arà, perchè io non ne voglio essere debitore. Ultima(mente) .... Antonio Mini che sta meco, le giornate di San Lorenzo gli (paga)sti la quantità de' danari che io volevo, che non avevi .... essi al banco. Io vi dico che e' danari e la provi(gione che io ò) dal Papa, io gli piglierò, per poterlo servire meglio et .... ro fo e per potere entrare nella casa che n .... San Giovanni detto; e se 'l Papa le dètte principio, lui .... me ne dia, io mi contento di quel di che la sua Santità si (vorrà contentar), e per ch'io credo che e' facci bene ciò che e' fa a non la (co)minciare altrimenti nè prima nè poi. E la pri(ma paga) ch'io n'ebbi fa ora otto mesi. Guardate se (riscontra con) la vostra e se avete commessione, datemela (in quella) quantità che mi toca in sino a oggi: se non l'ave(te) .... n'abbiate arrossire con me: basta che e' non si possa (dire ch'i') non l'abbi chiesta: e così m'è forza farlo in(tendere) per mia gustificazione.
La copia della lettera che io Michelagnio(lo) Buonar(roti) (ò manda)ta stamani a dì 18 d'ottobre 1524 a Giovanni (Spina) e Salviati. L'apportatore è stato Antonio Mini che (sta meco, scritta) in sur una carta come questa.
[441]
Archivio Buonarroti. Di Firenze, 24 di dicembre 1524.
(A Giovan Francesco Fattucci a Roma).
Messer Giovan Francesco. — Per l'ultima vostra intendo come sarete spedito presto e tornerete; chè vi pare mill'anni. Io vi prego che voi torniate ora, e non indugiate, perche la cosa mia[346] non si può aconciare bene, se io non son costà in persona. E già è presso che l'anno che io cominciai a scrivervi, che se voi non avevi altra faccenda che la mia a Roma, che voi la lasciassi e tornassi, perchè io non volevo che si dicessi, che io vi tenevo costà per le cose che possono avenire. Dipoi visto che voi non tornavi, vi feci scrivere a ser Dino, che vostra madre non si sentiva bene e che voi tornassi presto a vederla. Ultimamente per messere Ricciardo Del Milanese vi mandai a dire che voi tornassi a ogni modo e lasciassi la mia faccenda; e pochi dì fa per Lionardo sellaro v'ò mandato a pregare del simile. Però io di nuovo vi prego, se voi non avete altra faccenda che la mia, che voi la lasciate e torniate súbito.[347]
Vostro Michelagniolo in Firenze.
[442]
Archivio Buonarroti. Di Firenze, 19 d'aprile 1525.
(A Giovanni Spina in Firenze).
Giovanni. — A me pare circa la sepultura di papa Iulio che e' non sia da mandare procura, perchè io non voglio piatire. Non si può per me piatire, se io confesso d'avere el torto. Io fo conto d'avere piatito e perduto, e d'avere a sodisfare: e così mi sono disposto fare, se io potrò. Però se 'l Papa mi vuole aiutare in questa cosa, che mi sare' grandissimo piacere, visto che io non posso finire la detta sepultura di Iulio o per vechiezza o per mala disposizione di corpo; come uomo di mezzo, può mostrare di volere che io restituisca quello che io ò ricievuto per farla, acciò che io sia fuora di questo carico, e che e' parenti di detto papa Iulio con questa restituzione la possino far fare a lor sodisfazione a chi e' vogliono; e così può la Santità del nostro Signore giovarmi assai: e in questo ancora che io abbia a restituire 'l manco che si può; non si partendo però dalla ragione; facciendo acciettare qualcuna delle ragioni mia, come del Papa di Bologna e d'altri tempi perduti sanza premio nessuno, come sa Ser Giovan Francesco, che è informato d'ogni cosa. Ed io súbito che è chiarito quello che io ò a restituire, piglierò partito di quello che io ò: venderò, e farò in modo che io restituirò e potrò pensare alle cose del Papa e lavorare: che a questo modo non vivo, non che io lavori. E nessun modo si può pigliare che sie più sicuro per me, nè che mi sia più caro, nè che più scarichi l'anima mia: e puossi fare con amore, senza piatire. E prego Dio che al Papa venga voglia d'aconciarla a questo modo, perchè non mi pare che e' ci sia el carico di nessuno. E così vi prego scriviate a messere Iacopo,[348] [443] e scrivete in quel modo che meglio sapete, acciò la cosa vadi innanzi, che io possa lavorare.
Copia d'una minuta che io ò fatta a Giovanni Spina, ch'egli scriva a Roma.
A dì 19 d'aprile 1525.
Michelagniolo scultore in Firenze.
[444]
Archivio Buonarroti. Di Firenze, (1525).
A Ser Giovan Francesco Fattucci in Roma.
Ser Giovan Francesco. — Perchè e' non si creda che io abbi a fare una sepultura di nuovo,[349] co' dumila ducati che dice il contratto, vorrei che voi facessi intendere a ser Niccolò che la detta sepultura è più che mezza fatta, e delle sei figure, di che fa menzione il contratto,[350] n'è fatte quattro, come voi sapete, che le avete viste nella casa mia a Roma, la quale mi donano, come pel contratto si vede.
[445]
Archivio Buonarroti. Di Firenze, (dell'aprile 1525).
(A Sebastiano del Piombo in Roma).
Sebastiano compare e amico carissimo. — Qua s'aspetta e non solamente per me, ma per più altri che vi amano e conoscono per la vostra buona fama, un quadro di pittura di vostra mano fatto per Anton Francesco degli Albizzi,[351] il quale stimiamo che sia fornito e con allegrezza desideriamo vederlo.
[446]
Archivio Buonarroti. Di Firenze, (del maggio 1525).
(A Sebastiano del Piombo in Roma).
Sebastiano mio carissimo. — Iersera il nostro amico capitano Cuio[352] e certi altri gentilomini volsono, lor grazia, che io andassi a cena con loro; di che ebbi grandissimo piacere, perchè usci' un poco del mio malinconico, overo del mio pazzo: e non solamente n'ebbi piacere della cena che fu piacevolisima, ma n'ebbi ancora e molto più che di quella, de' ragionamenti che vi furno. E più dipoi ne' ragionamenti mi crebbe el piacere, udendo dal detto capitano Cuio mentovare il nome vostro: nè bastò questo: e più dipoi, anzi infinitamente mi rallegrai circa all'arte, udendo dire dal detto capitano, voi essere unico al mondo e così essere tenuto in Roma. Però ancora se più allegrezza si fossi potuta avere, più n'àrei avuta. Dipoi visto che il mio gudicio non è falso; dunche non mi negate più d'essere unico, quando io ve lo scrivo, perchè n'ò troppi testimoni, e écci un quadro[353] qua, Idio grazia, che me ne fa fede a chiunche che vede lume.
[447]
Archivio Buonarroti. Di Firenze, 4 di settembre 1525.[354]
(A messer Giovan Francesco Fattucci in Roma).
Messer Giovanfrancesco. — Io ò scritto costà altre volte che avend'io a servire papa Clemente di cose che vogliono lungo tempo a condurre, e essend'io vechio, ch'io non spero di potere fare altro, e che io per questo desidero, non possendo fare la sepultura di Iulio, se ò a rifare di quello che n'ò ricievuto, non avere a rifare di lavori, ma più presto di danari, perchè non sarei a tempo. Non so che mi vi rispondere altro, perchè non sono in fatto e non intendo i particulari a che voi siate. Del fare detta sepultura di Iulio al muro, come quelle di Pio[355] mi piace, e è cosa più breve che in nessuno altro modo. Altro non m'acade, se non dirvi questo: che voi lasciate stare la faccienda mia e le vostre ancora, e che voi torniate, perchè intendo che la peste ritorna a gran furia, e io ò più caro voi vivo, che la faccenda mia aconcia: però tornate. Se muoio innanzi al Papa, non àrò bisognio d'aconciare più niente; se vivo, son certo che el Papa l'aconcierà, se non ora, un'altra volta: però tornate. Iersera stetti con vostra madre e consiglia'la, presente el Granacio e Giovanni tornaio, che la vi facessi tornare.
A dì 4 di settembre 1525.
Vostro Michelagniolo in Firenze.
[448]
Archivio Buonarroti. Di Firenze, ( d'ottobre 1525).
Al mio caro amico messere Giovan Francesco, prete di Santa Maria del Fiore di Firenze in Roma.
Messer Giovan Francesco. — Se io avessi tanta forza, quant'io ò avuto allegrezza dell'ultima vostra, io crederrei condurre e presto tutte le cose che voi mi scrivete; ma perchè io non ò tanta, farò quello che potrò.
Circa al colosso di quaranta braccia, di che m'avvisate,[357] che à a ire, overo che s'à a mettere in sul canto della loggia dell'orto de' Medici a riscontro al canto di messer Luigi della Stufa, io v'ò pensato e non poco, come voi mi dite; e parmi che in su detto canto none stia bene, perchè ocuperebe troppo della via; ma in su l'altro dove è la bottega del barbiere, secondo me, tornerebbe molto meglio, perchè à la piazza dinanzi, e non darebbe tanta noia alla strada. E perchè forse non sare' sopportato levar via detta bottega, per amore dell'entrata, ò pensato che detta figura si potrebbe fare a sedere, e verrebe sì alto el sedere, che facendo detta opera vota dentro, come si conviene a farla di pezzi, che la bottega del barbiere vi verrebbe sotto, e non si perderebbe la pigione. E perchè ancora detta bottega abbi, come à ora, donde smaltire el fummo, parmi di fare a detta statua un corno di dovizia in mano, voto dentro, che gli servirà per cammino. Dipoi avend'io el capo voto dentro di tal figura, come l'altre membra, di quello ancora credo si caverebbe qualche utilità, perchè e' c'è qui in sulla piazza un trecone molto mio amico, el quale m'à ditto in segreto che vi farebbe dentro una bella colonbaia. Ancora m'ocorre un'altra fantasia che sarebbe molto meglio, ma bisognierebbe fare la figura assai maggiore: e potrebbesi, perchè di pezzi si fa una torre: e questa è che 'l capo suo servissi pel campanile di San Lorenzo, che n'à un gran bisognio: [449] e cacciandovi dentro le campane, e usciendo el suono per boca, parrebbe che detto colosso gridassi misericordia, e massimo el dì delle feste, quando si suona più spesso e con più grosse campane.
Circa del fare venire e' marmi per la sopra detta statua, che e' non si sappi per nessuno, parmi da fargli venire di notte e turati molto bene, acciò che e' non sieno visti. Saracci un po' di pericolo alla porta: e anche a questo piglierèno modo; al peggio fare, San Gallo[358] non ci manca, che tien lo sportello insino a dì.
Del fare o del non fare le cose che s'ànno a fare, che voi dite che ànno a soprastare, è meglio lasciarle fare a chi l'à fare, ch'io arò tanto da fare ch'i' non mi curo più di fare. A me basterà questo, che fia cosa onorevole.
Non vi rispondo a tutte le cose, perchè lo Spina vien di corto a Roma, e a boca farà meglio che io colla penna e più particularmente.
Vostro Michelagniolo scultore in Firenze.
[450]
Archivio Buonarroti. Di Firenze, 24 d'ottobre 1525.
(A messer Giovan Francesco Fattucci in Roma).
Messere Giovan Francesco. — Alla vostra ultima, le quattro figure conciate non sono ancora finite, e évvi da fare ancora assai.[359] Le quattro altre per Fiumi non sono cominciate, perchè non ci sono e' marmi: e pure ci sono venuti. Non vi scrivo come, perchè non mi acade. Delle cose di Iulio mi piace fare una sepultura come quella di Pio in Santo Pietro, come m'avete scritto, e farolla fare qua a poco a poco, quando una cosa e quando una altra e pagherolla del mio, avend'io la provigione e restandomi la casa, come m'avete scritto; cioè la casa dov'io stavo costà in Roma, co' marmi e le cose che vi sono; cioè ch'io non abbi a dare loro, dico alle rede di papa Iulio, per disobrigarmi della sua sepultura, altro di cosa che io abbi avuto insino a qui, che la sepultura detta, come quella di Pio in Santo Pietro; e mettasi per farla un tempo conveniente; e farò le figure di mia mano; e dandomi la mia provigione, come è detto, io non resterò mai di lavorare per papa Clemente co' quelle forze che io ò; che son poche, perchè son vechio: con questo che e' non mi sia fatti e' dispetti che io veggo farmi, perchè possono molto in me: e non m'ànno lasciato far cosa ch'io voglia, già più mesi sono: chè e' non si può lavorare con le mani una cosa, e col ciervello una altra, e massimo di marmo. Qua si dice che son fatti per ispronarmi; e io vi dico che e' son cattivi [451] sproni quelli che fanno tornare adietro. I' non ò preso la provigione già è passato l'anno, e combatto con la povertà: son molto solo alle noie, e ònne tante, che mi tengono più ocupato che non fa l'arte, per non potere tenere chi mi governi, per non avere el modo.
Questa è la copia della lettera che Michelagniolo scultore à mandato oggi questo dì 24 d'ottobre 1525 a papa Clemente; e io Antonio di Bernardo Mini ò fatto questa copia di mia propia mano.
[452]
Archivio Buonarroti. Di Firenze, ( d'ottobre 1525).
(A messer Giovan Francesco Fattucci in Roma).
Messere Giovan Francesco. — Piero Gondi m'à mostro una vostra lettera che è per risposta d'una sua scrisse a voi più dì fa: e per quella intendo vorresti sapere da chi io sono stato richiesto, come v'à scritto Piero, che v'à scritto il vero. Però sono stato richiesto da più persone, ma di quelli a chi s'apartiene, Lorenzo Morelli è uno di quelli che à voluto intendere l'animo mio in questo modo. Francesco da Sangallo venne a me e dissemi, che Lorenzo detto àrebbe avuto caro d'intendere se io ero per servirgli, quando lui ne facessi impresa: io risposi che visto la benevolenzia loro e di tutto el popolo, che io non gli potevo rimeritargli, se non col farla e farla in dono, come già fu' obrigato, quando al Papa piacessi; al quale send'io obrigato, non posso fare altro che le cose sua, sanza sua licenza. Messer Luigi Della Stufa m'à ancora lui più volte ricerco del medesimo: e ò fatta la medesima risposta. Non ò mai poi parlato altrimenti, nè n'àrei parlato prima; ma sendo domandato, m'è stato forza rispondere. Ancora a questi dì, di nuovo certi m'ànno ditto che gli Operai ànno avuto a dire, che non darebbe lor noia aspettare dua o tre anni, tanto che io avessi servito el Papa, perch'io la facessi.[360]
[453]
Archivio Buonarroti. Di Firenze, (dell'aprile 1526).
(A messer Giovan Francesco Fattucci in Roma).
Messere Giovan Francesco. — Di questa settimana che viene, farò coprire le figure di Sagrestia che vi sono bozzate, perchè io voglio lasciare la Sagrestia libera a questi scarpellini de' marmi, perchè io voglio che comincino a murare l'altra sepultura a riscontro di quella che è murata; che è squadrata tutta, o poco manca. E in questo tempo che e' la mureranno, pensavo si facessi la vôlta, e credevo io che con gente assai la si facessi in dua o in tre mesi: non me ne intendo. Passata questa settimana che viene, Nostro Signore potrà a sua posta mandare maestro Giovanni Da Udine se gli pare che la si facci ora, perchè sarò a ordine.
Del ricetto, di questa settimana si è murato quattro colonne e una n'era murata prima. Terranno un poco adietro e' tabernacoli: pure in quattro mesi da oggi, credo sarà fornito. El palco si comincierebbe ora, ma tigli non sono ancora buoni; solleciterèno che e' si secchino el più che si potrà.
Io lavoro el più che io posso, e in fra quindici dì farò cominciare l'altro Capitano: poi mi resterà di cose d'importanza, solo e' quattro Fiumi. Le quattro figure in su cassoni, le quattro figure in terra che sono e' Fiumi, e dua Capitani e la Nostra Donna che va nella sepultura di testa, sono le figure che io vorrei fare di mia mano: e di queste n'è cominciate sei: e bastami l'animo di farle in tempo conveniente e parte far fare ancora l'altre che non importano tanto. Altro non acade: racomandatemi a Giovanni Spina, e pregatelo che scriva un poco al Figiovanni, e preghilo che non ci togga e' carradori per mandargli a Pescia, perchè noi resteremo senza pietre: e ancora che non ci incanti gli scarpellini, per farsegli benivoli con dir loro: «Costoro ànno poca discrezione di voi, or che le notte sono dua ore, a farvi lavorare insino a sera.»
Abbiàno fatica con cent'occhi di farne lavorare uno, e anco quell'uno c'è guasto da chi è sviscierato. Pazienza! Non voglia Iddio che e' dispiaccia a me, quello che non dispiace a lui.
[454]
Archivio Buonarroti. Di Firenze, 1 di novembre 1526.
(A messer Giovan Francesco Fattucci in Roma).
Messere Giovan Francesco. — Io so che lo Spina à scritto costà a questi dì molto caldamente sopra e' casi mia della cosa di Iulio. Se à fatto errore rispetto ai tempi in che noi siàno, l'ò fatto io che l'ò pregato importunamente che scriva. Forse che la passione m'à fatto metter troppa mazza. Io ò avuto uno raguaglio a questi dì della cosa mia detta di costà, che m'à messo gran paura: e questa è la mala disposizione che ànno e' parenti di Iulio verso di me: e non senza ragione: e come el piato séguita, e domandonmi danni e interessi, in modo che e' non basterebbon cento mia pari a sodisfare. Questo m'à messo in gran travaglio e fammi pensare dov'io mi troverrei, se 'l Papa mi mancassi, che non potrei stare in questo mondo. E questo è stato cagione che ò fatto scrivere, com'è detto. Ora io non voglio se non quello che piace al Papa: so che non vuole la mia rovina e 'l mio vituperio. Io ò visto qua l'allentare della muraglia, e veggo che le spese si vanno limitando publicamente, e veggo che per me si tiene una casa a San Lorenzo a pigione e la provigione mia ancora: che non sono piccole spese. Quando tornassi bene limitare anche queste e darmi licenzia che io potessi cominciare o qua o costà qualche cosa per la detta opera di Iulio, l'àrei molto caro; perchè io desidero uscire di quest'obrigo più che di vivere. Nondimeno non sono per partirmi mai dalla volontà del Papa, pure che io la intenda. Però io vi prego, inteso l'animo mio, che voi mi scriviate la volontà del Papa, e io non uscirò di quella: e pregovi l'abbiate da lui e da sua parte me la scriviate, per poter meglio e con più amore ubidire, e anche per potermi un dì, quando acadessi, con le vostre lettere giustificare.
Altro non m'acade. Se non so scrivere quello che voi saprete intendere, non vi maravigliate, che ò perduto el cervello intieramente. Voi sapete l'animo mio: saprete quello di chi s'à a ubidire. Rispondete, ve ne priego. A dì primo di novembre 1526.
Vostro Michelagniolo scultore a San Lorenzo in Firenze.
[455]
Archivio Buonarroti. Di Firenze, 10 di novembre 1526.
(A Giovanni Spina in Firenze).
Giovanni. — A me pare che si dia licenzia a Piero Buonacorsi, perchè qui non è più di bisognio. Se voi lo volete tenere per fargli questo bene, tenetelo quanto a voi pare. Io ve lo scrivo, perchè io non voglio essere quello che lo tenga, nè quello che gitti via e' danari del Papa, come è stato detto. Però vi prego l'avisiate, quant'è più presto, meglio, acciò che e' pensi a' casi sua: che e' non s'abbi poi da dolere, non gniene avendo fatto intendere.[361]
Vostro Michelagniolo a voi si racomanda.
[456]
Archivio Buonarroti. Di Firenze, (1529).
A Ser Marcantonio del Cartolaio.[362]
Ser Marcantonio. — Io son certo che voi eleggierete uomo da bene e sofficente, molto più che non saprei fare io; però volentieri dò la voce mia, con questo che e' me ne resti tanta, ch'i' possi poi favellare anch'io.
Vostro Michelagniolo Buonarroti.
Patrone osservantissimo. — Avendo la Signoria vostra datomi commissione che io aluogassi la boce vostra pel Proveditore, di che l'ò data a Pagolo di Benedetto Bonsi, uomo da bene e di sorte che la Signoria vostra penso ne resterà sodisfatta, et ad causa sappia la Signoria vostra se ne contenti, desiderrei quella mi rispondessi per il presente aportatore. E a quella mi raccomando.
Vostro Ser Marcantonio Cancelliere a' Nove.
[457]
Archivio Buonarroti. Di Venezia, (25 di settembre 1529).
Al mio caro amico Batista della Palla in Firenze.[363]
Batista amico carissimo. — Io parti' di costà, com'io credo che voi sappiate, per andare in Francia, e gunto a Vinegia, mi sono informato della via, e émmi detto che andando di qua, s'à a passare per terra tedesca, e che gli è pericoloso e dificile andare. Però ò pensato d'intendere da voi, quando vi piaccia, se siate più in fantasia d'andare, e pregarvi, e così vi prego me ne diate aviso, e dove voi volete che io v'aspetti: e anderemo di compagnia. Io parti' senza far motto a nessuno degli amici mia e molto disordinatamente: e benchè io, come sapete, volessi a ogni modo andare in Francia, e che più volte avessi chiesto licenzia, e non avuta, non era però che io non fussi resoluto senza paura nessuna di vedere prima el fine della guerra. Ma martedì mattina, a dì ventuno di setembre, venn'uno fuora della porta a San Nicolò dov'io ero a' bastioni, e nell'orechio mi disse, che e' non era da star più a voler campar la vita: e venne meco a casa, e quivi desinò, e condussemi cavalcature, e non mi lasciò mai, che e' mi cavò di Firenze, mostrandomi che ciò fussi el mio bene. O Dio o 'l diavolo quello che si sia stato, io non lo so.
Pregovi mi rispondiate al di sopra della lettera, e più presto potete, perchè mi consumo d'andare. E se non siate più in fantasia d'andare, ancora vi prego me n'avisiate, acciò pigli partito d'andare el meglio potrò da me.[364]
Vostro Michelagniolo Buonarroti.
[458]
Archivio Buonarroti. Di Roma, (26 di giugno 1531).
(A Sebastiano del Piombo in Roma).[365]
Sebastiano mio caro. — Io vi do troppa noia: portate in pace, e pensate d'avere a essere più glorioso a risucitare morti che a fare figure che paino vive. Circa la sepultura di Iulio io v'ò pensato più volte, come mi scrivete, e parmi che e' ci sia dua modi di disobbrigarsi: l'uno è farla, l'altro è dare loro e' danari che la si facci per le lor mane; e di questi dua modi non s'à a pigliar se non quello che piacerà al Papa. El farla io, secondo me, non piacerà al Papa, perchè non potrei attendere alle cose sue: però sarebbe da persuader loro; io dico chi è sopra tal cosa per Giulio; che pigliassino e' danari e facessino farla loro. Io darei disegni e modelli, e ciò che e' volessino, co' marmi che ci sono lavorati. Aggiugnendovi dumila ducati, io credo che e' si farebbe una bella sepultura; e ècci de' giovani che la farebbon meglio che non farei io. Quando si pigliasse quest'ultimo modo di dar loro e' danari che e' la facessin fare, io potrei contar loro ora mille ducati d'oro, e in qualche modo poi gli altri mille; purchè e' si risolvino di cosa che piacci al Papa: e quando e' sieno per mettere a effetto quest'ultimo, io vi scriverrò in che modo si potranno far gli altri mille ducati, che credo non dispiacerà.
Io non vi scrivo lo stato mio particolarmente, perchè non acade: solo vi dico questo, che tremila ducati che portai a Vinegia[366] tra oro e moneta, diventorno, quand'io tornai a Firenze, cinquanta, e tolsemene el Comune circa mille cinquecento. Però io non posso più; ma troverassi de' modi; e così spero, visto el favore che mi promette el Papa. Sebastiano, compare carissimo, io sto saldo nei detti modi e pregovi ne tocchiate fondo.
[459]
Archivio Buonarroti. Di Firenze, ( di luglio 1531).
(A Fra Sebastiano del Piombo).[367]
Frate Sebastiano compar carissimo. — I' ò avuto tre vostre lettere: alle dua prime risposi, e la risposta della prima vi mandai per mezzo di messer Bartolomeo Angiolini costà a un suo amico, il quale scrisse qua averla data in persona nelle vostre mani; dipoi la seconda risposta della seconda vostra mandai per quello avisasti, la quale intendo per questa da voi, sola quella abbiate ricievuta.
[460]
Archivio Buonarroti. Di Firenze, (del marzo 1532).
(A Fra Sebastiano del Piombo).
Frate Sebastiano. — Io vi prego per carità che diciate a messer Lodovico del Milanese, overo lo preghiate, che mandi a ser Giovan Francesco la sua pensione. Farete grandissimo piacere a me, e maggiore a lui, perchè à a pagare assai danari e non à il modo. Ve lo raccomando.[368]
[461]
Archivio Buonarroti. Di Firenze, ( di maggio 1532).
(Ad Andrea Quaratesi in Pisa).
Andrea mio caro. — Io vi scrissi circa un mese fa com'io avevo fatto vedere e stimare la casa, e per quanto la si poteva dare in questi tempi: e scrissivi ancora che io non credevo che voi la trovassi da vendere; perchè avend'io a pagare per la mia cosa di Roma[369] dumila ducati; che saranno tremila con certe altre cose; ò voluto, per non restare ignudo, vendere case e possessione, e dare la lira per dieci soldi: e non ò trovato e non truovo. Però credo sare' meglio indugiare, che gettare via.
[462]
Archivio Buonarroti. Di Firenze, (1 di gennaio 1533).
(A messer Tommaso de' Cavalieri in Roma).
Inconsideratamente, messer Tomao signor mio carissimo, fui mosso a scrivere a vostra Signoria, non per risposta a alcuna vostra che ricievuta avessi, ma primo a muovere, come se creduto m'avesse passare con le piante asciutte un picciol fiume, overo per poca aqqua un manifesto guado. Ma poi che partito sono dalla spiaggia, non che picciol fiume abbi trovato, ma l'oceano con soprastante onde m'è apparito innanzi; tanto che se potessi, per non esser in tutto da quelle sommerso, alla spiaggia ond'io prima parti', volentieri mi ritornerei. Ma poi che son qui, faréno del cuor rocca e anderéno inanzi: e se io non àrò l'arte del navicare per l'onde del mare del vostro valoroso ingegno, quello mi scuserà, nè si sdegnierà del mio disaguagliarsigli, nè desiderrà da me quello che in me non è: perchè chi è solo in ogni cosa, in cosa alcuna non può aver compagni. Però la vostra Signoria, luce del secol nostro unica al mondo, non può sodisfarsi di opera d'alcuno altro, non avendo pari nè simile a sè. E se pure delle cose mia, che io spero e prometto di fare, alcuna ne piacerà, la chiamerò molto più avventurata che buona; e quand'io abbi mai a esser certo di piacere, come è detto, in alcuna cosa a vostra Signoria, il tempo presente, con tutto quello che per me à a venire, donerò a quella: e dorràmi molto forte non potere riavere il passato, per quella servire assai più lungamente, che solo con l'avenire, che sarà poco, perchè son troppo vechio. Non ò altro che dirmi. Leggiete il cuore, e non la lettera, perchè «la penna al buon voler non può gir presso.»
Ò da scusarmi che nella prima mia mostrai maravigliosamente stupir del vostro peregrino ingegnio, e così mi scuso, perchè ò conosciuto poi in quanto errore i' fui; perchè quanto è da maravigliarsi che Dio facci miracoli, tant'è che Roma produca uomini divini. E di questo l'universo ne può far fede.
[463]
Archivio Buonarroti. Di Firenze, 1 di gennaio (1533).
(A messer Tommaso de' Cavalieri in Roma).[370]
Molto inconsideratamente mi missi a scrivere a vostra Signoria e fui il primo prosuntuoso a muovere, come se per risposta d'alcuna di quella, per debito l'avessi a fare; e tanto più ò dipoi conosciuto l'error mio, quanto ò letta e gustata, vostra mercè, la vostra; e non che appena mi parete nato, come in essa di voi mi scrivete, ma stato mille altre volte al mondo: e io non nato, o vero nato morto mi reputerei, e direi in disgrazia del cielo e della terra, se per la vostra non avessi visto e creduto vostra Signoria accettare volentieri alcune delle opere mie: di che n'ò auto maraviglia grandissima e non manco piacere: e se è vero che quella così senta di dentro, come di fuora scrive, di stimare l'opere mie; se avviene che alcuna ne facci come desidero, che a lei piaccia, la chiamerò molto più avventurata che buona. Non dirò altro. Molte cose alla risposta conveniente restano, per non vi tediare, nella penna, è perchè so che Pierantonio apportatore di questa saprà e vorrà suprire a quello che io manco. A dì primo per me felice di gennaro.
Sarebbe lecito dare il nome delle cose che l'uomo dona, a chi le riceve: ma per buono rispetto non si fa in questa.[371]
[464]
Archivio Buonarroti. Di Firenze, (1 di gennaio 1533).
A messer Tommaso de' Cavalieri in Roma.[372]
Molto inconsideratamente mi missi a scrivere a vostra Signoria, e fui il primo prosuntuoso a muovere, come se per risposta d'alcuna di quella per debito l'avessi a fare: e tanto più ò dipoi conosciuto l'error mio, quante ò letta e gustata, vostra mercè, la vostra: e non che appena mi parete nato, come in essa di voi mi scrivete, ma stato mille altre volte al mondo; e io non nato, overo nato morto mi reputo, e direi in disgrazia del cielo e della terra, se per la vostra non avessi visto e creduto vostra Signoria accettare volentieri alcune delle opere mie: di che n'ò avuto maraviglia grandissima e non manco piacere. E quando sia vero che quella così senta di dentro come di fuora mi scrive, di stimare l'opere mie, se avviene che alcuna ne facci come desidero, che a quella piaccia, la chiamerò molto più aventurata che buona. Per non vi tediare, non scriverrò altro. Molte cose conveniente alla risposta restano nella penna, ma Pierantonio amico nostro, che so che saprà e vorrà suprire a quel che io manco, le finirà a boca.
Sarebbe lecito dare il nome delle cose che l'uomo dona, a chi le riceve: ma per buon rispetto non si fa in questa.
[465]
Archivio Buonarroti. Di Firenze, 19 di marzo 1533.
A Francesco Galluzzi (in Firenze).[373]
Francesco. — L'apportatore di questa sarà Bernardo Basso, capomaestro dell'Opera di San Lorenzo, al quale io vi prego pagiate la pigione m'avete a dare: ònne bisognio grandissimo, e saranno ben pagati. A voi mi racomando.
A dì 19 di marzo 1532.
Vostro Michelagniolo Buonarroti a San Lorenzo.
[466]
Archivio Buonarroti. Di Firenze, ( di luglio 1533).
(A frate Sebastiano del Piombo in Roma).
Compar mio caro. — I' ò ricievuto i dua Madrigali, e ser Giovan Francesco gli à fatti cantare più volte, e secondo che mi dice, son tenuti cosa mirabile circa il canto: non meritavano già tal cosa le parole. Così avete voluto: di che n'ò avuto piacere grandissimo, e pregovi m'avisiate come m'ò a governare circa a questo verso di chi à fatto, ch'i' paia manco igniorante e ingrato che sia possibile.
Dell'opera[374] qua non iscriverrò altro per ora, perchè mi pare averne a questi di scritto assai, e sonmi ingegniato quant'ò potuto di imitare la maniera e lo stil del Figiovanni in ogni particularità, perchè mi par molto a proposito a chi vuol dire di molte cose. Non mostrate la lettera.
Avete data la copia de' sopradetti Madrigali a messer Tomao; che ve ne resto molto obrigato e pregovi, se lo vedete, mi raccomandiate a lui infinite volte; e quando mi scrivete, ne diciate qualche cosa per tenermelo nella memoria; che se m'uscissi della mente, credo che súbito cascherei morto.[375]
[467]
Archivio Buonarroti. Di Firenze, (28 di luglio 1533).
(A messer Tommaso de' Cavalieri in Roma).
Signore mio caro. — Se io non avessi creduto avervi fatto certo del grandissimo, anzi smisurato amore che io vi porto, non mi sare' paruta cosa strana, nè mi sare' maraviglia il gran sospetto che voi mostrate per la vostra avere avuto per non vi scrivere, che io non vi dimentichi. Ma non è cosa nuova, nè da pigliarne ammirazione, andando tante altre cose al contrario, che questa vadi a rovescio anch'ella: perchè quello che vostra Signoria dice a me, io l'àrei a dire a quella: ma forse quella fa per tentarmi o per riaccender nuovo et maggior foco, se maggior può essere: ma sia come si vuole: io so bene che io posso a quell'ora dimenticare il nome vostro, che 'l cibo di che io vivo; anzi posso prima dimenticare el cibo di ch'io vivo, che nutrisce solo il corpo infelicemente, che il nome vostro, che nutrisce il corpo e l'anima, riempiendo l'uno e l'altra di tanta dolcezza, che nè noia nè timor di morte, mentre la memoria mi vi serba, posso sentire. Pensate se l'ochio avessi ancora lui la parte sua, in che stato mi troverrei.
Dall'altra parte del foglio è la seguente variante:
.... e se pur certo n'eri e siate, dovevi e dovete pensare che chi ama à grandissima memoria, e può tanto dimenticar le cose che ferventemente ama, quant'uno affamato il cibo di che e' vive: anzi molto meno si può l'uomo dimenticar le cose amate, che 'l cibo di che l'uom vive; perchè quelle nutriscono il corpo e l'anima: l'uno con grandissima sobrietà, e l'altra con felice tranquillità et con aspettazione d'eterna salute.
Altra variante:
Anzi molto più può dimenticar l'uomo il cibo, di che 'l corpo si nutriscie e vive, perchè quello spesso il conduce in somma miseria e gravezza; che e' non può dimenticar le cose amate, che con tranquilla felicità gli promettono eterna salute.
[468]
Archivio Buonarroti. Di Firenze, (28 di luglio 1533).
(A messer Tommaso de' Cavalieri in Roma).[376]
Messer Tomao, signor mio caro. — Benchè io non rispondessi all'ultima vostra, non credo che voi crediate che io abbi dimenticato o possa dimenticare el cibo di che io vivo, che non è altro che 'l nome vostro: però non credo, benchè io parli molto prosuntuosamente, per esser molto inferiore, che nessuna cosa possa impedire l'amicizia nostra.[377]
[469]
Archivio Buonarroti. Di Firenze, (11 di ottobre 1538).
(A Bartolommeo Angiolini in Roma).[378]
la gatta e .... pace e triegua .... che le bestie mia .... da maravigliarsi di m .... glierei quand'io potessi fa .... ma di vivere solamente .... anima mia a messer Tomao com .... pensare quanto come senza essa io possa stare (non che vivere, avendogli) prima dato il core. Potete ancora considerare .... come resta, e com'io viva, sendo sì lontano dall'uno .... però se io desidero come senza alcuna entermissione giorno e n(otte) di esser costà, non è per altro che per tornare in vita, la qual cosa non può esser senza l'anima: e perchè il core è veramente la casa dell'anima, e essendo prima il mio nelle mani di colui a chi voi l'anima mia avete data, natural forza era di ritornalla al luogo suo. (variante:) natural forza v'à fatto ritornarla al suo proprio loco. Così avessi voi potuto fare del corpo! che volentieri sarebbe ito nel medesimo loco ito (sic) e con l'anima sua, e non sarei qua i tanti affanni: ma se non è stato, possa essere quante più presto, meglio, nè possa in eterno vivere altrove.
Bartolomeo mio caro, benchè e' paia ch'io motteggi con esso voi, sappiate che io dico pur da buon senno, che son venti anni e venti libbre invechiato e diminuito, poichè sono qua, e non so se 'l Papa si parte di costà, quello s'abbi (a far) di me, nè dove si vorrà ch'i' stia.
[470]
Archivio Buonarroti. Di Firenze, 15 di ottobre 1533.
(A messer Giovambattista Figiovanni in Firenze).
Messer Giovanbatista, patron mio caro. — All'ultimo di questo mese finiscono i quatro mesi che io giunsi a Firenze per conto del Papa: e 'l primo de' detti quatro mesi voi mi portasti la provigione; io non la volsi, e dissivi che voi me la serbassi. Voi mi rispondesti se avevi a scrivere al Papa, che io l'avessi avuto: vi dissi, che voi scrivessi il vero: dipoi mi mostrasti una lettera del Papa, che diceva che voi non guardassi alle mia parole e che voi me la déssi. Ora io vorrei fare più danari che io posso per isbrigar più presto la cosa mia di Roma; e domandassera àrò finiti dua modelli picoli che io fo pel Tribolo, e martedì vo' partire a ogni modo. Però la provigione vi dissi mi serbassi, vi prego me la diate; cioè me la diate di dua mesi; e gli altri dua mesi donerò al Papa. Faretemi grandissimo piacere, restandovi sempre ubrigato.
Addì 15 d'ottobre 1533.
Vostro Michelagniolo in casa i Macciagnini in Firenze.[379]
[471]
Archivio Buonarroti. Di Firenze, ( di dicembre 1533).
A Febo (di Poggio?).
Febo. — Benchè voi mi portiate odio grandissimo; non so perchè; non credo già per l'amore che io porto a voi, ma per le parole d'altri, le quale non doverresti credere, avendomi provato; non posso però fare che io non vi scriva questo. Io parto domattina, e vo a Pescia a trovare il cardinale di Cesis e messer Baldassarre:[380] andrò con loro insino a Pisa; dipoi a Roma:[381] e non tornerò più di qua: e fòvi intendere, che mentre ch'i' vivo, dovunche io sarò, sempre sarò al servizio vostro con fede e con amore, quanto nessuno altro amico che abbiate al mondo.
Prego Iddio perchè v'apra gli ochi per un altro verso, acciò che voi conosciate che chi desidera il vostro bene più che la salute sua, sa amare e non odiare come nemico.
[472]
Raccolta di B. Pino. Di Roma, (del settembre 1537).
(A messer Pietro Aretino in Venezia).[382]
Magnifico messer Pietro, mio signore e fratello. — Nel ricever della vostra lettera ho avuto allegrezza e dolore insieme; sonmi molto allegrato per venire da voi, che siete unico di virtù al mondo: et anco mi sono assai doluto, perciò che avendo compìta gran parte della istoria, non posso mettere in opera la vostra immaginazione, la quale è sì fatta, che se 'l dì del Giudizio fosse stato, et voi l'aveste veduto in presenzia, le parole vostre non lo figurerebbono meglio. Or per rispondere allo scrivere di me, dico che non solo l'ò caro, ma vi supplico a farlo; da che i Re e gli Imperatori hanno per somma grazia, che la vostra penna gli nomini. In questo mezzo, se io ho cosa alcuna che vi sia a grado, ve la offerisco con tutto il cuore. Et per ultimo, il vostro non voler capitare a Roma non rompa, per conto del veder la pittura che io faccia, la sua deliberazione, perchè sarebbe pur troppo. Et mi raccomando.
Michel'Agnolo Buonaroti.
[473]
Biblioteca Nazionale in Firenze. Di Roma, 20 di gennaio 1542.
(A messer Niccolò Martelli in Firenze).[383]
Messer Niccolò. — I' ò da messer Vincenzo Perini una vostra lettera con dua sonetti et uno madrigale. La lettera e 'l sonetto diritti a me sono cosa mirabile, tal che nessuno potrebbe essere tanto ben gastigato, che in lor trovassi cosa da gastigare. Vero è che mi dànno tante lodi, che se io avessi il paradiso in seno, molte manco sarebbono a bastanza. Veggo vi siate immaginato ch'io sia quello che Dio 'l volessi ch'io fussi. Io sono un povero uomo e di poco valore, che mi vo afaticando in quell'arte che Dio m'à data, per alungare la vita mia il più ch'io posso; et così com'io sono, son servitore vostro et di tutta la casa de' Martelli; et della lettera et de' sonetti vi ringrazio, ma non quanto sono ubbrigato, perchè non aggiungo a sì alta cortesia. Son sempre vostro. Di Roma alli XX di gennaio l'anno XLII.
Michelagniolo Buonarroti.
[474]
Archivio Buonarroti. Di Roma, (1542).
(A messer Luigi del Riccio in Roma).
Questo[384] mandai più tempo fa a Firenze. Ora perchè l'ò rifatto più al proposito, ve lo mando, acciò che piacendovi lo diate al foco, cioè a quello che m'arde. Ancora vorrei un'altra grazia da voi, e questa è che mi cavassi d'una certa ambiguità in che io son rimasto stanotte, che salutando l'idolo nostro in sognio, mi parve che ridendo mi minacciassi; e io non sappiendo a qual delle dua cose m'abbia a tenere, vi prego lo intendiate da lui, e domenica riveggiendoci, me ne ragguagliate.
Vostro con infiniti obbrighi e sempre
Se vi piace, fatelo scriver bene e datelo a quelle corde che legan gli uomini senza discrezione, e racomandatemi a messer Donato.[385]
[475]
Archivio Buonarroti. Di Roma, (1542).
A messer Luigi del Riccio, amico carissimo.
Messer Luigi. — Io vi mando un sacco di carte scritte, acciò che vostra Signoria vegga quale è quella che s'à a mandare al Cortese, e quella che è dessa, prego dica a Urbino che la facci copiare e che l'aspetti e paghi, e dipoi la porti al detto Cortese: e non possendo oggi vostra Signoria attendere a ciò, Urbino mi riporti dette scritte, e rimanderovele un'altra volta quando sarà tempo.
Ancora prego vostra Signoria mi mandi la mia poliza e quella del Perino overo di Pierino, e ancora quel sonetto che io vi mandai, acciò che io lo racconci e faccigli dua ochi, come mi dicesti.
Vostro Michelagniolo.
[476]
Archivio Buonarroti. Di Roma, ( d'agosto 1542).
(A messer Luigi del Riccio in Roma).
Messer Luigi, signor mio caro. — D'un grandissimo piacere vi prego quanto so e posso: e questo è, che veggiate certo scritto che à fatto per me il Cortese, perchè io non lo intendo, e non vi posso andare, come vi raguaglierà Urbino. E per non gli parere ingrato, vi prego ringraziate sua Signoria e racomandatemegli; e voi mi perdonate della troppa sicurtà.
Vostro Michelagniolo.
[477]
Archivio Buonarroti. Di Roma, (1542).
A messer Luigi del Riccio, signor mio caro e amico fedele.
Messer Luigi, signor mio caro. — El mio amore à retificato al contratto che io gli ò fatto di me; ma dell'altra retificagione[387] che voi sapete, non so già quello che me ne pensi: però mi racomando a voi e a messer Donato e al terzo, poi o prima come volete.
Vostro pieno d'affanni Michelagniolo Buonarroti, Roma.
Cose vechie dal fuoco senza testimone.
[478]
Archivio Buonarroti. Di Roma, (1542).
(A messer Luigi del Riccio in Roma).[388]
Messer Luigi. — Voi c'avete spirito di poesia, vi prego che m'abreviate e raconciate uno di questi madrigali quale vi pare il manco tristo, perchè l'ò a dare a un nostro amico.
Vostro Michelagniolo.
[479]
Archivio Buonarroti. Di Roma, (1542).
A messer Luigi del Riccio in Banchi.[389]
Messer Luigi, signor mio caro. — Il canto d'Arcadente[390] è tenuto cosa bella; e perchè secondo il suo parlare non intende avere fatto manco piacere a me, che a voi che lo richiedesti, io vorrei non gli essere sconoscente di tal cosa. Però prego pensiate a qualche presente da fargli o di drappi o di danari, e che me n'avisiate; e io non àrò rispetto nessuno a farlo. Altro non ò che dirvi: a voi mi racomando, e a messer Donato, e al cielo e alla terra.
Vostro Michelagniolo un'altra volta.
[480]
Archivio Buonarroti. Di Roma, (1542).
(A messer Luigi del Riccio in Roma).
Messer Luigi. — E' mi parebbe di far di non parere ingrato verso Arcadente. Però se vi pare usargli qualche cortesia, súbito vi renderò quello che gli darete. Io ò un pezzo di raso in casa per un giubbone, che mi levò messer Girolamo. Se vi pare, ve lo manderò per dargniene. Ditelo a Urbino o a altri, quello che vi pare. Di tutto vi sodisfarò.
Vostro Michelagniolo.
[481]
Archivio Buonarroti. Di Roma, (1542).
A messer Luigi del Riccio, amico carissimo.
Messer Luigi. — Chi è povero e non à chi 'l serva, fa di questi errori. Io non potetti ieri nè venire nè rispondere alla vostra, perchè le mia brigate tornorno di notte a casa. Però mi scuso con esso voi; e voi prego mi scusiate con messer Silvestro,[391] e racomandatemi a Cechino.[392]
[482]
Archivio Buonarroti. Di Roma, (del luglio 1542).
(A messer Luigi del Riccio in Roma).
Messer Luigi, signor mio caro. — Io vi mando per Urbino che sta meco, scudi venti che vostra Signoria gli dia a maestro Giovanni per l'opera che sapete; e cavando di detta opera ancora detto Urbino, mi bisognia darne altri venti a lui, che saranno quaranta: che àrò già speso cento quaranta scudi: e di detta opera non è fatto per sessanta. Settanta cinque scudi àrà avuti maestro Giovanni, che ve ne guadagnia su trenta, e 'l resto de' cento che io dètti prima, da cinquanta cinque che prese maestro Giovanni per insino in cento, à speso Urbino in giornate e in marmi, poichè la compagnia si divise: e non à auto in dua mesi niente; che àrebbe aver di guadagnio il medesimo che maestro Giovanni, cioè trenta scudi, cavandolo dell'opera; ma con venti lo contenterò.[393]
Poichè fu fatto e scritto el giudicio della quantità fatto di sopradetta opera, l'ò misurata da me, e non trovo che ne sie fatta la decima parte. Ma ò ben caro che gli uomini che giudicorno, dicessino la settima in favore di maestro Giovanni, perchè non si potessi dolere. Ma non v'è rimedio: e se nessuno avessi da dolersi, sarei io più che gli altri, che ci ò perduto dua mesi di tempo per impacciarmi con ....[394] ma più mi duole lo sdegnio del Papa, che dugento scudi.
[483] Piglio troppa sicurtà in vostra Signoria. Iddio mi dia di poterla ristorare.
Maestro Giovanni à a liberare i marmi che son rimasi a Campidoglio; quegli che poi che e' ne fu pagato, non gli lasciò levare: che fu una delle cagioni della questione nata tra loro: e così à a fare fine d'ogni altra cosa.
Vostro Michelagniolo: Roma.
[484]
Archivio Buonarroti. Di Roma, ( di luglio 1542).
A messer Luigi del Riccio in Roma.
Messer Luigi Signior mio caro. — Vostra Signoria à maneggiata questa discordia che è nata fra Urbino e maestro Giovanni, e per non ci avere interesso, ne potrà dare buon giudicio. Io per fare bene all'uno e all'altro, ò dato loro a fare l'opera che sapete. Ora perchè l'uno è troppo tacagnio, e l'altro non è manco pazzo, è nata tal cosa tra loro, che ne potre' seguire qualche grande scandolo o di ferite o di morte; e quando tal cosa seguissi o nell'uno o nell'altro, mi dorrebbe di maestro Giovanni, ma molto più di Urbino, perchè l'ò allevato. Però mi parrebbe, se la ragione lo patisce, cacciar via l'uno e l'altro e che l'opera mi restasse libera, acciò che il lor cattivo cervello non mi rovini e che io la possa seguitare. E perchè è stato detto che la detta opera io la divida, e diene una parte all'uno e una all'altro, questo io non lo posso fare e a darla[395] .... a un solo di lor dua, farei ingiuria a quello a chi io non la déssi. Però non mi pare che e' ci sia altro riparo che lasciarmi l'opera libera, acciò la possa seguitare; e de' danari, cioè cento scudi che io ò dati e delle fatiche loro, se l'acconcino tra loro in modo che io non perda. E di tal cosa vostra Signoria prego gli metta d'acordo il meglio che si può, perchè è opera di carità. E perchè forse ci sarà qualcuno che vorrà mostrare d'aver fatto quel poco che è fatto, tutto lui, e di restare avere, oltre a' ricevuti, molti altri danari; quando questo sia, io potrò mostrare ancora io d'avere nella detta opera perduto un mese di tempo per la loro ignioranza e bestialità, e tenuto adrieto l'opera del Papa, che m'è danno di più di dugento scudi; in modo che molto più àrò aver io da loro, che loro dall'opera.
Messer Luigi, io ò fatto questo discorso a vostra Signoria in iscritto, perchè a farlo a boca presente gli uomini mi spargo tutto in modo in loro, che non mi resta fiato da parlare.
Vostro Michelagniolo Buonarroti al Macello de' Poveri.
[485]
Biblioteca Nazionale di Firenze. Di Roma, 20 di luglio 1542.
Supplica a papa Paolo III.[396]
Avendo messer Michelagnolo Buonarroti tolto a fare più fà la sepoltura di papa Iulio in Santo Piero in Vincola con certi patti et conventioni, come per uno contratto rogato per messer Bartolomeo Cappello sotto dì 18 di aprile 1532 appare; et essendo di poi ricerco et astretto dalla Santità di N. S. papa Paulo Terzo di lavorare e dipignere la sua nova cappella, non possendo attendere al fornire della sepoltura et a quella; per mezo di sua Santità di nuovo riconvenne con lo illustrissimo signor duca di Urbino, al quale è rimasta a cura la prefata sepoltura, come per una sua lettera de' dì 6 di marzo 1542 si vede; che di sei statue che vanno in detta sepoltura, detto messer Michelagnolo ne potessi allogare tre a buono et lodato maestro, il quale le fornissi et ponessi in detta opera; et le altre tre, fra le quali fussi il Moises, le havessi lui a fornire di sua mano et così fussi tenuto far fornire il quadro, cioè il resto dell'ornamento di detta sepoltura, secondo il principio fatto. Onde per dare esecuzione a detto accordo, il prefato messer Michelagnolo allogò a fornire le dette tre statue, quali erano molto innanzi, cioè una Nostra Donna con il Putto in braccio, ritta, et uno Profeta et una Sibilla a sedere, a Raffaello da Montelupo, fiorentino, aprovato fra e' migliori maestri di questi tempi, per scudi quattrocento, come per la scritta fra loro appare; et il resto del quadro et ornamento della sepoltura, eccetto l'ultimo frontispitio, alsì allogò a maestro Giovanni de' Marchesi et a Francesco da Urbino, scarpellini et intagliatori di pietre, per scudi settecento, come per obrighi fra loro apare. Restavagli a fornire le tre statue di sua mano, cioè un Moises et dua prigioni: le quali tre statue sono quasi fornite. Ma perche li detti dua prigioni furno fatti [486] quando l'opera si era disegnata che fussi molto maggiore, dove andavano assai più statue; la quale poi nel sopradetto contratto fu risecata et ristretta; per il che non convengono in questo disegno, nè a modo alcuno ci possono stare bene; però detto messer Michelagnolo per non mancare a l'onore suo, dètte cominciamento a dua altre statue che vanno dalle bande del Moises, la Vita contemplativa et la attiva, le quali sono assai bene avanti, di sorta che con facilità si possono da altri maestri fornire. Et essendo di nuovo detto messer Michelagnolo ricerco, et sollecitato dalla detta Santità di N. S. papa Paulo Terzo a lavorare et fornire la sua cappella, come di sopra è detto; la quale opera è grande et ricerca la persona tutta intera et disbrigata da altre cure; essendo detto messer Michelagnolo vechio, et desiderando servire sua Santità con ogni suo potere; essendone alsì da quella astretto e forzato, nè possendo farlo se prima non si libera in tutto da questa opera di papa Iulio, la quale lo tiene perplesso della mente e del corpo; suprica sua Santità, poi che è resoluta che lui lavori per lei, che operi collo illustrissimo signor duca d'Urbino, che lo liberi in tutto da detta sepoltura, cassandogli et anullandoli ogni obrigazione fra loro con li sottoscritti onesti patti. In prima detto messer Michelagnolo vuole licenzia di possere allogare le altre due statue che restono a finire, al detto Raffaello da Montelupo o a qualsivoglia altri a piacimento di sua Eccellenzia, per il prezo onesto et che si troverrà, che pensa sarà scudi 200 in circa, et il Moises vuol dare finito da lui; et di più vuole dipositare tutta la somma de' danari che andranno in fornire del tutto la detta opera; ancora che li sia scommodo et che in la detta opera abbia messo in grosso; cioè il resto di quello che non avesse pagato a Raffaello da Montelupo per fornire le tre statue allogatoli, come di sopra, che sono circa scudi 300, et il resto di quello non avesse pagato della fattura del quadro et ornamento, che sono circa scudi 500, et li scudi 200, o quello bisognerà per fornire le dua statue utime et di più ducati cento che andranno in fornire l'utimo frontispizio dell'ornamento di detta sepoltura: che in tutto sono scudi 1100 in 1200 o quelli bisognerà, quali dipositerà in Roma in sur uno banco idoneo a nome del prefato illustrissimo signor Duca, suo et de l'opera, con patti espressi che abbino a servire per fornire detta opera et non altro; nè si possino per altra causa toccare o rimuovere. Et è, oltre a questo, contento, per quanto potrà, avere cura a detta opera di statue et ornamento che sia fornita con quella diligenzia che si ricerca: et a questo modo sua Eccellentia sarà sicura che l'opera si fornirà e saprà dove sono i danari per tale effetto; et potrà per sua ministri farla di continuo sollecitare et condurre a prefezione: il che à a desiderare, essendo messer [487] Michelagnolo molto vechio et occupato in opera da tenerlo tanto, che a fatica àrà tempo a fornirla, non che fare altro. Et messer Michelagnolo resterà in tutto libero et potrà servire et sadisfare al desiderio di sua Santità, la quale suprica che ne facci scrivere a sua Eccellenzia, che ne dia qua ordine idoneo et ne mandi proccura sufiziente per liberarlo da ogni contratto et obrigazione che fussi fra loro.[397]
[488]
Museo Britannico. Di Roma, (dell'ottobre 1542).
A messer Luigi del Riccio.
Messer Luigi, amico caro. — Io son molto sollecitato da messer Pier Giovanni[398] al cominciare a dipigniere: come si può vedere, ancora per quattro o sei dì non credo potere, perchè l'aricciato non è secco in modo che si possa cominciare. Ma c'è un'altra cosa che mi dà più noia che l'aricciato, e che non che dipigniere, non mi lascia vivere; e questa è la retificagione che non viene, e conosco come m'è date parole, in modo che io sono in gran disperazione. Io mi son cavato del cuore mille quattro cento scudi, che m'àrebbon servito sette anni a lavorare, che avrei fatto dua sepulture non che una: e questo ò fatto per potere stare in pace, e servire il Papa con tutto il cuore. Ora mi truovo manco i danari e con più guerra e afanni che mai. Quello che ò fatto circa i detti danari, l'ò fatto col consenso del Duca, e col contratto della liberazione; e ora che io gli ò sborsati, non vien la retificagione: in modo che si può molto ben vedere che significa questa cosa, senza scriverlo. Basta, che per la fede di trentasei anni, e per essersi donato volontariamente a altri, io non merito altro: la pittura e la scultura, la fatica e la fede m'àn rovinato, e va tuttavia di male in peggio. Meglio m'era ne' primi anni che io mi fussi messo a fare zolfanelli, ch'i' non sarei in tanta passione! Io scrivo questo a vostra Signoria, perchè come uno che mi vuol bene e che à maneggiata la cosa e sanne il vero, la farà intendere al Papa, acciò che e' sappi che io non posso vivere non che dipigniere: e se ò dato speranza di cominciare, l'ò data con la speranza della detta retificagione; che è già un mese che ci aveva a essere. Non voglio più stare sotto questo peso, nè essere ogni dì vituperato per giuntatore da chi m'à tolto la vita e l'onore. La morte o 'l Papa solo me ne posson cavare.
Vostro Michelagniolo Buonarroti.
[489]
Biblioteca Nazionale di Firenze. Di Roma, ( d'ottobre 1542).
A Monsignore....................
Monsignore. — La vostra Signoria mi manda a dire che io dipinga, et non dubiti di niente. Io rispondo, che si dipinge col ciervello et non con le mani; et chi non può avere il ciervello seco, si vitupera: però fin che la cosa mia non si acconcia, non fo cosa buona. La retificagione dell'utimo contratto non viene; e per vigore dell'altro, fatto presente Clemente,[400] sono ogni dì lapidato come se havessi crocifixo Cristo. Io dico che detto contratto non intesi che fussi recitato presente papa Clemente, come ne ebbi poi la copia: et questo fu, che mandandomi il dì medesimo Clemente a Firenze, Gianmaria da Modena[401] imbasciadore fu col notaio, et fecielo distendere a suo modo; in modo che quand'io tornai, e che io lo riscossi, vi trovai su più mille ducati che non si era rimasto; trova'vi su la casa dov'io sto, [490] et cierti altri uncini da rovinarmi; che Clemente non gli àre' sopportati: et frate Sebastiano ne può essere testimonio, che volse che io lo faciessi intendere al Papa, e fare appiccare il notaio: io non volsi, perchè non restavo obrigato a cosa ch'io non l'avessi potuta fare, se fussi stato lasciato. Io giuro che non so d'avere avuti i danari che detto contratto dicie, et che disse Gianmaria che trovava che io havevo havuti. Ma pogniamo che io li abbia havuti, poi che io gli ò confessati, et che io non mi posso partire dal contratto, e altri danari, se altri se ne trova, e faccisi una massa d'ogni cosa, e vegasi quello ch'ò fatto per papa Iulio a Bologna, a Firenze e a Roma, di bronzo, di marmo e di pittura, et tutto il tempo ch'io stetti seco, che fu quanto fu Papa; et vegasi quello che io merito. Io dico che con buona coscienza, secondo la provisione che mi dà papa Pagolo, che dalle rede di papa Iulio io resto avere cinquemilia scudi. Io dico ancora questo: che (se) io ò avuto tal premio delle mie fatiche da papa Iulio, mie colpa, per non mi essere saputo governare; che se non fussi quello che m'à dato papa Pagolo, io morrei oggi di fame. E secondo questi imbasciadori, e' pare che e' mi abbi aricchito, et che io abbi rubato l'altare: e fanno un gran romore: et io saprei trovar la via da fargli star cheti, ma non ci sono buono. Gianmaria imbasciadore a tempo del Duca vechio,[402] poi che fu fatto il contratto sopradetto, presente Clemente, tornando io da Firenze, e cominciando a lavorare per la sepultura di Iulio, mi disse se io volevo fare un gran piacere al Duca, che io m'andassi con Dio, che non si curava di sepultura, ma che avea ben per male che io servissi papa Pagolo. Allora conobbi per quel che gli avea messa la casa in sul contratto: per farmi andare via et saltarvi dentro con quel vigore: sì che si vede a quel che ucciellano, e fanno vergogna a' nimici, a' loro padroni. Questo che è venuto adesso,[403] ciercò prima quello ch'io avevo a Firenze, che e' volessi vedere a che porto era la sepultura. Io mi truovo aver perduta tutta la mia giovineza, legato a questa sepultura, con la difesa quant'ò potuto con papa Leone e Clemente; et la troppa fede non voluta conosciere m'à rovinato. Così vuole la mia fortuna! Io veggo molti con dumila e tremila scudi d'entrata starsi nel letto, et io con grandissima fatica m'ingiegno d'impoverire.
Ma per tornare alla pittura, io non posso negare niente a papa Pagolo: io dipignerò malcontento e farò cose malcontente. Ò scritto questo a vostra Signoria, perchè quando accaggia, possa meglio dire il vero al Papa; et anche àrei caro [491] che il Papa l'intendessi, per sapere di che materia tiene questa guerra che m'è fatta. Chi à intendere, intenda.
Servitore della vostra Signoria
Michelagniolo.
Ancora mi occorre cose da dire: e questo è, che questo imbasciadore dicie che io ò prestati a usura i danari di papa Iulio, e che io mi sono fatto ricco con essi: come se papa Iulio mi avessi innanzi conti otto milia ducati. I denari che ò auti per la sepultura vuole intendere le spese fatte in quel tempo per detta sepultura, si vedrà che s'apressa alla somma che àrebbe a dire il contratto fatto a tempo di Clemente; perchè il primo anno di Iulio che m'allogò la sepultura, stetti otto mesi a Carrara a cavare marmi et condussigli in sulla piazza di Santo Pietro, dove avevo le stanze dreto a Santa Caterina; dipoi papa Iulio non volse più fare la sepultura in vita, et messemi a dipignere; dipoi mi tenne a Bologna dua anni a fare il Papa di bronzo che fu disfatto; poi tornai a Roma, et stetti seco insino alla morte, tenendo sempre casa aperta, senza parte e senza provisione, vivendo sempre de' denari della sepultura: che non avevo altra entrata. Poi dopo detta morte di Iulio, Aginensis volse seguitare detta sepultura, ma maggior cosa; ond'io condussi e' marmi al Maciello de' Corvi, et feci lavorare quella parte che è murata a Santo Pietro in Vincola, et feci le figure che ò in casa. In questo tempo papa Leone non volendo che io facessi detta sepultura, finse di volere fare in Firenze la facciata di San Lorenzo et chiesemi a Aginensis; onde e' mi dètte a forza licenzia, con questo, che a Firenze io facessi detta sepultura di papa Iulio. Poi che io fui a Firenze per detta facciata di San Lorenzo, non vi avendo marmi per la sepultura di Iulio, ritornai a Carrara et stettivi tredici mesi, et condussi per detta sepultura tutti e' marmi in Firenze, et mura'vi una stanza per farla, et cominciai a lavorare. In questo tempo Aginensis mandò messer Francesco Palavisini, che è oggi il vescovo d'Aleria,[404] a sollecitarmi, et vidde la stanza, et tutti i detti marmi e figure bozzate per detta sepultura, che ancora oggi vi sono. Veggiendo questo, cioè ch'i' lavoravo per detta sepultura, Medici che stava a Firenze, che fu poi papa Clemente, non mi lasciò seguitare: [492] et così stetti impacciato insino che Medici fu Clemente: onde in[405] sua presenza si fe' poi l'ultimo contratto di detta sepultura innanzi a questo d'ora,[406] dove fu messo ch'io avevo ricieuti gli otto milia ducati ch'e' dicono che io ò prestati a usura. Et io voglio confessare un peccato a vostra Signoria, che essendo a Carrara quando vi stetti tredici mesi per detta sepultura, mancandomi e' denari, spesi mille scudi ne' marmi di detta opera, che m'avea mandati papa Leone per la facciata di Santo Lorenzo, o vero per tenermi occupato: et a lui dètti parole, mostrando dificultà; et questo facievo per l'amore che portavo a detta opera: di che ne son pagato col dirmi ch'i' sia ladro e usuraio da ignoranti che non erono al mondo.
Io scrivo questa storia a vostra Signoria, perchè ò caro giustificarmi con quella, quasi che come col Papa, a chi è detto mal di me, secondo mi scrive messer Piergiovanni, che dicie che m'à avuto a difendere; e ancora che quando vostra Signoria vede di potere dire in mia difensione una parola, lo facci, perchè io scrivo il vero: apresso degli omini, non dico di Dio, mi tengo uomo da bene, perchè non ingannai mai persona, e ancora perchè a difendermi dai tristi bisogna qualche volta diventare pazzo, come vedete.
Prego vostra Signoria, quando gli avanza tempo, legghi questa storia, et serbimela, et sappi che di gran parte delle cose scritte ci sono ancora testimoni. Ancora quando il Papa la vedessi, l'àrei caro, et che la vedessi tutto il mondo, perchè scrivo il vero, et molto manco di quello che è, et non sono ladrone usurario, ma sono cittadino fiorentino, nobile, e figliolo d'omo dabbene, et non sono da Cagli.
Poi ch'io ebbi scritto, mi fu fatta una imbasciata da parte dello imbasciadore d'Urbino, cioè, che s'io voglio che la retificazione venga, ch'io acconci la coscienzia mia. Io dico che e' s'à fabricato uno Michelagnolo nel cuore, di quella pasta che e' v'ha dentro.
Seguitando pure ancora circa la sepultura di papa Iulio, dico che poi ch'ei si mutò di fantasia, cioè del farla in vita sua, come è detto, et venendo certe barche di marmi a Ripa, che più tempo inanzi avevo ordinato a Carrara, non possendo avere danari dal Papa, per essersi pentito di tale opera; mi bisognò per pagare i noli, o cento cinquanta o vero dugiento ducati, che me gli prestò Baldassarre Balducci, cioè il banco di messer Iacopo Gallo, per pagare e' noli dei sopradetti marmi; et venendo in questo tempo scarpellini da Fiorenza, i quali avevo ordinati per detta sepultura, de' quali ne è ancora vivi qualcuno, et avendo [493] fornita la casa che m'aveva data Iulio dietro a Santa Caterina, di letti et altre masserizie per gli omini del quadro et per altre cose per detta sepultura, mi parea senza denari essere molto impacciato; et stringiendo il Papa a seguitare il più che potevo, mi fecie una mattina che io ero per parlargli per tal conto, mi fecie mandare fuora da un palafreniere. Come uno vescovo luchese che vidde questo atto, disse al palafreniere: «Voi non conosciete costui?» E 'l palafreniere mi disse: «Perdonatemi, gentilomo, io ò commessione di fare così.» Io me ne andai a casa, e scrissi questo al Papa: — «Beatissimo Padre: io sono stato stamani cacciato di Palazzo da parte della vostra Santità; onde io le fo intendere che da ora innanzi, se mi vorrà, mi ciercherà altrove che a Roma.» — E mandai questa lettera a messere Agostino scalco che la déssi al Papa; et in casa chiamai uno Cosimo fallegname, che stava meco et facevami masserizie per casa, et uno scarpellino, che oggi è vivo, che stava pur meco, et dissi loro: «Andate per un giudeo, e vendete ciò che è in questa casa, et venitevene a Firenze;» et io andai, et montai in su le poste, et anda'mene verso Firenze. El Papa, avendo ricieputa la lettera mia, mi mandò dreto cinque cavallari, e' quali mi giunsono a Poggi Bonzi circa a tre ore di notte, e presentornomi una lettera del Papa, la quale diceva: — «Súbito vista la presente, sotto pena de la nostra disgrazia, che tu ritorni a Roma.» — Volsono i detti cavallari che io rispondessi, per mostrare d'avermi trovato. Risposi al Papa, che ogni volta che m'osservassi quello a che era obrigato, che io tornerei; altrimenti non sperassi d'avermi mai. E standomi di poi in Firenze, mandò Iulio tre Brevi[407] alla Signoria. All'utimo la Signoria mandò per me e dissemi: — «Noi non vogliamo pigliare la guerra per te contra papa Iulio: bisogna che tu te ne vadi; et se tu vuoi ritornare a lui, noi ti faremo lettere di tanta autorità, che quando faciessi ingiuria a te, la farebbe a questa Signoria.» — Et così mi fecie: et ritornai al Papa: et quel che seguì sarie lungo a dire. Basta, che questa cosa mi fecie danno più di mille ducati, perchè partito che io fui da Roma, ne fu gran rumore con vergogna del Papa; et quasi tutti e' marmi che io avevo in sulla piazza di Santo Pietro mi furno sacheggiati, et massimo i pezzi piccoli; ond'io n'ebbi a rifare un'altra volta: in modo ch'io dico e afermo, che o di danni o interessi io resto avere dalle rede di papa Iulio cinquemila ducati: et chi m'à tolta tutta la mia giovineza et l'onore et la roba mi chiama ladro! Et di nuovo, come ò scritto [494] innanzi, l'imbasciadore d'Urbino mi manda a dire che io aconci la coscienza prima, e poi verrà la retificagione del Duca. Innanzi che e' mi facessi dipositare 1400 ducati, non diceva così. In queste cose ch'io scrivo, solo posso errare ne' tempi dal prima al poi, ogni altra cosa è vera, meglio che io non scrivo.
Prego vostra Signoria, per l'amor di Dio e della verità, quando à tempo, lega queste cose, acciò quando acadessi mi possa col Papa difendermi da questi che dicon male di me, senza notizia di cosa alcuna, e che m'ànno messo nel ciervello del Duca per un gran ribaldo con le false informazioni. Tutte le discordie che naqquono tra papa Iulio e me, fu la invidia di Bramante et di Raffaello da Urbino: et questa fu causa che non seguitò la sua sepultura in vita sua, per rovinarmi: et avevane bene cagione Raffaello, che ciò che aveva dell'arte, l'aveva da me.
[495]
Archivio Buonarroti. Di Roma, ( d'ottobre 1542).
(A messer Luigi del Riccio in Roma).
Messer Luigi. — Io credo che vostra Signoria abbi comodità d'intendere in Palazzo a che termine è la cosa mia circa la retificagione che sapete: però prego quella, possendo, il facci; chè mi sarà grandissimo piacere; perchè, come ve n'ò scritto un'altra volta, non posso vivere non che dipigniere; e penso, sendo mandato qua uno dal Duca, e non la avendo portata, che l'abbia a esser cosa lunga, e che sie messo nel capo al Papa qualche cosa da ritardarla. Però, quando potete, vi prego m'avisiate di qualche cosa.
Vostro Michelagniolo.
[496]
Archivio Buonarroti. Di Roma, ( d'ottobre 1542).
(A messer Luigi del Riccio in Roma).
Messer Luigi, amico caro. — Io mi son resoluto, poichè ò visto che la retificagione non viene, di starmi in casa a finire le tre figure come son d'acordo col Duca, e tornami molto meglio che stracinarmi ogni dì a Palazzo: e chi si vuol crucciar, si crucci. A me basta aver fatto in modo che 'l Papa non si può doler di me. E a me la retificagione non era piacer nessuno, ma a sua Santità, volendo ch'i' dipignessi. Basta, io non sono per entrar tra quella e 'l Duca, e se ella à visto che io ò abbandonato la sua pittura, manda per l'imbasciadore, sare' forse buono avisarlo della risoluzione che ò fatta, acciò sappi che rispondere, quando vi paia: e per questo vi scrivo tal cosa.
Vostro Michelagniolo.
[497]
Archivio Buonarroti. Di Roma, 17 d'ottobre 1542.
A Monsignor .... datario.[409]
Reverendo e magnifico signor Datario. — Io resto avere della provisione ordinaria che mi dà nostro Signore delli scudi 50 il mese, la paga di otto mesi, cioè da febraro in qua, che sono per tutto il presente mese scudi quatrocento d'oro in oro italiani; quali vi piacerà pagare per me a Salvestro da Montauto e Compagnia, et così seguitare mese per mese di dar loro la paga ordinaria, pigliandone quitanza: che saranno bene dati, et io di così mi contento. Et a vostra Signoria reverenda et magnifica mi racomando, e prego Iddio che li conceda quello desidera.
Di casa mia dal Macello de' Corvi, addì 17 d'ottobre 1542.
A' comandi di vostra Signoria
Michelagniolo Buonarroti.
[498]
Archivio Buonarroti. Di Roma, (1543).
A messer Luigi del Riccio, amico anzi patrone onorando in Roma.
Messer Luigi mio caro. — Perchè io so che voi siate maestro di cerimonie, tanto quant'io ne sono alieno; avend'io ricevuto da monsignor di Todi[410] il presente che vi dirà Urbino, vi prego, facendovene parte e credendo che siate amico di sua Signoria, quando vi vien bene, in nome mio la ringraziate con quella cerimonia che v'è facile a fare, e dura (a me): e fateme debitore di qualche berlingozzo.
Vostro Michelagniolo Buonarroti.
[499]
Archivio Buonarroti. Di Roma, 26 di febbraio 1544.
(Al Castellano di Sant'Angelo di Roma).
Monsignore Castellano. — Circa il modello di che si disputò ieri, io non dissi interamente l'animo mio, del quale io sono richiesto da vostra Signoria, perchè mi pareva troppo offendere quelle persone a chi io porto grandissima afezione; e questo è il capitano Giovan Francesco,[412] con il quale in qualche cosa non convengo seco; perchè e' bastioni cominciati mi pare che con la ragione et con la forza si possino difendere et seguitare; et nol faccendo, dubito si facci molto peggio; perchè in tanti pareri et modegli vari mi pare che abbino messo in gran confusione il Papa et in tal fastidio, che non si risolvendo a cosa nessuna, potrebbe non seguitare a questo modo, nè fare a quell'altro; che sarebbe gran male e poco onore di sua Santità. Però, come è detto, a me pare di seguitare, non dico particularmente quel che è cominciato, ma solo l'andamento del Monte, migliorando qualcosa, senza danno del fatto, col consiglio del capitano Giovan Francesco detto, per avere occasione di levare via il governo che vi è, se è come si dice, e mettervi detto capitano Giovan Francesco; il quale ò per valente e dabbene in tutte le cose. E quando questo si facci, io me gli offero per l'onore del Papa, poi che più volte son richiesto non come compagnio, ma come ragazo in tutte le cose.
Dagli Spinegli a Castello non farei altro ch'un fosso, perchè il corridor basta, quando sia aconcio bene.[413]
Addì XXVJ di febraro 1544.
Servitore di vostra Signoria
Michelagniolo Buonarroti.
[500]
Raccolta del cav. Palagi in Firenze. Di Roma, ( 1544).
(A papa Paolo III).[414]
Beatissimo Patre. — Come quella à 'nteso per el capitolo di Vetruvio, l'architettura non è altro che ordinazione e disposizione et una bella spezie et un conueniente consenso de' membri dell'opera, et conueneuoleza et distribuzione.
Et prima: qui non è ordinazione nessuna; perchè l'ordinazione è una piccola comodità de' membri dell'opera separatamente et uniuersalmente posti, di consenso apparechiati; anzi c'è tutto disordine dentro, perchè li membri di detta cornicie sono sproporzionati infra loro, nè ànno conuenienza l'uno all'altro.
Seconda: qui non è disposizione alcuna. La disposizione è una certa collocazione elegantemente composta secondo la qualità (e) efetto dell'opera. Qui non è qualità nessuna per l'opera fatta, e fatta secondo le regole di Vetruvio: et questa cornice acusa più presto qualità barbara o altrimenti.
Terza: una bella spezie de la comodità della composizione de' membri in aspetto: in questa non si vede comodità nessuna, anzi tutte scomodità: la prima scomodità si è che la minaccia di una grossa spesa da non finir mai detta opera; seconda scomodità è, che la minaccia tirare quella facciata del palazzo a terra. Apresso tre sono le spezie della cornice; doriche, ioniche e corintie. Questa non è di nessuna di queste tre generazioni, ma è bastarda.
Quarta è dell'opera e de' membri un conueniente consenso, che le parte separatamente rispondino all'uniuersa spezie della figura, con la rata parte: in essa cornice non c'è menbro nessuno che risponda con la rata parte al tutto [501] della cornice, perchè le mensole son piccole e rare a simile grandeza, el fregio è piccolo a sì gran capassa, e 'l bastone da basso è piccolissimo a tanto volume.
Quinta è el decoro, (che) è uno amendato aspetto nell'opere provar le cose composte con alturità detta conueneuoleza. In questa cornice non è conueneuoleza alcuna, anzi u'è tutta sconueneuoleza: prima aparisce quel gran capo sun una piccola facciata, e maggiore el capo ch'el resto, e non conuiene sì gran capo a sì poca alteza; l'altra la mana del modano non accompagna colla mano del morto: è un altro fare.
Sesta, distribuzione: la distribuzione secondo l'abondanzia delle cose, de' loci (sic) una comoda dispensazione. Qui si vede non essere ben dispensato niente, ma dispensato ogni cosa a caso e secondo el capriccio che gli è tocco, in un lato è stato largo a dispensare et in un altro loco è stato parco. Questo è quanto m'occorre circa a questo dire a vostra Santità, alla quale umilmente i' bacio e' piedi: e se no' mi fo uedere inanzi a vostra Santità, n'è causa el mal mio, che quante uolte sono uscito, sempre son ricascato.
Egli è un altro grado di distribuizione quan(do) l'opera sarà fatta secondo l'uso del patre della famiglia, et secondo l'abundanzia de' danari, et secondo l'eleganzia e degnità sua, li edificii sieno ordinati alti; imperò che altrimenti si uede che bisogna constituire le case della città et altrimenti quelle delle possessione rustice, doue si ripongano li frutti; non al medesimo modo alli usurai, altrimenti alli ricchi et dilicati e potenti, e' quali con le loro cogitazione gouernano la republica; atte a quell'uso siin collocate. Le distribuizione delli edificii senza manco son da fare che siino atte secondo el grado di tutte le persone.
[502]
Archivio Buonarroti. Di Roma, ( di gennaio 1545).
(A messer Luigi del Riccio in Roma).
Messer Luigi, signor mio caro. — I' mando Gabbriello che sta meco a vostra Signoria che gli dia i danari di che sapete: è fidato; potete dargliene sicuramente. Altro non m'acade. Son guarito,[415] e spero vivere ancora qualche anno, poichè il Cielo à messo la mia sanità in man di maestro Baccio[416] e nel trebbian degli Ulivieri.[417]
Servitore di vostra Signoria
Michelagniolo al Macel dei Corvi.
[503]
Museo Britannico. Di Roma, 25 di gennaio 1545.
Magnifici messer Salvestro da Monteauto e compagni di Roma per l'adrieto, e per loro Antonio Covoni e compagni. — Sarete contenti pagare a Raffaello da Monte Lupo scultore scudi cinquanta di moneta a iuli dieci per iscudo, che sono per ogni resto di quello potessi adomandare per fattura delle tre statue di marmo fatte e messe a Santo Pietro in Vincola nella sepultura di papa Iulio; cioè, per una Nostra Donna col Putto in braccio e una Sibilla e un Profeta; delle quali secondo le convenzione resterebbe avere scudi cento settanta; ma perchè per essere stato malato e non aver possuto e aver fatto lavorare a altri, siamo convenuti d'accordo darli questi scudi cinquanta per ogni resto: che di così piglierete la quitanza, ponendogli a conto degli scudi cento settanta che vi restano in deposito per detto conto. Da Roma, alli venticinque di gennaro 1545, a Nativitate.
Vostro Michelagniolo Buonarroti di mano propia.
Vista per me Hieronimo Tiranno, Oratore ducale d'Urbino, et approvata in quanto li detti cinquanta scudi gli siano debiti secondo il tenor del contratto fatto con detto messer Raphaello per mano del Cappello, et non altrimenti, nè per altro modo. Dato come di sopra alli 27 di gennaio 1545.
Il medesimo Hieronimo Tiranno.
[504]
Archivio Buonarroti. Di Roma, (26 di gennaio 1545).
(A messer Luigi del Riccio).
A non parlar qualche volta, sebbene scorretto in gramatica, mi sarebbe vergogna, sendo tanto pratico con voi. Il sonetto di messer Donato[420] mi par bello quante cosa fatta a' tempi nostri; ma perch'io ò cattivo gusto, non posso far neanco stima d'un panno fatto di nuovo, benchè romagnuolo, che delle veste usate di seta e d'oro che farén parer bello un uom da sarti.
Scrivetegniene e ditegniene e dategniene e racomandatemi a lui.
[505]
Biblioteca Nazionale di Firenze. Di Roma, 3 di febbraio 1545.
(A messer Salvestro da Montauto in Roma).
Magnifici messer Salvestro et Compagnia di Roma per l'adrieto. — Come vi è noto, essendo io occupato per servizio di nostro Signore papa Paulo terzo in dipignere la sua nuova Cappella, et non possendo dare perfezione alla sepultura di papa Iulio secondo in Santo Pietro in Vincola; interponendosi la prefata Santità di nostro Signore, di consenso e per convenzione fatta con il magnifico Hieronimo Tiranno, oratore dell'illustrissimo signor Duca d'Urbino; alla quale convenzione dipoi sua Eccellenza retificò; depositai presso di voi più somme di danari per fornire detta opera, dei quali Raffaello da Monte Lupo ne aveva avere scudi 445 di iuli dieci per scudo, per resto di scudi 550 simili; et questi per fornire cinque statue di marmo da me cominciate e sbozzate, e per il prefato ambasciatore del Duca d'Urbino allogategli: cioè, una Nostra Donna con il Putto in braccio, una Sibilla, un Profeta, una Vita attiva, e una Vita contemplativa: come di tutto appare contratto per mano di messer Bartolomeo Cappello notaro di Camera, sotto dì XXI d'agosto 1542. Delle quali cinque statue, avendo nostro Signore a mia preghiera e per mia sodisfazione concessomi un poco di tempo, ne forni' dua di mia mano, cioè la Vita contemplativa e l'attiva, per il medesimo prezo che aveva a fare il detto Raffaello e dei medesimi danari che aveva avere lui. E dipoi il detto Raffaello à fornite le altre tre e messe in opera, come in detta sepultura si vede. Per il che gli pagherete a suo piacere scudi cento settanta di moneta a iuli dieci per iscudo che vi restano in mano di detta somma, pigliando da lui quitanza finale, etiam per mano di detto notaro, per la quale si chiami di detta opera sodisfatto et interamente pagato: et poneteli a conto di detta somma che vi resta in mano. Et bene valete.
Da Roma, ai 3 di febraio 1545, a Nativitate.
Vostro Michelagniolo Buonarroti in Roma.
[506]
Archivio Buonarroti. Di Roma, 13 di marzo (1545).
A messer Luigi del Riccio in Roma.
E oggi a dì tredici di marzo ò ricevuti scudi cento dal Melighino per la mia provvigione di Gennaio e Febbraio passati.
Messer Luigi. — Io non ò mai avuti danari dal Meligino, che io non abbi fatto la quitanza: però se io pigliassi errore, si può riconoscere per le quitanze di mia mano.
Vostro Michelagniolo Buonarroti.
[507]
Archivio Buonarroti. Di Roma, (1545).
A messer Luigi del Riccio.
L'amico nostro morto parla e dice: se 'l Cielo tolse ogni bellezza a tutti gli altri uomini del mondo per far me solo, come fece, bello, e se per legge divina al dì del gudicio io debba ritornare il medesimo che vivo so' stato; ne seguita, che la bellezza che m'à data, non la può rendere a chi e' l'à tolta, ma che io debba esser bello più che gli altri in eterno e lor bruti. E questo è el contrario del concetto che mi dicesti ieri, e l'uno è favola, e l'altro è verità.
Vostro Michelagniolo Buonarroti.
[508]
Archivio Buonarroti. Di Roma, ( 1545).
(A Luigi del Riccio).
Io vi rimando i melloni col polizino; el disegno non ancora, ma lo farò a ogni modo come posso meglio disegnare. Racomandatemi a Baccio, e ditegli che se io avessi avuto qua di quegli intingoli che e' mi dava costà, ch'i' sarei oggi un altro Graziano. E lo ringraziate da mia parte.
[509]
Archivio Buonarroti. Di Roma, ( 1545).
(A messer Luigi del Riccio in Roma).
Messer Luigi. — Io vi prego mi mandiate l'ultimo madrigale che non intendete, acciò che io lo raconci, perchè 'l sollecitatore de' polizini, che è Urbino, fu sì pronto, che non me lo lasciò rivedere.
Circa l'esser domani insieme, io fo mie scuse con esso voi, perchè il tempo è cattivo e ò faccenda in casa. Farem poi quel medesimo che faremo domani, questa quaresima a Lungezza[424] con una grossa tinca.[425]
[510]
Archivio Buonarroti. Di Roma, (1545).
(A messer Luigi del Riccio in Roma).
Messer Luigi. — Io mi racomando a voi e a chi voi amate. Messer Giuliano e messer Ruberto[427] che mi scrivete, io son lor servidore, e se io non fo quello che si conviene, fuggo i creditori, perchè ò gran debito e pochi danari.
[511]
Archivio Buonarroti. Di Roma, (1545).
(A Luigi del Riccio).
Messer Luigi, amico caro. — Io vi prego, che quand'io vengo costà, che voi facciate a me quel ch'io fo a voi, quando venite qua. Voi mi fate venire a darvi noia e non mel fate dire; in modo ch'i' resto un bufolo prosuntuoso infino ne' servidori.
Io credo giovedì dare ordine da tirar le figure[428] a San Piero in Vincola, come v'ò detto altre volte: e perchè io le voglio tirar co' danari che vi restano in mano di dette figure, mi par ch'io facci un mandato di detti danari, e che l'imbasciadore lo segni, acciò non si possa mai nè a voi nè a me dir niente. Però io vi prego facciate una minuta, come vi par che abbia a star detto mandato.
Ier mattina io non conoscevo il figliuol di messer Bindo Altoviti, e voi se 'l volevi menare qua, lo potevi dire liberamente, perchè io mi tengo servidore di messer Bindo e di tutti e' sua.
[512]
Biblioteca Nazionale di Firenze. Di Roma, (1545).
A messer Salvestro da Montauto in Roma.
Magnifico messer Salvestro da Montauto e compagni di Roma per l'adrietro, e per loro Antonio Covoni e compagni. — Del pagamento delle tre figure di marmo, che à fatte over finite Raffaello da Montelupo scultore, vi resta in deposito scudi cento settanta di moneta, cioè di 10 iuli l'uno, et avendole detto Raffaello, come è detto, finite et messe in opera a San Piero in Vincola nella sepultura di papa Iulio, sarete contenti per l'ultimo suo pagamento pagarli a suo piacere i sopra detti cento settanta scudi, perchè à fatto tutto quello a che s'era obrigato delle tre figure dette, cioè una Nostra Donna col Putto in braccio, un Profeta e una Sibilla, tutte qualcosa più ch'el naturale.
Vostro Michelagniolo Buonarroti in Roma.
[513]
Archivio Buonarroti. Di Roma, ( 1545).
A messer Luigi del Riccio.
Messer Luigi. — Voi sapete che 'l fuoco à scoperto una parte della Cappella:[430] però a me pare, che la si debba ricoprire nel modo che stava, più presto che si può, salvaticamente, se non altrimenti, per insino a tempo nuovo, per rispetto delle piogge, che non solamente guaston le pitture, ma muovono anche le mura. E perchè la se ne va in terra per l'ordinario, queste non gli sarebbon punto a proposito. Io scrivo questo, acciò che il Papa non sie messo in qualche grande spesa a utilità più d'altri, che della Cappella. Però vi prego, o che parlando al Papa lo facciate intendere, o per via di messer Aurelio, al quale ancora vi prego mi racomandiate.
Vostro Michelagniolo.
[514]
Archivio Buonarroti. Di Roma, ( 1545).
(Alla Vittoria Colonna, marchesana di Pescara in Roma).
Volevo, Signora, prima che io pigliassi le cose che vostra Signoria m'à più volte volute dare, per riceverle manco indegnamente che io potevo, far qualche cosa a quella di mia mano: dipoi riconosciuto e visto che la grazia di Iddio non si può comperare, e ch'el tenerla a disagio è peccato grandissimo; dico mia colpa e volentieri dette cose accetto: e quando l'àrò, non per averle in casa, ma per essere io in casa loro, mi parrà essere in paradiso: di che ne resterò più obrigato, se più posso essere di quel ch'i' sono, a vostra Signoria.
L'aportatore di questa sarà Urbino che sta meco, al quale vostra Signoria potrà dire quando vuole ch'i' venga a vedere la testa e' à promesso mostrarmi. E a quella mi racomando.
Michelagniolo Buonarroti.
[515]
Archivio Buonarroti. Di Roma, ( 1545).
(Alla Vittoria Colonna in Roma).
Signora Marchesa. — E' non par, sendo io in Roma, che egli accadessi lasciar il Crocifisso[433] a messer Tommao[434] e farlo mezzano fra vostra Signoria e me suo servo, acciocchè io la serva, e massimo avendo io desiderato di far più per quella che per uomo che io conoscessi mai al mondo; ma l'occupazione grande in che sono stato, e sono, non à lasciato conoscer questo a vostra Signoria: e perchè io so che ella sa che amore non vuol maestro, e che chi ama non dorme, manco accadeva ancora mezzi: e benchè e' paressi che io non mi ricordassi, io facevo quello ch'io non diceva per giugnere con cosa non aspettata. È stato guasto il mio disegno: Mal fa chi tanta fè sì tosto oblia.
Servitore di vostra Signoria
Michelagniolo Buonarroti in Roma.
[516]
Archivio Buonarroti. Di Roma, ( 1545).
(A messer Luigi del Riccio).
Messer Luigi. — Quello amico, se di quel parlate, sia il benvenuto se gli è tornato; e perchè me n'avete detto tanto male voi con messer Donato insieme, m'è piovuto in sul fuoco. Però da qui inanzi guardatevi dall'offerire. Domani dopo desinare verrò a voi, e farò quanto mi comanderete.
[517]
Archivio Buonarroti. Di Firenze, ( di dicembre 1545).
A messer Luigi del Riccio, amico caro in Lione.
Messer Luigi, amico caro. — A tutti i vostri amici duole assai il vostro male, e più, non ve ne possendo aiutare, e massimo a messer Donato e a me. Ma pure speriamo che abbi a esser piccola cosa, che a Dio piaccia.
Per un'altra vi scrissi, come se stavi molto a tornare, che io pensavo venirvi a vedere; e così vi raffermo: perchè avendo io perduto il porto di Piacenza,[435] e non possendo stare a Roma senza entrata, penso di consumar più presto quel poco che io ò su per le osterie, che stare aggranchiato a Roma com'un furfante. Però son disposto, non accadendo altro, dopo pasqua d'Agnello andare a Santo Iacopo di Galizia, e non sendo voi tornato, di far la via d'onde intenderò che siate.
Urbino à parlato a messer Aurelio e parlerà di nuovo; e per quello che mi dice, àrete per la sepultura di Cecchino[436] il luogo dove avete desiderato: e detta sepultura è al fine, e riuscirà cosa bella.
Vostro Michelagniolo Buonarroti in Roma.
(Di mano del Del Riccio.)
1545. Di messer Michelagnolo Buonarroti dirizzata e tornata da Lione a dì 22 di dicembre.
[518]
Archivio Buonarroti. Di Roma, (del marzo 1546).
A messer Luigi del Riccio in Roma.
Messer Luigi, amico carissimo. — Io mi ero resoluto, come sapete, di tôrre per giusto prezzo le possessione de' Corboli.[437] Ora me ne tiro a dietro: e la cagione è questa, che oltre a la decima, ànno venti cinque scudi d'albitrio, che mi sare' posto venti cinque volte l'anno. Però io non vi voglio più tenere sospesi; sì che fatene il fatto vostro, come meglio potete. E a voi mi racomando.
Vostro Michelagniolo.
[519]
Archivio Buonarroti. Di Roma, 26 d'aprile 1546.
Al Cristianissimo Re di Francia.
Sacra Maestà. — Io non so qual si sie più o la grazia o la maraviglia che vostra Maestà si è degnata scrivere a un mie pari, e più ancora a richiederlo delle sua cose non degnie non c'altro del nome di vostra Maestà: ma come si sieno, sappi vostra Maestà che molto tempo è che ò desiderato servir quella, ma per non l'avere avuto a proposito, come non è stato in Italia all'arte mia, non l'ò potuto fare. Ora mi trovo vechio e per qualche mese ocupato nelle cose di papa Pagolo; ma se mi resta dopo tale ocupazione qualche spazio di vita, quello che ò desiderato, come è detto, più tempo di fare per vostra Maestà m'ingegnierò metterlo a effetto, cioè una cosa di marmo, una di bronzo, una di pittura. E se la morte interrompe questo mio desiderio, e che si possa sculpire o dipigniere nell'altra vita, non mancherò di là, dove più non s'invechia. Ed a vostra Maestà prego Dio che doni lunga e felice vita. Di Roma, il giorno XXVI d'aprile MDXLVI.
Di vostra Cristianissima Maestà
Umilissimo servitore
Michelagniolo Buonarroti.
[520]
Archivio Buonarroti. Di Roma, ( 1546).
(A messer Luigi del Riccio).
Messer Luigi. — E' vi pare che io vi risponda quello che voi desiderate, quando bene e' sia il contrario. Voi mi date quello che io v'ò negato, e negatemi quello che io v'ò chiesto. E già non peccate per ignoranza mandandomelo per Ercole, vergogniandovi a darmelo voi.
Chi m'à tolto alla morte, può ben anche vituperarmi; ma io non so già qual si pesi più o 'l vitupero o la morte. Però io vi prego e scongiuro per la vera amicizia che è tra noi, che non mi pare che voi facciate guastare quella stampa[439] e abbruciare quelle che sono stampate; e che se voi fate bottega di me, non la vogliate far fare anche a altri; e se fate di me mille pezzi, io ne farò altrettanti, non di voi, ma delle cose vostre.
Michelagniolo Buonarroti.
Non pittore nè scultore nè architettore, ma quel che voi volete, ma non briaco, come vi dissi in casa.
[521]
Archivio di Santa Maria Nuova. Di Roma, 19 d'aprile 1549.
(A Benvenuto Ulivieri in Roma).[440]
Magnifici messeri, Benvenuto e compagni di Roma. — Piaceravvi pagare a messere Bartolomeo Bettini e compagni scudi venti dua d'oro in oro ogni mese; cominciando la prima paga del mese di gennaro prossimo passato, che saranno ben pagati, perchè da detti Bettini me ne vaglio mese per mese; che sono li scudi venti dua per mese d'oro in oro che vi sono rimessi del mio Notariato del civile di Romagnia: e così piaccia a vostra Signoria di seguire, fino che altro non acade. A dì diciannove d'aprile 1549.
Io Michelagniolo Buonarroti di mano propria.[441]
[522]
Archivio Buonarroti. Di Roma, ( 1549).
A messer Benedetto Varchi.[442]
Messer Benedetto. — Perchè e' paia pure che io abbia ricevuto, come ò, il vostro Libretto, risponderò qualche cosa a quel che e' mi domanda,[443] benchè ignorantemente. Io dico che la pittura mi pare più tenuta buona, quanto più va verso il rilievo, et il rilievo più tenuto cattivo, quanto più va verso la pittura: et però a me soleva parere che la scultura fussi la lanterna della pittura, et che dall'una all'altra fussi quella differenza ch'è dal sole alla luna. Ora, poi che io ò letto nel vostro Libretto, dove dite, che, parlando filosoficamente, quelle cose che ànno un medesimo fine, sono una medesima cosa; sono mutato d'oppinione: et dico, che se maggiore iudicio et difficultà, impedimento et fatica non fa maggiore nobiltà; che la pittura et scultura è una medesima cosa: et perchè ella fussi tenuta così, non doverrebbe ogni pittore far manco di scultura che di pittura; e 'l simile, lo scultore di pittura che di scultura. Io intendo scultura, quella che si fa per forza di levare: quella che si fa per via di porre, è simile alla pittura: basta, che venendo l'una e l'altra da una medesima intelligenza, cioè scultura et pittura, si può far fare loro una buona pace insieme, et lasciar tante dispute; perchè vi va più tempo, che a far le figure. Colui che scrisse che la pittura era più nobile della scultura, s'egli avessi così bene inteso l'altre cose ch'egli ha scritte, le àrebbe meglio scritte [523] la mia fante. Infinite cose, et non più dette, ci sarebbe da dire di simili scienze; ma, come ho detto, vorrebbono troppo tempo, et io n'ho poco, perchè non solo son vechio, ma quasi nel numero de' morti: però priego mi abbiate per iscusato. E a voi mi racomando et vi ringrazio quanto so et posso del troppo onore che mi fate, et non conveniente a me.
Vostro Michelagniolo Buonarroti in Roma.
[524]
Di Roma, ( 1549).
(A messer Luca Martini).[444]
Magnifico messer Luca. — I' ò ricevuto da messer Bartolommeo Bettini una vostra con un Libretto, comento di un sonetto di mia mano.[445] Il sonetto vien bene da me, ma il comento viene dal Cielo; e veramente è cosa mirabile, non dico al giudizio mio, ma degli uomini valenti, e massimamente di messer Donato Giannotti, il quale non si sazia di leggerlo: ed a voi si racomanda. Circa il sonetto, io conosco quello ch'egli è; ma come si sia, non mi posso tenere che io non ne pigli un poco di vanagloria, essendo stato cagione di sì bello e dotto Comento. E perchè nell'autore di detto, sento per le sue parole e lodi d'essere quello ch'io non sono, prego voi facciate per me parole verso di lui come si conviene a tanto amore, affezione e cortesia. Io vi prego di questo, perchè mi sento di poco valore; e chi è in buona oppenione, non debbe tentare la fortuna; e meglio è tacere, che cascare da alto. Io son vechio, e la morte m'à tolti i pensieri della giovaneza; e chi non sa che cosa è la vechieza, abbia tanta pazienza che v'arrivi; che prima nol può sapere. Racomandatemi, come è detto, al Varchi, come suo affezionatissimo, e delle sue virtù, e al suo servizio dovunque io sono.
Vostro e al servizio vostro in tutte le cose a me possibili.
Michelagniolo Buonarroti in Roma.
[525]
Biblioteca Nazionale di Firenze. Di Roma, ( d'ottobre 1549).
A Giovan Francesco, prete in Santa Maria in Firenze.
Messer Giovan Francesco. — Perchè è assai tempo che io non v'ò scritto, ora per mostrarvi per questa che io son vivo, e per intendere per una vostra il medesimo di voi, vi fo questi pochi versi, e racomandomi a voi, e prégovi che questa va a messer Benedetto Varchi, luce e splendore della Accademia fiorentina, che gniene diate, e ringraziatelo da mia parte quel più ch'io non fo nè posso io. Altro non mi acade. Scrivetemi qualche cosa.
Standomi a questi dì in casa molto appassionato, fra certe mia cose, trovai un numero grande di quelle cose[447] che già vi solevo mandare: delle quali ve ne mando quattro, forse mandate altre volte.
Vostro Michelagniolo Buonarroti in Roma.
[526]
Museo Britannico. Di Roma, ( d'ottobre 1549).
A Giovan Francesco (Fattucci), prete in Santa Maria in Firenze.[448]
Messer Giovan Francesco. — Perchè è pure assai tempo che io non v'ò scritto, per mostrarvi per questa come ancora son vivo, e per intendere per una vostra il medesimo di voi, vi fo questi pochi versi; e racomandomi a voi, e pregovi che questa che va a messer Benedetto Varchi, luce e splendore della Accademia fiorentina, perchè stimo sia molto amico vostro, gniene diate, e ringraziatelo da mia parte quel più che io non fo nè posso far io.
E perchè standomi a questi dì molto malcontento in casa, cercando fra certe mie cose, mi venne alle mani un numero grande di quelle frascherie,[449] che già solevo mandarvi altre volte; delle quali ve ne mando quattro, forse mandatevi altre volte. Voi direte bene che io sia vecchio e pazo: e io vi dico, che per istar sano e con manco passione, non ci trovo meglio che la pazzia. Però non ve ne maravigliate: e rispondetemi qualche cosa, ve ne priego: e sono sempre
Vostro Michelagniolo Buonarroti in Roma.
[527]
Archivio Buonarroti. Di Roma ( d'ottobre 1549).
A meser Giovan Francesco Fattucci, prete di Santa Maria del Fiore, amico carissimo a Firenze.
Messer Giovan Francesco, amico caro. — Benchè da più mesi in qua non ci siamo scritti niente, non è però dimenticata la lunga et buona amicizia, et che io non desideri il vostro bene, come sempre ò fatto, et che io non v'ami con tutto il core, et più per gl'infiniti piaceri ricevuti. Circa la vechieza, in che noi egualmente ci troviamo, àrei caro di sapere come la parte vostra vi tratta, perchè la mia non mi contenta molto: però vi prego mi scriviate qualche cosa. Voi sapete come abbiamo Papa nuovo, e chi: di che se ne rallegra tutta Roma, grazia di Dio, et non se ne aspetta altro che grandissimo bene, massime pe' poveri, per la sua liberalità. Circa le cose mie àrei caro, et farestimi grandissimo piacere, che m'avvisassi come le cose di Lionardo vanno, et della verità senza rispetti, perchè è giovane e stonne con gelosia, et più per essere solo et senza consiglio. Altro non m'acade, salvo che a questi dì messer Tomao de' Cavalieri m'ha pregato ch'io ringrazi da sua parte il Varchi per un certo libretto[451] mirabile che c'è di suo in istampa, dove dice che parla molto onorevolmente di lui, et non manco di me; et àmmi dato un sonetto fattogli da me in quei medesimi tempi, pregandomi che io gliene mandi per una giustificazione; il qual vi mando in questa: se vi piace, date; se no, datelo al fuoco, et pensate che io combatto colla morte, et che io ò il capo a altro: pure bisogna alle volte far così. Del farmi tanto onore detto messer Benedetto ne' suoi sonetti, come è detto, vi prego lo ringraziate, offerendogli quel poco che io sono.
Vostro Michelagniolo in Roma.
[528]
Archivio Buonarroti. Di Roma, 1 d'agosto 1550.
(A messer Giovan Francesco Fattucci in Firenze).[452]
Messer Giovan Francesco, amico caro. — Accadendomi iscrivere costà a Giorgio pittore, piglio sicurtà di darvi un poco di noia; cioè che gli diate la lettera che sarà in questa, stimando che sia amico vostro: e per non essere troppo breve nello iscrivervi, non avendo da scrivere altro, vi mando qualche una delle mie novelle[453] che io iscrivevo alla marchesa di Pescara, la quale mi voleva grandissimo bene, e io non meno a lei. Morte mi tolse uno grande amico. Altro non mi acade. Stommi a lo usato, sopportando con pazienza e' difetti della vechieza. Credo così facciate voi. Addì primo d'agosto 1550.
[529]
Di Roma, 1 d'agosto 1550.
A messer Giorgio Vasari, pittore e amico singulare in Firenze.
Messer Giorgio, amico caro. — Circa al rifondare San Piero a Montorio,[455] come il Papa non volse intendere, non ve ne scrissi niente, sapendo voi essere avisato dall'uomo vostro di qua. Ora mi accade dirvi quello che segue, e questo è, che iermattina, sendo il Papa andato a detto Montorio, mandò per me. Non fu' a tempo: riscontra'lo in sul ponte che tornava. Ebbi lungo ragionamento seco circa le sepulture allogatevi, e all'ultimo mi disse che era resoluto non volere metter dette sepulture in su quel monte, ma nella chiesa de' Fiorentini; e richiesemi di parere e di disegno, et io ne lo confortai assai, stimando che per questo mezzo detta chiesa s'abbi a finire. Circa le vostre tre ricevute, non ho penna da rispondere a tante altezze; ma se avessi caro di essere in qualche parte quello che mi fate, non l'àrei caro per altro, se non perchè voi avessi un servitore che valessi qualche cosa. Ma io non mi maraviglio, sendo voi risucitatore d'uomini morti, che voi allunghiate vita a' vivi, ovvero che i malvivi furiate per infinito tempo alla morte. Per abbreviare io sono tutto vostro, com'io sono.
A dì 1 d'agosto 1550.
Vostro Michelagniolo Buonarroti in Roma.
[530]
Di Roma, 22 d'agosto 1550.
A messer Giorgio Vasari, amico e pittore singolare.
Messer Giorgio, amico caro. — Io ebbi molti giorni sono una vostra: non risposi súbito per non parer mercatante. Ora vi dico, che delle molte lodi che per la detta mi date, se io ne meritassi sol una, mi parrebbe, quand'io mi vi dètti in anima et in corpo, avervi dato qualche cosa, e aver sodisfatto a qualche minima parte di quello che io vi son debitore; dove vi ricognosco ogni ora creditore di molto più che io non ò da pagare; e perchè son vechio, oramai non spero in questa, ma nell'altra vita poter pareggiare il conto: però vi prego di pazienza.
Circa all'opera vostra,[456] io sono stato a veder Bartolommeo, e parmi che la vadi tanto bene, quant'è possibile. Lui lavora con fede e con amore e è valente giovane, come sapete, e tanto da bene, che e' si può chiamare l'angelo Bartolommeo.
A dì 22 d'agosto 1551.
Vostro Michelangniolo Buonarroti in Roma.
[531]
Di Roma, 13 d'ottobre 1550.
A messer Giorgio Vasari, pittore e amico singulare in Firenze.
Messer Giorgio, signor mio caro. — Súbito che Bartolommeo[457] fu giunto qua, andai a parlare al Papa; e visto che voleva far rifondare a Montorio per le sepulture, proveddi d'un muratore di Santo Pietro. El Tantecose[458] lo seppe, e volsevi mandare uno a suo modo. Io, per non combattere con chi dà le mosse a' venti, mi son tirato a dietro, perchè sendo uomo leggieri, non vorrei essere traportato in qualche macchia. Basta che nella chiesa de' Fiorentini non mi pare s'abbi più a pensare. Tornate presto e sano. Altro no' mi accade.
Addì 13 di ottobre 1550.
Michelagniolo Buonarroti in Roma.
[532]
Di Roma, ( 1552).
(A Benvenuto Cellini).
Benvenuto mio. — Io vi ò conosciuto tant'anni per il maggior orefice che mai ci sia stato notizia, ed ora vi conoscerò per iscultore simile. Sappiate che messer Bindo Altoviti mi menò a vedere una testa del suo ritratto di bronzo,[460] e mi disse ch'ella era di vostra mano: io n'ebbi molto piacere; ma mi seppe troppo male ch'ella era messa a cattivo lume: che s'ella avesse il suo ragionevole lume, la si mostrerebbe quella bell'opera ch'ell'è.
[533]
Di Roma, d'aprile 1554.
A Giorgio Vasari.
Messer Giorgio, amico caro. — Io ò auto grandissimo piacere della vostra, visto che pur ancora vi ricordate del povero vechio, e più per essersi trovato al trionfo che mi scrivete, d'aver visto rinnovare un altro Buonarroto:[461] del quale aviso vi ringrazio quanto so e posso: ma ben mi dispiace tal pompa, perchè l'uomo non dee ridere, quando il mondo tutto piange: però mi pare che Lionardo non abbi molto giudicio e massimo per fare tanta festa d'uno che nasce, con quella allegrezza che s'à a serbare alla morte di chi è ben vissuto. Altro non m'acade. Vi ringrazio sommamente dell'amore che mi portate, benchè io non ne sia degno. Le cose di qua stanno pur così. A dì non so quanti d'aprile 1554.
Vostro Michelagniolo Buonarroti in Roma.
[534]
Di Roma, 19 di settembre 1554.
A Giorgio Vasari.[462]
Messer Giorgio, amico caro. — Voi direte ben ch'io sie vechio e pazzo a voler fare sonetti: ma perchè molti dicono ch'io son rimbambito, ò voluto far l'uficio mio. Per la vostra veggio l'amor che mi portate: e sappiate per cosa certa ch'io àrei caro di riporre queste mia debile ossa a canto a quelle di mio padre, come mi pregate; ma partendo ora di qua, sarei causa d'una gran rovina della fabbrica di Santo Pietro, d'una gran vergognia e d'un grandissimo peccato. Ma come sie stabilito tutta la composizione che non possa esser mutata, spero far quanto mi scrivete, se già non è peccato tenere a disagio parechi giotti ch'aspetton ch'io mi parta presto.
A dì 19 di settembre 1554.
Michelagniolo Buonarroti in Roma.
[535]
Archivio Buonarroti. Di Roma, ( 1555.)
(A messer Bartolomeo Ammannati).
Messer Bartolomeo, amico caro. — E' non si può negare che Bramante non fussi valente nella architettura, quanto ogni altro che sia stato dagli antichi in qua. Lui pose la prima pianta di Santo Pietro, non piena di confusione, ma chiara e schietta, luminosa e isolata atorno, in modo che non nuoceva a cosa nessuna del palazzo; e fu tenuta cosa bella, e come ancora è manifesto; in modo che chiunque s'è discostato da detto ordine di Bramante, come à fatto il Sangallo, s'è discostato dalla verità; e se così è, chi à occhi non appassionati, nel suo modello lo può vedere. Lui con quel circolo che e' fa di fuori, la prima cosa toglie tutti i lumi a la pianta di Bramante; e non solo questo, ma per sè non à ancora lume nessuno: e tanti nascondigli fra di sopra e di sotto, scuri, che fanno comodità grande a infinite ribalderie: come tener segretamente sbanditi, far monete false, impregniar monache e altre ribalderie, in modo che la sera, quando detta chiesa si serrassi, bisognerebbe venticinque uomini a cercare chi vi restassi nascosi dentro, e con fatica gli troverebbe, in modo starebbe. Ancora ci sarebbe quest'altro inconveniente, che nel circuire con l'aggiunta che il modello fa di fuora detta composizione di Bramante, saria forza di mandare in terra la cappella di Paolo, le stanze del Piombo, la Ruota e molte altre: nè la cappella di Sisto, credo, riuscirebbe netta. Circa la parte fatta dal circulo di fuori, che dicono che costò centomila scudi, questo non è vero, perchè con sedicimila si farebbe, e rovinandolo poca cosa si perderebbe, perchè le pietre fattevi e' fondamenti non potrebbero venire più a proposito, e migliorerebbesi la [536] fabrica dugentomila scudi e trecento anni di tempo. Questo è quanto a me pare e senza passione; perchè il vincere mi sarebbe grandissima perdita. E se potete fare intendere questo al Papa, mi farete piacere, chè non mi sento bene.
Vostro Michelagniolo.
[464]Osservando il modello del Sangallo, ne séguita ancora: che tutto quello che s'è fatto a mio tempo non vadi in terra, che sarebbe un grandissimo danno.
[537]
Archivio Buonarroti. Di Roma, 11 di maggio 1555.
A messer Giorgio, pittore eccellentissimo in Firenze.
Io fu' messo a forza ne la fabrica di Santo Pietro, e ò servito circa otto anni non solamente in dono, ma con grandissimo mie danno e dispiacere: e ora che l'è avviata e che c'è danari da spendere, e che io sono per voltare presto la cupola, se io mi partissi, sarebbe la rovina di detta fabrica; sarebemi grandissima vergognia in tutta la Cristianità, e a l'anima grandissimo peccato: però, messer Giorgio mio caro, io vi prego che da mia parte voi ringraziate il Duca delle sue grandissime offerte che voi mi scrivete, e che voi preghiate suo' Signoria che con sua buona licenzia e grazia io possi seguitare qua tanto che io me ne possi partire con buona fama e onore e senza peccato.
Addì undici di magio 1555.
Vostro Michelagniolo Buonarroti in Roma.
[538]
Di Roma, 22 di giugno 1555.
Al mio caro messer Giorgio Vasari in Firenze.
Messer Giorgio, amico caro. — A queste sere mi venne a trovare a casa un giovane molto discreto e da bene, cioè messer Lionardo,[467] cameriere del Duca, e fecemi con grande amore e affezione da parte di sua Signoria le medesime offerte che voi per l'ultima vostra. Io gli risposi il medesimo ch'i' risposi a voi, cioè che ringraziassi il Duca da mia parte di sì grande offerte, il più e 'l meglio che sapeva, e che pregassi sua Signoria che con sua licenzia io seguitassi qua la fabbrica di Santo Pietro fin che fussi a termine, che la non potessi esser mutata per dargli altra forma; perchè partendomi prima, sare' causa d'una gran rovina, d'una gran vergognia e d'un gran peccato; e di questo vi prego per l'amor di Dio e di Santo Pietro ne preghiate il Duca, e racomandatemi a sua Signoria. Messer Giorgio mio caro, io so che voi conoscete nel mio scrivere ch'io sono alle 24 ore, e non nasce in me pensiero che non vi sia dentro sculpita la morte: e[468] Idio voglia ch'i' la tenga ancora a disagio qualch'anno.
A dì 22 di giugno 1555.
Vostro Michelagniolo Buonarroti in Roma.
[539]
Di Roma, 23 di febbraio 1556.
A messer Giorgio Vasari, amico caro in Firenze.
Messer Giorgio, amico caro. — Io posso male scrivere, ma pur per risposta della vostra dirò qualche cosa. Voi sapete come Urbino è morto:[469] di che m'è stato grandissima grazia di Dio, ma con grave mio danno e infinito dolore. La grazia è stata, che dove in vita mi teneva vivo, morendo m'à insegnato morire, non con dispiacere, ma con desidéro della morte. Io l'ò tenuto ventisei anni, et òllo trovato realissimo e fedele; e ora ch'io l'avevo fatto ricco e che io l'aspettavo bastone e riposo della mia vechieza, m'è sparito; nè m'è rimasto altra speranza che rivederlo in paradiso. E di questo n'à mostro segno Iddio per la felicissima morte ch'egli à fatto: e più assai che 'l morire, gli è incresciuto il lasciarmi vivo in questo mondo traditore, con tanti affanni; benchè la maggior parte di me n'è ita seco, nè mi rimane altro che un'infinita miseria.[470] E mi vi racomando e prègovi, se non v'è noia, che facciate mie scusa con messer Benvenuto[471] del non rispondere alla sua, perchè m'abonda tanta passione in simil pensieri, ch'io non posso scrivere; e racomandatemi a lui, e io a vo' mi racomando. A dì 23 di febraio 1556.
Vostro Michelagniolo Buonarroti in Roma.
[540]
Di Roma, 28 di maggio 1556.
A messer Giorgio Vasari, amico carissimo in Firenze.
Messer Giorgio. — Non ier l'altro parlai con messer Salustio[473] e non prima, perchè non è stato in Roma. Parmi che e' sia vòlto a farvi ogni piacere, ma pargli d'aspettare l'ocasione, e dice che volendo il Papa mettere la vostra tavola[474] altrove, e non facendo sua Santità niente di simil cose che nol chiami, tocherà a lui il porla dove meglio gli parrà: e allora sarà tempo ricordargli la mercè vostra: e ò speranza che vi gioverà assai, che così è il suo desiderio.
A dì 28 di maggio 1556.
Vostro Michelagniolo in Roma.
[541]
Di Roma, 28 di dicembre 1556.
(A Giorgio Vasari).
Messer Giorgio. — Io ò ricevuto il libretto di messer Cosimo,[475] che voi mi mandate, e in questa sarà una di ringraziamento che va a sua Signoria. Pregovi che gniene diate e a quella mi racomandiate. Io ò a questi dì auto con gran disagio e spesa un gran piacere nelle montagne di Spuleti[476] a visitare que' romiti, in modo che io son ritornato men che mezzo a Roma; perchè veramente e' non si trova pace se non ne' boschi. Altro non ò che dirvi. Mi piace che siate sano e lieto. E a voi mi racomando.
A dì 18 di dicembre 1556.
Vostro Michelagniolo Buonarroti in Roma.
[542]
Di Roma, 28 di marzo (1557).
(Alla Cornelia vedova dell'Urbino).
Io m'ero accorto che tu t'eri sdegniata meco, ma non trovavo la cagione. Ora per l'ultima tua mi pare avere inteso il perchè. Quando tu mi mandasti i caci, mi scrivesti che mi volevi mandare più altre cose, ma che i fazzoletti non erano ancor forniti; e io perchè non entrassi in ispesa per me, ti scrissi che tu non mi mandassi più niente, ma che mi richiedessi di qualche cosa, che mi faresti grandissimo piacere, sappiendo, anzi dovendo esser certa dell'amore che io porto ancora a Urbino, benchè morto, e alle cose sue. Circa al venir costà a vedere e' putti, o mandar qui Michelagniolo,[478] è di bisogno ch'io ti scriva in che termine io mi trovo. Il mandar qua Michelagniolo non è al proposito, perchè sto senza donne e senza governo, e il putto è troppo tènero per ancora, e potrìa nascere cosa, ch'io ne sarei molto malcontento: e dipoi c'è ancora, che 'l Duca di Firenze da un mese in qua, sua grazia, fa gran forza ch'io torni a Firenze con grandissime offerte. Io gli ò chiesto tempo tanto, ch'io acconci qua le cose mie, e che io lasci in buon termine la fabrica di San Pietro: in modo che io stimo star qua tutta questa state: e acconcie le cose mie e le vostre circa al Monte della Fede, questo verno andarmene a Firenze per sempre, perchè sono vechio, e non ò tempo di più ritornare a Roma; e passerò di costà; e volendomi dar Michelagniolo, lo terrò in Firenze con più amore, che i figliuoli di Leonardo mio nipote; insegnandogli quello che io so, che 'l padre desiderava ch'egli imparasse. Ieri a dì ventisette di marzo ebbi l'ultima tua lettera.
Michelagniolo Buonarroti in Roma.
[543]
Archivio di Stato in Firenze. Di Roma, ( del maggio 1557).
Allo illustrissimo signore Cosimo duca di Fiorenza.
Signor Duca. — Circa tre mesi sono, o poco meno ch'i' feci intendere a vostra Signoria, che io non potevo ancora lasciare la fabrica di Santo Pietro senza gran danno suo e senza grandissima mia vergognia; e che a volerla lasciare nel termine desiderato, non mancando le cose necessarie a quella, mi bisogniava non manco d'un anno di tempo ancora: e di darmi questo tempo, mi parve che vostra Signoria se ne contentassi. Ora ò una di nuovo pur di vostra Signoria, la quale mi sollecita al tornare più che io non aspettavo: ond'io n'ò passione e non poca, perchè sono in maggior fatica e fastidio circa le cose della fabrica ch'i' fussi mai; e questo è che nella vòlta della capella del Re di Francia, che è cosa artifiziosa e non usata, per esser vechio e non vi potere andare spesso, è natovi un certo errore, che mi bisognia disfare gran parte di quel che v'era fatto: e che cappella questa sia, ne può far testimonianzia Bastiano da Sangimigniano,[480] ch'è stato qua soprastante, e di quanta importanza ell'è a tutto il resto della fabrica. E corretta detta cappella, per tutta questa state credo si finirà; non mi resta a fare altro poi, che a lasciarci el modello[481] del tutto, com'io son pregato da ognuno e massimo da Carpi;[482] e poi tornarmi a Firenze con animo di riposarmi co' la morte, con la quale dì e notte cerco di domesticarmi, a ciò che la non mi tratti peggio che gli altri vechi.
Ora, per tornare al proposito, prego vostra Signoria mi conceda il tempo chiesto d'un anno ancora per conto della fabrica, come mi parve che per l'altra mia la si contentassi.
Minimo servo di vostra Signoria
Michelagniolo Buonarroti in Roma.
[544]
Di Roma, ( di maggio 1557).
(A Giorgio Vasari).[483]
Messer Giorgio, amico caro. — Io chiamo Iddio in testimonio, come io fu' contra mia voglia con grandissima forza messo da papa Pagolo nella fabrica di Santo Pietro di Roma dieci anni sono; e se si fussi insino a oggi seguitato di lavorare in detta fabrica, come si faceva allora, io sarei ora a quello di detta fabrica, ch'io ò desiderato, per tornarmi costà: ma per mancamento di lavori, ella s'è molto allentata: e allentasi, quando ella è giunta in più faticosa e difficil parte: in modo che abbandonandola ora, non sarebbe altro che con grandissima vergognia perdere tutto il premio delle fatiche ch'io vi ò durate in detti X anni per l'amor di Dio. Io vi ò fatto questo discorso per risposta della vostra, e perchè ò una lettera del Duca che m'à fatto molto maravigliare, che sua Signoria si sia degnata a scrivere con tanta dolcezza. Ne ringrazio Iddio e sua Eccellenzia quanto so e posso. Io esco di proposito, perchè ò perduto la memoria e 'l cervello, e lo scrivere m'è di grande afanno, perchè non è mia arte. La conclusione è questa: di farvi intendere quello che segue dello abbandonare la sopradetta fabrica, e partirsi di qua. La prima cosa, contenterei parecchi ladri, e sarei cagione della sua rovina, e forse ancora del serrarsi per sempre;[484] l'altra ch'io ci ò qualche obrigo e una casa e altre cose, tanto che vagliono qualche migliaio di scudi, e partendomi senza licenzia, non so come andassino; l'altra ch'io son mal disposto della vita e di renella, pietra e fianco, come ànno tutti e' vechi; e maestro Eraldo[485] ne può far testimonianza, che ò la vita per lui. Però il tornar costà per ritornar qua, a me non ne basta l'animo; e 'l tornarvi per sempre, ci vuole qualche tempo per assettar qua le cose in modo ch'io non ci abbi più a pensare. Egli è ch'io parti' di costà, tanto che, quand'io [545] giunsi qua, era ancor vivo papa Clemente, che in capo di duo dì morì poi.[486] Messer Giorgio, io mi raccomando a voi e pregovi mi raccomandiate al Duca, e che facciate per me[487] perchè a me non basta l'animo ora se non di morire, e ciò che vi scrivo dello stato mio qua è più che vero. La risposta ch'i' feci al Duca, la feci perchè mi fu detto ch'i' rispondessi, perchè non mi bastava l'animo a scrivere a sua Signoria e massimo sì presto; e se io mi sentivo da cavalcare, io venivo súbito costà e tornavo, che qua non si sarìa saputo.
Michelagniolo Buonarroti.
[546]
Di Roma, (17 d'agosto 1557).
(A Giorgio Vasari).
La cèntina segnata di rosso la prese il capomaestro in sul corpo di tutta la vôlta. Dipoi come si cominciò appressare al mezzo tondo, che è nel colmo di detta vôlta, s'accorse dell'errore che facea detta cèntina, come si vede qui nel disegno, che con una cèntina sola si governava, dove ànno a essere infinite, come son qui nel disegno le segnate di nero. Con questo errore è ita la vôlta tanto innanzi, che s'à disfare un gran numero di pietre, perchè in detta vôlta non ci va nulla di muro, ma tutto trevertino; e il diametro de' tondi senza la cornice che gli recigne è ventidue palmi. Questo errore, avendo il modello fatto appunto, com'io fo d'ogni cosa,[488] ma è stato per non vi potere andare spesso per la vechiezza: e dove io credetti che ora fussi finita detta vôlta, non sarà finita in tutto questo verno: e se si potesse morire di vergognia e dolore, io non sarei vivo. Pregovi raguagliate il Duca, perchè non sono ora a Firenze:[489] benchè più altre cose mi tengono che io non le posso scrivere.
Vostro Michelagniolo in Roma.
[547]
Di Roma, (17) d'agosto 1557.
A messer Giorgio Vasari in Firenze.
Messer Giorgio. — Perchè sia meglio inteso la difficultà della vôlta ch'io mandai disegnata, ve ne mando la pianta, che non la mandai allora, cioè detta vôlta, per osservare il nascimento suo insino di terra. È stato forza dividerle in tre vôlte, in luogo delle finestre da basso divise da pilastri, come vedete che vanno piramidati al mezzo tondo del colmo della vôlta, come fa il fondo e' lati della vôlta. Ancora e' bisognia governarle con un numero infinito di cèntine, e tanto fanno mutazione e per tanti versi di punto in punto, che non ci si può tener regola ferma; e' tondi e' quadri che vengono nel mezzo de' loro fondi, ànno a diminuire e acrescere per tanti versi e andare per tanti punti, che è difficil cosa a trovarne il modo vero. Nondimeno avendo il modello, com'io fo di tutte le cose, non si doveva mai pigliare sì grande errore di volere con una cèntina sola governare tutt'a tre que' gusci; onde n'è nato, ch'è bisogniato con vergognia e danno disfare: e disfassene ancora un gran numero di pietre. La vôlta e' conci e' vani è tutta di trevertino, come l'altre cose da basso: cosa non usata a Roma.
[490]Ringrazio quanto so e posso il Duca della sua carità, e Dio mi dia grazia ch'io possa servirlo di questa povera persona, ch'altro non c'è: la memoria e 'l cervello son iti a aspettarmi altrove.
D'agosto 1557.
Vostro Michelagniolo Buonarroti in Roma.
[548]
Di Roma, 28 di settembre 1558.
A messer Giorgio Vasari, pittore singularissimo in Firenze.
Messer Giorgio, amico caro. — Circa la scala della Libreria, di che m'è stato tanto parlato, crediate che se io mi potessi ricordare come io l'avevo ordinata, che io non mi farei pregare. Mi torna bene nella mente come un sogno una certa scala, ma non credo che sia apunto quella che io pensai allora, perchè mi torna cosa goffa, pure la scriverò qui: cioè, che se voi togliessi una quantità di scatole aovate, di fondo di un palmo l'una, ma non d'una lunghezza e larghezza; e la maggiore prima ponessi in sul pavimento, lontana dal muro dalla porta tanto, quanto volete che la scala sia dolce o cruda; e un'altra ne mettessi sopra questa che fussi tanto minore per ogni verso, che in su la prima, di sotto avanzassi tanto piano quanto vuole il piè per salire, diminuendole e ritirandole verso la porta fra l'una e l'altra, sempre per salire; e che la diminuzione dell'ultimo grado sia quant'il vano della porta; e detta parte di scala aovata abbi come due alie, una di qua et una di là; che vi seguitino e' medesimi gradi, ma diritti e non aovati; questi pe' servi e 'l mezzo pel signore, dal mezzo in su di detta scala; le rivolte di dette alie ritornino al muro; dal mezzo in giù in sino in sul pavimento, si discostino con tutta la scala dal muro circa tre palmi, in modo che l'imbasamento del Ricetto non sia occupato in luogo nessuno e resti libera ogni faccia. Io scrivo cosa da ridere, ma so bene che messer Bartolomeo e voi troverete cosa al proposito.[492]
Del modello che mi scrivete, non sapete voi che non accadeva scriverne niente, ma súbito mandarlo ove piacessi al Duca? E non che il modello, ma [549] volessi Iddio che qua si trovassi qualche cosa bella a mio modo, che io non guarderei in cosa nessuna per mandarla a sua Signoria. De le offerte grandissime, prego ne ringraziate sua Signoria. So bene che non le merito, ma pure ne fo capitale.[493]
Roma, 28 settembre 1558.
Vostro Michelagniolo in Roma.
[550]
Di Roma ( di gennaio 1559).
(A messer Bartolommeo Ammannati in Firenze).
Messer Bartolomeo. — Io vi scrissi com'io avevo fatto un modello piccolo di terra della scala della Libreria; ora ve lo mando in una scatola, e per esser cosa piccola non ho potuto fare se non l'invenzione, ricordandomi che quello che già vi ordinai, era isolato e non s'appoggiava se non alla porta della Libreria. Sommi ingegnato tenere il medesimo modo, e le scale che mettono in mezzo la principale, non vorrei ch'avessin nella stremità balaustri, come la principale, ma fra ogni due gradi un sedere, come è accennato dagli adornamenti. Base, cimase a que' zoccoli ed altre cornicie non bisogna che io ve ne parli, perchè siate valente, e essendo nel luogo, molto meglio vedrete il bisogno che non fo io. Della altezza e larghezza occupatene il luogo manco che potete col ristrigniere e allargare come a voi parrà.
Ò openione che quando detta scala si facesse di legname, cioè d'un bel noce, che starebbe meglio che di macigno e più a proposito a' banchi, al palco e alla porta.[495] Altro non m'acade. Son tutto vostro, vechio, cieco e sordo e mal d'acordo con le mani e con la persona.
Vostro Michelagniolo Buonarroti in Roma.
[551]
Archivio di Stato in Firenze. Di Roma, 1 di novembre 1559.
(Al duca Cosimo de' Medici).
Illustrissimo signor Duca di Firenze. — I Fiorentini ànno avuto già più volte grandissimo disidèro di far qua in Roma una chiesa di Sangiovanni. Ora a tempo di vostra Signoria sperando averne più comodità, se ne sono resoluti, e ànno fatto cinque uomini sopra di ciò, e' quali m'ànno più volte richiesto e pregato d'un disegnio per detta chiesa. Sappiendo io che papa Leone dètte già prencipio a detta chiesa, ò risposto loro non ci volere attendere senza licenzia e commessione del Duca di Firenze. Ora come si sia seguito poi, io mi truovo una lettera della vostra Illustrissima Signoria molto benignia e graziosa, la quale tengo per espresso comandamento, che io debba attendere alla sopradetta chiesa de' Fiorentini, mostrando averne aver piacer grandisimo. Ònne fatti già più disegni[497] convenienti al sito che m'ànno dato per tale opera i sopradetti deputati. Loro, come uomini di grande ingegnio e di gudicio, n'ànno eletto uno, el quale in verità m'è parso el più onorevole; el quale si farà ritrarre e disegniare più nettamente, ch'io non ò potuto per la vecchiezza, e manderassi alla Illustrissima vostra Signoria: e quello si eseguirà che a quella parrà.
Duolmi a me in questo caso assai esser sì vechio e sì male d'acordo con la vita, che io poco posso promettere di me per detta fabrica; pure mi sforzerò, standomi in casa, di fare ciò che mi sarà domandato da parte di vostra Signoria, e Dio voglia ch'i' possa non mancar di niente a quella. A dì primo novembre 1559.
Di vostra Eccellenza servitore
Michelagniolo Buonarroti in Roma.
[552]
Archivio di Stato in Firenze. Di Roma, 5 di marzo 1560.
Allo Illustrissimo et Eccellentissimo signor Duca di Firenze et Siena, mio padrone osservandissimo.
Illustrissimo Signor mio osservandissimo. — Questi deputati sopra la fabrica della chiesa de' Fiorentini si sono resoluti mandare Tiberio Calcagni a vostra Eccellenza Illustrissima: la qual cosa mi è molto piaciuta, perchè con i disegni che egli porta, ella sarà capace più che colla pianta che vidde, di quello ci occorrerebbe di fare; e se questi le sodisfaranno, si potrà dipoi dar principio con lo aiuto della vostra Eccellenza a fare li fondamenti, e a seguitare questa santa impresa. E mi è parso il debito mio con questi pochi versi dirle, avendomi la vostra Eccellenza comandato che io attenda a questa fabrica, che io non mancherò di quanto saperrò et potrò fare, sebene per la età e indisposizione mia non posso quanto vorrei, e che sarebe il debito mio di fare per servizio di vostra Eccellenza e della Nazione. Alla quale con tutto il quore mi racomando e offero, e prego Iddio la mantenghi in felicissimo stato.
Di Roma, alli V di marzo 1560.
(Sottoscritto) Di vostra Eccellenza servitore
Michelagniolo Buonarroti.
[553]
Archivio di Stato in Firenze. Di Roma, 25 d'aprile 1560.
A l'illustrissimo Duca di Fiorenza.
Illustrissimo signor Duca. — Io ò visto e' disegni delle stanze dipinte da messer Giorgio,[500] e il modello della sala grande[501] con il disegnio della fontana di messer Bartolommeo che va in detto luogo. Circa alla pittura m'è parso veder cose maravigliose, come sono e saranno tutte quelle che sono e saran fatte sotto l'ombra di vostra Eccellenza. Circa al modello della sala così com'è, mi par basso; bisognerebbe, poichè si fa tanta spesa, alzarla almeno braccia 12. Circa alla correzione del palazzo, a me pare, per i disegni che ò visti, non si potesse accomodar meglio. Quanto alla fontana di messer Bartolommeo che va in detta sala, mi pare una bella fantasia che riuscirà cosa mirabile; del che io prego Dio che vi dia lunga vita, acciò che quella possa condurre e queste e dell'altre cose. Circa alla fabrica de' Fiorentini qua, mi duole esser sì vechio e vicino alla morte per non poter sadisfare in tutto al desiderio suo; pur vivendo farò quanto potrò: e a quella mi raccomando. Di Roma li dì 25 di aprile 1560.
Di vostra Eccellenza Illustrissima servitore
Michelagniolo Buonarroti.
[554]
Archivio Buonarroti. Di Roma, (1560).
(Al cardinale Rodolfo Pio da Carpi).[502]
Monsignore reverendissimo. — Quando una pianta à diverse parti, tutte quelle che sono a un modo di qualità e quantità, ànno a essere adorne di un medesimo modo e d'una medesima maniera; e similmente e' loro riscontri. Ma quando la pianta muta del tutto forma, è non solamente lecito, ma necessario, mutare dal detto ancora gli adornamenti, e similmente e' loro riscontri: e i mezzi sempre sono liberi come vogliono; siccome il naso, che è nel mezzo del viso, non è obligato nè all'uno nè all'altro ochio, ma l'una mano è bene obligata a essere come l'altra, e l'uno ochio come l'altro, per rispetto degli lati e de' riscontri. E però è cosa certa, che le membra dell'architettura dipendono dalle membra dell'uomo. Chi non è stato o non è buon maestro di figure, e massime di notomia, non se ne può intendere.
Michelagniolo Buonarroti.
[555]
Di Roma, (1560).
A' Soprastanti della Fabrica di Santo Pietro.
Voi sapete che io dissi al Balduccio che non mandassi la sua calce, se la non era buona. Ora avendola mandata trista, senza dubbio d'aversela a ripigliare, si può credere che e' si sia patteggiato con chi l'à accettata. Questo fa un gran favore a quegli che io ò cacciato di detta fabrica per simil conto: e chi accetta le cose cattive, necessarie a detta fabbrica, avendole io proibite, non fa altro che farsi amici quelli che io m'ò fatti nimici. Credo che la sarà una lega nuova. Le promesse, le mancie, e' presenti corrompon la iustizia. Però vi prego da qui innanzi, con quella autorità che ò io dal Papa, non accettiate cosa nessuna che non sia al proposito, se ben la venissi dal Cielo; acciò che non paia, come non sono, parziale.
Vostro Michelagniolo.
[556]
Archivio Buonarroti. Di Roma, (10 di gennaio 1560).
(A Pier Filippo Vandini a Casteldurante).
Magnifico messer Pier Filippo.[504] — Per risposta della vostra lettera delli X del presente, vi dico che ancora io ò parere da' dottori, che essendo vero che la casa non per fondo dotale, ma per estimo di 500 fiorini sia stata consegnata alla Cornelia,[505] ella non è obligata a repigliarse la casa; ma può avere li danari s'ella vuole. Ma perchè mi pare di conoscere, che la Cornelia vorrebbe stare in casa et avere li 500 fiorini et pigliarsi forse le migliore terre che possedono costì cotesti poveri pupilli; essendo in questo, al parere mio, poco amorevole madre; mi pare che doviamo per debito nostro operare di modo, che le robbe delli pupilli non siano delapidate: et però forse sarebbe bene di vedere se la casa si potesse vendere 500 fiorini, et se fosse possibile 800, come intendo che vale, et in effetto quel maggior prezzo che si possesse; considerando che, avendosi alienare beni stabili, sia molto meglio per li pupilli alienare la casa che li campi, che pigliare li denari del Monte, che tuttavia guadagnano et aumentano, atteso massime che li pupilli per tre o quattro scudi l'anno averanno a pigione una buona casa, et non verranno alienare le cose più fruttifere: et forse la Cornelia, come intenderà che volete vendere la casa, muterà fantasia et si risolverà a pigliare la casa, non le riuscendo quei disegni et pensieri che ella à fatto. Et questo è il mio parere, rimettendomi sempre alla prudenza et amorevolezza vostra, che siete in fatto, possete molto meglio giudicare et consigliarvi che io non posso fare io: e mi sarìa anco caro se vi paresse che avanti si inovasse altro, voi, come cortesemente mi offerite, [557] veniste a Roma, et ci abbocassimo insieme, perchè meglio ci intenderemo, meglio ci risolveremo, et meglio darimo forma alle cose di cotesti poveri orfanelli. Vi prego dunque con tutto il cuore, che quanto prima vi tornerà bene, noi facciamo questo abbocamento. Et con tutto il cuore mi racomando a voi et alli pupilli. Di Roma il dì....[506]
[558]
Archivio Buonarroti. Di Roma, 13 di settembre 1560.
All'Illustrissimo e Reverendissimo Signore et Padrone Colendissimo il signor Cardinale di Carpi.
Illustrissimo et Reverendissimo Signore et Padrone mio colendissimo. — Messer Francesco Bandini[508] mi à detto ieri che vostra Signoria Illustrissima et Reverendissima gli disse che la fabbrica di San Pietro non poteva andar peggio di quello che andava: cosa che mi è molto veramente doluta, sì perchè ella non è stata informata del vero, come ancora che io, come io debbo, desidero più di tutti gli altri uomini che la vadi bene. Et credo, s'io non mi gabbo, poterla con verità assicurare, che, per quanto in essa ora si lavora, la non potrebbe meglio passare. Ma perciochè forse il proprio interesse et la vechieza mi possono facilmente ingannare, et così contra l'intenzione mia far danno o pregiudizio alla prefata fabbrica; io intendo, come prima potrò, domandare licenza alla Santità di nostro Signore: anzi, per avanzar tempo, voglio supricare, come fo, vostra Signoria Illustrissima et Reverendissima, che sia contenta liberarmi da questa molestia, nella quale per li comandamenti de' Papi, come ella sa, volentieri so' stato gratis già 17 anni. Nel qual tempo si può manifestamente veder quanto per opra mia sia stato fatto nella suddetta fabbrica. Tornandola efficacemente a pregare di darmi licenza, che per una volta non mi potrebbe far la più singulare grazia. Et con ogni reverenza, umilmente bascio la mano a vostra Signoria Illustrissima et Reverendissima.
Di Casa, in Roma il dì 13 di settembre nel LX.
Di vostra Signoria Illustrissima et Reverendissima.
Umile servo
[559]
Archivio Buonarroti. Di Roma, (del novembre 1561).
(Ai Deputati della Fabbrica di San Pietro).
Signori Deputati. — Essendo io vechio et vedendo che Cesare[510] è tanto occupato nello offizio suo per le cose della fabbrica, perchè gli uomini restano spesse volte senza capo; però m'è paruto necessario dare a detto Cesare, Pierluigi[511] per suo compagno, quale conosco persona d'utile et onore per la fabbrica; perchè ancora era solito della fabbrica e perchè stando in casa mia, mi potrà ragguagliare la sera quello si farà il giorno. Al quale le Signorie vostre li faranno ordinare il suo mandato della sua provisione cominciata il primo di questo mese, della quantità di quella di Cesare: altrimenti io la pagarò del mio: perchè io son resoluto, conoscendo il bisogno e utile della fabbrica, che vi stia. E a vostre Signorie mi racomando.
[560]
Museo Britannico. Di Firenze, 7 di gennaio 1524.
Aggiunta.
(A Giovanni Spina).
Giovanni. — L'aportatore di questa sarà Antonio di Bernardo Mini che sta meco, al quale pagerete ducati quindici d'oro per conto de' modegli delle sepolture della sagrestia di San Lorenzo, che io fo per papa Clemente.
A dì sette di gennaio mille cinque cento ventitre.
Ricievuto detto dì.
Vostro Michelagniolo scultore in Firenze.
FINE DELLE LETTERE A DIVERSI.
DAL 1505 AL 1563.
Sepoltura di Giulio II.
Arch. Buon.
1505?
Per conto della sepultura mi bisogna ducati quattro cento ora e dipoi cento ducati il mese per il medesimo conto, come sono i nostri primi patti.
Pittura della Sistina.
Museo Brit.
1508 10 di maggio.
Ricordo come oggi questo dì dieci di maggio nel mille cinque ciento otto io Michelagniolo scultore ò ricievuto dalla Santità del nostro signore papa Iulio secondo, ducati cinque ciento di camera, e' quali mi contò messer Carlino cameriere e messer Carlo degli Albizzi, per conto della pittura della vôlta della cappella di papa Sisto,[512] per la quale comincio oggi a lavorare, con quelle condizione e patti che appariscie per una scritta di monsignor reverendissimo di Pa(via)[513] e sottoscritta di mia mano.
Pe' garzoni[514] della pittura che s'ànno a far venire da Fiorenza, che saranno garzoni cinque, ducati venti d'oro di camera per uno, con questa condizione; cioè, che quando e' saranno qua e che e' saranno d'accordo con esso noi, che i detti ducati venti per uno che gli àranno ricevuti, vadino a conto del loro salario; incominciando detto salario il dì che e' si partino da Fiorenza per venire qua. E quando non sieno d'accordo con esso noi, s'abbi a esser loro la metà di detti danari per le spese che àranno fatto a venire qua e per il tempo.
[564]
Sepoltura di Giulio II.
Arch. Buon.
1515 dal 6 di magg. al 14 di giugno.
Nota de' danari che à 'uti Michelagniolo scultore per conto della sepoltura di papa Iulio:
Addì vj di maggio ducati 200 d'oro di camera | Duc. 200 |
Addì xiiij di giugno ducati 200 d'oro di camera | Duc. 200 |
Addì xxiij di luglio ducati 200 d'oro di camera | Duc. 200 |
Addì xxvij di agosto ducati 200 d'oro di camera | Duc. 200 |
Addì xv d'ottobre ducati 200 d'oro di camera | Duc. 200 |
Addì xij di dicienbre ducati 200 d'oro di camera | Duc. 200 |
Addì xx di febbraro ducati 200 d'oro di camera | Duc. 200 |
Addì xiiij di giugno ducati 600 d'oro di camera | Duc. 600 |
Duc. 2000 |
1516 5 di gennaio.
E a dì cinque di giennaio ò ricievuto da Bernardo Bini ducati cinque ciento d'oro di camera.
El ditto dì cinque di giennaio ebi ancora dal detto Bernardo ducati ciento d'oro di camera.
24 di marzo.
Io Michelagniolo ò ricievuto oggi questo dì venti quatro di marzo da Bernardo Bini una lettera di ducati mille secento d'oro largi, e' quali m'ànno a pagare e' Lanfredini in Firenze, e quando gli àrò ricievuti, anderanno al sopra detto conto.
30 d'agosto.
Io Michelagniolo ò ricievuto oggi questo dì penultimo d'agosto nel mille cinque cento sedici da' Lanfredini di Firenze ducati cinquecento largi, e oggi otto dì n'ebbi mille: che sono in tutto mille cinque cento largi, e' quali m'à fatto pagar qua Bernardo Bini pel sopra detto conto, cioè mille cinque cento largi. Fini' riscuotere il penultimo dì d'agosto nel mille cinque cento sedici per sopra detto conto.
29 di novemb.
Io Michelagniolo ò ricievuto oggi questo dì venti nove di novembre da Bernardo Bini ducati quattrocento d'oro di camera.
1517 2 di gennaio.
Io Michelagniolo ò avuti oggi questo dì dua di giennaio mille cinque cento sedici da Lanfredino Lanfredini e conpagni di Firenze ducati quattrocento largi d'oro, e' quali ricevè per me Buonarroto mio fratello, per una di cambio di Bernardo Bini di Roma.
1518 di febbraio.
E a dì.... di febraio mille cinque cento diciasette ebi da' Lanfredini per Bernardo Bini per conto della sepultura di papa Iulio, ducati quatrocento d'oro largi.
Facciata di San Lorenzo.
Museo Brit.
1516 1 di dicembre.
El primo dì di dicembre mille cinque cento sedici andai da Carrara a Roma a papa Leone per conto della facciata di San Lorenzo, e a dì sei di giennaio fui ritornato a Carrara: dua uomini e dua cavalli.
[565] In Carrara per cercare delle colonne per detta opera ducati cinquanta a Cagione, ducati venti sei al Cucherello, ducati diciotto al Mancino. Dua volte da Carrara venni a vedere el modello che facea Baccio d'Agnolo, ch'è un mese, dua uomini e dua cavalli.
Venni da Carrara a segniare e' fondamenti di detta facciata di San Lorenzo e fargli fare: un mese dua uomini e dua cavalli.
A' primi scarpellini che io menai a Seravezza ducati venticinque in sull'osteria per infino che io fe' contratto con loro e in sul contratto ducati cento.
A Sandro di Poggio ducati cento.
A maestro Domenico e suo fratello ducati cento.
Al Zucha ducati cento cinquanta.
A Bardoccio ducati cinquanta dua.
A Michele ducati diciotto.
A Donato ducati cinquanta sette.
A Francesco Peri ducati dugiento settanta.
Nel collare la prima colonna, ducati sessanta.
Nel collare la seconda, ducati trenta.
El marmo che i' ò in Firenze per fare una figura per detta opera, ducati settanta.
Cinquanta dua ducati mandati ora a Carrara per figure per detta opera: un mese e mezzo v'è stato ora Pietro[515] per dette figure con un cavallo e un garzone.
Otto mesi sono stato a cavallo, cioè dua cavalli e dua uomini: otto mesi.
In fare cavare da me e sterrare e cercare di marmi a Seravezza, ducati quaranta.
Fra scafaioli e carradori ducati dugiento cinquanta, e dieci ducati riebbi manco dagli scalpellini di Pietra Santa, di cento che io dètti loro, non volendo lor cavare.
Museo Brit.
1516 5 di dicembre.
A dì cinque di dicembre mille cinque cento sedici andai da Carrara a Roma a papa Leone, che mandò per me per conto della facciata di San Lorenzo.
1517 7 di gennaio.
E a dì sei, ovvero sette (di gennaio), sendo tornato a Carrara d'accordo col Papa a parole, giunse detto dì in Carrara uno detto Bentivoglio mandato da Iacopo Salviati, e portommi mille ducati da Iacopo Salviati per conto del Papa per l'opera di San Lorenzo.
d'agosto
Poi l'agosto (31) vegniente mi fece detto papa Leone venire a Firenze a fare un modello di legniame di detta opera: ond'io m'ammalai e Pietro che sta meco, e fùmo per morire. Di poi feci detto modello e manda'lo a Roma. E come el papa Leone lo vide, mi scrisse andassi là: così andai e là fùmo d'accordo di sopra detta opera e tolsila a fare in cottimo, come apparisce per la scritta: e volse detto papa Leone che el lavoro mio[516] di Roma io lo conducessi a Firenze a fare, per poter servire lui: e lui mi promesse cavarmi di tutte le spese del condurre in qua e ricondurre in là e di gabelle e danni e interessi, benchè la scritta nol dica.
1518 dal 6 al 25 di febbraio.
Museo Brit.
1519 dal 20 al 26 di marzo.
A' dì sei di febraio seguente mille cinque cento diciassette tornai, ovvero giunsi a Firenze e a dì venti cinque ebbi da Iacopo Salviati ducati ottocento per papa Leone per detta opera e [566] andai a Carrara: e mutandomi e' Carraresi e' patti fatti prima de' marmi di detta opera, andai a cavare a Pietra Santa e fecivi l'avviamento che oggi si vede fatto: che mai più innanzi v'era stato cavato: e attesi a cavare per detta opera in sino a dì venti di marzo mille cinque cento diciotto: e avendo a ordine, ovvero bozzate sei colonne di undici braccia e mezzo l'una per detta opera e molti altri marmi, come ancora si vede, venni a Firenze al Cardinale a chiedere danari per condurle. E a dì venti sei di marzo mille cinque cento diciannove mi fece pagare el cardinale de' Medici da' Gaddi per conto di papa Leone detto per detta opera, ducati cinque cento.
Nel collare la prima colonna, ducati sessanta. Vero è che la maggior parte fu nella mattina nel collare la seconda: undici nelle girelle di bronzo e sei nelle casse del ferro e in argani e in parati e in omini, ducati trenta: el marmo che i' ò in Firenze per fare una figura per la faccia, ducati settanta mi viene a me.
Cinquanta dua ducati dati ora di nuovo a Carrara ec.
In fare cavare da me a Seravezza e in fare sterrare e cercare d'avviamenti per fare cavare, ducati circa quaranta. Àcci di spesa fra scafaioli e carradori ducati circa dugiento cinquanta.
Dieci ducati riebbi manco dagli scarpellini di Pietra Santa, di cento che io dètti loro perchè e' cavassino, non volendo lor poi cavare.
Venni per fare el modello da Carrara e ammala'mi. Dipoi lo feci e mandai Pietro con esso a Roma: dipoi andai io: che fùrno circa tre mesi, ogni cosa a mie spese, salvo che le giornate d'un garzone. Per cera che pagò Bernardo Nicolini.
Fui ancora mandato da Roma a Seravezza innanzi vi si cominciassi a cavare, a vedere se v'era marmi: che spesi in quella gita circa venticinque ducati.
De' danni mia non si seguitando la sopradetta opera a Roma, le masserizie di casa, marmi e lavori fatti e levare e' marmi lavorati di Firenze e ricondurgli a Roma, e 'l tempo che io non ò lavorato per questo conto.
Arch. Buon.
1516 dal 5 al 15 di settembre.
Ricordo come oggi questo dì cinque di settembre giunsi in Carrara nel mille cinque cento sedici.
E a dì sette di detto mese tolsi a pigione una casa di Francesco di Pelliccia.
E a dì quattordici del detto prestai al detto Francesco di Pelliccia ducati venti largi, come apparisce per una sua scritta.
E a dì quindici del detto prestai al Mancino, figliuolo di Gian Pagolo di Cagione, e a Betto di Nardo suo compagno, ducati tre largi in sulla porta della chiesa di Carrara, presente Matteo di Cuccherello, con condizione che cavando loro marmi al mio proposito, io ne pigliassi, e andassino in quel conto; e nol facendo, me gli avessino a rendere.
Arch. di Stato in Firenze. 1517 3 di gennaio.
Io Michelagniolo di Lodovico Buonarroti ò ricievuto ogi questo dì tre di gennaio in Carrara da papa Leone ducati mille d'oro largi per le mani di Iacopo Salviati: e' quali m'à mandati detto Iacopo per uno suo servitore detto Bentivoglio fiorentino qui in Carrara, come è detto: e e' detti danari, ciò è ducati mille, gli ò a spendere per commessione di detto papa Leone [567] i' marmi per la facciata di San Lorenzo di Firenze che lui vuole fare. E per fede di ciò io Michelagniolo detto ò fatto questa quitanza di mia propria mano, questo dì sopra detto nel mille cinque cento sedici.
(Fuori d'altra mano.)
1516. Quitanza di Michelagniolo Buonarroti di ducati M d'oro mandatoli a Carrara.[517]
Arch. Buon.
1517 21 gennaio.
Ricordo come oggi questo dì venti uno di gennaio mille cinque cento sedici, lasciai a serbo a maestro Domenico scultore[518] da Settignano in Carrara, ducati mille d'oro larghi, e scudi diciassette per tanto ch'io tornassi da Firenze o io, o altri per me.
7 detto.
Adì sette di gennaio parti' da Firenze per Pietrasanta, e portai sessantuno ducato meco.
Per le pianelle ducati cinque.
A Meo fondatore ducati sei ò a scrivere.
5 di febbraio.
Pietro di Francesco da Sa' Piero a Ponti fornaciaro ducati tre, a dì cinque febraio.
1516 5 di dicembre.
Ricordo come io Michelagniolo di Lodovico Simoni sendo a Carrara per mie faccende, ebbi da papa Leone che io dovessi andare insino a Roma per conto della facciata di San Lorenzo: ond'io a dì 5 di dicembre mille cinque cento sedici mi parti' da Carrara e andai al detto papa, e restato d'accordo, seco mi tornai a Carrara: e quando fui a Firenze, lasciai a Baccio d'Agnolo el disegno che avevo fatto a Roma di detta opera, che ne facessi un modello. [31 detto.] Dipoi send'io giunto a Carrara l'ultimo di dicembre sopradetto, tornato da Roma, (ebbi) adì circa otto del mese seguente [1517 8 di gennaio.], da papa Leone ducati mille d'oro, cioè ducati mille larghi, e' quali mi mandò Iacopo Salviati a Carrara per uno suo servidore chiamato Bentivoglio. Poi passato circa un mese, venni da Carrara a Firenze dua volte, come mi fu commesso, a vedere il modello che io avevo lasciato a fare al detto Baccio, e ancora venni poi un'altra volta, come mi fu scritto dal Papa per Domenico Boninsegni di Carrara, a far fare e a segnare e' fondamenti della detta facciata di San Lorenzo. E veduto all'ultimo che 'l detto Baccio non aveva saputo o voluto fare el modello secondo el mio disegno; send'io ritornato a Carrara alle mia faccende, mi fu riscritto dal Papa pel detto Domenico ch'io dovessi lasciare ogni cosa e ritornare a Firenze a far fare io el detto modello: e così feci: e parti'mi da Carrara all'ultimo d'agosto [31 d'agosto.], e feci fare el modello, e Bernardo Niccolini pagò el legname e le giornate d'un garzone che lo lavorò. Dipoi lo mandai a Roma e mandai seco un mio garzone:[519] ogni cosa a mia spese, salvo che el mulattiere non pagai io. Dipoi giunto il mulattiere a Roma col modello, ebbi lettere che io dovessi andar subito là: e così andai: ogni cosa [568] sempre a mia spese: e giunto al Papa, restàmo di nuovo d'accordo insieme, come apparisce per dua scritte della sopradetta opera. [1518 6 di febbraio.] E dipoi a dì sei di febbraio giunsi a Firenze per andare a Carrara a dare ordine a' marmi per detta opera; e stetti a Firenze per insino a dì venticinque di febbraio 1517 [25 detto.]; el qual dì ebbi da papa Leone per le mani di Iacopo Salviati ducati ottocento d'oro larghi.
1517 25 d'aprile.
Ricordo[520] come Michelagnolo comperò da Lotto da Carrara una pietra che è grossa per ogni verso 4 braccia, cioè a Sponda, e detteliene 10 ducati e io per lui Piero Urbano da Pistoia liene contai in bottega di Bernardino del Berrettaio, presente lui, Bernardino e Lazero di Petorso da Carrara amendui, cioè li contai contanti scudi dieci .... scudi 10.
5 d'agosto.
Ricordo come oggi questo dì 5 di agosto 1517, Domenico di Betto di Nardo da Torano ebbe oggi questo dì sopra scritto da Michelagnolo ducati uno per conto di bozzare certi marmi che lui à al Polvaccio, in presenzia di me Piero Urbano suo garzone: cioè ducati uno .... duc. 1.
E più dètte a dì 5 d'agosto 1517 dètte Michelagnolo a Iacopo detto Pollina da Torano ducati due per bozzare certi marmi che el detto Michelagnolo à al Polvaccio, in presenzia di Matteo di Cuccarello e di me Piero Urbano soprascritto: cioè ducati due .... duc. 2.
14 detto.
E più dètte Michelagnolo a dì 14 d'agosto al Pollina ducati uno e uno ducato a Menico di Betto di Nardo da Torano per conto di lavorare certi marmi che sono in sulla cava di Lione che li comperò da maestro Domenico fiorentino.[521]
Io Piero Urbano tengo conto de' danari che io spendo per Michelagnolo.
1518 2 di gennaio.
E a dì 2 di gennaio 1517 ebbe mona Vegnuta da maestro Domenico fiorentino uno scudo per Michelagnolo che gliel dèsse .... scudi 1.
22 detto.
E dì 22 di gennaio 1517 entrò Michelagnolo in casa di Francesco Maria a pigione; l'à tolta da monna Vegnuta, che gliene dà uno scudo el mese.
14 di febbraio.
E più a dì 14 di feraio 1517 ebbe da Piero Urbano; prèstolesi per Michelagnolo; carlini tre.
22 detto.
E più a dì 22 feraio 1517 ebbe da me Piero Urbano da Pistoia Francesco Maria carlini 11, 16, per conto di pigione de la sopra scritta casa, per Michelagnolo. Li pagai che mel commesse.
5 di marzo.
E più ò dati stasera a dì 5 di marzo 1517 scudi 3 al sopradetto Francesco Maria: e' quali scudi ne richiese Michelagnolo in presto, dicendo volere ire a Firenze e io lien'ò portati, com'è detto, presente la madre, cioè mona Novella, e Cagione e Tone loro parenti.
10 di giugno.
E a dì 10 di giugno 1518 dètti io Piero Urbano per Michelagnolo a Francesco Maria scudi 1 per conto della casa, in presenzia de la moglie di ser Galvano, e la madre.
4 d'agosto.
E più a dì 4 d'agosto 1518 ebe Francesco Maria sopra scritto ducati uno da Michelagnolo: io per lui lielo dètti per conto della casa che elli à a pigione: cioè ducati 1.
[569]
1517 12 di febbraio.
Ricordo come stasera a dì dodici di febbraio ò pagato a maestro Domenico detto Zara, presente maestro Giovanni suo fratello, da Settignano, scudi sette e mezzo d'una pietra che e' m'à venduta, che lui avea al Polvaccio nel ravanetto di Leone, lunga braccia circa sei e e larga due e mezzo e grossa un braccio e dua terzi.
30 d'aprile.
E a dì 30 d'aprile 1517 ricordo come Michelagnolo di Lodovico Buonarroti dètte al Pollina scudi 4 per bozzare certi marmi ch'el detto Michelagnolo à al Polvaccio; e 'l detto Pollina li promesse in presenzia di me Piero Urbano e ser Lionardo, e disse di cominciare fra 10 o dodici dì: e 'l detto ser Lionardo ne fu rogato per un contratto, che n'appare per lui, cioè scudi 4 in presenzia di me Piero Urbano sopra scritto, e messer Lionardo: glieli dètte el detto Michelagnolo .... scudi 4.
16 di maggio.
Ricordo[522] come oggi questo dì sedici di maggio, Lionardo detto Casione di Carrara m'ha domandato scudi quattro o cinque per dare a' lavoranti per conto di cento carrate di marmi ch'e' m'à cavare e dare in barca, come apparisce per contratto in forma Camera di ser Calvano da Carrara; e io gli ho dati scudi dieci in piazza, sotto la casa d'Andrea Ferraro, presente il mio garzone, cioè Pietro Urbano da Pistoia, e lui mandai in casa per essi il detto dì nel mille cinque cento diciassette.
Io Michelagniolo scultore, di Lodovico Buonarrota Simoni, fiorentino, in Carrara.
25 di giugno.
E più ebbe a dì 25 di giugno 1517 da me Piero Urbano scudi 2 per abbozzare certi marmi che sono al Polvaccio per Michelagnolo; glieli pagai in presenzia del detto Michelagnolo in Carrara, contanti .... scudi 2.
9 di luglio.
Al nome di Dio, a dì 9 di lugio 1517.
Prima noi metiamo d'una carata el pezo o de' dua, dui ducati la carata.
E de tre in fine a sei carata, ducati quatro la carata.
E de sete fine in otto carata, ducati cinque la carata.
E de novi e de diece carata, ducati sete la carata.
E le colone col capitelo e la basa, metiamo ducati 120 l'una.
E de architravi di carate 15 l'uno, metiamo ducati 90 l'uno.[523]
12 detto.
A dì 12 di luglio 1517.
Io Piero Urbano da Pistoia dètti a Toschino scudi uno, perchè Matteo di Cuccarello lo chiese a Michelagniolo per conto di certi marmi ch'el detto Matteo e 'l Mancino in solido li fanno al Polvaccio, come n'appare per un contratto di ser Calvano; e per questo el detto [570] Michelagnolo gliel'à dato. E io Piero sopra scritto per comandamento di Matteo lo dètti al detto Toschino in presenzia di Cagione, dì e anno ec. scudi 1.
1517 17 di luglio.
Ricordo come oggi questo dì diciassette di luglio 1517 io Michelagniolo ò dato al Bello di Torano scudi sei, presente ser Lionardo, notaio di Carrara, e Francesco d'Andrea di Nello; e detti sei scudi gli ò dati per conto d'un pezzo grande di marmo che lui mi dice volermi cavare in una cava, dove è entrato di nuovo a cavare; e non gli riuscendo, siàno d'accordo e' detti scudi vadino a conto de' marmi che lui e 'l compagno tolgono a cavarmi più mesi sono, come apparisce per un contratto di ser Lionardo sopra scritto.
21 detto.
Ricordo come oggi questo dì venti uno di luglio 1517 Matteo di Cuccherello mi fece dare uno scudo, presente ser Antonio da Massa, a maestro Iansi da Torano, perchè gli acconciassi el carretto per tirare cinque delle mia pietre che io ò al Polvaccio; tre di sei carrate l'una, una di tre carrate, e una di dua. E 'l detto Matteo l'à tolte a condurre alla marina per ventisei ducati: e 'l detto scudo è per questo conto.
22 detto.
E oggi questo dì venti dua di luglio 1517 ò dati al Mancino, a Matteo di Cuccherello, a Betto di Nardo scudi dua per conto di marmi che mi fanno a compagnia al Polvaccio nella cava del detto Mancino, come apparisce per uno contratto di ser Calvano. E e' detti dua scudi dètti loro, presente Vasotto a riscontro la sua bottega.
Ancora questo dì detto venti dua di luglio 1517 dètti scudi dua al Pollina in piazza, presente Francesco di Nardo, per conto di certe pietre che lui e 'l figliuolo mi bozzano al Polvaccio.
27 detto.
E a dì venti sette di luglio dètti a Matteo di Cuccherello e a maestro Iansi, fratello di Marcuccio, ducati nove d'oro larghi in sulla bottega di Vasotto, sua presenzia, per conto di cinque pietre ch'e' m'ànno a tirare alla marina dal Polvaccio; tre di sei carrate l'una, e una di tre carrate, e una di due per ducati venti sei a tutte loro spese.
28 detto.
E a dì venti otto del detto, dètti un ducato a Menichella, figliuolo di Betto di Nardo, che mi bozzassi certe pietre al Polvaccio.
8 d'agosto.
[524]E addì 8 di agosto 1517 ebbe Matteo di Cuccarello da Michelagnolo ducati sette d'oro per conto della allogagione che detto Michelagnolo à fatto a detto Matteo, cioè di tirare alla marina cinque prete (pietre) che sono al Polvaccio. E io Piero Urbano li dètti e' sette ducati in presenzia di Vasotto. Glieli dètti e contàli in sulla sua panca, cioè duc. 7.
11 detto.
E addì 11 d'agosto 1517 tirò Matteo di Cuccarello una pietra che Michelagnolo comperò da maestro Domenico, che era in su la piazza de' Porci per 2 ducati d'oro: e io Piero Urbano glieli dètti in presenzia di Lazzino e di Menichella, cioè .... duc. 2, a fni 10.
[571]
1517 20 d'agosto.
Ricordo come oggi questo dì venti d'agosto 1517 si partì Michelagnolo da Carrara, per conto di fare el modello di Santo Lorenzo di Firenze, per conto del Papa c'è venuto e del Cardinale ci sta.
Arch. di Stato in Firenze. 1517 20 di dicemb.
✠ 1517.
Fondamenti facciamo in San Lorenzo di Firenze per la facciata d'essa, a nome della Santità di nostro Signore Leon papa, deon dare: | |
Per tanti pagatone in fare votare cierto pozo per avere l'aqua, barelle, cieste, aguti e pale per a detto lavoro, computato uno scarpellino tenuto per fare buche per catene del fondamento | Lire 19. 2.—. |
E per tanti pagatone a Meo fondatore per braccia 4674 di fondamenti cavati al fondamento grosso e per le vôlticiuole dove s'ànno a posare le scalee a soldi 2 e soldi 1 denari 10 il braccio, che il fondamento maggiore fu in fondo di braccia 11 1⁄4 e braccia xij, e di grossezza braccia 4 | 454. 3.—. |
E per tanti pagatone a Lorenzo di Francesco carrettai per braccia 2468 di terra levataci de' fondamenti grandi, abbattuto e' sassi, a soldi 1 denari 8 il braccio e carrettate 710 delle vôlticiole | 288. 9.—. |
E per conto di braccia 25 1⁄8 e sassi smurati grossi e sassi di Mugnone per detti fondamenti, computato cierti lastroni per catene e legature a lire 35, 38 e lire 42 braccio de' sassi, oltre a braccia 4 o più d'essi si trovarono ne' fondamenti | 970.—.10. |
E per tanti pagatone a Francesco di Chimenti detto il Perla, misuratore, per misuratura di tutti e' sassi per nostra rata | 32.—.—. |
A Lionardo e Taddeo di Cristofano fornaciarj, per costo di moggia 297 di calcina date a San Lorenzo per detti fondamenti a lire 4. 6. — il moggio: manco di tutta la somma lire 7. 2. — | 1270.—.—. |
Lire | 3258.14.10. |
Segue il costo delli fondamenti della facciata di San Lorenzo di Firenze, e monta la somma della faccia di là | 3258.14.10. |
E per tanti pagatone a Francesco Corbinelli, Giuliano del Comparino et altri, per costo di 34 migliaia di lavoro campigiano et nostrale, per vôlticiuole xviiij fatte a lo 'ntorno del fondamento grosso, su le quali à a venire le scalee e per cierti archi fatti tra' muri, come è bisognato: e per tutto abbiamo pagato | 396. 3.—. |
E per tanti pagatone a Bernardo di Giovanni Pistochi e Temoi muratore per opere 333 di maestro a detto lavoro: a soldi 20 l'opera d'esso Bernardo et Temoi: soldi 17 e 15 le altre: et opere 941 di manovale, a soldi 10, 9, e 8 il giorno, secondo li tempi | 783. 4.—. |
E per tanti pagati a Andrea Ferrucci capo maestro per sua provisione | 56.—.—. |
E per tanti pagatone a messer Ricardo Davanzati per suo servito di mesi V, tenuto saldamente in sul lavoro e solecita l'opere et altro | 35.—.—. |
Lire | 4529. 1.10. |
[572]
✠ 1517. | ✠ 1517. | ||
Magnifico Iacopo Salviati de' dare lir. 4529 sol. 1 d. x piccioli per quello monta lo spendio fatto ne' fondamenti di San Lorenzo: come in questo foglio si mostra vero. Ducati | 647.—. 3. | Magnifico Iacopo Salviati de' avere a dì 7 di novembre ducati cento d'oro per lui da pagamento. Ducati | 100.—.—. |
E ducati xxxiiij, sol. iiij, den. viij d'oro larghi per costo di 2 modelli per essa faciata di San Lorenzo: uno fatto per Baccio di Agnolo et altro per Michelagnolo. | 34. 4. 8. | E de' avere ducati 387 1⁄2 d'oro larghi a compimento di ducati 500 d'oro Camera, che ci troviamo a ordine di detto Iacopo per servire a la strada di Pietrasanta, quali si possono fare servire a questo conto e aconciarli per conti o come a voi parrà: chè duc. cento d'oro se ne pagò a questi vostri sino addì 2 d'agosto | 388.10. —. |
Ducati | 681. 4.11. | Ducati | 487.10. —. |
» | 487.10.—. | ||
Ducati | 193.14.11. |
Restate debitori per queste partite come di sopra si vede, di ducati cento novantatre, sol. xiiij e den. xj d'oro larghi, aconciando li ducati cinquecento Camera per la strada di Pietrasanta, che ducati cento ne pagamo qui a li vostri, come di sopra, et lo resto sono in credito vostro. Cristo vi guardi.
Bernardo Nicolini camarlingo
de lo Arcivescovado
a dì xviiij di dicembre 1517.[525]
(Fuori.)
Magnifico viro domino Iacopo Salviati in Firenze.
Conto delli fondamenti per la facciata di San Lorenzo.
(E d'altra mano.)
Copiata al Giornale a c. 159, et a c. 198.
1518 8 di febbraio.
Sia noto come a dì otto di febbraio mille cinque cento diciassette, Bartolomeo detto Mancino, figliuolo di Giampagolo di Cagione da Torano, mi vendè quattro pezzi di marmo.[526]
25 detto.
Io Michelagniolo di Lodovico Simoni ò ricievuto, oggi questo dì venti cinque di febraio, da papa Leone, per conto della facciata di San Lorenzo, ducati otto cento d'oro, ciò è ducati [573] ottocento; e per il detto Papa me gli à pagati Iacopo Salviati propio. E per fede del vero ò fatta questa di mia mano propia detto dì in Firenze 1517.[527]
Arch. Buon.
1518 4 d'agosto.
Ricordo come stasera a dì quattro d'agosto mille cinquecento diciotto dètti ducati quattro a Barone, a Rubecchio, a Ceccone, a Sandro, a Andrea in Seravezza in casa Tommè per conto della allogagione del cavare marmi, come apparisce per uno contratto di ser Giovanni della Badessa da Pietra Santa.
5 detto.
Ricordo, come a dì cinque di detto, dètti uno ducato a Raffaello detto Bardoccio scarpellino, pure da Settignano, in casa la Galante in Seravezza, per conto di marmi che cava per me.
7 detto.
Ricordo, come a dì sette di detto, dètti carlini dieci a certi manovali per iscalzare un sasso su nella cava.
10 detto.
Ricordo, come a dì dieci di detto, dètti a Michele di Piero di Pippo da Settignano ducati dua per che gli andassi a Firenze per accattare certe taglie dall'Opera.[528]
13 detto.
Ricordo, come a dì tredici di detto, dètti un ducato a Giannone ferraro in Seravezza per comperare ferro per fare due ulivelle e altri ferramenti.
15 detto.
E a dì quindici di detto, dètti carlini otto a certi manovali per iscalzare certi marmi su nelle cave.
19 detto.
E a' dì diciannove di detto, dètti un ducato a Raffaello detto Bardoccio, per conto de' marmi che e' cava per me in Seravezza: e detto dì dètti a uno manovale soldi sedici per iscalzare marmi in nella cava.
21 detto.
E a dì venti uno di detto, dètti a uno di Seravezza lire quattro d'un noce mi vendè per fare un argano per collocare dal monte una colonna bozzata.
E a dì venti uno dètti a Bardoccio ducati tre che dice volea dargli a Filippo[529] da Carrara, che lavora seco.
22 detto.
E a dì venti dua pagai soldi cinquanta cinque a uno manovale per tante giornate per iscalzare marmi nella cava.
E detto dì pagai bolognini venti quattro a uno scarpellino o vero cavatore Carrarese, che m'avea aiutato nella cava.
24 detto.
E a dì ventiquattro di detto pagai a uno manovale, per iscalzare pietre nella cava, lire tre e soldi sei per tante opere.
E detto dì venti quattro pagai soldi quaranta per quattro giornate che io tenni alla marina aspettare el canapo che venissi di Pisa in su la barca.
28 detto.
E a dì venti otto dètti a Raffaello detto Bardoccio ducati tre d'oro larghi; e detto dì a dua maestri di legname, carlini sedici per fattura di dua argani; e dètti ancora carlini tre a uno manovale per tante giornate per iscalzare marmi nella cava.
[574]
1518 3 di settembre.
E a dì tre di settembre dètti a Raffaello detto Bardoccio ducati uno pel sopra detto conto.
5 detto.
E a dì cinque di settembre dètti al detto Raffaello uno ducato pel detto conto.
.... detto.
E a dì.... di settembre pagai a Bernardino calzolaio da Seravezza grossi dua per una corda per legare l'argano per mandare giù una colonna; e pagai a Baiardo carlini cinque per tante giornate per mandare giù la colonna, e uno carlino a Cancherino per una giornata: pagò Baccio da Filicaia per me di danari avea di mio.
12 detto.
E a' dì dodici di settembre dètti a Raffaello detto Bardoccio ducati dua d'oro pel sopra detto conto.
E detto dì dètti a maestro Pietro falegname carlini otto per tante giornate per fare una lizza per la colonna; e dètti quattro carlini a Antonio manovale per tante opere per aiutare mandare giù la colonna.
E detto dì dodici dètti al fratello di Giuliano di Cacca uno carlino per una giornata per mandare giù la colonna.
14 detto.
E a dì quattordici pagai a Giuliano d'Isach, a Girolamo di Nardo, a Barso di Polo, a Ambrogio di Polo, a Giovanni d'Andrea, a Lorenzo di Giovanni, a Antonio da Convalli, a Iacopo di Gian Vai da Zaini, villa sopra Seravezza, carlini undici per tante giornate per mandare giù la colonna.
E a dì quattordici dètti a maestro Cristofano sarto per uno ciriegio per una lizza[530] per mandar giù la colonna, bolognini diciotto.
25 detto.
E a dì venticinque di settembre dètti a Raffaello detto Bardoccio, nell'osteria di Pistoia, ducati sei per conto di certe pietre che cava per me a Seravezza: e detto dì, in detta osteria, dètti a Michele di Pietro di Pippo scarpellino ducati dua per conto di marmi che e' cava per me in sopra ditto loco.
28 detto.
E a dì venti otto di detto, dètti al sopradetto Bardoccio ducati dua per el medesimo conto.
29 d'ottobre.
Oggi a dì ventinove d'ottobre mille cinquecento diciotto cavai cento sette ducati de' mille ch'io ò in mano del Papa, cioè del sacchetto cucito, e dèttine trenta a Topolino[531] scarpellino da Settignano, e venticinque a Andrea scarpellino pure da Settignano, che andassino a cavar marmi per la facciata di San Lorenzo a Pietrasanta, come appare contratto di ser Filippo Cioni,[532] al quale dètti dua barili per distendere il contratto.
Ò a scrivere come io andai a Pietrasanta per collare la colonna che si ruppe, e stettivi circa a dua mesi e mezzo, con una bestia e un garzone. E perchè Berto da Filicaia venne anch'egli, intenderò el dì che noi partimmo da Firenze; che non me ne ricordo: e 'l dì ch'io partii da Pietra Santa amalato, porrò mente una fede ch'io ò di mano di Donato Benti di settanta ducati che io gli lasciai per conto de' mia marmi di Carrara; e vedrollo e scriverrò ancora.
[575]
1518 28 d'ottobre.
Ò a scrivere come Pietro tornò a dì ventiotto di detto da Pietra Santa, che l'avevo mandato circa sei dì innanzi col mulo a vedere quello faceva Bardoccio, e a intendere se e' maestri di cava di Pietra Santa si volevano obrigare a cavare una certa quantità di marmi per San Lorenzo.
Ò a scrivere come, quando partii ammalato da Pietra Santa, come è detto, lasciai la mattina ducati tre a Baccio di Berto da Filicaia, che pagassi el mulattiere e certe giornate d'uomini che m'aiutorno collare la colonna che si ruppe, e a 'ntendere quello gli è restato in mano.
30 detto.
Ò a scrivere come stamani, a dì trenta di detto, mi parto da Firenze e vo a Pietrasanta a mettere in opera certi scarpellini che ò obrigati per ser Filippo Cioni, com'è detto sopra.
Ò a scrivere d'un cavallo e vettura per otto dì, d'una ferratura d'un mulo, d'un paio di borzachini, d'un capello, d'un fodero d'una spada, e del cinto da legarla, lire quindici, ora, dì trenta di detto, ch'io vo a Pietra Santa.
Arch. di Stato in Firenze. 1518 3 di novembre.
[533]A dì tre di novembre mille cinquecento diciotto dètti a Donato scultore ducati dieci in casa sua in Seravezza, presente Pietro che sta meco, e presente la moglie di Donato[534] e le figliuole a tavola, per aver cura e caricare e' mia marmi dall'Avenza, e per quelli io fo cavare a Pietra Santa o vero a Seravezza; e quello spenderà per me, n'à tenere conto, e io gnien'ò a far buoni.
5 detto.
A dì cinque di detto tornammo Pietro ed io da Seravezza a Firenze con due cavalcature per conto di San Lorenzo.
E dì cinque detto, dètti a ser Filippo Cioni barili quattro e soldi tre per la copia di dua contratti di scarpellini che io ò mandati a Seravezza a cavare per San Lorenzo.
Sito comprato di Via Mozza.
Museo Brit.
1518 24 di novemb.
Ricordo come a dì venti quattro di novembre mille cinque cento diciotto, sere Matteo di Pavolo prete di San Lorenzo mi fece contratto d'un sito che m'avea venduto nella strada che va da San Bernaba a Santa Caterina,[535] e fu rogato di detto contratto ser Filippo Cioni che sta nell'Opera di Santa Maria del Fiore, di notte, circa due ore in Gualfonda in casa Francesco Gerini: e contai in su detto contratto cento settanta ducati d'oro largi, che così fùmo d'accordo di detto sito, e fu testimonio Matteo de' Servi e Baccio di Pecione legnaiuolo che fa bottega lungo e' fondamenti; e dètti al detto notaio un ducato.
Facciata di San Lorenzo.
27 detto.
Ricordo come a dì ventisette di detto mandai Pietro che sta meco a Pietra Santa per conto de' marmi ch'io fo cavare là per la facciata di San Lorenzo.
[576]
Sito di Via Mozza.
1518 4 di dicembre.
Ricordo come oggi a dì quatro di dicembre dètti a Baccio di Puccione uno ducato d'oro largo, che lo déssi a uno che mi portava sassi nel sito che io comperai da San Bernaba per far certe mura.
9 detto.
Ricordo come a dì nove di detto, dètti a Meo fondatore ducati quattro d'oro largi nel sopradetto sito per certi fondamenti che lui mi vi fa con un pozzo.
11 detto.
Ricordo come stamani a dì undici di detto, dètti a Baccio di Puccione, ec. (e così seguita per una facciata e mezzo.)
Facciata di San Lorenzo.
Arch. Buon.
1518 27 di dicemb.
Ricordo come adì ventisette di dicembre 1518 mandai a Donato Benti scultore a Seravezza ducati dieci larghi per Domenico detto Zucca scarpellino, che cava là marmi per San Lorenzo di Firenze.
Sito di Via Mozza.
1519 3 di gennaio.
Ricordo come a' dì tre di gennaio 1518 pagai alla Gabella de' Contratti ducati undici d'oro larghi, e sei barili, presente messer Gian Francesco, cappellano di Santa Maria del Fiore, e Matteo de' Servi, per conto di un sito che io comperai da messer Matteo di Pagolo, prete di San Lorenzo, ovvero da Francesco Gerini, ducati cento settanta. E il detto pagamento della gabella è segnato al Campione Giuliano Biliotti.
Facciata di San Lorenzo.
26 di marzo.
Io Michelangiolo Buonarroti ò ricevuto oggi questo dì ventisei di marzo mille cinquecento diciannove ducati cinquecento d'oro larghi da Bernardo Niccolini, per le mani de' Gaddi di Firenze, i quali m'à fatto pagare el cardinale de' Medici per commissione di papa Leone per conto della facciata di San Lorenzo che io fo: e così n'ò fatte due quitanze.
29 detto.
Ricordo come a dì 29 di marzo si partì Michelagniolo di Lodovico Simoni scultore e andò a Pietra Santa.
E a dì sopradetto a Raffaello scarpelino che sta a Signia con Michelagniolo, lire quatro contanti.
3 d'aprile.
Io Michelagniolo, scultore fiorentino, ò pagato oggi questo dì tre d'aprile mille cinque cento diciannove, ducati quindici d'oro largi a Domenico di Matteo di Pagolo Morelli e Andrea di Giovanni d'Andrea del Luchesino scarpellini da Settignano, per conto de' marmi ànno tolto da me a cavare nelle montagnie di Pietra Santa per la facciata di San Lorenzo di Firenze, come appare per contratto di ser Filippo Cioni cancelliere dell'Opera; e detto contratto fu fatto a dì venti otto d'ottobre mille cinque cento diciotto, e dal dì detto contratto per insino a questo dì detto, detto Domenico e Andrea compagni confessono avere ricievuti pel sopra detto conto co' quindici ducati detti, ducati cento venti d'oro largi in [577] sei partite; ducati venti cinque el dì del contratto; ducati trenta a dì ventidua di dicenbre, e a' dì dieci di giennaio ducati dieci, e a dì venti uno di febraio ducati venti, e a dì quatro di marzo ducati venti, e a dì tre d'aprile, ciò è oggi questo dì, ducati quindici, come è detto. E per fede della verità detto Andrea e Domenico confessano avere ricevuti detti danari per detto conto; e così si sotto scriverranno qui di lor propia mano.
Io Domenico soprascritto confeso avere ricieuto con Andrea mio copagno insino a ogi questo dì 3 d'aprile sopra scritto.
Io Andrea cofeso avere ricevuti deti denari co' Domenico mio compangnio.
Io Domenico e Andrea confessiamo avere ricevuto ogi questo dì 25 d'aprile 1519 ducati trentatre d'oro larghi per sopradetto conto.
4 detto.
Ricordo come oggi questo dì quattro d'aprile mille cinquecento diciannove io Michelagniolo, scultore fiorentino, ò allogato overo dato a fare uno carro a dua ruote a Pierino di Girolamo del Bianco da Massa, con questi patti: che io gli debba dare dodici lire dell'una delle ruote finita del legname solo; con questo inteso, che dandogli e' ferri, me le debba ancora ferrare pel detto prezzo: e per caparra di ciò, oggi questo dì detto gli ò dato, al detto maestro, ducati dua in Seravezza, presente prete Agostino.
E oggi questo dì sopradetto ò dato qui in Seravezza ducati dua a Donato Benti che vadi a Carrara e che dia abozare una pietra che io ò a Sponda, che io comperai da Lotto scudi dieci; e come è detto, Donato la dia abozare per una figura di cinque braccia, e dia detti dua ducati che io gli ò dati di caparra.
6 detto.
Adì sei di detto per mandare uno a Firenze per le girelle delle taglie che le conduca in Pisa, grossi sette.
8 detto.
E a dì otto d'aprile dètti ducati dua al Pollina, a Leone e a Bello da Carrara, per conto di certi marmi ànno tolto a farmi. Ànno promesso in fra tre o quattro dì venire qui a Seravezza a fare el contratto di detta allogagione di marmi.
E detto dì dètti a maestro Lazzero e a Leri suo fratello ducati dua per conto de' ferramenti d'un carro, e delle casse d'un paio di taglie che loro mi fanno di ferro e ànno avuto per infino detto dì ducati sei; cinque da me, e uno da maestro Donato.
12 detto.
E a dì dodici di detto per la portatura d'un canapo e di quattro girelle di bronzo da Pisa a Seravezza, undici grossoni e mezzo.
E detto dì per corde per legare le taglie per collare una colonna, lire cinque e mezzo.
E detto dì dodici pagai in Pisa ducati dugento settanta a' Salviati per tanti n'aveano spesi per me: e così n'ebbi la ricevuta da Francesco Peri.
13 detto.
E a dì tredici di detto, dètti barili tre a ser Giovanni della Badessa, notaio in Pietra Santa, per parte di pagamento d'un contratto m'à a levare, fatto detto dì col Pollina e col Bello e con Leone uomini da Torano, villa di Carrara, maestri di cavar marmi, per otto pezzi di marmo che m'ànno a cavare e dare in barca, con condizione e tempi e modi che appariscono per esso contratto di ser Giovanni della Badessa. E detto dì del contratto, in su 'l detto [578] contratto, a' detti uomini di Carrara contai e' detti ducati venti uno d'oro larghi; intendendosi seguire el pagamento a' tempi che dice detto contratto.
1519 16 d'aprile.
E a dì sedici pagai a maestro Lorenzo ferraro da Ripa di Seravezza lire quattro per fattura della cassa di ferro d'una taglia; la qual taglia m'avea a far maestro Lazaro dalla Corvara: e questi danari ànno a dare a suo conto.
18 detto.
E a dì diciotto di detto pagai a maestro Domenico di Giovanni di Bertino, scarpellino da Settignano, ducati sei larghi per conto de' marmi mi cava in Finocchiaia per la facciata di San Lorenzo.
25 detto.
E a' dì venticinque a detto maestro Domenico ducati tre d'oro larghi per detto conto.
E detto dì a Michele di Pier di Pippo scarpellino per sei opere per collar la colonna, grossi dodici.
22 di maggio.
A dì ventidua di maggio dètti a maestro Donato in Seravezza ducati dieci che gli déssi a Michele di Piero di Pippo, scarpellino da Settignano, e a Bastiano d'Agnoletto da Seravezza, presente Raffaello d'Iacopo di Nencio scarpellino e detto Bastiano e Michele.
12 di settemb.
Ricordo come oggi a dì dodici di settembre millecinquecento diciannove pagai a Michele Lelli, e a Luca Fancellotti, carradori e compagni, lire quaranta cinque per un resto di marmi che e' mi condussono da Signa, che furono sette pezzi: e condussonmegli alla stanza mia di Via Mozza. E detti carradori mi dissono aver condotti detti marmi, dua pezzi con tre paia di buoi l'uno, e gli altri per insino in sette pezzi, dua paia di buoi per pezzo. E io non avendo visto e' pezzi dètti loro e' detti danari. [di settembre.] Dipoi visto e' pezzi, trovai che fra e' detti sette ve n'era tre d'un paio di buoi per pezzo, e trova'mi giuntato di nove lire, perchè tre lire era el mercato tra noi per paio di buoi. E dètti detto dì a' detti carradori lire tre per tanti mi dissono avere spesi per acconciare el carro.
Pochi dì innanzi al sopra detto dì, ero tornato da Carrara da vedere Pietro che sta meco che stava per morire: el quale io avevo mandato là con danari per conto delle figure della faccia di San Lorenzo. Fra andare in poste e medico e medicine, e per levarlo da Carrara e condurlo a Seravezza portato da gli uomini, e con dieci ducati che io gli lasciai a Seravezza, mi trovai speso trenta tre ducati e mezo.
1519 10 di maggio.
A Bardoccio grossi tre a dì dieci di maggio grossi cinque al carro detto dì.
Cinque ducati a Matteo dell'Opera per cinque legni a dì undici detto.
Ducati quaranta quatro a Pietro per portare a Carrara a dì detto.
13 detto.
E a dì tredici di detto a Bardoccio dètti ducati dua al banco di Giovanni de' Servi che gli déssi a' carradori che portono e' marmi da Signia.
14 detto.
E a dì quattordici di detto, dètti a Baccio di Puccione ducati cinque largi in tanti barili, e' quali gli contò Giovanni de' Servi al banco per resto d'asse che detto Baccio avea comperato per la soffitta della stanza di Via Moza.
[579]
E detto dì soldi trenta a dua segatori, per segature di certe piane per detta stanza soldi trenta, e' quali portò Ciappino.
1519 16 di maggio.
E a dì sedici di detto, dètti a Baccio di Puccione legnaiuolo ducati tre d'oro largi, presente ser Gian Francesco, cappellano di Santa Maria del Fiore, in sulla porta dell'Opera per conto di finestre e porte e un palco della stanza di Via Moza che io ò murata.
7 di giugno.
E a dì sette di giugno a Baccio di Puccione dètti un ducato d'oro, che ne dètte grossi dua e uno barile al Mariola che andò a portare un comandamento a Signia a' carradori e a Michele di Pier di Pippo che andò acompagniare el carro ne dètte sei, e 'l resto si gli rimase per conto dell'opere della stanza di Via Moza.
9 detto.
E a dì nove di detto vennono e' carradori con un marmo con cinque paia di buoi alla stanza di Via Moza, a' quali dètti loro ducati otto largi; ducati sei per detta pietra di cinque paia di buoi a ragione di quattro lire el paro; che così fumo d'acordo, e penorno dua giornate; e dua ducati che restavono aver prima per dua altre pietre. E detti danari contò a' detti carradori, cioè a Michele di Lello e sua compagni, Baccio di Puccione, presente Topolino, e Michele di Pier di Pippo, in sulla porta della stanza di Via Moza: a detto Michele dètti grossi cinque che era venuto col carro.
10 detto.
E a dì dieci di detto, dètti a Barone scarpellino un ducato e manda'lo a Carrara a trovare Pietro per conto della allegagione de' marmi che io ò fatta là, come apariscie per ser Giovan Badessa da Pietra Santa.
1520 10 di gennaio.
Ricordo come io Michelagnolo, scultore fiorentino, ò pagato oggi questo dì dieci di gennaio mille cinquecento diciannove, ducati quindici d'oro larghi a maestro Domenico di Bertino, cioè Giovanni di Bertino, scarpellino da Settigniano, per conto d'una certa quantità di marmi che io gli ò dato a cavare nelle montagne di Pietra Santa, come apparisce per uno contratto di ser Filippo Cioni, notaio fiorentino: e detti danari gli ò dati detto dì in Seravezza in casa maestro Donato scultore, presente lui e maestro Michele di Pier di Pippo, scarpellino da Settigniano.
12 detto.
E più a' dì dodici di detto, dètti a maestro Donato Benti, scultore fiorentino, ducati dieci d'oro larghi in Seravezza in casa sua per conto de' marmi che e' mi fa caricare all'Avenza per Pisa: è per l'opera de' marmi di San Lorenzo di Firenze, che si cavano a Seravezza.
E a dì detto, dètti a Domenico di Matteo Moregli e a Andrea di Giovanni del Luchesino suo compagnio, amendua scarpellini da Settigniano, ducati dieci d'oro larghi per conto de' marmi che e' cavano per me nelle montagne di Seravezza per conto della facciata di San Lorenzo di Firenze, come appariscie per un contratto di ser Filippo Cioni. E detti danari dètti loro in Seravezza in casa maestro Donato Benti, e in sua presenza.
1520 10 di gennaio.
Ricordo come oggi questo dì dieci di gennaio dètti a maestro Domenico di Giovanni di Bertino, scarpellino da Settigniano, ducati quindici d'oro larghi per conto d'una certa quantità di marmi che io gli ò dato a cavare nelle montagnie di Pietra Santa, come appariscie per un contratto di ser Filippo Cioni.
[580]
1520 4 di marzo.
E a dì quatro di marzo 1519 io Piero Urbano che sto con Michelagniolo ò pagato a maestro Domenico di Giovanni di Bertino, detto Topolino, da Settigniano, ducati venti d'oro larghi per conto di cavare nelle cave di Pietra Santa per l'opera di San Lorenzo che Michelagniolo à tolto a fare di marmi e di colone; e confessa avere aùti in più volte ducati ottanta dua, metendovi questi venti sopradetti: presente io Pietro, et Michele di Piero da Settigniano, come appariscie contratto di ser Filippo Cioni.
1 detto.
E a dì primo di marzo 1519 io Pietro Urbano che sto con Michelagniolo ò pagato a Domenico di Mateo di Paolo Morelli, e Andrea di Giovanni d'Andrea de Luchesino suo compagnio, ducati venti d'oro largi, da Setigniano, per conto di cavare nelle cave di Pietra Santa marmi per cavare per Santo Lorenzo di Firenze, come apariscie per contratto che apariscie per sere Filippo Cioni.
4 detto.
E a dì 4 di marzo 1519 ò dato io Pietro Urbano a maestro Donato Benti fiorentino scultore, ducati 10 d'oro larghi per conto de condure e' marmi di Carrara in Pisa.
E a questo pagamento tutto è stato presente e testimoni Michelagniolo e Michele di Piero, e Donato Benti scultore e io Pietro Urbano da Pistoia.
8 detto.
E a dì 8 di marzo 1519 a Giovanni del Giudice da Seraveza ducati dua per conto di conperare u' noce che è 'n sul fiume di Seraveza.
E a dì 8 detto per maestro Biagio di Cristofano, maestro di carra, ducati dua per far principio di pagamento di detto carro de' fare del detto nocie.
E a dì 8 detto a Lazzero e Filippo suo fratello ducati 3 d'oro larghi per conto di fare le casse d'un paio di taglie, e per pali e per un manico d'ulivello in dua pezi.
E a dì 8 sopradetto a Donato ducati tre d'oro largi per pagarne el carro dua, e uno per farne tirare cierte pietre alla marina.
10 detto.
Sia noto come io Michelagniolo, scultor fiorentino, trovandomi a Carrara per marmi per mia opere nel mille cinque cento sedici, ebi commessione da papa Leone di fare cavare marmi per la facciata di San Lorenzo di Firenze, secondo uno disegnio io gli aveo fatto di detta opera.
Dipoi a dì otto o più vero dì del mese di giennaio in detto tempo ebbi da papa Leone ducati mille largi per el sopra detto conto per le mani di Iacopo Salviati, e contòmegli in Carrara uno suo servidore detto Bentivoglio.
E a dì circa venticinque di febraio nel mille cinquecento diciassette o più vero tempo, ebbi da papa Leone in Firenze ducati ottocento per le mani di Iacopo Salviati per detta opera de' marmi di San Lorenzo, e non mi possendo servire a Carrara di detti marmi, mi missi a fare cavare nelle montagnie di Seraveza, villa di Pietra Santa, dove inanzi non era mai più stato cavato.
E a dì venti sei di marzo mille cinque cento diciannove mi fece pagare el cardinale de' Medici pel papa Leone pel sopra detto conto, ducati cinque cento; e contòmegli e' Gadi di Firenze.
[581]
1520 10 di marzo.
Ora papa Leone forse per fare più presto la sopra detta facciata di San Lorenzo, che l'allogazione ch'egli avea fatta a me (sic) e così parendo ancora a me, d'acordo mi libera e per tutti e' danari sopra detti che io ò ricievuti si conta l'aviamento che io ò fatto a Pietra Santa e e' marmi che vi sono cavati e abozati come oggi si vede; e chiamasi contento e sodisfatto da me, come è detto, di tutti e' danari ricievuti per detta facciata di San Lorenzo e d'ogni altra cosa che io abbia avuto a far seco insino a questo dì dieci di marzo 1519: e così mi lascia in mia libertà e disobrigo che io non abbia più a rendere conto a nessuno di cosa che io abbia avuto a far seco o con altri per suo conto.
Compra del podere di Rovezzano.
Museo Brit.
1520 11 di luglio.
Io Michelagniolo di Lodovico Simoni ò ricevuto oggi questo dì undici di luglio mille cinque cento venti da Buonarroto di Lodovico Simoni e compagni, lanaiuoli, fiorini dugento settanta due in oro largi, e' quali son parte d'un deposito di fiorini cinquecento trenta d'oro largi che fu fatto a detto Buonarroto infino a dì venti sette d'ottobre mille cinque cento diciannove, da Piero di Bartolo Tedaldi, per conto di un podere che io comperai da detto Piero nel popolo di San Michele a Rovezzano, luogo detto el Fattoio, per prezzo di fiorini secento d'oro largi, infino a dì venti sette d'ottobre detto: e detto Piero di detto prezzo n'ebbe fiorini settanta d'oro in sul contratto, e el resto, che sono fiorini cinque cento trenta, se ne fece el detto diposito infino a tanto io fossi ben sodo di detta compera: e perchè el detto Piero Tedaldi avea obrigato innanzi a detta vendita staiòra quaranta nove di terra di detto podere per la somma di fiorini dugento cinquanta dua d'oro a Piero Buonaguisi suo genero, promesse detto Piero Tedaldi che detto Piero Buonaguisi retificherebbe a detto credito, come apparisce nel contratto. Dipoi passato el tempo, domandato da Piero Tedaldi che Piero Buonaguisi retificherebbe, e non avendo voluto retificare e volendo le dette staiòra di terre per lui; io Michelagniolo detto per non mi essere osservato el contratto rogato per ser Buonaventura di Lionardo, notaio fiorentino, mi son fatto rendere dal sopradetto Buonarroto la somma di fiorini dugento cinquanta dua, che tanto à detto Pier Buonaguisi in su dette staiòra quaranta nove di dette terre; e più mi son fatto rendere fiorini venti d'oro largi, che tanti sono per la gabella che io avea pagata, che io non posseggo, e altre spese fatte per detta parte di dette staiòra: e di tutto come è detto, n'è rogato ser Buonaventura di Lionardo sopra detto. E per fede di ciò io Michelagniolo sopra detto a detto Buonarroto e compagni ò fatta questa ricievuta di mia propria mano, questo di sopra detto in Firenze.
Noi Buonaroto di Lodovico Simoni e compagni: (diciamo) che abbiamo ricevuto questo dì 7 di giugno 1522 fiorini dugiento settanta due d'oro, moneta, da Michelagnolo di Lodovico Simoni, e' quali sono e' sopradetti danari che noi rendemo a lui, e' quali sono parte de' danari del podere che Michelagniolo comperò da Piero Tedaldi che..... crediti di Monte che sieno per sodo per Michelagniolo, come dice il contratto rogato per ser Buonaventura di Lionardo, notaio fiorentino, sotto dì 27 d'ottobre 1519.
[582]
Sepolture di San Lorenzo.
Arch. Buon.
1521 10 d'aprile.
A dì dieci d'aprile nel millecinquecento ventuno.
Dètti a Scipione, scarpellino da Settignano, ducati dieci per conto di suo salario che cominciò detto dì, per istare a Carrara a cavar marmi per conto del cardinale de' Medici per le sepolture di San Lorenzo.
E a dì nove di detto, ebbi da Domenico Boninsegni ducati dugento, per andare a Carrara per detti marmi del Cardinale.
Debito pagato.
18 detto.
Io Pietro Urbano, garzone di Michelagnolo Buonarroti, ò ricevuti questo dì dicotto d'aprile 1521 da Bernardo da Verrazano e compagni, ducati sedici d'oro in oro larghi, li quali mi pagano per ordine d'Averardo e Battista Salviati e compagni di Firenze, per altanti da ser Giov. Francesco, cappellano di Santa Maria del Fiore: e per fede ò fatto questa prima quietanza di mia propria mano, adì detto, in Roma.
Io Pietro Urbano scrissi.
2 di maggio.
Ricordo come oggi questo dì dua di maggio mille cinquecento ventuno rende' a Lionardo sellaio ducati quatro, che gli avea prestati a Roma a Pietro da Pistoia che sta meco: e contogniene per me ser Giovan Francesco, capellano di Santa Maria del Fiore, nello spezial del Diamante, mie presenzia.
Sepolture di San Lorenzo.
1521 9 d'aprile.
A dì nove d'aprile mille cinque cento venti uno ebbi dal cardinale de' Medici, e per lui da Domenico Boninsegni, ducati dugiento per andare a Carrara allogare a cavare e' marmi per le sepulture che vanno nella Sagrestia nuova di San Lorenzo. Andai a Carrara e là stetti circa venti dì, e là feci tutte le misure di dette sepulture di terra e disegniate in carta, allogai e' marmi in dua parte a dua compagnie, cioè a Marcuccio e a Francione del Ferraro da Carrara, e a questi dètti cinquanta ducati d'oro di caparra, come apariscie pel contratto di ser Calvano da Carra(ra). L'altra compagnia fu el Pollina, Leone e 'l Bello e Quindici uomini tutti da Torano, villa di Carrara: e a questi dètti ducati cento, come apariscie per un altro contratto di detto ser Calvano. Menai un garzone, Scipione da Settigniano, che stéssi là a fare osservar le misure e la qualità de' marmi, e dàvogli sei ducati el mese, e dèttigli dieci ducati inanzi. Menai un altro garzone meco a cavallo, Rafaello di Batista della Palla, al quale donai tre ducati. Tornati che fùmo, presente Stefano miniatore, fra cavagli e spese con tutte le spese dette, mi restò de' dugento ducati alla tornata in mano, ducati ventitre.
20 di luglio.
A dì venti di luglio ebi dal cardinale de' Medici, e per lui da Domenico Boninsegni ducati cento di corone, e' quali mi portò Stefano miniatore. Andai a Carrara con un fante a piè che si chiama Giovanni povero; e stetti nove dì. Non dètti danari a' Carraresi, perchè non avevano fatto quello m'era scritto. Dètti là cinque corone a Scipione per conto di suo salario, e al fante che venne meco dua corone alla tornata.
[583]
1521 16 d'agosto.
E oggi a dì sedici d'agosto, sendo venuti qua a Firenze le dua compagnie de' detti Carraresi, ò dato loro qua trenta ducati per compagnia, e' quali portai a Giovanni de' Servi e fecigli pagare a lui loro, cioè sessanta ducati larghi, come apar pel suo libro.
19 detto.
E oggi a dì diciannove di detto ò finito di pagare Scipione di quatro mesi che è stato a Carrara, che restava aver nove ducati e venti soldi. Ògli portati a Giovanni de' Servi, e lui gli à pagati a detto Scipione, come apar pel suo libro.
Cristo della Minerva.
26 d'ottobre.
Ricordo come oggi a dì ventisei d'ottobre millecinquecento ventiuno, io Michelagniolo scultore dètti in sul banco di Giovanni de' Salviati a Lionardo sellaio corone sette, e una me ne cambiò detto Giovanni; e dètti, oltre alle sette corone, quattro grossoni a detto Lionardo per farle sette ducati d'oro; el resto dètte a me. E detti sette ducati d'oro dètti a detto Lionardo, perchè e' ne mandassi quattro a Federigo, detto Frizzi,[536] scultore fiorentino a Roma, per conto di una figura di un Cristo ch'e' mi ha finito a Roma, di marmo, di messer Metello Vari, e messa in opera nella Minerva: e el resto, che sono tre ducati, dice detto Lionardo che e' gli aveva avere da me, perchè gli prestò a Roma a Pietro Urbano pistoiese che stava meco.
Compra d'una Casa.
1522 11 di marzo.
Questo dì 11 di marzo 1521 si è pagato a messer Lionardo Buonafede, Spedalingo di Santa Maria Nuova, fiorini 70 d'oro larghi per la valuta di fiorini cento di sugello: e' quali denari à pagati Michelagnolo di Lodovico Simoni per le mani di Bonaroto e Gismondo, fratelli di detto Michelagnolo; sono per conto di una casetta conprò detto Michelagnolo da detto Spedale in sino a dì 7 d'aprile 1514, come appare per il contratto rogato per Giovanni da Romena sotto detto dì.
E quali danari si sono mesi a loro contratto per le mani di Fra Filippo d...... (sic), camarlingo di detto Spedale a 38 , e a Libro verde segnato n. a 157 , dove n'è creditore e debitore detto Michelagnolo. Veduto per Bonaroto Simoni questo dì 14 di marzo 1521.
Sepolture di San Lorenzo.
1524 12 di gennaio.
Ricordo come oggi questo dì dodici di gennaio mille cinquecento ventitrè cominciò Bastiano legnaiuolo a lavorar meco in su modegli delle sepolture di San Lorenzo.
11 di febbraio.
Ricordo come oggi questo dì undici di febbraio 1523 ò ricevuto da Marco Fantini ducati otto, cioè 8 ducati larghi per conto della pigione d'un anno passato, d'una casa che tiene di nostro, in casa mia di grossi di sei soldi l'uno.
[584]
1524 29 di marzo.
Ricordo come oggi questo dì venti nove di marzo 1524 maestro Andrea[537] da Fiesole scarpellino, capo maestro all'Opera di Santa Maria del Fiore, è venuto a guidare l'opera delle sepolture che io fo nella Sagrestia di San Lorenzo, cioè a mettere le pietre innanzi agli squadratori: e verrà a detta opera una volta el dì per un'ora, e quando bisognerà vi starà ancora un mezo dì, e un dì intero: che così siàno d'accordo. E chiesemi detto maestro Andrea per far questo, ducati sei el mese; io gniene profersi quattro: àssi a dare in quel mezzo, secondo mi dice Baccio legnaiuolo, che è stato mezzano. E detto maestro Andrea feci chiedere agli Operai, di suo consentimento, a messere Iacopo da Prato.[538]
31 d'agosto.
Ricordo come oggi questo dì ultimo di marzo ò fatto portare in su' curri da la stanza mia di Via Mozza a San Lorenzo un pezzo de' mia marmi lungo braccia quattro giuste, largo un braccio e mezzo, grosso fra dua terzi e tre quarti, per metterlo nelle sepolture della Sagrestia; e questo ò fatto, perchè gli scarpellini m'ànno levato una certa cornicetta di dua pilastri, in modo che la non v'è più dentro, e bisogna rifarli, e non vi sendo marmi ancora venuti al proposito, per non rifargli, v'ò messo per non gli avere aspettare questo di mio, e se vi metterò l'altro che vi manca che s'è guasto, lo scriverrò qui di sotto. E gli scarpellini che l'ànno condotto dalla stanza mia di Via Mozza a San Lorenzo, son questi: Scipione da Settignano, Urbano Bondo da Settignano, Marchionne figliuolo di Scipione, el Biancalana da Settignano, el Bellegote da Settignano, el Forello da la Porta alla Croce.
1524 dall'8 di genn. al 31 di marzo.
Ricordo come oggi questo dì otto di gennaio mille cinque cento venti tre spesi per conto della Sagrestia di San Lorenzo lire venti dua e soldi quattordici in dua tigli, e' quali ebbi all'Opera da Matteo che è sopra el legname.
Sagrestia e Sepolture di San Lorenzo.
E a' dì nove spesi per detto conto in venti quattro braccia d'asse d'albero lire otto e soldi quattro, e la portatura soldi cinque.
E detto dì in un quadernuccio, un grossone.
E a' dì dodici di detto per quattro facchini che portorno una panca da legnaiuoli in chiesa, sedici quattrini.
E a' dì quindici di detto per quattro libbre d'aguti, soldi diciotto e otto danari.
E a dì sedici di detto per diciassette braccia d'asse, lire sei e sei soldi e sette quattrini pel portatore.
E detto dì per cinque giornate a Bastiano legnaiuolo, lire sette e mezzo, a ragione di tre carlini el dì.
E detto dì, soldi quindici per fare segare un tiglio.
E a' dì diciotto, nove quattrini per far segare due regoli di tiglio.
[585]
E a' dì ventidua di detto a Bastiano legnaiuolo, un grossone per chiodi e bullette.
E a' dì ventitrè, soldi tredici a Stefano miniatore, che avea dati a un facchino che avea portato a San Lorenzo una panca da legnaiuoli, asse e altri legnami.
E detto dì ventitrè pagai per sei giornate carlini diciotto a Bastiano legnaiuolo, che fa e' modegli delle sepulture per San Lorenzo.
E a' dì ventisei per dua libbre d'aguti a Bastiano, un carlino.
E a dì venti otto di detto, dètti a Bastiano un carlino per un pezzo d'asse e una crazia per colla.
E a dì trenta di detto a Bastiano, (quattrini) quattordici per una libbra di chiodi.
E detto dì trenta a Bastiano per questa settimana dètti lire nove a ragione di tre carlini el dì, come di sopra.
E a' dì primo di febbraio in quattro pezzi d'asse che furono braccia nove e un terzo, crazie trentasette da que' di Cappello a San Tommaso.
E detto dì primo, crazie quattro in più carichi a un portatore.
E detto dì a Baccio di Puccione per dua libbre di chiodi, venti otto quattrini per conficcare l'asse del ponte della Sagrestia di San Lorenzo.
E detto dì a Baccio di Puccione legnaiuolo per una giornata soldi venti, e per un maestro di murare soldi diciotto, e per un legnaiuolo soldi dieci, e per un manovale soldi otto, che sono per cuoprire d'asse el ponte della vôlta della Sagrestia di San Lorenzo.
E a dì tre di febbraio a Bastiano quattordici quattrini per una libbra d'aguti, e sei quattrini a un portatore per portare un pezzo di tiglio da San Lorenzo a casa.
E a dì quattro di febbraio a quattro portatori che portorno da casa mia a San Lorenzo un cassone col coperchio per un modello delle sepulture, soldi venti tre e un quattrino.
E a dì cinque dètti a quattro facchini sei crazie, perchè mi portorno un tiglio intero dall'Opera a San Lorenzo.
E a dì sei di detto per cinque giornate a Bastiano legnaiuolo lire sette e mezzo, presente Stefano.
E al Candela legnaiuolo oggi detto dì sei per cinque giornate lire quattro, presente Stefano.
E oggi detto dì sei pagai a Baccio da Frascoli, overo da Decomano, lire sei e soldi cinque, presente Stefano miniatore; per nove braccia d'asse di mezzo, e per undici braccia di terzo, in bottega sua propia.
E detto dì sei pagai a Bastiano, detto Bargiacca, scarpellino da Fiesole, lire tre e soldi quattro per quattro giornate per intaccare e ridirizzare e' quadri della vôlta della Sagrestia di San Lorenzo per potere far di stucco.
E a un segatore detto dì, soldi ventidua, manco un quattrino, per segar tiglio per fare cornice pe' sopra detti modegli.
E a dì otto di detto, dètti a Goro che forma carlini tre in bottega sua nella via de' Martegli, per una certa quantità di terra di cimatura che lui mi dètte e acconciò per fare uno de' quadri della vôlta della Sagrestia di San Lorenzo, acciò che quegli che l'ànno a fare di stucco vegghino com'ella à stare.
[586]
E detto dì, tre crazie in tre facchini che portorono tre carichi di scaglie di marmo dalla stanza mia di Via Mozza a San Lorenzo, per pestare e mettere in sulla calcina per fare lo stucco per detta vôlta.
E a dì tredici di detto pagai a Bastiano legnaiuolo lire nove per sei giornate per conto de' modegli della Sagrestia di San Lorenzo, cioè delle sepulture.
E detto dì a Bastiono, detto Bargiacca, scarpellino da Fiesole, pagai lire quattro e soldi sedici per sei giornate per fare certe intaccature alla vôlta della Sagrestia.
E detto dì pagai al Candela legnaiuolo lire quattro per cinque giornate pe' detti modegli.
E detto dì pagai a Stefano miniatore uno ducato che e' pagassi al Nizza legnaiuolo per resto di asse che e' tolse da lui pe' detti modegli.
E detto dì rende' a Stefano miniatore soldi otto per quattro fasci ch'egli avea fatti portare, cioè una panca da legnaiuoli a San Lorenzo con un pezzo di tiglio da casa mia.
E detto dì ò renduto a Stefano lire otto e soldi quattro per libbre ottocento venti di bianco ch'egli avea tolto e pagato a Giuliano, fornaciaio da Castello, a ragione di soldi otto lo staio. Fassi lo staio libbre quaranta: e tolselo per conto dello stucco della vôlta della cappella nuova, overo Sagrestia di San Lorenzo.
E detto dì rende' a Stefano soldi otto per sei some di rena grossa per conto dello stucco.
E detto dì rende' a Stefano soldi venti dua per dua vagli ch'egli avea comperati per detto conto.
E detto dì rende' a Stefano venti otto quattrini per dua libbre d'aguti tolti per detto conto.
E a dì venti di detto a Bastiano legnaiuolo per sopra detto conto per sei giornate, lire nove: portò Stefano miniatore.
E detto dì al Bargiacca scarpellino lire quattro per cinque giornate: portò Stefano.
E detto dì a Francesco legnaiuolo, detto el Camicia, lire cinque per cinque giornate.
E a dì venti uno dètti tre grossoni a Piero ossaio per medicare Bastiano scarpellino che era cascato della vôlta della Sagrestia: cioè el Bargiacca.
E a dì venti sette di febbraio dètti lire sette e soldi dieci a Bastiano legnaiuolo per giornate cinque per conto de' modegli della Sagrestia di San Lorenzo: e' quali portò Stefano miniatore.
E detto dì per detto conto a Francesco, detto il Camicia, legnaiuolo, per giornate cinque, dètti lire cinque: e' quali portò Stefano miniatore.
E detto dì per segare un tiglio per detto conto, soldi venti.
E a dì cinque di marzo 1523 dètti a Bastiano legnaiuolo per sei giornate lire nove pel conto sopra ditto de' modegli della Sagrestia, e lire sei a Francesco, detto el Camicia, legnaiuolo, pel medesimo conto: e detto dì pagai a quattro facchini trenta dua quattrini per portare uno pancone dal Borgo de' Greci a San Lorenzo, che mi vendè il Camicia, per battervi su la terra, per detto conto.
E a dì otto di marzo in dua facchini che portorno marmo pesto dal giardino de' Medici a San Lorenzo per conto dello stucco, dètti crazie sei.
[587]
E detto dì dètti crazie sette a Bastiano torniaio per quattro mezzi balaustri pel modello delle sepulture della Sagrestia.
E detto dì trenta soldi dètti a Goro scultore per terra che mi à fatto cavare d'una cantina alla porta a San Niccolò.
E detto dì dètti sei grossoni per sei carrettate di detta terra per portatura da San Niccolò a San Lorenzo per conto de' sopradetti modegli.
E detto dì dètti soldi dieci per dieci some di detta terra pel detto conto.
E detto dì sedici soldi e otto danari a detto Goro scultore per una giornata che stette per me a fare cavare detta terra.
A dì nove di marzo dètti a Pier manovale quattordici quattrini per una libbra di chiodi per conficcare certe capre per detta opera.
E detto dì per terra bianca, che fu libbre quattrocento sessanta, soldi venti dua e un quattrino a ragione di cinque soldi el centinaio.
E detto dì dua quattrini al Camicia per cacio per mastrice.
E a dì dodici di marzo ebbe Stefano miniatore soldi trenta otto per conto, o vero per parte di danari spesi del suo per conto della Sagrestia: e quali danari se gli ritenne de' venti ducati che mi portò detto dì dallo Spina.[539]
E detto dì dètti a Bastiano legnaiuolo lire sei per quattro giornate, che fu l'ultimo dì che fu finito uno de' modegli delle dua sepolture della Sagrestia.
E detto dì pel medesimo conto lire quattro al Camicia legnaiuolo per quattro giornate.
E a dì detto dètti a Baccio da Frascoli soldi trenta dua per conto di certe asse che dètte a Bastiano legnaiuolo per conto della Sagrestia: e' quali portò Stefano.
E detto dì rende' a Stefano miniatore lire sette e soldi quindici che avea pagati a Francesco, detto el Camicia, legnaiuolo, per un pancone di noce per battervi su la terra per la Sagrestia; el quale pancone s'era tolto per insino a dì quindici di febbraio passato.
E detto dì rende' a Stefano lire tre che avea pagate per insino a dì quindici di febbraio per braccia dieci e cinque ottavi d'asse di terzo al Nizza per conto della Sagrestia.
E detto dì rende' a Stefano per some sei di rena, soldi nove, per conto dello stucco.
E a dì detto per libbre dua d'aguti, nove soldi e otto.
E detto dì rende' a Stefano per dua libbre d'aguti, una di tozzetti, l'altra di venti, soldi nove e otto che avea tolti insino a' diciassette di febbraio.
E detto dì rende' a Stefano per dua catini per lavare la rena, quatrini sedici.
E detto dì rende' a Stefano soldi trenta dua per dua opere che avea pagate al Candela legnaiuolo per insino a dì diciassette di febbraio: portò Bastiano legnaiuolo.
E a dì dodici di marzo una crazia per cacio da mastrice: rende' a Stefano.
E detto dì rende' a Stefano nove soldi e otto per dua libbre d'aguti.
[588]
E detto dì rende' a Stefano soldi quindici che avea dati al Camicia legnaiuolo per conto della Sagrestia.
E detto dì rende' a Stefano sette quatrini avea spesi in cacio da mastrice per detto conto.
E detto dì rende' a Stefano lire quattro e soldi dieci, e' quali avea pagati a Francesco della Croce facchino per opere nove per pestare marmo per lo stucco della Sagrestia.
E detto dì rende' a Stefano lire cinque e mezzo ch'avea spese in un vaglio d'ottone per vagliare la rena per lo stucco: el quale pesò libbre undici e mezzo, a soldi dieci la libbra.
E detto dì rende' a Stefano un grossone per una staffa di ferro pel pestello con che si pesta gli embrici vecchi per lo stucco.
E detto dì rende' a Stefano per dua libbre d'aguti di Barga, soldi dieci.
E detto dì per cinquanta bullette da lamberchiare: rende' a Stefano una crazia.
E detto dì dodici di marzo rende' a Stefano lire nove per giornate diciotto d'uno scarpellino per dirizare e intacare la vôlta della Sagrestia per lo stucco.
E a dì detto rende' a Stefano lire dieci e soldi tre, e' quali avea pagati a Matteo dell'Opera per un tiglio che io tolsi a dì venti sette di febraio passato, e per la portatura soldi dodici: rende' a detto Stefano. El qual tiglio servì al modello delle sepulture della Sagrestia.
E detto dì rende' soldi cinque a Stefano per un tiglio a' segatori.
E a' dì venti nove per tre libre d'aguti diciannove soldi e quatro: rende' a Stefano.
E detto dì rende' a Stefano soldi diciotto per cento bullette da lamberchiare e dua libre di chiodi di sessanta e di Barga.
E detto dì rende' a Stefano quatrini sei avea dato a' segatori.
E per quatro libre d'aguti, una di sessanta, dua di tozetti, e una di trenta sei: rende' a Stefano soldi diciannove e un quatrino.
E detto dì dodici di marzo 1523 portò Stefano miniatore al Nizza legnaiuolo lire dodici per conto, o vero per parte di pagamento d'asse che tolse da lui pel modello delle sepulture della Sagrestia: cioè portò lire dodici.
E a dì venti uno di marzo ò pagato a Baccio da Frascoli, o vero da Decomano, lire quaranta sei, cioè sei corone e quindici grossoni e ònne riavuti tre quatrini, per quatrocento sessanta braccia d'asse di faggio, a ragione di sei quatrini el braccio, per fare el ponte della vôlta della Sagrestia di San Lorenzo, per potere farla di stuco: e dette asse di faggio me le prestò detto Baccio da Decomano a dì primo di febraio 1523 per coprire el detto ponte: e stasera in bottega sua l'ò pagato come è detto, presente ser Giovambatista Zeffi e Donato del Sera: e (à) avuto lire quaranta sei.
E oggi a dì venti dua di detto ò pagato al Nizza legnaiuolo diciassette grossoni, presente Stefano miniatore e Pier Gondi in bottega sua, per resto di certe asse che avevo tolte da lui per conto d'un modello delle sepulture della Sagrestia di San Lorenzo.
E oggi a dì trentuno di marzo in quatro fogli di ferro stagniato per fare modanature per gli scarpellini di San Lorenzo, soldi venti, a ragion di cinque soldi el pezzo.
[589]
1524 dall'8 di genn. al 1º d'aprile.
Nota in quello si sono spesi li fiorini 50 d'oro ricievuti in tre volte, come si dirà appresso; e prima
Per conto d'un modello di legniame delle sepolture della Sagrestia di San Lorenzo che io ò a fare per papa Clemente:
A dì otto di gennaio mille cinquecento ventitre a Matteo che sta all'Opera di Santa Maria del Fiore, per dua tigli | Lire 22. | 14. | —. |
E a dì nove di detto per braccia ventiquatro d'albero comperato a Santa Trinita da un legnaiuolo, con la portatura | 8. | 9. | —. |
E a dì sedici detto per braccia diciassette: in tutto con la portatura | 6. | 8. | 4. |
E a dì primo di febraio per braccia nove e un terzo d'albero in quatro pezzi comperati da que' di Capello che sta da Santo Tommaso | 3. | 1. | 8. |
E a dì sei detto a Baccio da Decomano per braccia nove d'asse di mezo e undici di terzo comperate da lui: in tutto | 6. | 5. | —. |
E a dì detto a Stefano miniatore che gli pagò al Nizza legnaiuolo per parte d'asse di mezzo e di terzo | 6. | —. | —. |
E a dì detto a Stefano per dare al Nizza | 14. | —. | —. |
E a dì tredici di febraio portò Stefano per dare al Niza per resto | 7. | —. | —. |
E a dì otto di marzo a Bastiano torniaio per quatro mezi balaustri per detto modello | —. | 11. | 8. |
E a dì dodici detto a Baccio da Decomano, portò Stefano, per asse dette a Bastiano legniaiuolo per detto modello | 1. | 12. | —. |
E a dì detto lire dieci e soldi quindici a Stefano miniatore, che lire dieci e soldi tre avea pagato a Matteo dell'Opera per un tiglio avuto in fin di febraio, e soldi dodici per la portatura | 10. | 15. | —. |
E a dì detto a Stefano miniatore per dare al Niza legniaiuolo per parte d'asse d'albero | 12. | —. | —. |
E a dì ventidua detto al Nizza per resto d'asse d'albero | 5. | 19. | —. |
E più a Bastiano per un pezo d'asse e per colla sino a dì venti otto di gennaio | —. | 11. | 8. |
E più a Stefano che gli avea pagati insino di febraio passato per braccia dieci e cinque ottavi d'asse di terzo | 3. | —. | —. |
Come si vede monta el legniame | Lire 109. | 7. | 4. |
E per tanti pagati in detto tempo per segature in più volte | 3. | 7. | —. |
E più s'è pagato in detto tempo per portature di più legnami, dove è bisognato, e per cacio da mastrice e fogli: tutto conperato a minuto | 5. | 13. | 4. |
[590] | |||
E per opere pagate agl'infrascritti: | |||
A Bastiano legniauolo per opere 49, a soldi 30 l'una, messe in detto modello | Lire 73. | 10. | —. |
Al Candela legniauolo per opere sedici, a soldi 16 l'una | 12. | 16. | —. |
A Agostino legniauolo e altri per opere dieci | 7. | 5. | —. |
A Francesco, detto el Camicia, per opere venti | 20. | —. | —. |
Come si vede in tutto montano. Somma in tutto quello costa detto modello | Lire 113. | 11. | —. |
Apresso quello s'è speso per la vôlta dello stucco: | |||
A dì primo di febraio per una giornata a Baccio legniauolo per fare el ponte | 1. | —. | —. |
E a dì detto a uno maestro di murare che aiutò fare el ponte | —. | 18. | —. |
E a dì detto a uno legniaiuolo che aiutò a fare el detto ponte | —. | 10. | —. |
E a dì detto a uno manovale che servì al detto ponte | —. | 10. | —. |
E a dì sei detto a Bastiano, detto Bargiaca, scarpellino, per 4 giornate per intacare la vôlta della Sagrestia | 3. | 4. | —. |
E a dì detto a Goro che forma per una soma di terra battuta con la cimatura per fare gl'intagli d'uno de' quadri della vôlta, acciò che si vedessi come s'à a fare di stucco | 1. | 10. | —. |
E a dì detto a tre fachini che portorno scaglie di marmo dalla stanza di Michelagniolo di Via Mozza a San Lorenzo per pestare per lo stucco | —. | 5. | —. |
E a dì 13 detto a Bastiano, detto Bargiacca, per sei giornate per intaccare la vôlta dello stucco | 4. | 16. | —. |
E a dì detto a Stefano miniatore per libre ottocento venti di bianco, a soldi 8 lo staio, che si fa libre 40 lo istaro | 8. | 4. | —. |
E a dì detto per some sei di rena grossa per lo stucco | —. | 8. | —. |
E a dì detto a Stefano per dua vagli per lo stucco | 1. | 2. | —. |
E a dì detto al Bargiacca per cinque opere: portò Stefano | 4. | —. | —. |
E a dì venti uno detto a Piero ossaio per fare medicare el Bargiacca che era cascato della vôlta della Sagrestia | 1. | 1. | —. |
E a dì 8 di marzo a dua fachini che portorno marmo pesto dal giardino de' Medici a San Lorenzo per lo stucco | —. | 10. | —. |
E a dì dodici detto per some 6 di rena | —. | 9. | —. |
E a dì detto a Stefano per dua catini per lavare la rena | —. | 5. | 4. |
E a dì detto a Stefano miniatore detto che avea pagato a Francesco delle Crocie fachino per nove giornate per pestare marmo | 4. | 10. | —. |
E a dì detto a Stefano detto per un vaglio d'ottone di libre undici e mezo, a soldi dieci la libra | 5. | 10. | —. |
E a dì detto a Stefano per una staffa di ferro che si lega al pestello | —. | 7. | —. |
[591] | |||
E a dì detto a Stefano per dare all'Oca scarpellino per intaccar la vôlta | 9. | —. | —. |
E a dì venti uno detto a Baccio da Decomano per braccia 460 d'asse di faggio per el ponte dello stucco | 46. | —. | —. |
E per libre undici d'aguti di più ragioni e tozetti conperati in più volte per detto conto | 2. | 13. | —. |
E a dì detto a Stefano per più cose spese a minuto in detto tempo | 1. | 15. | —. |
Sommma in tutto | Lire 98. | 10. | 4. |
Apresso quello s'è speso per fare e' modelli delle figure: | |||
A dì 8 di marzo a Goro scultore per terre à fatto cavare d'una cantina alla Porta a San Niccolò per condurre a San Lorenzo | 5. | 10. | —. |
E a dì detto per carrate 6 di detta terra da detto luogo a San Lorenzo | 2. | 2. | —. |
E a dì detto per some dieci di detta terra | —. | 10. | —. |
E a dì detto a Goro datogli per sua fatica | —. | 16. | 8. |
E a dì detto per libre quatrocento sessanta di terra bianca fatta venire da Monte Spertoli, a ragion di soldi cinque al cento | 1. | 2. | 4. |
E a quatro fachini per portare uno pancone di nocie dal Borgo de' Greci a San Lorenzo per battere la terra | —. | 10. | 8. |
E a dì dodici detto a Stefano miniatore lire sette e quindici soldi che avea pagati al Camicia legniaiuolo per il sopradetto pancone | 7. | 15. | —. |
E a dì primo d'aprile per una soma (di terra) bianca pesò libre 400 | 1. | —. | —. |
Somma | Lire 15. | 6. | 8. |
Apresso quello s'è speso per conto di lavorare di quadro di marmo fuora delle giornate; e prima: | |||
A dì trentuno di marzo 1524 per quatro bande di ferro stagniato per fare modanature | 1. | —. | —. |
E a dì primo d'aprile a Stefano miniatore pagò più fa per carboni per gli scarpellini | 2. | 10. | —. |
E a dì detto a Stefano per una banda di ferro stagniato | —. | 4. | 8. |
E a dì detto a Stefano per dua regoli di braccia cinque | —. | 7. | —. |
E a dì detto a Stefano per quatro portatori e un contadino per tirare un marmo dalla stanza di Via Mozza di Michelagniolo a San Lorenzo | 1. | 8. | —. |
E a dì detto a Stefano pagò a quatro portatori per detto conto | —. | 13. | 4. |
Somma | Lire 6. | 3. | —. |
Come si vede nella prima faccia monta el modello di legname per le sepulture | 238. | 18. | 8. |
E per la vôlta della stuco, come si vede di contro | 98. | 10. | 4. |
E per il modello delle figure, come si vede di sopra | 15. | 6. | 8. |
E per conto di lavorare di quadro, come si vede di sopra | 6. | 3. | —. |
Somma in tutto quello s'è speso sino a questo dì 1º d'aprile 1524. | Lire 358. | 18. | 8. |
Di che s'abatte fiorini cinquanta avuti come di sopra | 350. | —. | —. |
Resto avere, come si vede per detto conto | 8. | 18. | 8. |
E di tanti ò a essere rimborsato | Lire 8. | 18. | 8. |
[592]
1524 dal 4 d'aprile al 9 di novem.
A dì 4 d'aprile 1524:
Dallo Spina fiorini 10 d'oro | Lire 70. | —. | —. |
Item dì 4 detto a Piero manovale per 70 soldi | 3. | 10. | —. |
Item a Stefano per libre 58 di cimatura | —. | 18. | 8. |
Item per 2 fogli[540] | —. | —. | 8. |
E a dì 7 di detto a Giovanni di Lionardo lanciaio per libre tredici e otto oncie di filo di ferro per e' modegli delle figure di San Lorenzo, a soldi sette la libra | 4. | 15. | —. |
E detto dì rende' a Stefano soldi quaranta per cento libre di capechio per detti modegli | 2. | —. | —. |
E a dì otto d'aprile pagai a Baccio di Puccione legnaiuolo lire nove per dodici cassette da sedere per gli scarpellini | 9. | —. | —. |
E detto dì a detto Baccio di Puccione lire quatro per dodici regoli per gli scarpellini | 4. | —. | —. |
E a dì dodici di detto a un manovale, che m'aiutò in su detti modegli, donai crazie cinque | —. | 8. | 4. |
E detto dì un carlino per aguti da bastieri per detti modegli | —. | 10. | —. |
E detto dì per una mezina, quatrini sei | —. | 2. | —. |
E detto dì per una corda, dieci quatrini | —. | 3. | 4. |
E a dì tredici di detto a Baccio di Puccione che m'aiuta fare e' modegli di terra per le figure di detta opera, per dua giornate | 2. | —. | —. |
E detto dì tredici quatrini in spago | —. | 4. | 4. |
E a quattordici di detto a Pier della Bella soldi sessanta nove per una maza d'undici libre e mezzo, a ragion di sei soldi la libra | 3. | 9. | —. |
E detto dì in dua fogli reali | —. | —. | 8. |
E detto dì in un grossone per una chiave della porta di Sagrestia | —. | 7. | —. |
E a dì venti uno d'aprile in un campanuzzo per gli scarpellini per sonare le dòtte | 1. | —. | —. |
E a dì ventitre d'aprile in un'ascia da legniaiuoli, diciotto soldi | —. | 18. | —. |
E detto dì in un martello, soldi quatordici | —. | 14. | —. |
E detto dì in dodici regoli e sei cassette per gli scarpellini e per una cicogna d'un campanuzo, e per un modano d'una mensola a Baccio di Puccione legniaiuolo, lire cinque e diciassette soldi | 5. | 17. | —. |
E a dì venti sette d'aprile in una libra di candele per veder lume nella Sagrestia di San Lorenzo per el cattivo tempo | —. | 3. | —. |
E a dì ultimo di detto, dètti 13 soldi e un quatrino a Meo delle Corte per ferro stagniato che io lo mandai a comperare per fare modani per la Sagrestia | —. | 13. | 4. |
[593] | |||
E detto dì, quaranta sette soldi e un quatrino rende' al Bargiacca per carboni avea comperati per assottigliare | 2. | 7. | 4. |
E a dì tredici di maggio 1524 per cimatura per le figure delle sepulture della Sagrestia, quatrini trenta uno con la portatura | —. | 10. | 4. |
E detto dì, tredici quatrini in spago pel detto conto | —. | 4. | 4. |
E a dì venti di detto per cimatura per e' detti modegli, che mi comperò Antonio Mini, che fu libre cento cinque. Parte n'ebbe a uno quatrino la libra, e parte sei danari. Montò tutta con la portatura soldi cinquanta e un quatrino | 2. | 10. | 4. |
E detto dì in filo di ferro, cioè in quatro libre, e un'oncia di filo di ferro, soldi venti sei e dua quatrini | 1. | 6. | 8. |
E detto dì, quatro soldi in dua fachini che riportorno una panca da legniaioli che io avea accattata nella Sagrestia, quando feci el modello di legniame che lavorò Bastiano di Bicci | —. | 4. | —. |
E detto dì in cento cinquanta libre di capechio per e' modegli delle figure di detta opera, el quale mi comperò Antonio da Macìa nostro lavoratore, e nella gabella, che fu tredici quatrini: e 'l capechio uno quatrino la libra | 2. | 14. | 4. |
E a dì venti uno di detto, dètti soldi dieci a Baccio di Puccione per una mezza giornata che m'aiutò inporre una figura di capechio per farla di terra, di cimatura, pel sopradetto conto | —. | 10. | —. |
E detto dì in dua gomitoli di spago pel detto conto, dieci quattrini | —. | 3. | 4. |
E a dì ultimo di maggio 1524 rende' al Pisano e a Urbano scarpellini lire tre e mezzo, che avevano comperato una soma di carboni per assottigliare per la fabrica di San Lorenzo | 3. | 10. | —. |
E detto dì comperai dieci pezzi d'asse d'abeto, dieci quatrini il pezzo per cuoprire le pietre lavorate nella stanza degli scarpellini a San Lorenzo, e andò per esse Meo delle Corte e el Bellegote nella Via de' Servi a canto a San Michele | 1. | 13. | 4. |
E detto dì per lime per fare modani, soldi sei e dua quatrini. Andò per esse detto Meo | —. | 6. | 8. |
E detto dì in una chiave per la porta di sotto della Sagrestia, che s'era rotta, un grossone, e per una chiave co' la toppa per l'uscio di sopra che entra in sul palco della vôlta: venticinque quatrini | —. | 8. | 4. |
E a dì 4 di giugno a Gino scarpellino soldi tredici, e a Urbano soldi cinquanta, e a Marchionne soldi sette; rende' ch'avevono comperati carboni per assottigliare | 3. | 10. | —. |
E a dì sei di gugnio 1524 soldi dieci a Baccio di Puccione per una mezza giornata m'aiutò a rivestire di capechio una figura de' modegli di San Lorenzo | —. | 10. | —. |
E detto dì sei di gugnio sette quattrini a un fachino che portò capechio da casa mia a San Lorenzo.
E detto dì, sedici soldi in filo di ferro, portò Baccio di Puccione.
E detto dì, quatro soldi in dua gomitoli di spago.
[594]
E detto dì, quattordici quatrini in una libra d'aguti.
E detto dì, in una libra di candele, nove quatrini pel detto conto.
E oggi questo dì venti cinque di gugnio 1524 a Baccio di Puccione soldi diciotto per una cassetta da sedere per Covone scarpellino che è venuto a lavorare di nuovo.
E a dì venti otto di detto, dètti lire 3 a Baccio di Puccione per 3 panconi che e' comperò dal Buscaglia, a venti quatrini per fargli portare a San Lorenzo e' detti panconi. Ànno a servire per uno o ver dua deschi per lavorarvi su certe figure delle sepulture di San Lorenzo: e montano detti panconi sei lire e mezzo, che così à fatto el mercato detto Baccio.
Queste tre lire de' panconi qui di sopra ò riavute da lo Spina e à pagato el resto lui.
E a dì dieci di luglio 1524 a Baccio di Puccione per dua cassette da scarpellini, una lira e sedici soldi.
E detto dì per uno regolo di 4 braccia, sette soldi per gli scarpellini.
E detto dì per una finestra d'asse d'abeto per la Sagrestia, dua barili.
E a dì venti dua di luglio mi comperò Baccio di Puccione dua curri, venti dua soldi, per l'opera di San Lorenzo da maestro Girolamo manganatore, e per la portatura a San Lorenzo, sei quatrini.
E a dì venti 3 di detto (dètti a) detto Baccio in dua libre aguti e nove oncie d'aguti vechi, uno grossone: comperò detto Baccio per detta opera.
E a dì venti tre di detto, dètti a Baccio di Puccione tre grossoni, e' quali avea spesi in aguti per conficare certe caprette e certi scabegli per sedere e per far ponti per detta opera: e comperogli da Lorenzo da Monte Aguto lanciaio.
E detto dì dètti a Baccio di Puccione lire sei per sei opere m'à aiutato insino a dì detto, per mettere marmi nella Sagrestia, e per fare le dette capre e scabegli, che sono 4 e 4 gli scabegli.
E a dì venti 3 ebi dallo Spina ducati dieci per ispendere in detta opera e tenere conto.
E a dì ventisette di detto per un castagni (sic) di braccia otto per una lieva per mettere e' marmi in Sagrestia, venti tre soldi da quegli di Capello da San Tomaso. Portò Baccio di Puccione.
E a' medesimi ò pagato questo medesimo dì detto per braccia trenta di corrente di faggio per le capre sopra ditte, soldi venti cinque. Portò detto Baccio.
E per braccia dua d'asse di quarto da' medesimi per medesmo conto, soldi otto.
E per braccia dieci di piane d'abeto, ventitre soldi e un quatrino.
E per braccia quatro e mezzo d'asse di mezzo, soldi trenta per le dette capre. Portò Baccio di Puccione, da que' di Capello a San Tomaso.
A dì venti 9 di luglio 1524 rende' al Piloto[541] dieci grossoni che ave' pagati a un fabro che [595] sta nella Via de' Servi per dua regoli di ferro d'un braccio e mezo l'uno: m'avea fatti per li scarpellini di San Lorenzo.
E a dì 3 d'agosto per una fune che fu libre 4, trenta quatrini e mezo, da Lorenzo da Monte Aguto. Andàmo Meo delle Corte e io per essa, per legar la sega per segare un pezo di marmo a San Lorenzo.
E a dì 8 di detto, trenta sei soldi al garzone che portò la rena a San Lorenzo per segare un pezo di marmo; e furono trenta sei some di rena. E detti danari gli pagò Antonio Mini in sull'uscio di casa mia.
E a dì undici d'agosto 1524 rende' a Covone, scarpellino da Fiesole, soldi cinquanta sei, e' quali avea spesi in carboni per assottigliare per l'opera di San Lorenzo. E detti danari gli portò Meo delle Corte.
E a dì tredici a Baccio di Puccione legniaiuolo soldi 8 per una mezza giornata aiutò a Bernardino di Pier Basso fare un telaio da côr misure per una figura che e' mi bozza.
E a dì 19 d'agosto detto pagai a Matteo d'Andrea del Mazza lire venti dua che fûrno trenta sei barili, e rende' mi un carlino nell'opera presente ser Francesco del Tachino, e Giannozzo di Ducino Mancini per un panno di sega da segar marmo che tolse dall'Opera Giovanni Spina e Meo delle Corte per l'opera di San Lorenzo.
A dì venti 7 d'agosto a Baccio di Puccione legniaiuolo soldi 35 per dua capitelli del telaio della sega da marmi che lui fece per l'opera di San Lorenzo, e per un graffietto per gli scarpellini per segniare certi frontespitii de' tabernacoli per detta opera.
E a dì trenta d'agosto al Bottaio che sta in sulla piazza di San Lorenzo lire tre per una tinella per la rena pe' segatori de' marmi de l'opera di San Lorenzo. E detti danari gli portò Meo delle Corte scarpellino.
E oggi questo dì venti quatro di settembre 1524 ò renduti soldi trenta dua e un quatrino a Bernardino di Pier Basso, che lavora meco per certe piane avea comperate della Nave di Mercato Vecchio per far certi telai per le figure della Sagrestia di San Lorenzo.
Oggi questo dì 4 d'ottobre 1524 ò pagato al renaiuolo che porta la rena per segare e' marmi a San Lorenzo, soldi trentaquattro per trenta quatro some di rena. E detti danari portò Meo delle Corte.
A dì 5 d'ottobre diciotto quatrini rende' a Bernardino Basso per una libra d'aguti di trenta sei, e quatro quatrini d'aguti di centinaio per far conficare centine per farvi su modegli per San Lorenzo.
E a dì sei per dua libre e dua oncie di filo di ferro, quaranta quatro quatrini.
E detto dì sei per dua gomitoli di spago, quattordici quatrini, e per dua libre d'aguti da bastieri per e' detti modegli, venti otto quatrini. Tutto mi portò Bernardino Basso.
E a dì otto d'ottobre per tre libre di filo di ferro, soldi venti da Cristofano di Lionardo lanciaio, e per quatro gomitoli di spago, soldi nove e un quatrino per detto conto. Portò Bernardino Basso.
E a dì quindici d'ottobre 1524 ò pagato soldi undici per rena per e' segatori per el detto conto. Portò Meo delle Corte; e dua quatrini di carta per modani.
[596]
E oggi questo dì ventinove ò pagato a Baccio di Puccione legniaiuolo sedici grossoni per quattro telai di finestre per incartare, che io gli ò fatti fare per le finestre di sopra della Sagrestia di San Lorenzo, per rispetto dell'acque che entravano e facean danno; e in fogli reali soldi venti quatro.
A dì nove di novembre 1524 ò pagato a Baccio di Puccione per otto telai per otto finestre della lanterna, incartate perchè vi piove, lire dieci.
A Piero manovale venti quatro fogli; e a detto Piero soldi cinque per olio, per ugniere dette finestre.
E a detto Baccio per opere dua per far capre per mettervi su un marmo, soldi quaranta; e per un capitello della sega, dua grossoni. Grossoni 36 quegli che io ò dati a Baccio.
dal 1 d'ottobre al 3 di dicemb.
Quest'è la copia della scritta che io mandai el primo d'ottobre 1524 allo Spina de' casi di Francesco da San Gallo, e de' primi danari del lavorare in cottimo.
A Francesco da San Gallo darete uno ducato e mezzo; e questo è perchè tolse a fare in cottimo a dua ducati el braccio d'un certo fregio al paragone d'una parte che ce n'è fatta. Ànne fatto uno braccio: e perchè non è finito e non sta bene come l'altro, non gli voglio dare più, se non osserva di fare come à promesso.
A dì 8 d'ottobre ebbe Francesco Sangallo lire nove.
A dì 15 d'ottobre ebbe lire nove.
A dì 22 d'ottobre ebbe uno ducato.
A dì 29 d'ottobre ebbe uno ducato.
A dì 5 di novembre ebbe lire sei.
A dì 12 di novembre ebbe lire otto.
A dì 19 di novembre ebbe uno ducato.
A dì 26 di novembre ebbe uno ducato.
A dì 3 di dicembre ebbe uno ducato.
19 d'ottobre.
Io Michelagniolo di Lodovico Simoni ò ricevuto oggi questo dì diciannove d'ottobre mille cinquecento ventiquattro, da Giovanni Spina, ducati quattrocento d'oro larghi per la provigione fattami otto mesi fa da papa Clemente di cinquanta ducati al mese, per le figure delle sepolture della Sagrestia di San Lorenzo, e per ogn'altra cosa che sua Santità mi facci fare; e per fede del vero questo dì detto ò fatta questa di mia propria mano.
Quest'è la copia della quietanza mandata detto dì per Antonio Mini, che sta meco, a Giovanni Spina, che dice aver commessione pagarmi la sopraddetta provigione.
Sepolture di San Lorenzo.
27 detto.
Ricordo come oggi questo dì ventisette d'ottobre 1524 ò ricevuto da Bernardo Niccolini ducati quaranta d'oro larghi per dua pezzi di marmo che io ò messi di mio nell'opera delle [597] sepulture della Sagrestia di San Lorenzo: l'uno de' detti pezzi è quello che n'è fatto ricordo qui di sopra, che lo metto sedici ducati, che così viene a me; l'altro ò fatto venire ora in questi dì pur di Via Mozza dalla mia stanza a San Lorenzo, che mi serve per una figura di quelle che vanno in su cassoni delle sepulture dette che io fo; e questo m'à tirato dalla stanza mia a San Lorenzo Meo delle Corte scarpellino con altri scarpellini che lavorano qua di quadro a dette sepulture. E detto marmo è lungo braccia quattro giuste, grosso uno braccio e ottavo, largo un braccio e dua terzi: vero è che è appuntato un poco a uso di figura: e questo metto o vero ò messo ventiquattro ducati. E detti danari mi portò dal Niccolino Bernardino di Pier Basso che lavora meco, e furono tutti grossoni: e io pel detto gli mandai una polizza di mia mano che gniene pagassi.
Libreria di San Lorenzo.
Arch. Buon.
1525 dal .... al 3 d'aprile
La spesa della Liberria.
Le mura che s'ànno a fare di nuovo, che s'ànno a cominciare sopra le camere di sopra del chiostro di San Lorenzo dove viene el piano di detta Liberria, sono ordinate braccia cento per lunghezza col portico che viene inanzi all'entrata, grosse un braccio, alte sedici, con le rivolte da capo e da piè: montano, fornite del tutto, quatrocento trenta ducati, senza la croce.
La croce facendo diciotto braccia per ogni verso e 'l vano d'ogni lato, vi va di muro della medesima altezza e grossezza, cento novanta tre ducati.
El tetto della medesima li....
E oggi a dì 3 d'aprile 1525 ò renduto a Bernardino Basso per tre fogli stagniati pe' modani delle finestre di fuora della Liberria dua grossoni.
Fanti e Servitori.
Museo Brit.
1525 16 di luglio.
Ricordo come oggi questo dì 16 di luglio 1525 è venuta a star meco mona Lorenza, che sta in casa mia a pigione in Via Gibellina, e ògli offerto dieci fiorini l'anno: m'à risposto che non vole ancora rispondermi resoluto, perchè dice che e' c'è un suo figliuolo che se n'à andare a Roma infra quindici dì, e che come se n'è andato mi risponderà: e in questo mezzo verrà ogni dì a casa a fare le faccende di casa e ritornerassi la sera al figliuolo e che non vuole in detto tempo gli corra la pigione, e poi partito il figliuolo vedrà d'accordarsi meco: e così siàno d'accordo.
Ricordo come oggi questo dì venti dua di detto, Mariagniola che stava meco se n'è andata, e àgli pagato Antonio che sta meco lire 8 che dice restava avere: mie presentia in tanti grossoni.
Arch. Buon.
1525 3 d'agosto.
Ricordo come oggi a dì 3 d'agosto mille cinquecento venticinque, c'è venuto a stare meco per famiglio Nicolò da Pescia per quattro lire e mezo el mese: e così siàno d'acordo.
[598]
1525 20 d'agosto.
Oggi a dì venti d'agosto ò dato a Nicolò che sta meco, lire tre e mezzo per conto di salario.
27 di settemb.
Oggi a dì venti 7 di settenbre ò dato a Nicolò sopra detto lire quatro e mezzo di suo salario.
2 di dicemb.
Ricordo com'io ò avuto questo dì 2 di dicenbre 1525 ducati dua d'oro da Bastiano detto Balena mio lavoratore a Settigniano o vero a Rovezano, e' quali sono del frutto dell'anno passato di tre ducati e cinque lire che m'avea a dare; ògli fatto tempo del resto in sino alla ricolta prima che viene.
3 detto.
E oggi a dì 3 di dicenbre ò dato a detto Nicolò lire quattro per conto di suo salario.
Marmo venduto.
Museo Brit.
1525 23 di dicemb.
23 di dicembre 1525.
Ricordo come oggi questo dì à venduto Giovanni Spina uno pezzo di marmo di questi del Papa che sono in sulla piazza di San Lorenzo, a' Capitani d'Or San Michele per l'opera di Francesco Sangallo[542] lire cento sei: el quale marmo a misura fu cinque mila trecento libre.
Salario a un Servitore.
1526 28 di gennaio.
E oggi a dì venti otto di gennaio ò pagato a Nicolò, che sta meco per famiglio, lire sette di quattrini neri, le quali gli contò Antonio Mini che sta meco, mia presenza.
15 d'aprile.
Ricordo come insino a oggi a dì quindici d'aprile ò venduto del grano di Pazolatico staia quattordici e mezzo, e staia sei, questo dì detto 1526.
d'agosto.
Ricordo come oggi a dì .... d'agosto 1526 Donato Benti scultore che sta a Pietra Santa m'à mandato questa scritta ovvero conto per Bernardino Basso, e àmmela portata qui in casa e' Macciagnini dov'io sto a San Lorenzo, Bernardino Basso scarpellino.
1527 29 d'aprile.
Ricordo come più dì sono che Piero di Filippo Gondi mi richiese della Sagrestia nuova di San Lorenzo per nascondervi certe loro robe per rispetto del pericolo in che noi ci troviamo: stasera a dì ventinove d'aprile 1527 v'ha cominciato a far portare certi fasci: dice che sono panni lini delle sorelle: et io per non vedere e' fatti sua nè dove e' si nasconde dette robe, gli ò dato la chiave di detta Sagrestia detta sera.
4 di giugno.
Ricordo oggi questo dì 4 di giugnio 1527 com'ò dato a mona Chiara grossoni nove per conto di suo salario, e èssi andata con Dio e lasciatomi senza fante detto dì, senza farmelo sapere inanzi.
[599]
Fanti e Servitori.
1527 19 di luglio.
Ricordo oggi questo dì 19 di luglio 1527 com'io ò ricevuto dal Balena ducati dua di quaranta sette lire che io avevo aver da lui per insino a ora: el resto che sono trenta tre lire glien'ò lasciati in presto sopra un paio di buoi che tiene: e così è stato contento: presente Antonio Mini che sta meco e Lapo lavoratore: e con detto Lapo ò fatto conto detto dì del dare e dell'avere, e siàno del pari in sino a oggi.
Malattia e morte di Buonarroto.
1528 dal 30 di giugno al 6 di luglio.
Denari pagati a Pietro Pagolo di Stefano del Riccio speziale oggi questo dì trenta di giugno 1528 per la malattia di Buonarroto, che sono lire tredici e soldi uno, come si vede per la scritta di detto Pietro Pagolo.
Danari spesi nel mortorio ò pagati oggi a dì sei di luglio 1528[543] lire cinquantuna; e' quali danari portò Antonio Mini a ser Antonio notaio e insieme pagorno detti danari a' frati e preti in cera e in becchini, come si vede per una scritta di detto ser Antonio.
Danari dati a' Medici: ducati dua e cinque grossoni a maestro Piero Rosati, e ducati quattro o circa a maestro Baccio cerusico dagli Alberigi,[544] e uno ducato a maestro Marcantonio[545] da Sangimigniano e nove grossoni in un cappone premuto.
Ducati quattro in una gamurra per la moglie[546] di Buonarroto per mutarli e' panni che era ammorbata, comperata da mona Lessandra[547] che fu moglie di Bernardo Mini.
Ducati sette spesi in più volte a Settigniano in fra le spese alla moglie di Buonarroto e a' figliuoli[548] e alle fante che erono in guardia,[549] sanza el vino che fûro barili quatro.
Uno ducato tra scarpe de' bambini e grembiuli e posta per iscuffie, mentre erano in guardia.
Spese per la Francesca di Buonarroto.
13 di settemb.
Denari spesi per la figliuola di Buonarroto:
Soldi otto per un braccio di tela bottana.
Soldi sei per tre quarti di tela per soppannare un gamurrino.
Ventiquattro soldi per tela bottana.
Cinque soldi per refe per la gamurra.
Dua crazie per refe pel gamurrino.
Soldi cinquanta la fattura della gamurra.
Soldi venticinque per la fattura del gamurrino.
Soldi quatro per nastro pel gamurrino.
[600]
La Francesca è messa in monastero.
1528 13 di settemb.
Ricordo come oggi questo dì 13 di settembre 1528 ò menata la Francesca mia nipote, figliola di Buonarroto mio fratello, nel munistero di Boldrone in serbanza per tanto che la si mariti. E' patti che io ò avuti col munistero sono questi: che io dia l'anno a detto munistero ducati diciotto largi in tre volte, ogni quattro mesi sei ducati; de' quali n'ò pagati oggi questo dì detto una paga, cioè ducati sei in tanti barili: e' quali ò portati meco con la fanciulla, e contògli alla badessa, che è una cugina carnale di Piero Pecori, Antonio Mini che sta meco; che furono sessanta sette barili e sei quatrini bianchi: e ògli dato a detto munistero detto dì per detta fanciulla, dua paia di lenzuola a tre teli, dua tovaglie di sei braccia l'una, otto tovagliolini e quattro canavacci: che così furono e' patti: e' danari gli ò messi di mio; e dette lenzuola e tovagliolini e canavacci abbiàno tolte delle masserizie di Buonarroto.
Dua braccia di posta nera per cigniere, soldi diciotto.
Dua soldi la ben vestita.
Uno paio di pianelle e uno paio di scarpette, soldi venti sei.
Uno braccio di tela per uno grembiale, soldi diciotto.
Tre braccia di nastro di seta nera, soldi otto.
Tre braccia di nastro di filugello, sette quattrini.
Tre agetti, tre quatrini.
Questi denari ò io renduti oggi questo dì tredici di settembre 1528 a Antonio Mini che sta meco, e' quali gli avea spesi per me in queste cose qui sopra dette. El panno della gamurra, che io ò fatta fare alla figliuola di Buonarroto, ò dato io d'un mio lucco foderato di bassette quasi nuovo, che io ò fatto disfare per fargniene.
Dote restituita alla moglie di Buonarroto.
16 detto.
Ricordo oggi questo dì sedici di settembre 1528 come s'è renduto la dota alla Bartolomea che fu moglie di Buonarroto mio fratello, e èssi conti di danari contanti ducati cinquecento ventidua d'oro largi e cinque grossoni fra corone d'oro e barili e grossoni e crazie; e detti danari si sono tolti d'una certa quantità di danari contanti che si trovò di Buonarroto; e sonsi conti in casa Agniolo della Casa: e' quali gli à conti Gismondo mio fratello a detta Bartolomea, presente lei e la sua madre mona Piera e ser Bonaventura n'è rogato, presente Pandolfo della Casa e Raffaello da Gagliano e ser Antonio.... e Agniolo della Casa e Tebaldo fratello di detta Bartolommea e un fratello di mona Piera e un altro notaio, e presente Antonio di Bernardo Mini. E io Michelagniolo di mia danari pagai uno ducato largo a ser Bonaventura pel contratto e a ser Antonio e a Raffaello da Gagliano, perchè 'n questo caso s'erono aoperati più de' detti, dètti dua corone d'oro per uno del mio, che sono uno ducato e quatro scudi.
Pagamento dell'accatto.
24 detto.
Ricordo oggi questo dì ventiquatro di settembre 1528 com'io ò pagato ducati trentasette d'oro largi e grossoni tredici e danari sei per l'accatto che io ho avuto dal Comune: e' quali [601] denari portò Antonio Mini che sta meco e pagògli al camarlingo che è Bernardo Gondi, e così apparisce al suo libro a carte settanta sei, cioè 76: e con detto Antonio andò Domenico Mori.
Spese per Lionardo suo nipote.
1528 dal 1 al 15 di novembre.
Otto lire in quattro braccia di panno Sanmatteo nero per fare una zimarra a Nardo, che lo comperò Antonio fuor della porta alla Croce trenta soldi, per la manifattura di detta zimarra; uno grossone a Nardo che lo dètte al maestro della scuola pel fuoco; se' soldi per nastro di filugiello, e magliette e agetti che portò la Caterina alla Cecca al munistero di Boldrone: tutti e' sopra detti danari à pagati Antonio Mini che sta meco, o vero conti di sua mano.
Ricordo come dal primo di novembre 1528 insino a oggidì quindici di detto novembre ò speso per conto delle rede di Buonarroto mio fratello: prima per uno Donadello per Nardo, soldi sei e un quatrino; per uno cappello piloso nero per detto Nardo, soldi diciotto.
Tre ducati d'oro a mona Ginevra per diciotto dì che la stette in casa Buonarroto a sciorinare sua panni e masserizie.
Spese per Fanti e Serve.
21 di novemb.
Ricordo come oggi questo dì ventuno ò dato a mona Ginevra sopra detta, cioè oggi a dì ventuno di novembre 1528 ò pagato a detta mona Ginevra lire sei, che la dice che restava avere da me dal dì che la finì la guardia in casa Buonarroto in sin a oggi. Benchè la sia stata in detta casa, tuttavia dice che è stata meco, e io l'ò detto di pagata a mio conto e datole licenzia.
Denari spesi per la Nipote.
1529 13 di gennaio.
Ricordo come oggi questo dì tredici di gennaio 1528 ò portato al munistero di Boldrone ducati sei largi in tanti barili, cioè barili sessanta sette e otto quatrini: e' quali danari ò conti alla badessa, presente Domenico fratello d'Antonio di Migliore mio lavoratore a Macìa: e detti danari sono per conto della Francesca mia nipote che è in serbanza in detto munistero.
14 di maggio.
Ricordo oggi questo dì 14 di maggio 1529 ò pagato al munistero di Boldrone ducati sei largi per conto della Francesca mia nipote; e' quali denari portò Antonio Mini che sta meco.
Spese per l'andata e dimora in Venezia.
Arch. Buon.
1529 10 di settemb.
Dieci ducati a Rinaldo Corsini.[550]
Cinque ducati a messer Loredan per la pigione. —
Diciassette lire nelle calze d'Antonio.
[602]
Un ducato ne' sua stivali.
Venti soldi un paio di scarpe.
In dua scabegli da sedere e in una tavola da mangiare e in un forziere, un mezzo ducato.
Otto soldi in paglia.
Quaranta soldi nella vettura del letto.
Dieci lire al fante che venne da Firenze.
Tre ducati dal Bondino insino a Vinegia nelle barche.
Venti soldi al Piloto in un paio di scarpette.
Sette ducati da Firenze al Bondino.
Dua camicie, cinque lire.
Un birettino e un cappello, soldi sessanta.
Quattordici dì in Vinegia, lire venti.
Circa quatro ducati da Firenze al Bondino in cavagli pel Piloto.
Salario d'una Fante.
1529 14 di settemb.
Ricordo come oggi questo dì 14 di sett. 1529 ò dato a la Caterina che sta meco lire sedici e una crazia per conto di suo salario, presente Antonio Mini che gniene contò in crazie.
Robe riposte quando fuggì a Venezia.
dal 19 al 25 d'ottobre.
Iesus addì 19 di ottobre 1529.[551]
Cose date per buono rispetto dalla Caterina, cioè di Michelagniolo, cavate di casa detto (dì), come detta mi dice: e prima.
Dicemi in un luogo, grano aver messo moggia tre, staia venti, cioè mogia 3 staia 20.
E in detto luogo staia sei di salina, cioè staia 6.
E in un altro luogo dice averne messo moggia dua, staia dodici, cioè 2 e 12.
E in detto luogo v'è tutti sua pannilani, cioè di dosso ed altro.
E in detto luogo v'è forchette sette e dua cucchiai, cioè d'argento.
Dicemi in un altro luogo aver messo moggia dua di grano grosso, cioè 2.
E più mi dice in detto luogo aver mandato moggia tre d'orzo, cioè moggia 3.
E più in detto luogo moggia uno di vena, cioè moggia 1.
E in uno altro luogo dice aver mandato stagno, cioè scodelle undici, e scodellini undici e piattelli sette, e in sacco parecchi panni lini cuciti.
E in detto luogo à mandato uno celone e una coltrice con un primaccio.
E più una materassa di bambagia.
E più dice averne dato a Gismondo staia quattordici di grano grosso, cioè 14.
E più à avuto barili cinque di vino, come dice el lavoratore, cioè 5.
E più mi dice aver venduto staia ventisette di grano a soldi quarantasei lo staio.
[603]
E così barili sette d'olio dice aver venduto, sei di detto a L. nove e soldi quattro el barile, e uno a lire nove sole, al fornaio.
E più dice aver venduto staia sedici di grano grosso addì 25 d'ottobre 1529, a soldi quarantatre lo staio, cioè staia 16 per pagare, disse, quello si mandò a Vinegia.
E più dice aver dato al Balena lire 3 per sua vettura, cioè L. 3.
E addì 24 d'ottobre 1529 avevono recato barili 38, cioè 38 di vino da Macìa; recato da Antonio el Balena, che è pagato vettura tutta.
Ricordo come addì 22 d'ottobre 1529 si dètte a Bastiano di Francesco scarpellino per andare a Vinegia a trovare Michelagnolo, per parte, lire trentatre, soldi sette, cioè .... L. 33. 7.
Detti ne prestò Bernardino di Pier Basso lire dieci, cioè .... L. 10.
E io Francesco Granacci ne prestai lire nove, cioè .... L. 9.
1530 6 di gennaio.
Io Michelagnolo Buonarroti trovai in casa, quando tornai da Vinegia, circa cinque some di paglia; ònne comperate poi tre altre some; ò tenuti tre cavagli circa un mese; ora n'ò uno solo. A dì 6 di gennaio 1529.
Spese nel Podere di Pozzolatico.
Museo Brit.
1532 6 di gennaio.
A dì sei di gennaio 1531 fini' di pagare el manovale che aiuta a Pazzolatica, il quale restava a avere di dieci giornate, a sedici soldi il dì, quattro lire e dodici soldi: e così gli dètti.
E detto dì dètti quattro carlini al lavoratore di Pazzolatico per vettura di quatro some di legnie ch'avea portate.[552]
E a dì dieci di detto a Sandro calzaiuolo lire dieci per conto di un paio di calze e di cosciali che e' mi fa.
E detto dì al sarto per panno per un saione, lire quattordici.
E detto dì al calzolaio per conto di un paio di borzachini e uno di stivali, barili dieci.
E a dì undici di detto lire dieci al sarto pel soppanno del saione.
E a dì tredici di detto a Sandro calzaiuolo lire dodici e uno barile per l'intero pagamento delle calze e de' cosciali che m'à fatte.
E detto dì al lavoratore da Pazzolatico barili 4 per comperare uno orciolo di rame e dua libre d'aguti.
Visita la Nipote in monastero.
1533 12 d'agosto.
Ricordo come adì 12 d'agosto 1533 sendo in Firenze, andai a vedere la mia nipote a Boldrone, e porta'gli venti braccia di panno per camice, che mi costò ventuno soldi el braccio. E detto dì 12 dètti alla badessa scudi tre d'oro per conto della provigione ch'io do a detto monistero per tenere la Cecca.
[604]
Compra del Podere de' Tedaldi.
1533 5 di settemb.
Ricordo come adì cinque di settembre ebbe da me ser Raffaello da Ripa sessanta grossoni, per fine del pagamento per aver procurato per me per conto del podere ch'i' comprai da Piero Tedaldi.
Salario all'Urbino.
12 detto.
Ricordo come oggi a dì dodici di settembre ho dato a Urbino che sta meco, per conto di suo salario, grossoni quaranta: addì 12 di settembre 1533.
Gita a San Miniato per vedere il Papa.
22 detto.
Nel mille cinquecento trentatre. Ricordo come oggi a dì 22 di settembre che andai a Santo Miniato al Tedesco a parlare a papa Clemente che andava a Nizza; e in tal dì mi lasciò frate Sebastiano del Piombo un suo cavallo.
Masserizie de' Nipoti in casa sua.
29 d'ottobre.
E detto dì (29 d'ottobre 1533) ò renduto a Giovan Simone lire ventuna per tante dice avea spese a fare sgomberare le cose, ciò è le masserizie de' mie Nipoti di casa sua in casa mia, ciò è nella casa che tengo a pigione da' Fortini nella via degli Sbanditi.
Provento del Porto di Piacenza.
1537 2 di gennaio.
Io Michelagniolo Buonarroti per la presente confesso oggi questo dì dua di gennaio 1536 avere ricevuto da messer Francesco Duranto di Piacenza mio fittauolo, scudi novantuno e dua terzi d'oro in oro del Sole per la rata de' dua mesi prossimi passati, cioè ottobre e novembre di scudi cinque cento cinquanta d'oro simili che e' m'à a pagare ogni anno per el passo del Po di Piacenza, che e' tiene da me: e quali scudi novantuno e dua terzi detto messer Francesco à pagati per me in Piacenza a messere Agostino da Lodi mio procuratore, e lui me li ha fatti pagare qui in Roma a Tomaso Cavalcanti e Giovanni Giraldi e compagni: e in fede di ciò ò fatta la presente quitanza di mia propria mano, oggi questo dì dua di gennaio sopra detto 1536 ab incarnatione, in Roma.
Ricevuta dello Scherano.
✠ 1537. Di Sandro Scherano per conto della Madonna faceva.[553]
di dicembre.
Io Sananadro (sic) di govani òne ricevuto da Michelaglo ischudi cique, pere choto dela Madona che io facevo, da deto Orèbino (Urbino): io mi ciamo choteto di quelo che io òne auto a fare cho lui cho dito Michelagolo isino a questo di dicebere 1537.
Io Sanadoro (sic) òne fato questa di mia mano.
[605]
Danari al Nipote.
1542 19 di gennaio.
E oggi a dì diciannove di gennaio 1542 ò mandato a Bartolomeo Bettini, cioè a' Cavalcanti e Giraldi, scudi cinquanta d'oro in oro che li faccia pagare in Firenze a Lionardo mio nipote in Firenze: e detti scudi portò Urbino a detto Bartolomeo e contogniene: cioè Francesco da Urbino che sta meco.
Malattia di Michelangiolo.
Arch. Buon.
1546 15 di gennaio.
Ricordo oggi questo dì 15 di gennaio 1545 come io Leonardo Buonarroti andai a Roma in poste a vedere Michelangiolo che era malato: tornai adì 26 di gennaio.
Patti con Donna presa per fante.
Museo Brit.
1547 ... di febbraio.
Sia noto e manifesto a qualunque persona che leggerà la presente iscritta, come mona Caterina di Giuliano fiorentino se ponga a stare con messer Michelangelo Bonaroto fiorentino per prezzo di carlini dieci el mese: e filare sia per lei: così messer Michelangelo se obriga a tenere una sua putta. El ditto Michelangelo à pagato scudi quattro d'oro in oro (a) Agnolo da Casciese per conto di sua vettura: e così el ditto Agnolo promette: en tutto è patto per ditta carta.
Io Lorenzo del Bene fiorentino ò fatto la presente di mia mano a pregera dell'una parte e dell'altra.
Oggi questo dì sopradetto.
Provisione mensuale.
1548 14 di marzo.
Io Michelagniolo Buonarroti ò ricievuto oggi questo dì 14 di marzo da messer Baco Giuntini, dipositario del reverendissimo Sotto Datario, scudi cinquanta, mezzo oro e mezzo moneta, per la mia solita provigione per il mese.
6 d'agosto.
Io Michelagniolo ò ricevuto oggi questo dì sei d'agosto 1548 da messer Giovanni de Rubeis scudi cento, mezzo oro e mezzo moneta, per la mia solita provigione del mese di luglio prossimo passato: cinquanta n'avevo prima e cinquanta me n'à aggiunti nostro Signore, cominciando il dì primo di luglio sopra detto i detti cinquanta che m'è aggiunti.
Salario a una Fante.
25 d'ottobre.
E oggi a dì venticinque d'ottobre ò renduto a Urbino uno scudo, il quale aveva dato alla Caterina per il suo salario del mese d'agosto prossimo passato: e insino a detto mese è pagata: di poi il settembre e l'ottobre è stata ammalata che non gli è corso salario e massimo avendogli tenuto una donna che la governi: che fra lei e medico e medicine mi costò circa scudi nove d'oro.
Provento dell'ufficio di Romagna.
1549 13 di febbraio.
Io Michelagniolo Buonarroti ò ricevuto addì tredici di febbraio 1549 per la paga del mio ufficio di Romagna del notariato del civile,[554] scudi ventidua d'oro in oro per il mese di [606] gennaio prossimo passato, per le mani di messere Benvenuto Ulivieri e messere Bartolomeo Bettini.
1549 4 di novemb.
E oggi a dì 4 di novembre 1549 ò dato alla Caterina iuli dieci per conto di suo salario per il mese di ottobre prossimo passato: contogniene Iacopo che sta meco.
5 di dicembre.
E oggi a dì cinque di dicembre dagli Altoviti ò ricevuto scudi ventidua in oro per la paga del mese di novembre prossimo passato, cioè del fitto del notariato di Romagna, 1551.
1551 14 di ....
Ricordo come oggi a dì 14.... 1551 ò renduto a Urbino scudi dieci e sette iuli, i quali avea spesi per me in paglia e fieno e biada.
L'Urbino mena la moglie a Roma.
29 d'agosto.
Ricordo come oggi questo dì 29 d'agosto ò renduto a Urbino scudi dodici e sette iuli, i quali aveva spesi in casa in acconciare la sua camera per menarvi la moglie e domattina va per essa a Castel Durante.
25 di settemb.
Ricordo come oggi a dì 25 di settembre tornò Urbino da Castel Durante con la moglie e una serva.
Tre iuli pel confessoro.
Fanti e Servitori.
1552 1 d'aprile.
Ricordo come oggi a dì primo di aprile 1552 è venuto a star meco per servidore Antonio da Castello Durante per dieci iuli il mese.
1 di maggio.
E oggi a dì primo di maggio ò dato iuli dieci a detto Antonio per il mese che è stato meco, cioè tutto aprile; e mandatolo via per buon rispetto.
16 detto.
E oggi a dì 16 maggio dagli Altoviti scudi ventidua d'oro in oro per la paga d'aprile prossimo passato, 1552.
18 di giugno.
E oggi a dì diciotto di giugno 1552 è venuto a star in casa per servidore Riccardo franzese per dieci iuli il mese.
1553 4 d'aprile.
E oggi a dì 4 d'aprile 1553 è venuto a star meco per serva Vincenzia da Tigoli per dieci iuli il mese (partita poi il 16 dicembre).
1554 1 di gennaio.
E oggi a dì primo di gennaio 1554 è venuta da Castel Durante Lisabetta a star meco per serva per dieci iuli il mese.
Promessa di maritare una fanciulla.
1 detto.
Sia noto come oggi questo dì primo di gennaio 1554, io Michelagniolo Buonarroti ò tolto in casa per maritarla una figliuola di Michele pizzicarolo dal Macello de' Corvi, la quale [607] à nome Vincenzia, con questa condizione: che in capo di quattro anni, facendo buon portamenti per l'anima e pel corpo, io sia tenuto a dargli di dota scudi cinquanta d'oro in oro; e così prometto quando la dota detta io vegga gli sia sodata in buona sicurtà; e per fede di ciò, io Michelagniolo ò fatta questa di mia propria mano.
Michelagniolo Buonarroti in Roma.
1554 1 di gennaio.
Ricordo come a dì primo di gennaio 1554 io Michelagniolo Buonarroti tolsi a star meco in casa la Vincenzia, figliuola di Michele pizzicarolo dal Macello de' Corvi, con patti che in capo de quattro anni s'ella fussi stata meco, maritandosi, io gli avessi a dare cinquanta scudi d'oro di dota.
1555 26 di settemb.
E oggi adì venti sei di settembre 1555 è venuto Iacopo fratello di detta Vincenzia in casa, e per forza bravando Urbino che era nel letto ammalato, me l'ha tolta di casa e menata via: e presente (a) questo s'è trovato messer Roso de Rosi da Castello Durante e Dionigio che era nella fabrica di Santo Pietro e più altre persone.
Io Roso de li Rosi da Castello Durante foi presente quanto di sopra è scritto, e per fede de la verità ò scritto e sottoscritto di mia propria mano.
Altra Fante al suo servizio.
1 d'ottobre.
E detto dì primo d'ottobre 1555 è venuto a star meco da Castello Durante la Lucia per serva e Antonio per servidore a uno scudo el mese per uno, cioè dieci iuli: e detta serva et servidore me gli à menati messer Roso da Castello Durante.
1556 29 di gennaio.
E oggi a dì 29 di gennaio 1556 è venuto a star meco da Castel Durante per serva la madre della Betta per dieci iuli il mese.
Paghe del Monte della Fede.
4 di maggio.
Ricordo come oggi questo dì quattro di maggio 1556 — ò riscosso sessantotto iuli e diciotto quattrini per la prima paga del Monte della Fede che io comperai de' denari che mi lasciò Francesco D'Amadore detto Urbino, da Castello Durante: e per le sua rede n'ò comperato detto Monte, e per loro ne risquoto le page e la quantità de' danari che mi lasciò e come apparisce pel suo testamento.
Andata a Spoleto.
1 d'ottobre.
E oggi a dì primo d'ottobre trovandomi in Spuleti, ò dato iuli dieci per uno a dua Antonii mia servidori per conto di loro salario, e benchè uno di loro non l'abbi scritto qui, sempre à avuto il suo salario, come apparisce scritto nel muro in camera mia.
1557 31 d'ottobre.
E oggi a dì ultimo d'ottobre 1557 a' dua Antonii che stanno meco, sendo da Spuleti tornato in Roma, ò dato per conto di loro salario uno scudo d'oro in oro per uno.
[608]
E oggi a dì ultimo d'ottobre ò dato scudi venti d'oro in oro a Pietro Antonio lombardo in più partite, per cinque settimane che m'ha guardato la casa in Roma, send'io tante stato a Spuleti e trovandomi detto dì in Roma.
Salarii a' Servitori.
31 detto.
E detto dì ultimo d'ottobre send'io in Roma, ò dato a' dua Antonii che stanno meco uno scudo d'oro in oro per uno per conto di loro salario, benchè l'ordinario sia dieci iuli il mese per uno.
E a Bastiano Malenotti, soprastante della fabrica di Santo Pietro, perchè è stato meco a Spuleti un meso e cinque dì, ò datogli sei iscudi di oro in oro come à in detta fabrica.
1 di dicembre.
E oggi a dì primo di dicembre uno scudo d'oro in oro per uno a' dua Antonii per conto di loro salario.
1558 1 di gennaio.
E oggi a dì primo di gennaio 1558 è venuto a star meco Antonio da Castello Durante per sei iuli e mezzo il mese, cioè per sette e mezzo iuli.
Nuovi Fanti e Servitori.
28 d'aprile.
E oggi a dì 28 d'aprile 1558 è venuta da Castel Durante a star meco Laura, e una fanciulla sorella d'Antonio che sta meco, pur da Castel Durante: e detta fanciulla à nome Benedetta.
1 di luglio.
E oggi a dì primo di luglio un ducato d'oro in oro e 3 iuli a Antonio, e un ducato d'oro in oro la Benedetta sua sorella, e un ducato d'oro in oro a Laura per loro salario: e tutti stanno meco e tutti sono da Castello Durante.
1559 1 di giugno.
E oggi detto dì primo di giugno 1559 è venuta a stare da Castel Durante a star qui meco la Girolama per serva a uno scudo d'oro il mese: e detto dì gli ò per tal conto gli ò (sic) dato uno scudo d'oro, e a Pasquino mulattiere che l'ha menata, gli ò dato scudi 4 d'oro in oro per sua vettura.
1560 22 d'aprile.
E oggi a dì 22 di detto aprile ò rimandata Laura, che stava meco, a Castello Durante: tre scudi d'oro in oro ò dato al mulattiere che la porti, e sei scudi d'oro ò donati a lei con uno che n'avea a aver da me alla fine di detto aprile 1560.
dall'1 al 5 d'agosto.
E oggi a dì primo d'agosto 1560 scudi dua a Antonio, uno a la Benedetta, uno alla Girolama per conto di loro salario. Oggi a cinque dì detto ò rimandata detta Girolama a Castel Durante con quaranta scudi d'oro che l'à avanzato meco in sedici mesi: che mai non ci fussi venuta: e quattro d'oro ò dati a Pasquino mulattiere che la riporti a Castel Durante.
Perde il provento dell'uffizio di Romagna.
1560 ....
..... scudi d'oro che tanti me ne ò ri........ per parte della p.....ione dell'entrata di mille dugento scudi d'oro che mi fu tolta dal [609] papa Caraffa, datami prima da papa Farnese .... porto di Piacenza me l'aveva tolta prima l'Imperadore e ultimamente il papa Caraffa l'ufizio .... in Romagna mi tolse il primo dì che fu fatto papa.[555]
Paghe di sua provisione.
1560 1 di luglio.
E oggi a dì primo di luglio ò ricevuto scudi cinquanta d'oro dal Papa per il sopradetto conto.
1561 12 di gennaio.
E oggi a dì dodici di gennaio ò ricevuto la paga del mese di dicembre, cioè scudi cinquanta d'oro in tanta moneta nel mille cinque cento sessanta uno.
Dono del Papa.
17 d'aprile.
E oggi a dì diciassette d'aprile ò ricevuto dal Papa scudi dugiento d'oro, e' quali mi dona per sua benignità e cortesia.
Paghe di sua provisione.
1562 1 di marzo.
E oggi a dì primo di marzo ò ricevuto la paga del mese di febraio, cioè scudi cinquanta d'oro, in tanta moneta che m'ha portata Antonio in tanta moneta (sic) che sta meco.
1 d'aprile.
E oggi a dì da primo d'aprile ò ricevuta la paga del mese di marzo, cioè cinquanta in tanta moneta portò Antonio che sta meco.
1563 7 di febbraio.
E oggi a dì sette di febraio nel mille cinque cento sessanta 3 ò ricevuto la paga del mese di novembre del sessantadua, cioè scudi cinquanta d'oro in tanta moneta.[556]
FINE DEI RICORDI.
DAL 1498 AL 1548.
Archivio Buonarroti. Roma, 27 d'agosto 1498.
Allogazione a Michelangelo del gruppo di marmo della Pietà in Roma.
Die xxvij mensis augusti 1498.
Sia noto et manifesto a chi legerà la presente scripta, come el reverendissimo cardinal di San Dionisio[557] si è convenuto con mastro Michelangelo statuario fiorentino, che lo dicto maestro debia far una Pietà di marmo a sue spese, ciò è una Vergene Maria vestita, con Christo morto in braccio, grande quanto sia vno homo iusto, per prezo di ducati quattrocento cinquanta [614] d'oro in oro papali, in termino di uno anno dal dì della principiata opera. Et lo dicto reverendissimo Cardinale promette farli lo pagamento in questo modo, ciò è: Imprimis promette darli ducati centocinquanta d'oro in oro papali, innanti che comenzi l'opera: et da poi principiata l'opera promette ogni quattro mesi darli ducati cento simili al dicto Michelangelo, in modo che li dicti quatro cento cinquanta ducati d'oro in oro papali siano finiti di pagarli in vno anno, se la dicta opera sarà finita; et se prima sarà finita, che la sua reverendissima Signoria prima sia obligata a pagarlo del tutto.
Et io Iacobo Gallo prometto al reverendissimo Monsignore che lo dicto Michelangelo farà la dicta opera in fra uno anno et sarà la più bella opera di marmo che sia hoge in Roma, et che maestro nisuno la faria megliore hoge. Et si versa vice prometto al ditto Michelangelo che lo reverendissimo Cardinale la farà lo pagamento secundo che de sopra è scripto. Et a fede io Iacobo Gallo ho facta la presente di mia propria mano, anno, mese et dì sopradito. Intendendosi per questa scripta esser cassa et annullata ogni altra scripta di mano mia, o vero di mano del dicto Michelangelo, et questa solo habia effecto.
Hane dati il dicto reverendissimo Cardinale a me Iacobo più tempo fa ducati cento d'oro in oro di Camera et a dì dicto ducati cinquanta d'oro in oro papali.
Ita est Ioannes, Cardinalis S. Dyonisij.
Idem Iacobus Gallus manu propria.
[615]
Archivio Buonarroti. Firenze, 22 di maggio 1501.
Dichiarazione di Michelangelo circa ad alcuni patti della scritta col cardinal Piccolomini, poi Pio III, per le quindici statue della sua cappella nel Duomo di Siena.[558]
Io Michelagniolo di Lodovicho Buonaroti sono contento e obrigomi a quanto in questa scritta si contiene, eccietto che per spresso dichiarato che nel capitolo dove dice che si tolga maestri per dichiarare se le figure sono alla prefetione (sic) quanto nella scritta si contiene, voglio e dichiaro che esso reverendissimo Monsignor debba chiamare uno maestro dell'arte, qual piacie a sua Signoria, e io Michelagniolo ne debbo chiamare un altro dell'arte, qual piacie a me: e quando essi due così chiamati non fussin d'acordo, allora e in tal caxo essi dua maestri chiamati debbino e possino tutti e dua d'acordo chiamare uno maestro dell'arte. E poi così chiamato, possino e' dua di loro d'acordo dichiarare la prefezione (sic) delle sopradette figure, come nella scritta si dicie.
E quanto al caso del sodamento che si dicie nella scritta, che e' reverendissimo Monsignore mi debba dare quanto al pagamento delle figure, e de' sodamento che si dicie che io debba dare del fare le quindici figure; questa parte non intendo nè voglio che essa sua Signoria sia tenuta farlo, nè io sia tenuto fare sodamento a sua Signoria.
E quanto al tempo de' tre anni, si dichiara cominci el tempo di detti 3 anni el dì che m'àrà sua Signoria pagati o fatti pagare e' ducati ciento d'oro in oro in Firenze per conto della presta, come in questa scritta si dicie.
Di tutte l'altre cose, eccietto queste dua ecciettuate, sono contento e obrigomi come è detto di sopra, quando suo Signoria àrà soscritto e obrigatosi a quanto in questa scritta si contiene e non altrimenti; e però mi sono soscritto di mia propria mano in questo dì ventidua di maggio 1501.
[616]
Archivio de' Contratti di Siena. Siena, 15 di settembre 1504.
Esibizione e ratifica fatta da Iacopo ed Andrea de' Piccolomini del contratto passato tra Michelangelo e il predetto Cardinale per l'opera suindicata.[559]
In nomine domini nostri Ihesu Christi. Anno Dominice incarnationis millesimo quingentesimo quarto, inditione octava, die vero quintadecima mensis septembris. Serie presentis publici documenti noverint universi, qualiter constitutus personaliter coram me notario publico et testibus infrascriptis, magnificus et generosus dominus Andreas de Piccolominibus, eques, nobilis civis Senensis, facto produxit et exhibuit quamdam scriptam privatam cum subscriptionibus tribus diversarum literarum in fine illius existentium: cujus scripte et subscriptionum tenores de verbo ad verbum sequntur et sunt tales, videlicet:
In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti, et gloriosissime Virginis Marie: Amen.
Sia noto et manifesto ad qualunche persona vedrà ho (sic) legerà la presente scripta, come el reverendissimo Cardinale di Siena adcoptima et alloca ad Michelangelo di Ludovico Bonarroti, sculptor fiorentino, ad fare figure quindici di marmo carrarese, novo, candido et bianco, et non venoso, ma della perfectione se li richiede ad quelle: le quali tutte, salvo le infrascripte, habiano ad essere de braccia due l'una alte, quali sia tenuto ad fare in anni tre, per prezo di ducati cinquecento d'oro in oro larghi ad tutte sue spese di marmo et ogni altra cosa: et quando in Fiorenza non habia tanti marmi faccino le quindici figure, sia tenuto farlo venire da Carrara a la sopradecta perfectione.
Item, sia tenuto et obligato fare quelli Appostoli et Santi che sua Signoria reverendissima nominarà, a dextra et sinistra della cappella, con li apanamenti, posamenti, gesti et nudo se li conviene; et sieno della perfectione che lui promette; cioè di più bontà, meglio conducte, finite et a perfectione, che figure moderne sieno hogi in Roma. Et perchè decte cuindici (sic) figure se hanno per lui ad lavorare in Fiorenza, dove sua Signoria reverendissima nè altri per quella intelligente et praticho può vedere nè considerare la lor perfectione, ho (sic) manchamento et defecto havessero; si domanda per esso Cardinale, che li sia lecito et possa volendo, finir (sic, leggi: finite) che siano le due prime, farle vedere ad uno maestro perito dell'arte, quale allui piacerà; et similmente Michelangnolo, volendo, possa ancora lui eleggere uno maestro quale li piacerà, praticho; el quale insieme con quello che eleggerà el Cardinale, habia ad iudicare se le decte due figure sonno della bontà et perfectione, che lui promette, cioè più belle et meglio conducte et finite et di più perfectione che figure sieno hogi in Roma, moderne. Et quando essi due maestri non fussero d'acordo, allora possino et debbino essi di comune voluntà et iudicio eleggere et chiamare uno terzo maestro, el quale habia insieme con li due ad iudicare; et quello che li due di loro d'accordo dichiararando [617] (sic: dichiararanno) sia acceptato, sopra la perfectione d'esse figure, come esso Michelangnolo promette; et quelle non havesseno la perfectione, dice et sia tenuta rifarle, o vero le facte meglio redurre et finire, in fino habbino la perfectione li manchasse, et sia da' maestri iudicata necessaria.
Item, sia tenuto et oblighato, duranti li tre anni, nelli quali promette fare esse fighure quindici, non tôrre nè pigliare ad fare altro lavoro di marmo, ho altro, per lo quale si ritardasseno: ma quelle sia tenuto continuare, et fare di sua mano, et finire in tutto, come promette per una sua di mano di misser Iacomo Gallo.
Item, sia tenuto et obligato, innansi cominci affare esse figure, andare ad Siena e vedere la Cappella, misurare le tribunette dove quelle hanno da stare per li posamenti, zoccolo, o vero scabello dove si hanno a collocare, non havendo el mezo tondo dirieto, ma andando alquanto piane et dolci.
Item, finite sieno le due prime figure, et facte approbare da sua Signoria reverendissima et Michelangnolo, come di sopra si contiene, per maestri periti de l'arte, possa esso Cardinale volendo da due in due, ho le altre tutte, finite siano, far vedere et iudicare da maestri, come nel terzo capitolo si contiene: le quali quindici figure finite sieno da Michelangnolo, come promette, in Fiorenza, ho dove altrove lavorasse: et esso Cardinale ha da fare condurre ad Siena ad tutte sue spese: et Michelagnolo sia tenuto et obligato, fatte esse quindici figure, andare ad Siena, et quelle mettare in opera nelle sue tribunette, dove hanno da stare, et ad sue spese, ristio et fortuna.
Item, innansi cominci ad fare esse figure, dati li nomi delli Appostoli et Sancti che vanno in essa Cappella, sia obligato quelli in prima designiare in uno foglio, acciò si vega panni, gesti et nudo se li richiede, et bisogniando, innansi si faccino di marmo, si li possa adiungere et diminuire quello si vederà necessario.
Item, innansi cominci ad fare esse figure, esso reverendissimo Cardinale sia tenuto et debbi prestare ad esso Michelagnolo ducati cento d'oro in oro larghi, per li quali, da scontare nelle tre utime figure, misser Iacomo Gallo, cittadino Romano, per una sua scripta si obligha et promette, che quando, Idio el cessasse, esso Michelagniolo morisse, et de le figure facte fusse paghato, sia tenuto ad esso Cardinale restituire li ducati cento larghi hauti Michelagniolo in presta.
Item, esso Cardinale sia tenuto paghare ad esso Michelagnolo figura per figura, quando sia finita con tutta sua perfectione interamente, in Fiorenza, ducati trenta tre e uno terzo d'oro in oro larghi, toccando tanto per una alle XV de li cinquecento.
Item, sia tenuto Michelagnolo fare el Cristo va in summità d'essa Cappella, secondo el disegno, maiore di due braccia uno palmo, per la distantia dell'ochio: et similmente el Cristo va ne la tribuna grande di mezo, quattro dita: el sancto Thomasio, et sancto Iohanni che li vanno appresso, di braccia due: li due Agnoletti vano in lo extremo de le cornici con le tronbette in mano, minori quatro dita di due braccia; iudicando così maestro Andrea[560] necessario.
Item, sia tenuto tutte le predecte figure fare di marmo carrarese novo et bello, come di sopra si dice, et non di pezi capo, braccia, piedi, come spesso se ne vede. Et più si dice et dichiara, che el tempo delli tre anni, ne li quali Michelagnolo promette fare le quindici figure, s'intendano cominciare dal dì che in Fiorenza li serano numerati per commessione d'esso reverendissimo Cardinale li cento ducati d'oro larghi.
Item, perchè vi he (sic: è) un sancto Francesco di marmo facto per mano di Pietro Turrisiani,[561] si domanda per el Cardinale, che esso Michelagnolo per suo honore et cortesia et [618] humanità, non essendo quello finito di pannamenti et testa, che el finisca di sua mano in Siena, dove sua Signoria reverendissima el farà condurre, acciò possa stare infra le sue figure, et non si mostri maestro et mano diversa, perchè a lui ne sequitaria manchamento; chè ognuno el vedesse, diria fusse sua opera.
Item, esso reverendissimo Cardinale vole potere, piacendoli; finite che sieno esse figure et paghate da una in una iudicate da maesti (sic) da due in due, come di sopra si dice, in Fiorenza; di quelle come di sue disponere; stando in casa di Michelagnolo, di quella levarle, piacendoli, et collocarle et metterle in Fiorenza dove li parerà, ad sua instantia, petitione et richesta, acciò che in sue mani emuli et malivoli non le guastassino et rompesseno. Et finite tutte, sua Signoria reverendissima possa ad Siena farle condurre ad sue spese: et esso Michelagnolo sia tenuto come di sopra si dice, et obgligato (sic) ad sue spese, ristio et fortuna andarle a mettere in opera, et colocarle nelle sue tribunette, dove hanno ad stare.
Et per observatione di tutte le sopra decte cose et capitoli in questa scripta si contengano, in prima esso reverendissimo Cardenale di sua mano propria si sottoscrivarà, et similiter Michelagnolo di sua propria mano: volendo la presente tanto vaglia, quanto ogni autentico contracto: de le quali, una ne rimarrà appresso sua reverendissima Signoria et una apresso Michelagnolo. Datum Romae in domibus prefati reverendissimi domini Cardinalis, die quinta Iunij MCCCCCi.
Ita est, F. Cardinalis Senensis manu propria.
Io Michelagnolo di Ludovico Buonarroti, fiorentino, sono contento di osseruar quanto di sopra in questa si contiene, et per chiareza del vero mi so' sottoscripto di mia propria mano, questo dì 19 di gugnio 1501.
Io Iacomo Gallo prometto al reverendissimo Cardinale di Siena pagare li cento ducati d'oro larghi, quali presta a lo sopra decto Michelagnolo: quando dal detto Michelagnolo sua Signoria reverendissima non sia sodisfacta nel modo et forma che in nello octavo capitolo si contiene: et per fede del vero, io Iacomo Gallo ho facti questi versi di mia propria mano, questo dì 25 di iunio 1501.
Idem Ia. Gallus manu propria.
Asserens, quod locatio predicta propter obitum dicti reverendissimi Cardinalis, deinde felicis recordationis domini Pii pape Tertii, eius germani, non est sortita debitum effectum, et negotium ipsum remansit infectum; volens, prout idem sanctissimus dominus Pius in sua ultima voluntate disposuit, opus ipsum executioni debite demandare, nomine suo proprio et vice et nomine magnifici viri et generosi domini, domini Iacobi de Piccolominibus, equitis Senensis, eius etiam germani, pro quo de rato promisit, et se facturum et curaturum taliter et cum effectu, quod idem magnificus dominus Iacobus habebit ratum et gratum, et attendet et observabit quicquid eius nomine in huiusmodi negotio per ipsum magnificum dominum Andream factum fuerit sive gestum; nec non hereditario nomine dicte olim felicis recordationis domini Pii pape Tertii, cuius uterque, videlicet, dominus Iacobus, et dominus Andreas, prout idem dominus Andreas asseruit, sunt heredes: ratam primo et gratam habens omnem et quamlibet obligationem, quam idem Michaelangelus, civis florentinus, sculptor prefatus, cum eo et prefato domino Iacobo in absentia ipsorum, contraxit, ratificando omnia et singula in supradicta scripta contenta, ut patere asseruit manu honorabilis viri ser Donati Thome de Ciampellis notarii publici Florentini,[562] et Curie Archiepiscopalis florentine scribe, publicum [619] documentum. Et se ad ea dictis nominibus de novo obligans, et omnia et singula in dicta scripta contenta cum pactis et conditionibus additis infrascriptis, eandem scriptam superius annotata et omnia et singula in ea contenta, approbavit, confirmavit et emologavit, nominibus antedictis; et pro confirmata, approbata et emologata, et inter prefatos heredes et magistrum Michaelangelum sculptorem de novo facta haberi voluit, et habere se affirmavit in omnibus et per omnia, prout in ea continetur, cum pactis et conditionibus additionalibus infrascriptis pro dicti magistri Michaelisangeli sculptoris commoditate appositis, videlicet:
Quod pro termino trium annorum, effluxo predicto, sit terminus duorum annorum a presenti sive a die notificationis huiusmodi ratificationis huiusmodi sibi facte computandus: ac quod huiusmodi terminus sibi non currat, casu quo per magnificos dominos Florentinos flumen Arni averteretur sive derivaretur, ut proponitur: quo fieret, ut marmoris carrarensis copia fieret difficilior: ac in eventum infirmitatis dicti magistri Michaelisangeli sculptoris: in quibus casibus negotium sive opus ipsum pro commoditate ipsius prorogetur ad tempus sive temporis dilationem necessariam et oportunam. Que omnia et singula prefatus magnificus dominus Andreas, nominibus quibus supra, promisit michi notario publico infrascripto recipienti et stipulanti pro dicto magistro Michaelangelo sculptore absente, attendere et observare.
Acta fuerunt premissa Senis in curia audientie Causarum palatii Archiepiscopatus Senarum, anno, inditione, die, mense, premissis, coram et presentibus ibidem honorabilibus viris eximio utriusque iuris doctore domino Nicolao Nannis Pieri de Piccolominibus, Francisco Coni de Ragnonibus, nobilibus, ac Iohanne Pietri Chianciani, civibus Senensibus, testibus.
Et ego Franciscus olim Iacobi Ilcinensis notarius, rogatus scripsi.
[620]
Archivio del Duomo di Firenze. Firenze, 16 d'agosto 1501.
I Consoli dell'Arte della Lana, e gli Operai di Santa Maria del Fiore allogano a Michelangelo la figura del David.[563]
1501, die xvj augusti.
Spectabiles etc. viri Consules Artis Lane una cum dominis Operariis adunati in Audentia dicte Opere, elegerunt in sculptorem dicte Opere dignum magistrum Michelangelum Lodovici Bonarroti, civem florentinum, ad faciendum et perficiendum et perfecte finiendum quendam hominem vocato Gigante abozatum, brachiorum novem ex marmore, existentem in dicta Opera, olim abozatum per magistrum Augustinum grande de Florentia, et male abozatum, pro tempore et termino annorum duorum proxime futurorum, incipiendorum kalendis septembris [621] proxime futuri, et cum salario et mercede qualibet mense florenorum sex auri latorum de moneta; et quicquid opus esset eidem circa dictum edificium faciendum, Opera teneatur eidem presare et conmodare et homines dicte Opere et lignamina, et omnia quecumque alia quibus [622] indigeret: et finito dicto opere et dicto homine marmoreo, tunc Consules et Operarii qui tunc erunt, iudicabunt an mereatur maius pretium; remictentes hoc eorum conscientiis. (In margine è scritto): Incepit dictus Michelangelus laborare et sculpere dictum gigantem die 13 settembris 1501, [623] et die lune de mane, quamquam prius.... die eiusdem uno vel duobus ictibus scarpelli substulisset quoddam nodum quem (sic) habebat in pectore: sed dicto die incepit firmiter et fortiter laborare, dicto die 13 et die lune primo mane.
[624]
Archivio di Stato in Firenze. Firenze, 12 d'agosto 1502.
Allogazione a Michelangelo della figura di bronzo del David.[564]
— Dicti domini — locaverunt Michaelangelo Ludovici Bonarroti de Florentia et magistro sculture, ad faciendum unam figuram unius Davit alti brachiis duobus et uno quarto alterius brachii in circa, bronzi, infra tempus sex mensium proxime futurorum, pro ea mercede que declarabitur post perfectam dictam figuram per duos amicos communes, eligendos unum a dictis magnificis dominis Prioribus pro tempore existentibus, et unum alium a dicto Micaelangelo, cum hoc quod dicti Domini teneantur ad presens dare dicto Michaelangelo totam materiam, et ulterius florenos 50 largos auri in auro pro parte mercedis predicte: et quam figuram dicti magnifici Domini dixerunt se velle facere fieri pro donando illam Marischali de Gie francioso, et baroni regis Francorum, quando perfecta fuerit.[565]
[625]
Archivio del Duomo di Firenze. Firenze, 24 d'aprile 1503.
Statue de' XII Apostoli allogate a Michelangelo per il Duomo di Firenze.[566]
1503, die 24 aprilis.
Die 24 mensis eiusdem, presentibus Iuliano Francisci da San Gallo vocato Francione legnaiuolo, et Simone Tommasii del Pollaiuolo caputmagistro in dicta Opera; actum in Opera predicta, et etiam presente ser Niccolao Michelozii de Micheloziis cancellario dicte Artis Lane, et aliis testibus.
Spectabiles viri Consules Artis Lane, absentibus Iacob (sic) de Pandolfinis, Ioanne Pagni de Albizis, eorum collegis, et Operarii Opere Sancte Marie del Fiore, absente tamen Paulo Simeonis de Carnesechis uno ex dictis Operariis, locaverunt Michelangelo Ludovici de Bonarrotis, sculptori et civi florentino, presenti et acceptanti, statuas duodecim Apostolorum fiendorum de marmore carrariensi albo, altitudinis brachiorum quatuor et unius quarti quolibet statua dictorum duodecim Apostolorum, per dictum Michelangelum in honorem Dei, famam totius civitatis, et in ornamentum dicte civitatis et dicte ecclesie Sancte Marie del Fiore; et ponendorum in dicta ecclesia in loco picturarum[567] que in presenti sunt in dicta ecclesia, vel alibi ubi videbitur et placebit et commodius prefatis Consulibus et Operariis pro tempore existentibus. Quas statuas dictus Michelangelus debeat sculpere et laborare et perfecte finire et diligentissime et secundum dignitatem dicte ecclesie et artem ingenium et artificium suum, adeo quod de eis acquiratur gloria et honor civitati predicte et ecclesie et sibi. Quas quidem 12 statuas dictus Michelangelus debeat sculpere et laborare, et illas sculpsisse et laborasse, et perfecte absolutas et completas dare et consignare dictis Consulibus et Operariis et eorum successoribus tam presentibus quam futuris, infra tempus et terminum annorum duodecim hodie initiatorum; et videlicet anno unam absolutam et perfectam ad minus. Et predicta omnia et singula suprascripta promisit dictus Michelangelus facere et observare diligenter et absolute ex parte sua, remota omni cavillatione et seu contradictione, secundum consuetudinem et usum boni et perfecti sculptoris et artificis et eius industriam, magisterium et ingenium. Et versa vice dicti spectabiles viri Consules et Operarii, ut supra, servatis servandis et omni modo — promiserunt — dare et tradere dicto Michelangelo, ab eo die quo dictus Michelangelus missus fuerit vel ibit Carrariam pro faciendo seu procurando marmor seu bozas marmoreas duodecim (statuarum) et pro pretio dictarum duodecim statuarum et pro eis et eas cavando, et illas ad Operam conducendo ad omnes expensas dicte Opere, adeo quod per dictum Michelangelum nihil aliud mittatur, [626] nisi eius industriam (sic), che non vi abbia a mettere se non la sua faticha et industria, e ogni altra cosa l'Opera, pro dictis duodecim Apostolis solvatur dicto Michelangelo expensas et sibi et sue comitive, non ascendendo plusquam uno eius socio, si et in casu quo vellet se conferri ad cavandum dictas statuas usque Carrariam, et non aliter. Et insuper et ultra predicta solvere dicto Michelangelo florenos duos auri largos in auro quolibet mense, durantibus dictis XII annis, libere et absque aliqua retentione[568].... et preterea solvere eidem Michelangelo pro dicta gita Carrariam et pro eius labore id totum et quicquid dictis spectabilibus Operariis videbitur et placebit. Quorum discretioni dictus Michelangelus libere et absolute se submisit et conmisit, promictens pro tali eius mercede recipere et acceptare quicquid prefatis Operariis, et ultra dictos duos florenos largos in auro quolibet mense, videbitur et placebit; et etiam nihil recipere, si ita dictis Operariis videbitur. Et etiam promiserunt ut supra, dare et tradere et consignare Michelangelo predicto situm unum per eos hodie emptum in angulo vie Pinti.... conspectu monasterii Cestelli, a Bernardo Bonaventure Serzelli, longitudinis brachiorum vigintiquatuor per viam Pinti predictam versus angulum Montislori, et br.... in via que vadit ad monasterium Servorum.... sita quinque, et loca quinque situum domorum designatorum cum hostiis per dictam viam que vadit ad dictum monasterium Servorum, prout constat manu ser Stephani Antonii Pacis Bambelli notarii dicte Opere. Super quo solo, prefati Consules et Operarii predicti teneantur murare unam domum pro habitatione dicti Michelangeli, in qua domo intra solum predictum et edifitium domus fiende expendantur, et intra dictam emptionem factam dictarum librarum noningentarum quadraginta otto et solidorum decem expensarum in duabus vicibus, et solutarum dicto Bernardo, pro ut in margine e contra apparet; et in edificio et murando in totum ut supra: et inter omnia expendantur et expendant prefati Operarii pro tempore ad minus florenos 600 largos de auro in aurum. Que quidem domus fieri debeat et fiat iuxta et ad similitudinem et secundum modellum factum uel fiendum per Simonem del Pollaiuolo caput magistrum dicte Opere et dictum Michelangelum simul concordes. Et si in dicta domo fienda secundum dictum modellum expendatur uel expenderetur maior summa, quam predicta dictorum florenorum 600 largorum; id totum reliquum expendi et exbursari debeat per dictum Michelangelum et non per dictam Operam. Et cum pacto in predictis expresso et declarato, quod dictus Michelangelus non acquirat vel intelligatur acquirere ius vel dominium quoad dictam summam florenorum 600 expendendam per dictos Operarios et Operam predictam inde vel super dicta domo, nisi de tempore in tempus, secundum promisit, sculpserit seu laboraverit dictas statuas, videlicet quotiescumqne dictus Michelangelus consignaverit vel dederit unam ex dictis statuis absolutam et in omni sua parte perfectam; tunc intelligatur acquirere et acquisisse ius et dominium super dicta domo de duodecima parte dictorum florenorum 600 et non ultra; et si consignaverit duas statuas perfectas, ut supra, intelligatur et voluerunt acquisisse et acquirere ius et dominium super sexta parte dicte domus; et sic in reliquis statuis et statua per.... observabitur. Et dictum salarium florenorum duorum quolibet mense dicto Michelangelo, incipiat et incipere intelligatur die qua ibit Carrariam pro cavando dictas bozas vel quum non iret, et huc ad Operam essent apportate, die qua incipiet laborare super prima statua in dicta Opera. Que omnia — promiserunt dicti Consules — dicto Michelangelo presenti — et non propterea eorum bona obbligare — sed bona dicte Opere; et e converso dictus Michelangelus promisit dictis dominis Consulibus et Operariis — omnia suprascripta attendere et contra non ire — sub pena florenorum mille. —
[627]
Archivio de' Contratti di Firenze. Firenze, 11 d'ottobre 1504.
Nuova convenzione tra Michelangelo e i fratelli ed eredi di papa Pio III, sopra il lavoro della Cappella Piccolomini nel Duomo di Siena.[569]
1504, die xj octobris.
Actum Florentie in populo Sancti Pauli et in domo habitationis mei Laurentii, presentibus honorabilibus viris domino Ricciardo Lodovici de Giandonatis, plebano plebis sancti Iacobi de Soriana, et Roberto Philippi Iohannis de Corbizis, civibus florentinis, testibus.
Certum esse dicitur, quod anno domini MDI, et sub die quinta mensis Iunii dicti anni vel alio tempore veriori, fuit facta et firmata quedam conventio per scriptam et cautionem privatam inter reverendissimum tunc dominum Cardinalem de Senis ex parte una; qui Cardinalis postea successit in pontificatu pape Alexandro Sexto, et vocatus fuit Pius Tertius; et Michelangelum Lodovici de Buonarrotis, scultorem florentinum, ex parte alia: per quam scriptam in effectu dictus Michelangelus promisit et se obligavit dicto domino Cardinali facere et sua manu et opere sculpendo fabbricare quindecim statuas, et seu figuras marmoreas, pro pretio florenorum quingentorum auri largorum in auro, et cum illis tamen pactis, modis et capitulis, prout in dicta scripta privata, et subscripta manu dicti reverendissimi domini Cardinalis, et dicti Michelangeli latius dicitur apparere: ad quam habeatur relatio.
Et cum prefatus reverendissimus dominus Cardinalis, et beatissimus papa Pius predictus hodie sit vita functus, et cum magnifici viri dominus Iacobus et dominus Andreas fratres et filii olim domini Vannis de Senis, sint heredes ex testamento felicissime recordationis dicti pape Pii, et velint quod illud, quod per suam felicem memoriam fuerat inceptum et ordinatum, sequatur et habeat suam perfectionem.
Hinc est, quod hodie hac presenti suprascripta die, venerabilis vir dominus Philippus Nicolai Antonii, presbyter Senensis, et plebanus plebis Sancti Blaxii de Scrofiano, comitatus Senarum, vice et nomine prefatorum domini Iacobi et domini Andree fratrum et filiorum domini Vannis de Senis et heredum ex testamento prefati beatissimi pape Pii, pro quibus et quolibet eorum de rato promisit, etc. et se facturum, etc. quod prefati dominus Iacobus et dominus Andreas infra unum mensem ab hodie proxime futurum, rathificabunt et quilibet eorum rathificabit omnia et singula in presenti instrumento contenta, alias de suo et attendere, [628] etc. promisit, etc. et quolibet dictorum modorum et nominum, ex parte una, et prefatus Michelangelus ex altera, per se et eorum et cuiuslibet eorum dictis modis et nominibus heredes, etc. et omni modo, etc. devenerunt ad infrascriptam novam conventionem, pacta, et concordiam, videlicet:
In primis dicte partes sibi invicem et vicissim dictis modis et nominibus promiserunt de novo, salvis infrascriptis, observare omnia contenta in dicta scripta et cautione privata, exceptis tamen infra dicendis, et cum infrascriptis limitationibus, correctionibus et additionibus, et pactis et modis, videlicet. Quoniam virtute dicte scripte et cautionis private dictus Michelangelus tenetur facere quindecim figurae et statuas marmoreas predictas, dicte partes ex nunc declaraverunt dictum Michelangelum usque in hunc diem de dictis figuris iam fecisse et consignasse quatuor figuras et statuas marmoreas dictis heredibus beatissimi Pii Tertii predicti, et dictos heredes dictas quatuor statuas habuisse et acceptasse a dicto Michelangelo pro figuris idoneis et illius qualitatis et bonitatis, cuius tenebatur facere dictus Michelangelus, virtute dicte scripte private: et ita dictus dominus Philippus dictis nominibus confessus fuit sibi dictis nominibus fuisse et esse consignatas et datas a dicto Michelangelo; et è converso dictus Michelangelus confessus fuit sibi fuisse et esse integre solutum et satisfactum de pretio dictarum quatuor figurarum consignatarum a dictis heredibus domini nostri pape Pii predicti, ultra etiam centum ducatos, de quibus infra proxime fiet mentio. Et ideo concorditer convenerunt dicte partes dictis modis et nominibus, quod dictus Michelangelus solum teneatur facere undecim figuras pro residuo figurarum promissarum in dicta scripta, eo tamen modo et forma et pro illo pretio pro qualibet figura, et solvendo singulum pretium pro singola figura, ut et quemadmodum in dicta scripta inter partes conventum fuit.
Item cum in dicta scripta dicatur, quod dictus Michelangelus centum ducatos, quos habere debebat a dicto domino Cardinali antequam operari inciperet, non teneretur computare nisi in ultimis tribus figuris per eum conficiendis, ut ibi latius in dicta scripta continetur; et cum dictus Michelangelus post dictam factam scriptam habuerit et habuisse confiteatur dictos centum ducatos, ultra pretium dictarum quatuor figurarum, de quibus supra fit mentio; convenerunt de novo, et sic promisit dictus Michelangelus illos centum ducatos computare in primis pagis trium primarum figurarum fiendarum per eum ex numero dictarum undecim.
Item cum tempus ad faciendum dictas figuras sit modo elapsum, secundum tenorem dicte scripte, ideo de novo dicte partes dictis modis et nominibus convenerunt quod dictus Michelangelus habeat adhuc tempus duorum annorum proxime futurorum ab hodie; et sic prorogaverunt dictum tempus ad faciendas dictas xj figuras adhuc per duos annos predictos ab hodie proxime futuros.
Item cum dictus Michelangelus virtute dicte scripte pro conficiendis figuris teneatur facere conducere marmora de montibus Carrarie ad civitatem Florentie, et cum de nouo pro obsidione Pisanorum in comitatu Pisarum vigeat guerra et Respublica Florentina conetur mutare cursum fluminis Arni, et sic de facili posset impediri dicta conductio marmorum de montibus Carrarie ad civitatem Florentie, et cum etiam dictus Michelangelus posset infirmare, quod Deus avertat: iccirco dicte partes dictis nominibus convenerunt quod casu, modo aliquo, occasione, vel propter revolutionem aquarum dicti fluminis Arni, vel propter guerram, vel propter infirmitatem dicti Michelangeli fieret aliquod impedimentum, propter quod dicta marmora venire non possent, vel dictus Michelangelus operari non posset propter dictam infirmitatem; quod tunc et in dictis casibus, et quolibet vel altero eorum, dictum tempus dictorum duorum annorum non currat, durante et donec duraret dictum impedimentum; sed cessante impedimento, procedat et sequatur cursus dicti temporis.
Item cum dicte partes de mense septembris proxime preteriti fecerint aliud contractum et conventionem super predictis, et seu circa predictas figuras, prout constat manu ser Donati de Ciampellis notarii publici Florentini, in quo contractu etiam dictus Michelangelus etiam se obligavit in forma Camere; ex nunc dicte partes dictis modis et nominibus [629] discesserunt a dicto contractu et obligatione facta per instrumentum manu dicti ser Donati de Ciampellis rogatum de dicto mense septembris proxime preterito, et noluerunt virtute dicti contractus et instrumenti dictum Michelangelum aliquo modo posse cogi vel inquietari in rebus aut persona, sed convenerunt quod dictum instrumentum et dicta obligatio habeatur et sit penitus pro non facta.
Item cum dictus Michelangelus virtute dicte scripte teneatur ire Senas ad videndum capellam in qua debent stare dicte figure; et quia hoc observavit, declaraverunt dicte partes, quod ipse Michelangelus amplius non teneatur ire ad videndum dictam capellam pro videndis locis ubi stare debent dicte figure, quia ut dictum est, ipse observavit et illuc ivit, antequam operari inciperet in dictis figuris.
Item convenerunt dicte partes dictis modis et nominibus, quod dicta scripta, salvis et firmis stantibus supra contentis, remaneat et sit firma in omnibus suis aliis partibus et capitulis, sane omnia intelligendo. Que omnia, etc. promiserunt, etc. dicte partes dictis modis et nominibus sibi invicem dictis modis et nominibus observare et contra non facere, etc. sub refectione damnorum et expensarum litis et extra et cuiuslibet interesse earum, etc. pro quibus, etc. bona, etc. quibus, etc. per guarentigiam, etc. rogantes, etc.
[630]
Archivio Comunale di Carrara. Carrara, 12 di novembre 1505.
Patti tra Michelangelo e alcuni padroni di barche di Lavagna per condurre marmi dal porto dell'Avenza a Roma.[570]
In nomine etc. Die XII novembris 1505.
Pateat per hoc publicum instrumentum qualiter Dominicus Pargoli et Iohannes Antonius de Merlo ambo de Lavagna, habentes et quilibet eorum est patronus sue barce, constituti coram me notario et testibus infrascriptis convenerunt per pactum expresse cum magistro Michaelleangelo Ludovici florentino sculptore marmorum, quod ipsi patroni promittunt eidem portare Romam 34 carratas marmorum, inter quas sunt due figure, que sunt 15 carrate, in hunc modum, videlicet: Quod dicti Dominicus et Iohannes Antonius promiserunt et promittunt, a presenti die usque ad 20 diem presentis mensis, venire ad littus maris Aventie, et super eorum et utriusque eorum barcis onerare dictas quantitates marmorum et deinde navigare expensis ipsius magistri Michaelis Angeli, et deinde dictas quantitates marmorum vehere et portare Romam, expensis ipsorum prenominatorum, exceptis gabellis, si que fuerint; quas ipse magister Michael Angelus teneatur solvere; et deinde eam quantitatem marmorum exonerare ad Ripam, ubi marmora exonerantur. Et si in illo loco ubi ipsa marmora exonerantur, non possent ipsi patroni ipsa exonerare propter periculum frangendi suas barcas; quod exonerare teneantur in loco comodiori, ubi non immineat damnum frangendi dictas barcas: et ibi in exonerando dicta marmora ipse magister Michael Angelus promisit prestare petia lignaminum grossorum secundum consuetudinem et morem boni et nobilis viri. Cum hoc pacto, quod ipsi patroni, post quam oneraverint ipsa marmora in ipso littore Aventie, non possint navigare nec aliud facere aut inceptum capere, nisi ire Romam quam celerius poterint: salvo in omnibus supadictis omni iusto impedimento: et quando dicti Patroni ad dictum 20 diem non venissent ad ipsum littus Aventie sua culpa et non pro iusto impedimento, quod cadant in penam 25 ducatorum solvendorum ipsi magistro Michaeli Angelo. Et ex altera parte ipse magister Michael Angelus promisit nomine nauli dare et solvere eisdem patronis, etc. ducatos 62 auri in auro latos, etc. que omnia, etc. promiserunt dicti, etc. et ipse magister Michael Angelus hic presens promisit attendere, etc.
Actum Carrarie in domo mei not. etc.
[631]
Archivio Buonarroti. Carrara, 10 di dicembre 1505.
Convenzione di Michelangelo con alcuni scarpellini di Carrara per cavare marmi.
Sia noto e manifesto a qualunche persona leggierà la presente scritta, com'io Michelagniolo di Lodovico Buonarroti, scultore fiorentino, alluogo e acottimo oggi questo dì dieci di dicembre nel mille cinque cento cinque, a Guido d'Antonio di Biagio e a Matteo di Cucarello da Carrara carrate sessanta di marmi all'uso di Charrara; ciò è dumila cinque cento libre la carrata: e infra i detti marmi s'intende essere quatro pietre grosse, dua d'otto carrate l'una, e dua di cinque; e delle dua pietre d'otto carrate l'una, restiamo d'acordo che io deba dare trenta cinque ducati d'oro largi dell'una; e delle dua pietre di cinque carrate l'una, siamo d'acordo io debba dare venti ducati simili dell'una; e el resto delle carrate per insino al numero sopra scritto debbono esser tutti pezi di dua carrate e da dua in giù; e di queste simili carrate el prezo abbia a essere ducati dua d'oro largi la carrata, che così siamo d'acordo, e le pietre grosse con tutte l'altre carrate soprascritte. Ancora restiamo d'acordo pel detto prezo mi debbin dare in barca a ogni loro spese: e tutta la sopra scritta quantità di marmi, e massimamente le pietre grosse, s'intenda essere nette di peli e di veni e bianche sopratutto; e che non sieno niente peggio che quelle che io ò fatte nel sopra detto milleximo personalmente in Carrara. Ancora debbino essere e' sopra scritti marmi vivi e forti e non cotti e cavati al Polvaccio o in altro luogo; che sieno vivi simile a quegli, quando sono bianchi, netti e begli. Ancora restiamo d'acordo che per tutto el mese di maggio prossimo a venire i sopra scritti ciò è Guido e Matteo mi debbino dare in barca carrate trenta delle sopra scritte, infra le quale carrate debba essere dua delle grosse, una d'otto carrate e l'altra di cinque, e poi per tutto settembre el resto per insino al numero ditto. E tutti e' sopra ditti marmi debbino bozare, secondo le misure che io darò loro. E perchè el sopra detto Matteo resta di venire a Fiorenza infra un mese da oggi, restiamo d'acordo io in questo tempo gli debba dare in Fiorenza le misure de' detti marmi o lasciare gli sieno date.
Ancora se obrigano i sopra scritti darmi buona sicurtà de' mia danari in Luca o dov'io gli farò loro pagare, ciò è in questa forma; che non osservando loro quanto in questa si contiene, la detta sicurtà sia per restituire e' mia danari; e io Michelangniolo soprascritto debba in fra dua mesi da ogi fare pagare a Matteo e a Guido sopra scritto ducati cinquanta colla detta sicurtà. E tutto ciò che in questa si contiene, s'intenda osservare l'uno all'altro, vivendo la Santità del nostro signior papa Iulio; perchè io Michelagniolo sopra ditto e tutti e' sopra detti marmi fo per sua Santità. Ancora, se bene vivessi e non seguitassi l'opera per la quale i' ò bisognio de' sopra ditti marmi, s'intenda non esser valida la scritta; e a quel tempo che l'opera per ogni rispetto non séguiti più, io debba pigliare, e i sopra scritti mi debbino dare marmi begli e netti, come è detto, pe' danari avessino ricievuti. E per fede della verità e' sopra ditti, ciò è Matteo e Guido si sotto scriverranno di lor propria mano.
E io Michelagniolo ò fatto oggi questo dì sopra scritto in Carrara la presente scritta, [632] presente Baccio di Giovanni,[571] scultore fiorentino e Sandro di Nicholò di Bartolo,[572] scarpellino fiorentino. E il detto Baccio e Sandro per testimoni della verità si sotto scriveranno di lor propria mano.
Io Guido d'Antonio di Blaxio di Carrara sono contento a tuto e quanto di sopra si contiene a dì me(se) anno soprascritti.
Io Matteo di Chucarello soprascritto refermo quanto di sopra si contiene a dì e ano soprascritti in Carara.
Io Bacco di Giovanni fiorentino sono testimone a quanto di sopra si contiene.
Io Sandro di Nicholò di Bartolo sopradetto sono testimone a quanto di sopra si chontiene: per fede di ciò mi sono soschritto di mia mano.
Ancora di nuovo, perchè il detto Guido e Matteo non vogliono auere a trovare le barche pe' detti marmi, sieno tenuti avisarmi a Roma, o dov'io sarò, tanto innanzi che io le possa avere proviste al tempo che loro me gli ànno a dare in barca.
[633]
Archivio Comunale di Carrara. Carrara, 23 di gennaio 1511.
Lodo dato nella controversia tra alcuni scarpellini per cagione della loro compagnia nel cavar marmi per Michelangelo.[573]
In nomine etc. Die XXIII ianuarii 1511.
Nos Michael olim Andree Iacobi Guidi et Nicodemus olim Cecchini Corselli, ambo de Torano, arbitri arbitratores et amicabiles compositores et boni viri ellecti assumpti comuniter et concorditer inter.... et Guidonem Antonii.... ex alia, super litibus et differentiis et controversis inter ipsos, de quibus apparet in compromisso in nos facto per dictas partes, rogato et scripto manu notarii infr. sub suo datali: Viso in primis dicto compromisso, et visa bailia et potestate nobis attributa et data per ipsas partes, virtute dicti compromissi; Viso et lecto et diligenter considerato et excusso quodam Consilio super dictis differentiis per nos habito de voluntate et mutuo consensu dictarum partium ab eximio legum doctore D. Lazaro Arnolfino, Lucensi cive: quod Consilium ego quoque notarius infrascriptus vidi legi et perlegi coram testibus infrascriptis: cuius Consilii tenor talis est, sic in lingua materna editum et scriptum, videlicet:
Invocato etc. Visto uno scripto de compagnia facto a dì 20 di magio 1506 in fra Guido di Antonio di Biagio, et Matheo di Cucarello per una quarta parte, et Pedro di Matheo di Cason, per un'altra quarta parte, et Iacopo di Antonio dicto il Caldana per un'altra quarta parte, et Zampaulo el Mancino per un'altra quarta parte, in cavare et lavorar marmi in la cava de dicto Zampaulo; in lo quale etiam si chiarisse che il lavoro dato per maestro Michelangioro fiorentino a dicti Guido et Matheo venghi in dicta compagnia: Visto etiam un altro scripto come li dicti Pedro et Iacopo et Mancino si obligano come compagni dare in su la marina a Pierino da Lavagna carrate 16 di marmo, le quali si dicono essere quelli marmi di maestro Michelangelo et per lo quale scripto dicto Guido promette alli dicti due compagni di servirli et pagar per loro li carratori et lavoranti che li serviranno appresso la pietra grossa delle otto carrate: Visto ancora un altro scripto facto a dì 17 agosto 1506, per lo quale il dicto Guido promette a' dicti Caldana, Mancino et Pedro servirli di ugni quantità di danari farà loro bisogno per lo lavoro de Firenze loro avevano a compagnia, cioè di ducati uno per carrata o più bisognando, et per lo quale li predetti promettono al dicto Guido per suo premio darli soldi 15 per carrata, et che allo ritratto de' marmi dovesse Guido havere il suo intero pagamento con il suo premio. Visto etiam li acti della lite etc.: Visto etiam il compromesso facto a dì 14 agosto 1510 tra dicti, etc. etc. presertim per rispecto delli marmi di maestro Michele Angelo et delli marmi di Firenze, in Michele e Nicodemo di Torano; giudico le parti di detti arbitri essere in giudicare sopra dicte differentie come appresso, cioè: ec. ec.
Et visis etc. omnibus computis dictarum partium tam ratione laborerii dicti magistri Michaelis [634] Angeli, quam etiam ratione laborerii de Florentia: et Visis, etc. Christi ac, etc. nominibus invocatis, etc. pronuntiamus, etc.
Quia primo dicimus et declaramus nos reperisse in dictis computis dictarum partium dictos Iacobum, Petrum et Mancinum habuisse et recepisse ducatos 50 a dicto Guidone pro dictis marmoribus faciendis dicto magistro Michaeli Angelo in una partita, et in una alia etiam habuisse mutuo a dicto Guidone ducatos 32 pro vehendis et conducendis ad marinam dictis marmoribus; deinde nos etiam invenisse in dictis computis dictos Iacobum, Petrum et Mancinum satisfecisse dicto Guidoni sive magistro Michaeli Angelo de dictis ducatos 50 in tot marmoribus positis ad marinam, etc.... Et dicimus, etc. laudamus omni meliori modo, etc....
Latum, etc. Carrarie in domo mei notarii, etc.
[635]
Archivio Buonarroti. Roma, 6 di maggio 1513.
Secondo contratto per la sepoltura di papa Giulio II fra Michelangelo e gli esecutori testamentarii di detto Papa.[574]
Die VI maij 1513.
Cum sit quod alias felicis recordationis Iulius papa Secundus in eius testamento suos executores fecerit reverendissimum dominum, dominum Leonardum, sacrosancte Romane Ecclesie presbiterum cardinalem Agienensem vulgariter nuncupatum, et reverendum dominum Laurentium Puchium prothonotarium apostolicum, Camere apostolice clericum et presidentem nec non ipsius domini Iulii pape Secundi datarium; et inter cetera eis commiserit ut sue sepulture constructionem procurarent; dicti reverendissimus dominus Cardinalis et reverendus dominus Laurentius, volentes testamentum et piam voluntatem ipsius domini Iulii pape in hac parte totis pro viribus exequi: hinc est, quod prefati reverendissimus dominus Cardinalis et dominus Laurentius Puchius, ut executores predicti ac eorum nominibus propriis ex una, et honorabilis vir magister Michaelangelus, florentinus scultor, partibus ex altera, super scultura et fabricatione sepulture ipsius felicis recordationis Iulii pape; insimul et ad inuicem convenerunt in modum et formam sequentes:
In primis convenerunt, et ita promisit prefatus magister Michaelangelus non capere aliud opus ad fabricandum saltim importantie et per quod impediri posset fabrica et labor dicte sepulture; quin ymo continue attendere in fabrica et labore dicte sepulture; quam sepulturam promisit facere, finire et integre perficere infra septem annos proxime futuros ab hodie incohandos et ut sequitur finiendos, secundum unum designum modellum seu figuram dicte sepulture vel circa, et iuxta tale designum sive modellum, quantum ipse magister Michaelangelus poterit pro maiori honorificentia et pulchritudine dicte sepulture.
Item conueniunt dicte partes dictis nominibus, quod prefatus Michaelangelus habeat habere pro eius mercede et salario dicte sepulture et pro omnibus expensis in fabricatione dicte sepulture fiendis, quas omnes teneatur et facere debeat dictus Michaelangelus, habere debeat ducatos sexdecim mille quingentos auri de Camera soluendos et eidem formis, modis temporibus et terminis infrascriptis. Et quod super valore, extimatione et perfectione figurarum dicte sepulture iudicio et conscientie dicti Michaelisangeli, pro quanto honorem et famam suam existimat, stetur et stari debeat.
Item prefatus Michaelangelus fuit confessus habuisse et recepisse de dictis ducatis sexdecim millibus quingentis, ducatos tres mille quingentos auri similes a prefato felicis recordationis Iulio Secundo mille quingentos per manus eiusdem domini Iulii Secundi et duo mille per manus Bernardi Bini ciuis et mercatoris florentini Curiam romanam sequentis. [636] De quibus se bene contentum vocauit et pagatum et propterea eundem et eius successores quietauit.
Item convenerunt insimul super pretio solutionis tresdecim millium ducatorum restantium de dictis ducatis sexdecim millibus quingentis, quod prefatus Michaelangelus debeat habere singulo mense ducatos ducentos auri similes, hinc ad duos annos proxime futuros; et deinde in aliis quinque annis restantibus, ducatos centum triginta sex similes, singulis mensibus, usque ad complementum integre solutionis dicte summe sexdecim millium quingentorum ducatorum auri similium.
Item convenerunt, quod in casum et euentum in quem prefatus Michaelangelus dictam sepulturam finiret ante dictos septem annos et quandocumque ante dictum tempus, secundum designum et modellum ut supra; quod tunc eidem Michaeli Angelo fieri debeat integra solutio usque ad complementum dicte summe sexdecim millium quingentorum ducatorum.
Item convenerunt, quod casu quo dicta sepultura propter aliquem casum fortuitum aut propter difficultatem operis, gravis infirmitatis ipsius Michaelisangeli, aut aliquem alium casum infra dictos septem annos finiri non posset; quod nihilominus ipse Michaelangelus in ea continuare debeat et cum omnibus modis et viis possibilibus perficere et finire. Et de tempore in quo eam dicto casu veniente finire debeat, stare voluit idem Michaelangelus declarationi prefati domini Bernardi Bini et domini Bartholomei de Auria infrascripti.
Item promisit prefatus reverendus dominus Laurentius soluere dicto Michaeliangelo singulis primis mensibus ut supra, usque ad summam ducatorum septem milium auri similium, qui sunt restantes de summa decem millium quingentorum, quos prefatus felicis recordationis Iulius papa Secundus pro constructione dicte sue sepulture dimiserat. Ipse vero reverendissimus dominus Cardinalis promisit eidem Michaeliangelo de suis propriis pecuniis soluere et exbursare ducatos sexmille auri in auro similes proportionabiliter ut prefertur, singulis mensibus post solutionem dictorum septem millium ducatorum, singulis mensibus per prefatum dominum Laurentium eidem Michaeliangelo fiendam.
Et ad preces, instantiam et requisitionem dicti reverendissimi domini Cardinalis, prefatus dominus Bartholomeus de Auria civis et mercator ianuensis. Rome commorans, nec non dominus Bernardus Bini ciuis florentinus prefatus, pro et ad instantiam dicti reverendi domini Laurentii Puchii, et quilibet ipsorum respective, ipse Bartholomeus pro reverendissimo domino Cardinali, et ipse Bernardus pro ipso reverendo domino Laurentio, promiserunt et quilibet eorum promisit dicto Michaeliangelo dictam summam solvere et exbursare, ut premissum est, et per prefatum reverendissimum dominum Cardinalem et reverendum dominum Laurentium, ut premissum est. Pro quibus obligarunt se et quilibet ipsorum in solidum etc.
Acta Rome in Palatio apostolico in camera ipsius reverendissimi domini Cardinalis, presentibus dominis Galeatio Boscheto, prothonotario apostolico, et domino Petro de Serris de Cortona, presbytero ipsius reverendissimi domini Cardinalis, testibus.
Franciscus Vigorosi Curie causarum Camere apostolice
notarius.
Sia noto a qualunche persona com'io Michelagniolo, scultore fiorentino, tolgo a fare la sepultura di papa Iulio di marmo da el cardinale d'Aginensis e dal Datario, e' quali sono restati dopo la morte sua seguitori di tale opera, per sedici migliaia di ducati d'oro di Camera e cinquecento pur simili: e la composizione della detta sepultura à essere in questa forma ciò è:
Un quadro che si uede da tre facce, e la quarta faccia s'apicca al muro e non si può vedere. La faccia dinanzi: cioè la testa di questo quadro à essere per larghezza palmi venti e alto quattordici, e l'altre dua faccie che vanno verso el muro dove s'apiccha detto quadro, anno a essere palmi trenta cinque lunge e alte pur quattordici e in ognuna di queste tre faccie [637] va dua tabernacoli, e' quali posano in sur uno imbasamento che ricignie attorno el detto quadro e con loro adornamenti di pilastri, d'architrave, fregio e cornicione, come s'è visto per un modello piccolo di legnio.
In ognuno de' detti sei tabernacoli va dua figure magiore circa un palmo del naturale, che sono dodici figure, e innanzi a ogni pilastro di quegli che mettono in mezo e' tabernacoli, va una figura di simile grandeza: che sono dodici pilastri: vengono a essere dodici figure; e in sul piano di sopra detto quadro viene un cassone con quatro piedi, come si vede pel modello, in sul quale à a essere il detto papa Iulio et a capo à a essere i' mezo di due figure ch'el tengono sospeso ed a piè i' mezo di du' altre; che vengono a essere cinque figure in sul cassone tutte a cinque magiore che 'l naturale, quasi per dua volte el naturale. Intorno al detto cassone viene sei dadi, in su quali viene sei figure di simile grandeza, tutte a sei a sedere: poi in su questo medesimo piano dove sono queste sei figure, sopra quella faccia de la sepultura che s'apicca al muro, nascie una capelletta, la quale va alta circa trenta cinque palmi, nella quale va cinque figure maggiore che tutte l'altre, per essere più lontane dall'ochio. Ancora ci va tre storie o di marmo o di bronzo, come piacerà a' sopra detti seguitori, in ciascuna faccia de la detta sepultura fra l'un tabernacolo e l'altro, come nel modello si vede. E la detta sepultura m'obrigo a' dar finita tutta a mie spese col sopradetto pagamento, faccendomelo in quel modo che pel contratto aparirà, in sette anni; e mancando finito i sette anni qualche parte della detta sepultura che non sia finita, mi debba esser dato da' sopra detti seguitori tanto tempo quanto fia possibile a fare quello che restassi, non possendo fare altra cosa.
[638]
Archivio Buonarroti. Roma, 6 di maggio 1513.
Volgarizzamento del precedente contratto.[575]
A dì 6 di magio 1513.
Conciosiachè alias la felicie memoria di papa Iulio Secondo in suo testamento habbia fatto sui executori lo reverendissimo signore Leonardo cardinale de Agenna et lo reverendo messer Laurentio Puccio, prothonotario apostolico et cherico di camera, suo Datario; et cum altre cose loro avessi commesso prochurassino fare la sua sepoltura; volendo li prefati reverendissimo Cardinale et il reverendo messer Lorenzo datario, esso testamento et pia voluntà de esso signore Iulio papa Secondo in questa parte per tutta la loro possanza exequire; Hinc est, che questo presente dì sopra scripto, i prefati reverendissimo Cardinale et il reverendo Lorenzo, come executori sopradicti et alli loro nomi proprii da una parte e l'honorabile homo mastro Michelangniolo, fiorentino sculptore, dall'altra parte, sopra la scultura e la fabricatione della sepultura della decta santa memoria di papa Iulio, insieme sonno convenuti in modo et forma infrascripta:
In prima sonno convenuti, et così promette il prefato maestro Michelangniolo non pigliare altro lavoro a fabricare certo et importante, per il quale si potessi impedire la fabrica et il lavoro d'essa sepultura; ma di continuo attendere in la fabrica et lavoro d'essa; la quale sepoltura promette di fare et finirla integramente in fra sette anni prossimi futuri, da ogi incominciando et come séguita finirsi; secondo el disegnio et modello, overo figura de essa sepultura, vel incirca, et secondo il tale desegnio et modello, quanto esso poterà, per magiore honorificentia et belleza di essa sepultura.
Item sonno conventi ditte parti a detti nomi, che il prefato Michelagniolo habbia havere per la sua merzede et salario di decta sepultura et per tutte le expese che sonno da fare in detta fabricatione, alle quale sia tenuto esso Michelagniolo, ducati sedicimilia cinquecento d'oro di Camera per pagarli a' tempi, modi et termini infrascripti; et che sopra il valore, extimatione et perfectione delle figure di detta sepultura se ne abbia a stare a iuditio et conscientia de esso Michelagniolo, per quanto esso extima suo honore et sua fama.
Item il prefato Michelagniolo si confessa havere hauto et receputo di detta somma di ducati sedicimila cinquecento d'oro simili, ducati tre milia cinquecento dalla prefata felicie memoria (di) Iulio Secondo; cioè mille e cinquecento simili per le mani de essa felicie memoria et dumilia per le mani de Bernardo Bini merchante fiorentino: delli quali tremilia cinquecento si domanda bene contento et pagato, et proterea (sic) esso et li sua successori et tutti altri ha quello obligati, quita, libera et absolve ec.
Item sonno convenuti insieme sopra il pagamento de' ducati tredicimilia restanti de' ducati [639] sedicimilia cinquecento d'oro simili, habbia ad havere ducati dugento d'oro simili per in fine a dua anni prossimi futuri, et de poi li altri cinque anni restanti, ducati cento trentasei simili per ciascheduno mese, fino allo integro pagamento de decta somma di ducati sedicimila cinquecento simili.
Item sonno convenuti che in caso che esso Michelagniolo finissi detta sepultura innanzi detti sette anni et quandocunque innanzi l'avessi finita secondo il desegnio et modello sopradetto, che allora a esso Michelagniolo si faccia lo integro pagamento della soprascripta somma.
Item sonno convenuti che in caso che detta sepultura per alcuno caso fortuito overo per dificultà dell'opera, o grave infirmità d'esso Michelagniolo, o altro caso non si possessi finire in fra detti setti anni; nientedimeno esso Michelagniolo habbia ad continuare, et detta sepultura per tutti li modi et vie possibile finirla, et che del tempo in caso sopradetto in nello quale l'abbia ad finire, ne vole stare alla declaratione di Bartholomeo Doria infrascripti (sic).
Item promette il prefato messer Lorenzo Puccio pagare a detto Michelagniolo in ciascheduno de' dicti primi mesi, come di sopra, per infino alla somma di ducati settemilia d'oro simili, quali sonno restanti di detta somma di ducati diecimilia cinquecento, quali la prefata felicie memoria di papa Iulio Secondo havea lassati per detta sua sepultura: e esso reverendissimo Cardinale promette a esso Michelagniolo de' sua propii danari pagare et sborsare ducati semilia d'oro simili proporzionabiliter ogni (e) ciascheduno mese da poi che sarà fatto il pagamento di ducati settemilia per il prefato messer Lorenzo Puccio datario, come di sopra è detto. E ad instantia et requisitione di detto reverendissimo Cardinale, messer Bartholomeo Doria mercante genovese, et per il reverendo messer Lorenzo Puccio sopradetto, Bernardo Bini, promettano inrespectivamente, cioè esso Bartholomeo per il prefato reverendissimo Cardinale, et Bernardo per il reverendo messer Lorenzo datario, pagare et sborsare a detto Michelagniolo la sopradetta somma di ducati tredicimila, come di sopra si contiene. Quali Bartholomeo et Bernardo li prefati reverendissimo Cardinale et il reverendo messer Lorenzo Puccio inc (sic) inde et respective promettano di rilevare indanno, ita et taliter che per la presente promessa non patiranno danno alcuno. Quale tutte cose le sopradette parte promettono inc (sic) inde respective attendere et observare e non contrafare nè contravvenire, obligandosi ciascheduno di loro in solido sotto le pene della Camera apostolica, con il giuramento et altre clausole consuete e solite.
Dato in Roma in nel Palatio Apostolico e in la camera del prefato reverendissimo Cardinale, presente messer Galeazzo Boschetto, prothonotario apostolico, et messer Pietro de seris da Cortona, prete del prefato reverendissimo Cardinale, testimoni etc.
Francesco Vigorosi notario dello auditore della Camera ec.
(Firmato) Franciscus Vigorosi Curie causarum Camere apostolice
notarius, subscripsi etc.
[640]
Archivio Buonarroti. Roma, 9 di luglio 1513.
Maestro Antonio del Ponte a Sieve si conviene con Michelangelo di fargli tutto il lavoro di quadro e d'intaglio per la sepoltura di papa Giulio.[576]
Sia noto a ciascuna persona, come maestro Antonio dal Ponte a Sieve e io Michelagniolo scultore ci siàno convenuti insieme d'una cierta parte della sepultura che io fo di papa Iulio; la quale parte il detto maestro Antonio s'obriga darmi fatta e finita di quadro e d'intaglio per ducati quatrociento cinquanta di carlini, a carlini dieci per ducato di moneta vechia, ciò è ducati 60 detti di sopra, dandogli io tutti e' marmi che bisogniano a detta opera; la quale opera è la faccia che viene dinanzi, cioè una facciata larga palmi trenta circa, diciassette alta, secondo che sta il disegno. E 'l detto maestro Antonio s'obriga a squadrare e intagliare la detta opera pel detto prezo nominato, bene quanto si può, a giudizio d'ogni maestro. E per fede del vero io Michelagniolo ò fatta la sopra detta scritta, presente maestro Pietro Rosetto e Silvio che sta meco; e 'l sopra detto maestro Antonio si sotto scriverrà per fede di sua mano e 'l sopradetto maestro Piero e Silvio, ogi questo dì nove di luglio mille cinquecento tredici — 1513.
Io Antonio da Pontasieve aceto tanto quanto su questa si contiene, e al fede del vero mi sono soto scrito di mia propria mano, questo dì sopra deto, 1513.
Io Piero Roselli[577] sono istato presente a la sopra deta iscrita, e per fede de vero mi sono sotoiscrito di mia propria mano, questo dì sopra deto, 1513.
Io Silvio Falconi sono stato presente al sopra deta scrita; per fede del vero mi sono socto scrito di mia propria mano, questo dì sopra deto.[578]
[641]
Archivio Buonarroti. Roma, 14 di giugno 1514.
Allogazione a Michelangelo della figura di marmo d'un Cristo risorto per la chiesa della Minerva di Roma.
Addì 14 di gugnio 1514.
Sia noto e manifesto a chi legerà la presente scritta, come messere Bernardo Cencio canonico di San Piero e maestro Mario Scappucci e Metello Vari ànno dato a fare a Michelagniolo di Lodovico Simoni scultore una figura di marmo d'un Cristo grande quanto el naturale, ignudo, ritto, con una croce in braccio, in quell'attitudine che parrà al detto Michelagniolo, per prezo di ducati dugento d'oro di Camera, a pagarli in questo modo, cioè: al presente ducati cento cinquanta d'oro di Camera, e 'l restante, che sono ducati cinquanta simili, el detto maestro Mario e Metello delli Vari promettono pagarli alla fine del lavoro, inanzi ch'el detto Michelangniolo metta in opera detta figura; la quale promette metterla in opera nella Minerva in quel luogo parrà a' sopradetti; e solo a sue spese n'à fare una gocciola dove posi detta figura; e ogni altro adornamento v'andassi, s'intende che li sopra detti messer Bernardo e maestro Mario l'abino a fare a loro spese. La quale figura el detto Michelagniolo promette farla in termine di 4 anni prossimi da venire, quel più o manco che li paressi; intendendosi però che non passi quatro anni.
E per fede della verità io Giovanni Nenti a preghiera de' sopradetti parti (sic) ò fatto la presente scritta di mia propria mano, la quale sarà soscritta di ciascuna delle parti; e delle simile scritte se n'è fatte dua, una ne terrà el sopradetto maestro Bernardo e maestro Mario, e l'altro el detto Michelagniolo.
Io Michelagniolo Simoni sopra detto son contento e prometto oservare quanto si contiene nella presente scritta, e per fede mi sono soscritto questo dì quattordici di gugnio.
Io Metello Vari prometto pagare ducati vinticinque d'oro ad maestro Michelagniolo, come di sopra si contene, finita ditta opera, per la parte mia.
Io Pietro Pavolo Castellano prometto pacare quanto di sopra è promesso per maestro Mario Scapuccio in mio nome allo predetto maestro Michelagniolo, cioè ducati vinti cinque d'oro, per la parte mia, finita l'opera: et affede del vero ho sottoscrita la presente di mia mano.
(Fuori di mano di Luigi del Riccio.)
✠ 1514. Scritta del Cristo della Minerva da Metello Vari.
(E di mano più antica.)
Scritta d'una figura a fare per Michelangelo Bonarrotti.
Io Pietro Pavolo Castellano mano propria.
[642]
Noi Giovanni Balducci e compagni abiamo auto da Metello Vari pel detto Michelagniolo ducati cento cinquanta a iuli X per ducato, de li quali abiamo a seguire la volontà del detto Michelagniolo e suo ordine, ogni volta che abbia fatto detta figura senza alcuna eccezione, ch'ora per la detta scritta si mostra.
Io Michelagniolo di Lodovico di Buonarroto Simoni confesso avere ricevuto oggi questo dì da' Balducci di Roma, cioè da Bonifazio Fazi, per le mani di Zanobi del Bianco, in Firenze, ducati cento cinquanta d'oro di Camera, e' quali ducati messer Metello Vari, cittadino romano, con altri sua compagni dipositorno nel detto banco de' Balducci in Roma a mia stanza, cioè che e' ne facessi el mio piacimento per prencipio di pagamento d'una figura di marmo ch'e' mi dettono a fare, come apariscie per una scritta ch'è tra noi.
[643]
Archivio Notarile di Massa. Seravezza, 18 di maggio 1515.
Gli uomini del Comune di Seravezza nel Vicariato di Pietrasanta donano alla Repubblica di Firenze le cave di marmo del monte detto Altissimo, e dell'altro della Ceresola.[579]
In nomine Domini, Amen. Die XVIII maij 1515.
Convocatis etc. hominibus Comunis Seravitie, Vicarie Petresancte districtus civitatis Florentie, inferiori loco, de mandato et voluntate Marci olim Gerardini et Luce olim Iacobi Folini de dicto Communi et eiusdem Communis et hominum, consulum et officialium, sono campane, more el loco consueto, pro infrascriptis peragendis et exequendis. In qua quidem conventione, congregatione et cohadunatione interfuerunt infrascripti 119 homines de dicto Communi: quorum officialium et hominum hec sunt nomina, videlicet.... etc. Qui omnes homines una cum dictis officialibus Communis Serravitii, etc. sunt ultra due partes quasi de tribus partibus dicti Communis, etc. etc. tenore huius publici instrumenti, etc. creaverunt; nomine ipsorum discrepante; et ordinaverunt in eorum et totius dicti Communis sindices et procuratores, etc. prudentes viros Thomeum olim Luce Thomei de dicto Communi, etc. et Iacobum Ioannis Fetti de la Corvaria dicti Communis, etc. specialiter expresse ac nominatim ad donandum ac titulo donationis tam pure et simpliciter, etc. etc. excelse Dominationi et Populo Florentino Montem qui dicitur el Monte di lo Altissimo et Montem qui dicitur el Monte di Ceraxola sitos et posites in pertinentiis Seravicii et Capelle Vicariatus Petresancte, in quibus dicitur esse cava et mineria pro marmoribus cavandis; et que loca prefatus et excelsus Populus Florentinus requisivit a dictis hominibus, ut dixerunt, pro cavandis marmoribus. Item omnia alia loca existentia in dicto Vicariatu et spectantia etc. in quibus essent marmora ad excavandum. Item loca ad faciendam viam pro conducta dictorum marmorum a cavea seu a dictis montibus et locis usque ad mare. Et in dictum excelsum Populum et prefatam Dominationem Florentinam dictos montes et loca cum omnibus spectantibus et pertinentibus ipsis montibus trasferendum et donandum semel et pluries, et quotiens, etc. eisdem placebit, etc.... etc. Sub obligatione, etc. Rogantes me Notarium infrascriptum ut de predictis omnibus publicum conficerem instrumentum consilio sapientis extendendum, substantia presentis mandati non mutata.
Acta in terra Serravicij in hospitali S. Marie videlicet al ponte di la Capella etc.
Ego Antonius filius Peregrini olim Petri de Cortila, Vicariatus Gragnole, Lunensis diocesis ad presens habitator Masse, notarius scripsi.
[644]
Archivio Buonarroti. Roma, 8 di luglio 1516.
Terzo contratto per la sepoltura di papa Giulio II.
In Dei nomine, Amen. Anno a nativitate Domini millesimo quingentesimo sexto decimo, indictione quarta, die vero quarta mensis iulii, pontificatus Sanctissimi in Christo patris et domini nostri, domini Leonis divina providentia pape Decimi, anno quarto.
In mei notarii infrascripti et testium infrascriptorum presentia, personaliter constitutus reverendissimus in Christo pater et dominus, dominus Laurentius de Pucciis florentinus, tituli Sanctorum Quatuor Coronatorum nunc presbiter cardinalis, asserens se et reverendissimum cardinalem Agennensem tunc executores testamenti, seu sepulture pape Julii, cum quodam Michaele Angelo, sculptore florentino, certo modo contraxisse, prout in instrumento desuper confecto dicitur contineri manu spectabilis viri Francisci Vigorosi notarii Auditoris Camere apostolice, sub die sexta mensis maii, millesimo quingentesimo tertio decimo, vel alio tempore veriori: ad quod et que dictus reverendissimus dominus Cardinalis se retulit et refert. Et quia dicte partes intendunt super premissis certo modo transigere seu de novo contrahere et convenire: Hinc est, quod hodie, hac presenti suprascripta die, dictus reverendissimus Cardinalis, omni meliori modo, etc. non revocando, etc. fecit, etc. procuratorem, etc. dictum reverendissimum dominum Leonardum cardinalem Agennensem, licet absentem, ad transigendum cum dicto Michaele Angelo et quamcumque conventionem et pacta et obligationes faciendum etc. in sua facta annullandum et de novo faciendum et modum solutionis fiende apponendum. Item ad obligandum ad observationem premissorum dictum Constituentem et in plena forma Camere, cum iuramento Constitutionis procuratorum et aliis clausolis consuetis et ad prestandum fideiussores ad libitum dicti Cardinalis et ad promittendum dictis fideiussoribus conservationem indemnitatis.
Item pro interesse dicti Constituentis, quamcumque domum sitam Rome ubi forsan habitavit dictus Michael Angelus occasione dicte sepulture conficende quo ad pensionem forsan dicto Cardinali debendam disponendo tantum quo ad Michaelem Angelum, et dictum Michaelem Angelum de pensione decursa, quo ad interesse dicti reverendissimi domini cardinalis de Pucciis finiendum, quietandum et liberandum.
Item quatenus expediat ad substituendum, et generaliter, etc. dans, etc. promittens, etc. Super quibus, etc. rogatus fui quatenus de predictis conficerem instrumentum vel instrumenta, unum seu plura.
Actum Rome in Palacio apostolico, anno mense die et pontificatu quibus supra, presentibus ibidem venerabilibus viris dominis Hieronimo de Iandaronibus de Senis, et Ferdinando Marzano Conchiensis diocesis et Petro de Ferrato Monte et aliis familiaribus dicti reverendissimi domini Cardinalis, testibus ad premissa vocatis, habitis specialiter atque rogatis.
Et quia ego Albizus Francisci de Seralbizis notarius florentinus de predictis rogatus, subscripsi etc.
In Dei nomine, Amen. Anno a nativitate Domini millesimo quingentesimo sexto decimo, [645] indictione quarta, die vero octava mensis iulii, pontificatus sanctissimi in Christo patris et domini, et domini Leonis divina providentia pape Decimi, anno quarto.
Cunctis pateat evidenter et sit notum, qualiter in presentia mei notarii et testium infrascriptorum specialiter vocatorum, quod reverendissimus dominus, dominus Leonardus cardinalis Agennensis vulgariter nuncupatus, suo nomine proprio, ac pro et vice et nomine reverendissimi domini, domini Laurentii de Pucciis tituli Sanctorum Quatuor Coronatorum, et nomine procuratorio, et casu quo mandatum non sufficeret, promisit de rato etc. Et dictis modis et nominibus et quolibet dictorum modorum et nominum tam in solidum quam de per se, dicit et asseruit, quod cum alias sanctissimus tunc papa Iulius in suo testamento ordinasset et sue future sepulture conficiende et illius executores dictos dominum Laurentium Puccium tunc Datarium et nunc reverendissimum dominum Cardinalem prefatum instituisset. Unde dicti executores cupientes voluntati defuncti consulere et ut executores exequi et adimplere ut tenebantur; ac nominibus propriis tunc ex una; et honorabilis vir magister Michaelangelus sculptor florentinus, etiam suo nomine proprio, ex parte alia, de et super sculptura et fabrica dicte sepulture insimul certo modo ac cum certis pactis, modis et formis, et penis convenerunt, prout in instrumenito desuper confecto manu Francisci Vigorosi notarii auditoris Camere sub die sexta maii, millesimo quingentesimo decimo tertio, vel alio tempore veriori dicitur contineri: cui et quibus dicte partes intendunt hodie hac presenti suprascripta die transigere et facere novam conventionem et de novo contrahere de et super premissis et quolibet eorum, salvis nihilominus infrascriptis; dictus reverendissimus dominus Cardinalis Agennensis tam nomine proprio, quam procuratorio nomine dicti reverendissimi domini cardinalis de Pucciis, prout de eius mandato constat manu mei notarii infrascripti sub suo tempore et data, et dictis modis et nominibus et quolibet dictorum modorum et nominum tam in solidum quam de per se: et casu quo mandatum non sufficeret, promisit de rato in forma iuris valida, ex parte una; et dictus Michael Angelus suo nomine proprio ex parte alia, devenerunt ad infrascriptam transactionem, videlicet.
Imprimis dictus reverendissimus dominus Leonardus cardinalis Agennensis etiam nominibus quibus supra et dictus Michael Angelus dictum instrumentum manu Francisci Vigorosi, et de quo supra fit mentio et omnia in eo contenta, primitus et ante omnia cassarunt, annullarunt, decernentes quod nullus vel alter ipsorum in futurum possit uti dictum instrumentum in iudicio vel extra, sed ex nunc sit ac si nunquam celebratum esset et sit nullius roboris et efficacie vel effectus; et remiserunt hinc inde omnem et quamcumque penam conventionalem unus alteri, et e converso; sed de novo convenerunt, salvis infrascriptis videlicet.
Item convenerunt dicte partes hinc inde, ex eo quia dictus Michael Angelus promisit aliquod opus non capere saltim magni momenti, quo mediante, impediatur fabrica prefata, sed prius sepultura prefata facere et finire infra certum tempus: et quia dictus Michaelangelus quantum in eo fuit pacta servavit et adimplevit et dicta sepultura pro viribus continue operam dedit, sed propter infirmitatem et gravitatem operis et labores necessarios, voluit et convenerunt quod dictus Michael Angelus teneatur perficere dictam sepulturam infra tempus et terminum novem annorum inceptorum die sexta mensis maii, millesimo quingentesimo sexto decimo, ut supra, et ut sequitur finiendorum, ita quod teneatur infra dictum tempus opus perficere, prout infra, videlicet.
Item convenerunt dicte partes hinc inde et nominibus quibus supra, quod dictus Michael Angelus perficiat opus prefatum secundum novum modellum, figuras, et designum ultimo factum per dictum Michaelem Angelum dicte sepulture conficiende, et secundum tale designum et novum modellum, dictus Michael Angelus promisit tunc dicto reverendissimo cardinali Agennensi etiam presenti et perficere cum magna pulchritudine et magnificentia iuxta eius conscientiam.
Cuius novi modelli tenor est talis, videlicet:
[646]
El modello è largo ne la faza dinanzi brachia undeci fiorentine vel circa, ne la qualle largueza si move in sul piano de la terra uno inbasamento cum quatro zocholi o vero quatro dadi colla loro cimasa che ricigne per tutto; en su quali vàno quatro figure tonde di marmo di tre bracia et mezo l'una et drieto alle dicte figure in su uogni dado viene il suo pilastro, su che vàno alti insino alla prima cornice; la quale va alta dal piano dove possa (posa) l'imbasamento, in su bracia sei, et dua pilastri co' lor socoli da uno de' lati metto(no) in mezo uno tabernaculo, el quale è alto al vano bracia quatre (sic) et mezo: et similmente da l'altre bande metto(no) in mezo uno altro tabernaculo simile che vengono ad essere duo tabernaculi ne la facia dinanci da la prima cornice in gù (giù), ne' quali in ogni uno viene una figura simile a le supraditte. Di poi fra l'uno tabernaculo e l'altro resta uno vano di bracia duo et mezo alto per infino alla prima cornice, nel quale va una historia di bronzo. Et la dicta opera va murata tanto discosto al muro, quanto la largeza d'uno de' tabernaculi che sono ne la facia dinanci: et nelle rivolte de la dicta facia che vàno al muro, coè nelle teste, vàno duo tabernaculi simili a queli dinanzi co' loro zocoli et colle lor figure di simile grandessa che vengono ad essere figure dondeci (dodici) et una storia, come è decto, dalla prima cornice in gù (giù); et dalla prima cornice in su sopra e' pilastri che mettono in mezo el tabernaculo di socto, viene altri dadi co' loro adornamento, suvi meze colone che vàno insino a l'ultima cornice, coè vàno alte bracia octo dalla prima a la seconda cornice, ch'è suo finimento; et da una de le bande in mezo de le duo colonne, viene uno certo vano, nel quale va una figura a sedere, alta a sedere bracia tre et mezo fiorentine: el simile viene fra l'altre dua colone da l'altra banda. Et fra il capo de le dicte figure e l'ultima cornice, resta uno vano di circa a tre bracia simile per ogni verso, nel quale va una storia per vano, di bronzo: che vengono ad essere tre storie ne la facia dinante: et fra l'una figura a sedere et l'altra dinante, resta uno vano che viene sopra il vano de la storia del mezo di socto, nel quale viene una certa tribuneta, ne la quale viene la figura del morto, coè di papa Iulio, con dua altre figure che la metono in mezo. Et una Nostra Dona pure di marmor alta bracia quatro simili, et supra e' tabernaculi de le teste o vero delle rivolte de la parte di supra, ne le quali in ogni una de le dua viene una figura a sedere in mezo de dua meze colone con una storia di supra (simile) a quelle dinanti.
Item convenerunt dicte partes hinc inde dictis nominibus, quod prefatus dominus Michael Angelus habeat habere pro sua mercede de salario dicte sepulture vel edificii et pro omnibus expensis in dicta fabrica perferrendis, que sunt faciende sumptibus dicti Michelis Angeli; et debeat habere, ut supra, ducatos sexdecim milliaria et quingentos auri de Camera, solvendis (sic) per predictos duos Cardinales, modis et formis, temporibus et terminis infrascriptis, cum pacto et conditione quod perfectioni dicte sepulture et figurarum stari debeat et stetur iudicio et conscientia tantum dicti Michaelis Angeli.
Item, quia alias in primo contractu manu Francisci Vigorosi, ut prefatur, dictus Michael Angelus confessus fuit de dicta summa, ducatos tria milia et quingentos a sanctissimo papa Iulio, videlicet mille et quingentos per manus tunc Pontificis, et duo milia per manus Bernardi de Bignis mercatoris florentini: quam confessionem affirmavit et confirmavit omni meliori modo et de predictis vocavit se bene pagatum etc.
Item convenerunt de solutionibus fiendis de ducatis Xiij milium restantibus de summa prefata, quod dictus Michael Angelus habeat habere et habiturus sit, singule quoque mense, ducatos ducentos similes, inceptos iamdudum de mense maii millesimo quingentesimo tertio decimo per duos annos, et de quibus habuit partem a Bernardo de Binis, mercatore florentino, prout apparet per quandam scriptam manu dicti Michaelis Angeli penes Bernardum de Binis prefatum existentem. Et casu quo dictus Michael Angelus a die, videlicet a mense maii millesimo quingentesimo tertio decimo, ut supra, a dicto Bernardo per duos annos inceptos, ut supra, summam ad rationem ducentorum ducatorum non exegerit; volunt et convenerunt, quod dictus Michael Angelus dictum residuum ad rationem prefatam in quibus restavit creditor, a dicto Bernardo, ad eius libitum exigere posse, et finitis dictis duobus annis inceptis, ut supra, dictus Michael Angelus habeat habere et habiturus sit deinde singulo quoquo mense ducatos centum et triginta similes usque ad perfectionem et residuum solutionis fiende de dicta summa ducatorum sexdecim milium et quingentorum, ut supra.
[647]
Item convenerunt quod premissis non obstantibus, dictus Michael Angelus dictam sepulturam ante tempus si perficeret secundum novam modellum, ut prefertur; tunc et in tali casu, dicto Michaeli Angelo debeat fieri integra solutio dicte summe per dictos reverendissimos dominos Cardinales.
Item convenerunt pro maiori comoditate dicti Michaelis Angeli, et ut facilius dictus Michael Angelus laborare possit, quod dictus Michael Angelus possit laborare tam in Urbe, quam extra, Florentie, Pisis, Carrarie et alias, dummodo figure et opus serviat fabrice prefate.
Item dictus reverendissimus dominus Cardinalis Agennensis tam nomine proprio, quam procuratorio, ut prefertur, promisit dicto Michaeli Angelo presenti et infra tempus novem annorum, inceptum de mense maii, millesimo quingentesimo tertio decimo, dedisse et concessisse gratis et amore et pro faciliori commoditate dicti operis, dicto Michaeli Angelo ad habitandum solummodo aut per se aut per alium, prout hodie concessit per tempora predicta gratis et amore et sine mercede aut pensione, durante tempore suprascripto novem annorum, infrascriptam domum, videlicet:
Unam domum cum palchis, salis, cameris, puteo, horto et aliis suis habituris, posita Rome in Regione Trevi, cui a primo via publica, a secundo Hieronimi Petroci, a tertio Petri de Rossis, a quarto magistri Petri Palucii, infra suos confines, etc. et in qua domo dictus Michael Angelus habuit et habet saxa marmorea et laboravit per multos menses pro perfectione dicte sepulture. Et propterea ultra premissa, dictus reverendissimus Cardinalis nomine suo et procuratorio quietavit et finivit dicto Michaeli Angelo presenti, etc. de omni et quacumque pensione dicte domus tam presentis, quam future, et promisit per tempora prefata manutenere dictum Michaelem Angelum in dicta domo: etiam laborando extra Romam, dictus Michael Angelus habeat totum dominium utile dicte domus et promisit, etc. dicto Michaeli Angelo presenti, etc. defensionem, etc. in forma iuris valida, sub pena dannorum, expensarum et interesse.
Item convenerunt quod in casu et eventu fortuito infirmitatis aut propter difficultatem operis dictus Michael Angelus infra dictum tempus opus perficere non valeret, nichilominus habeat perficere dictum opus, declaratione temporis prorogandi reverendissimi domini Cardinalis Agennensis.
Item dictus reverendissimus Cardinalis pro maiori observatione premissorum, nomine procuratorio reverendissimi domini cardinalis de Pucciis, promisit, etc. dicto Michaeli Angelo dare et solvere eidem, etc. per duos annos inceptos ut supra, salario quovis mense ducatos ducentos et deinde singulo mense ducatos centum et triginta usque ad summam sexdecim milium ducatorum de ducatis solutis, quos, ut dicitur, remanserunt dari eidem de summa ducatorum decem milium, quos sanctissimus tunc papa Iulius dimisit pro sepultura conficienda.
Item dictus reverendissimus Cardinalis Agennensis nomine proprio promisit etc. eidem Michaeli Angelo presenti, de suis propriis pecuniis eidem solvere pro opera prefata, ut supra, ducatos septem milia in auro de Camera, singulo quoquo mense pro rata, post perfectionem solutionis fiende per dictum reverendissimum cardinalem de Pucciis.
Item dictus reverendissimus Cardinalis suo nomine proprio pro observatione premissorum, quoad illum ad eius ratam, promisit dare, etc. fideiussorem Bartholomeum Doria licet absentem, et promisit ea michi notario, etc. ut publice persone illum conservare indennem, etc. Et similiter procuratorio nomine reverendissimus dominus cardinalis de Pucciis promisit dare Bernardum de Binis in fideiussorem cardinalis de Puciis et servare indennem, etc. super quibus, etc. obligavit in forma Camere cum iuramento constitutionis et aliis clausulis consuetis.
Actum Rome in palatio dicti reverendissimi domini Cardinalis, presentibus dominis Gentile, auditore dicti reverendissimi domini Cardinalis, et Petro de Cesis, el Francisco de Placentio et aliis testibus.
Et quia ego Albizus Francisci de Seralbizis, notarius florentinus de predictis rogatus, subscripsi etc.
[648]
Die X mensis Iulii 1516.
Nobilis vir Bartolomeus Doria mercator Ianuensis, sciens se non teneri ad requisitionem reverendissimi domini Cardinalis Agennensis promisit, etc. dicto Michaeli Angelo presenti, etc. quod dictus reverendissimus Cardinalis observabit solutionem per eum promissam occasione sepulture conficiende sanctissimi domini pape Iulii premortui, alias de suo proprio, etc. et in effectu obligavit se, iuxta aliam obligationem per eum factam manu Francisci Vigorosi, millesimo quingentesimo tertio decimo, vel alio tempore veriori, unica solutione sufficiente; et obligavit se in parte forma Camere et iuramento constitution: procuratorum, et aliis clausulis consuetis, super quibus etc. Actum in Regione Pontis et in bancho dicti domini Bartholomei de Oria, presentibus ibidem Iohanne Iacobo Spinola mercatore Ianuensi, et Leonardo Francisci sellario florentino, et aliis testibus ad premissa vocatis, habitis specialiter atque rogatis.
Et quia ego Albizus Francisci de Seralbizis, notarius florentinus de predictis rogatus etc. etc.
Die undecimo mensis Iulii 1516.
Dominus Bernardus de Binis mercator florentinus, sciens non teneri etc. habens notitiam de quadam transactione inter Michaelem Angelum florentinum ex una, et reverendissimum dominum Cardinalem Agennensem, tam proprio nomine quam procuratorio reverendissimi domini cardinalis de Pucciis ex parte alia, manu mei notarii infrascripti. Et propterea pro dicto domino cardinali de Pucciis se obligavit iuxta suprascriptam transanctionem etiam in forma Camere dicto Michaeli Angelo presenti etc. iuxta obligationem alias per eum factam manu Francisci Vigorosi sub die sexta maii 1513, unica solutione sufficiente.... Actum Rome in domo dicti Bernardi, in Regione Pontis, presentibus Raphaele Auricellario et Bernardo de Paulis et aliis testibus et domino Mateo....... can. pontificis.
Et quia ego Albizus Francisci de Seralbizis, notarius florentinus et archivio Romano matriculatus etc. etc.
[649]
Archivio Buonarroti. Roma, 8 di luglio 1516.
Transunto in volgare del precedente contratto.[580]
Con ciò sia cosa che altra volta la Santità di papa Iulio nell'ultimo suo testamento abbi ordinato e fatto sua essecutori el reverendissimo messer Leonardo cardinale Agiennense e 'l reverendissimo, allora messer Lorenzo Pucci protonotario apostolico e allora Datario, e ora cardinale di Santi Quatro vulgarmente chiamato, et in fr'altre cose a loro abbi commesso che essi constituire (sic) faccino la sua sepultura; unde detti reverendissimo cardinale Agennense e monsigniore reverendissimo de' Pucci, come esecutori prefati, volendo el testamento et ultima volontà di detto papa Iulio come esecutori eseguire et adempiere, come sono obligati; detti reverendissimi cardinali de' Santi Quatro e 'l cardinale Agenna, come esecutori e in nome loro proprio da una parte;
E lo onorabile uomo maestro Michelangelo, fiorentino scultore, in suo nome proprio dall'altra parte, sopra la scultura e fabricatione della sepoltura di papa Iulio, come di sopra, insieme si convengono con certi patti e modi e forma et pena, come nello instrumento di sopra ciò fatto si contiene per mano di Francesco Vigorosi, notaio dello Auditore della Camera, sotto dì sei di maggio 1513 o altro più vero tempo: al quale et le cose che si contengono in quello si referiscono.
E volendo detti reverendissimi Cardinali come esecutori prefati transigere e fare nuova convenzione e novazione e di nuovo convenire sopra le cose premisse et ciascheduna di quelle, salvo le cose infrascritte; ditto istrumento et ciò che si contiene in quello, prima et innanzi ad ogni cosa anullono e cassano e vogliono che per tempo avenire nessuno lo possa usare in iudicio o fuora, ma sia come se fatto non fusse, salvo le infrascritte cose; et di più ogni e qualunche pena conventionale l'uno a l'altro è converso remisseno, e di nuovo convennono come di sotto, ciò è:
Imprima si convennono et così l'uno all'altro et presertim ditto Michelangelo promisse non pigliare alcuna opera di grande importanza, per la quale si possa impedire la fabrica prefata, anzi promisse a quella dare opera ferventemente.
E la quale sepoltura promisse fare e finire infra nove anni prossimi futuri, cominciati più tempo fa, ciò è a dì sei di maggio 1513, e così finire come segue, secondo uno nuovo modello, figura e disegnio fatto per detto Michelagniolo a detta sepoltura; et secondo tale disegno e nuovo modello promisse a' detti Reverendissimi fare quanto lui potrà per maggiore bellezza e magnificentia di detta sepoltura secondo la sua conscienzia. Del quale nuovo modello el tenore si è questo, ciò è:
El modello è largo nella faccia dinanzi braccia undici fiorentine vel circa; nella quale largeza si muove in sul piano della terra uno inbasamento con quatro zocoli overo quatro dadi co la loro cimasa [650] che ricignie per tutto, in su quali vanno quatro figure tonde di marmo di tre braccia e mezo l'una e drieto alle dette figure, in su ogni dado va el suo pilastro; alti insino alla prima cornice, la quale va alta dal piano dove posa l'inbasamento in su braccia sei; e dua pilastri dall'uno de' lati co' loro zocholi mettono in mezo un tabernacolo, el quale è alto el vano braccia quatro e mezo; e similmente dall'altra banda e' dua altri pilastri mettono in mezo uno altro tabernacolo simile: che vengono a essere dua tabernacoli nella faccia dinanzi dalla prima cornicie in giù, ne' quali in ognuno viene una figura simile alle sopra dette. Di poi fra l'un tabernacolo e l'altro, resta un vano di braccia, dua e mezo, alto per insino alla prima cornicie, nel quale va una storia di bronzo. E la decta opera va murata tanto discosto al muro, quant'è (la) largezza d'uno de' tabernacoli detti, che sono nella faccia dinanzi; e nelle rivolte della detta faccia che vanno al muro, cioè nelle teste, vanno dua tabernacoli simili a quelli dinanzi co' lor zocoli e con le lor figure di simile grandeza: che vengono a essere figure dodici dalla prima cornice in giù e una storia, come è detto; e dalla prima cornicie in su, sopra e' pilastri che metto(no) in mezo e' tabernacoli di sotto, viene altri dadi con loro adornamento, suvi meze colonne che vanno insino all'ultima cornice, ciò è vanno alte braccia otto simile dalla prima alla seconda cornice che è suo finimento; e da una delle bande in mezo alle dua colonne, viene un certo vano, nel quale va una figura a sedere, alta a sedere braccia tre e mezo fiorentine: el simile va fra l'altre dua colonne da l'altra banda: e fra 'l capo delle dette figure e l'ultima cornicie resta un vano di circa a braccia tre per ogni verso, nel quale va una storia per vano, di bronzo: che vengono a essere tre storie nella faccia dinanzi: e fra l'una figura a sedere e l'altra dinanzi, resta un vano che viene sopra el vano della storia del mezo di sotto, nel quale viene una certa trebunetta, nella quale va la figura del morto, ciò è di papa Iulio, con dua altre figure che 'l mettono in mezo; e una Nostra Donna di sopra di marmo, alta braccia quatro simile: e sopra e' tabernaculi delle teste, o vero delle rivolte della parte di sotto, viene le rivolte della parte di sopra, nelle quale, in ognuna delle dua, va una figura a sedere in mezo di dua colonne, con una storia di sopra simile a quelle dinanzi.
Item si convennero dette parte in detti modi e nomi, che il prefato Michelangiolo habi havere per sua mercede et salario di detta sepultura et edifizio e per ogni spesa da farsi in detta fabrica; le quali in detta s'abino a fare per detto Michelangelo; e debba avere per recompensa d'essa e per sua fatica, ducati sedicimila cinque cento d'oro di Camera, da pagarsi pe' detti a detto Michelangiolo ne' modi e forma, tempi e termini infrascritti: con patto che sopra alla stima et perfezione di detta sepoltura et figure se ne stia e habi a stare al parere et conscienzia di detto Michelagniolo.
Ancora, perchè detto Michelangelo nel detto primo contratto per mano di Francesco Vigorosi, come di sopra, ha confessato havere avuto e ricevuto de' detti sedicimila cinque cento ducati, tremila cinquecento da papa Iulio, ciò è mille cinque cento per le mani di detto Papa, e duo mila per le mani di Bernardo Bini mercante fiorentino: de' quali medesimamente oggi si chiama contento e pagato.
Ancora si convennono de' pagamenti da farsi de' ducati tredici mila restanti della somma de' sedici mila cinque cento, che detto Michelagniolo habbi havere et habbi ogni mese ducati dugento d'oro simili, cominciati del mese di maggio 1513, per dua anni; e finiti detti dua anni, cominciati ut supra, habbi avere ogni mese dipoi ducati cento e trenta simili insino al compimento et perfetione e resto del pagamento di detta somma de' sedici mila cinque cento d'oro, come di sopra.
Ancora si convennono che in caso che detto Michelangiolo detta sepoltura finissi innanzi al sopra scritto tempo, che ogni volta che l'àrà finita secondo el nuovo modello, come di sopra; allora et in tale caso, a detto Michelagniolo si debba fare lo intero pagamento di detta somma, come di sopra, non ostante le cose premisse.
Ancora si convennono per maggiore comodità di detto Michelagniolo et acciò che più facilmente possa lavorare così in Roma, come fuora; detti Cardinali promissono a detto Michelagniolo presente infra il tempo degli anni nove soscritti, cominciati a dì sei di maggio nel 1514 e per (e') tempi concedessono et dessino ad habitare, come oggi dànno e concedono [651] per habitare solamente o per sè o altri per lui o di sua commissione gratis et amore, e senza alcuna mercede o pigione durante il tempo soscritto a detto Michelagniolo presente:
Una casa con palchi, sale, camere, terreni, orto, pozzi e sui altri habituri, posta in Roma in nella Regione di Treio apresso alle cose di Ieronimo Petrucci da Velletri, apresso alle cose di Pietro de' Rossi, dinanzi la via publica, adpresso a Santa Maria del Loreto: confini dirieto apresso le cose delli figliuoli di messer Carlo Crispo, apresso le cose di messer Pietro Paluzzi e la via publica dirieto responde a la piaza di San Marco; et nella quale detto Michelagniolo à più figure avute et e' marmi et lavori, et ha lavorato per molti mesi per detta sepoltura. Et per tanto detto reverendissimo monsignore Laurentio de' Pucci cardinale fece fine a detto Michelagniolo d'ogni e qualunche pensione potessi adomandargli per conto di detta casa. Et ancora ditto messer reverendissimo cardinale Agenna promisse infra e per il tempo che resta da fare detta sepoltura, dare et concedere, come oggi dà e concede, ad habitare a ditto Michelagniolo detta soscritta casa per lavorìo sopra scritto, e promisse a sua spese condurre ditta casa a sua propia pigione et a ditto Michelagniolo darla per habitare gratis et amore, come oggi dà e consegnia e promette che nessuno non gli domanderà mai pigione; et in caso di molestia, mantenervelo et conservarlo senza danno, sotto pena e spesa et interessi: et lavorando fuor di Roma o in Roma abi l'uso della casa.
Ancora perchè detto Michelagniolo è stato e di presente non si sente troppo bene, si convennono che detto Michelagniolo possi a suo piacere lavorare per finire detta opera a Firenze, a Pisa, a Carrara e dove parrà a lui, pure che il lavoro che farà servi a detta sepoltura.
Ancora si convennono che in caso che per caso fortuito o per difficoltà dell'opera o per infirmità, o alcuno altro caso, infra ditto tempo ditto Michelagniolo finir non possi; nientedimeno ditto Michelagniolo abbi a continuare e finire ditta opera nel tempo che chiarirà el reverendissimo cardinale Agenna.
Item promisse il reverendissimo cardinale de' Pucci al detto Michelagniolo presente et stipulante, ogni mese dare et pagare per primi dua anni cominciati come di sopra, ducati dugento il mese, insino che a lui tochi il pagamento insino alla somma de' ducati settemilia di Camera, e' quali gli restorno della somma de' ducati diecimila cinquecento, e' quali il prefato santissimo nostro papa Iulio lasciò per fare detta sepultura.
Ancora el reverendissimo cardinale Agenna promisse a detto Michelagniolo presente, di sua proprii danari pagarli ducati semila d'oro di Camera ogni mese per errata, doppo il pagamento fattogli per il reverendissimo cardinale de' Pucci.
Item a pregiera, requisizione et instanzia di detti reverendissimi Cardinali, reverendo messer Bartolomeo Doria mercante genovese per il detto reverendissimo cardinale Agenna, e Bernardo Bini per il reverendissimo cardinale de' Pucci respective promissono a detto Michelagniolo detta somma, come di sopra da pagarsi, obligandosi come principali in forma Camera con guramento e altre clausole consuete.
E detti promessono a' detti mercatanti conservargli senza danno.
[652]
Archivio Comunale di Carrara. Carrara, 1 di novembre 1516.
Francesco Pelliccia fa quietanza di cento scudi avuti da Michelangelo per cavare quattro figure.[581]
Francesco che fu di Giovannandrea de Pelliccia da Bargana existente et personalmente constituito dinanci a me notario infrascripto non per fortia, inganno o paura, overo per alcuna altra machinatione circonvenuto, ma di sua spontanea voluntà et certa scientia di animo, et non per alcuno errore di ragione o di facto, per questo presente publico istrumento, et con ogni altro melior modo, via, ragione et forma, con li quali lui meglio ha potuto et può, per sè et soi heredi, ha confessato et publicamente ha dichiarato lui avere hauto et ricevuto realmente et interamente dallo excellente homo maestro Michelagnolo, figliolo di Ludovico Bonarota, sculptore et ciptadino fiorentino, presente stipulante per sè et soi heredi, ducati cento d'oro in oro larghi di buono et iusto peso. De li quali dicto Francesco ne ebbe ducati 20 d'oro inanci alla celebratione del presente instrumento, sì come el si dice constare per una scriptura privata scripta per mano di Sanctino, figliuolo di dicto Francesco, la quale il prefato maestro Michelagnolo rese et restituì al dicto Francesco lì presente, ita che da qui inanci sia cessa et cancellata: et il resto et compimento de' dicti ducati cento, videlicet ducati 80, il prefato maestro Michelagnolo diè, pagò numerò et exbursò in tanto oro in questo medesimo loco, presenti et videnti me notaro et testimoni infrascritti: de li quali ducati cento pagati in quel modo et forma che di sopra, dicto Francesco si chiamò ben pagato tacito et contento, renuntiando lui alla exceptione del non havere hauto et riceuto dal prefato maestro Michelagnolo dicti ducati cento in quel modo et forma che di sopra. — Li quali ducati cento sono per arra et principio di pagamento di figure 4 di marmo, di altezza per ciascuna, braccia 4 e mez., et per ogni verso della sua largheza brac. 2 et uno terzo, così etiandio per ogni verso della sua grosseza brac. 2 et un terzo egualmente, abozando dicte figure quanto si conviene in quella parte che a dicto maestro Michelagnolo parrà; apregiata ciascheduna de dicte figure fra epse parte di comune concordia, ducati 18 d'oro in oro. Item et figure 15 di alteza per ciascuna brac. 4 et un quarto, et larghe et grosse secondo richiedono le loro proportioni; apregiata ciascheduna de dicte figure fra epse parte di comune concordia ducati 18 d'oro in oro. Le quali figure 4 e le 15, come di sopra, dicto Francesco ha promisso per sè et soi heredi al prefato maestro Michelagnolo, stipulante ut supra, remossa ogni exceptione di rasone et di facto, di farle del più bello et del più bianco marmoro della sua cava che sia vivo, bianco et necto di vene et di peli et senza macula nissuna, simile al saggio lui portò al dicto maestro Michelagnolo, alla misura et precio che di sopra è dicto et dichiarato, abozandole ut supra. Et de ogni due mesi in ogni due mesi, incominciando adesso, consignare fatte al prefato maestro Michelagnolo in nel canale existente a piè de dicta cava una de dicte figure 4 di alteza brac. 4 e mezo ut supra, et 3 delle [653] dicte figure 15 di alteza brac. 4 et un quarto ut supra, così seguitando et consegnando di due mesi in due mesi ut supra, per insino alla fine del numero de dicte figure.
Le quali cose tutte et singule supradicte promesse il prenominato Francesco al prefato maestro Michelangelo stipulante ut supra attendere, etc. sotto pena del doppio di tutto quello si havesse ad agitare. La quale pena paghata o no, rate et ferme tutte le cose sopradicte sempre siano et perdurino.
Actum Carrarie in domo dicti Francisci posita burgo Carrarie ab imo platee Comunis, in qua prefatus magister Michelangelus ad presens habitat, presentibus etc.
Die VII aprilis 1517. De voluntate, presentia et auctoritate prefati magistri Michaeliangeli et dicti Francisci cassum et cancellatum fuit suprascriptum instrumentum per me notarium infrascriptum eo quia comuni concordia dictus magister Michelangelus fuit confessus habuisse a dicto Francisco, ac sibi restitutos fuisse supradictos ducatos 100, videlicet 60 ante presentem cassationem etc.
[654]
Archivio Buonarroti. Carrara, 18 di novembre 1516.
Bartolommeo di Giampaolo detto Mancino da Carrara si obbliga di cavare marmi per Michelangelo nella cava del Polvaccio.[582]
Sia noto come oggi questo dì diciotto di novembre mille cinque cento sedici, Bartolomeo decto Mancino, figliolo di Giampagolo di Cagione da Torano, à venduto a me Michelagnolo, scultore fiorentino, pezzi tre di marmo bianchi e begli, i quali lui à cavato al presente al Polvaccio nella sua cava; e el maggiore pezzo è lungo circa braccia cinque e grosso circa a tre e dua e mezo per ogni verso. Gli altri dua sono circa quatro carrate l'uno, pur bianchi e netti, e lungi l'uno braccia quatro e largo braccia circa tre, e grosso circa un braccio o vero dua palmi: e questo è spicato dal pezo grosso sopraditto. L'altro è braccia tre e mezo e per ogni verso di grosseza circa dua o vero uno e mezo, per ducati dodici; e' quali io Michelagniolo sopra detto gli ò pagati oggi questo dì sopra detto, e lui, cioè el detto Mancino, confessa avergli ricievuti e dicie si chiama contento. Ancora confessa il detto Mancino avere ricievuti da me Michelagniolo, oltre a' dodici ducati sopra detti, ducati venti d'oro largi, e' quali io ne lo servo perchè lui si metta a cavare nella sopra detta cava del Polvaccio dove lui à cavati e' pezi detti che io ò comprati, e mandi giù una certa pietra grande che lui à scoperta, nella quale per quello che si vede di fuora è grossezza di braccia quatro e per largeza el simile e per lungeza braccia otto e dieci. E non si mettendo a cavare la detta pietra infra un mese, s'obriga el detto Mancino restituirmi e' venti ducati che io gli ò dati oggi questo dì detto, ciò (è) non cavando la detta pietra; e cavandola, io gli prometto tôrne una certa quantità, sendovi le mie misure, e sendo begli: e non sendo così, s'intenda che io debba tôrne tanti marmi a mia scielta per iusto prezo, che io mi pagi de' venti ducati che lui à ricievuti. E perchè nelle sopra dette pietre che io ò comprate si vede qualche pelo, il detto Mancino promette, quando mi facessino danno, soddisfarmi negli altri marmi che e' mi venderà. Ancora perchè e' detti tre pezi che io ò comprati sono in sul ravaneto della sua cava detta, lui, il detto Mancino, s'obriga mandargli giù nel canale e sodisfarmi, se lui gli rompessi mandandogli giù, o vero mandando giù gli altri marmi che lui caverà. Ancora promette quando m'accadessi per bozare mia pietre, prestarmi pali, martelli, e altre cose necessarie. E per fede del vero, perchè el detto Mancino non sa scrivere, farà scrivere in suo nome qui di sotto maestro Domenicho, scultore fiorentino,[583] come lui à ricievuti e' sopra detti danari, e come accietta ciò che in questa è scritto, present'e' testimoni che si sotto scriveranno. Ancora il detto Mancino s'obriga non dare a altri de' marmi che lui caverà facendo per me.
Io maestro Domenicho di Sandro, fiorentino ischultore, a pregiera di Mancino sopra detto, perchè no sa iscrivere, in suo nome afermo quanto di sopra si contiene e come testimone afermo come di sopra è detto.
E io Stefano di Giovambatista Ghuerrazi[584] come testimonio schrivo questo verso a quanto di sopra è detto.
Sia noto come el Mancino da Torano detto, oltre a tre pezzi di marmo che io Michelagniolo confesso in questa avere ricievuti dallui o vero lui avermi consegniati, e i' ò pagati come apariscie per questa.
[655]
Archivio Buonarroti. Carrara, 3 di gennaio 1517.
Iacopo di Piero da Torano e Antonio d'Iacopo da Puliga si convengono con Michelangelo di cavargli de' marmi al Polvaccio.[585]
Sia noto come io Michelagniolo, scultore fiorentino, ò allogato oggi questo dì tre di gennaio mille cinque cento sedici a Iacopo di Piero di Gildo da Torano e Antonio di Iacopo da Puliga figure quatro, cioè quatro pezi di marmo, alti l'uno braccia quatro e un quarto e bozati col picone in que' modi che io darò loro le misure, in modo che l'uno sarà carrate quatro: e obrigansi i detti, cioè Iacopo e Antonio, cavargli nella loro cava al Polvaccio d'una certa sorte marmi che e' v'ànno, che è simile a un pezo di tre carrate che e' ne cavorno a maestro Domenico fiorentino, el quale è in sulla piaza de' Porci: e obrigansi darmi el pezo posto in sulla piaza de' Porci, per iscudi dieci; e obrigansi non attendere a altro che servirmi de' detti pezi. Ancora s'obrigano, volendo io una quantità di marmi, non potere lavorare per altri che per me per gusto prezo, tanto che io sia servito: e del prezo delle sopra ditte pietre io Michelagniolo do loro ogi questo dì detto scudi sedici: e così loro confessono avere ricievuti. E per fede del vero si sottoscriveranno di loro propria mano. E perchè loro non sanno scrivere, fanno scrivere per loro a maestro Domenico, scultore fiorentino.
Io Domenicho di Sandro fiorentino perchè e' sopra detti (dissero) no sapere iscrivere, iscrivo per loro e sono testimone chome si contiene in questa ène la verità.
Io Raffaello di Nicholò[586] fiorentino fo fede chome testimonio, fo fede chome ciò che si chontene in questa è la verità.
[656]
Archivio Comunale di Carrara. Carrara, di febbraio 1517.
Libello di Michelangelo contro Iacopo da Torano e Antonio da Puliga scarpellini, che si erano obbligati a cavar marmi per lui.[587]
Coram vobis spectabili domino Vicario Carrarie, vestroque officio et curia etc.
Constitutus in iure et coram vobis prefato domino Vicario pro tribunali sedente etc. Michaelangelus olim Ludovici Bonerote, civis florentini et Sedis Apostolice archimagister, sculptor, qui suo proprio et privato nomine pro declaratione et iustificatione iurium suorum, dicit, narrat et esponit, qualiter de anno presenti 1516, secundum cursum et consuetudinem civitatis Florentie, et 1517, secundum cursum et consuetudinem Lunigiane, sub die tertia ianuarii proxime preteriti ad eius instantiam, petitionem et requisitionem Iacobus olim Petri Guidi de Torano et Antonius olim Iacobi de Pulega, habitatores Torani, promiserunt et simul se obligaverunt effodere, abbozzare et piconizare eidem archimagistro Michaelangelo quatuor lapides carratarum quatuor pro singulo lapide, marmoris eorum cavee sue effodine del Polvaccio, pertinentia Torani, pro conficiendis seu sculpendis quatuor figuris; modis, formis, mensuris et pro pretio contentis, et que continentur in quadam appodixia sive scriptura privata facta scripta et notata manu propria prefati archimagistri sculptoris, et subscripta duobus testibus fidedignis contentis et subscriptis in eadem appodixia. Quam quidem appodixiam idem archimagister pro liquidatione predictorum et infrascriptorum iurium suorum exhibet et producit coram vobis domino Vicario pro tribunali sedente etc.
Item dicit narrat et exponit idem archimagister Michaelangelus qualiter dicti Iacobus et Antonius se simul obligaverunt et promiserunt nil aliud facere, operari aut laborare in dicta eorum cavea seu effodina marmoris aut alibi, donec et quousque ipsi non effodissent, piconizassent et conduxissent predictos quatuor lapides sub platea Porcorum Carrarie, modis, formis, mensuris et pro pretio contentis in eadem appodixia seu scriptura privata scripta et subscripta, exhibita et producta, ut supra.
Item dicit, narrat, et exponit idem archimagister qualiter nomine arre et pro principio solutionis pretii dictorum quatuor lapidum, idem Michaelangelus archimagister dedit, numeravit et exbursavit realiter et cum effectu eisdem Iacobo et Antonio scutos sexdecim auri a Sole, prout constat et clarissime apparet ex predicta appodisia seu scriptura privata.
Item dicit, narrat, et exponit idem archimagister Michelangelus, qualiter predicti Iacobus et Antonius neglexerunt, prout modo negligunt, velle observare et manutenere pacta et conventiones factas inter prefatum archimagistrum et ipsos contra omne ius et iustitiam et contra bones mores et in maximum damnum, detrimentum, perditam et preiuditium ipsius archimagistri, qui culpa, deffectu, et negligentia predictorum Iacobi et Antonii hucusque damnificatus est in ducatis ducentis auri latis et plus, occaxione eius temporis ammissi, et pro aliis [657] extraordinariis expensis per ipsum factis eorum culpa et deffectu; et eo maxime, quia si dicti Iacobus et Antonius uti voluissent ea sollicitudine qua debuissent et potuissent, effodissent piconizassent et conduxissent sub predicta platea Porcorum, dictos quatuor lapides intra bimestrem seu intra duos menses ad plus, prout probabitur et expediet: quod fuit et est in maximum damnum et preiudicium ipsius archimagistri Michaelangeli, et contra pacta et conventiones contentas in dicta appodixia seu scriptura privata et successive contra seriem, formam et tenorem Statutorum curie vestre de huiusmodi materia loquentium: que statuta idem archimagister allegat et producit in parte et partibus etc.
Idcirco ne de predictis dicti Iacobus et Antonius ullo unquam tempore valeant ignorantiam aut aliam excusationem allegare, eo quod non fuerit eis aut alteri eorum intimatum, notificatum et protestatum; idem archimagister Michelangelus omni meliori modo, via, iure et forma etc. in hiis scriptis solemniter protestatus fuit et protestatur contra dictos Iacobum Petri Guidi et Antonium Iacobi citatos per numptium publicum curie vestre, prout retulit et refert, videlicet contra dictum Iacobum Petri Guidi citatum personaliter et dictum Antonium Iacobi citatum per proclama et ad domum, secundum formam preallegatorum Statutorum vestrorum loquentium de citatione absentis fiende: et protestatur contra ipsos et quemlibet eorum de omnibus eius damnis expensis et interesse quomodocunque et qualitercunque passis et in futurum patiendis tam in iuditio quam extra, occasione predicta, et de temporis sui ammissione, et de inobservatione predicte appodixie seu scripture private et non tantum dicto modo, sed etiam omni alio meliori modo etc.
[658]
Archivio Buonarroti. Carrara, 7 di febbraio 1517.
Confessione e quitanza fatta da Michelangelo a Bartolommeo detto Mancino per marmi avuti da lui.[588]
Sia noto come addì diciotto di novembre mille cinquecento diciassette, Bartolomeo detto Mancino, figliolo di Giampagolo di Cagione da Torano, a me Michelagniolo, scultore fiorentino, vendè e consegniò in sul ravaneto della sua cava al Polvaccio pezzi tre di marmo: l'uno lungo braccia circa cinque e circa dua e mezo per insino in tre grosso per ogni verso; l'altro spicato da questo sopra detto della medesima lunghezza e largheza, salvo che per grosseza non è più che un braccio o dua palmi nel manco; l'altro è braccia tre e mezzo lungo e la grosseza per ogni verso circa braccia dua o vero uno e mezo; e detti tre prezzi mi dètte per ducati dodici d'oro largi: tre gniene avevo dati inanzi, perch'egli cavassi e' detti pezi, e poi cavati, gli dètti el resto per insino in dodici; e prestai el medesimo dì al detto Mancino, oltre a' dodici ducati detti, ducati venti d'oro largi, perchè lui mandassi giù, overo cavassi certi altri pezi di marmo; con questa conditione, che cavandogli e mi piacessino, io ne dovessi tôrre a mia scielta tanti che io mi pagassi de' venti ducati e quel più che mi parea. Ora il detto Mancino à finito di cavare e mandar giù oggi questo dì sette di febraio i detti pezi, cioè à cavato e mandato giù appiè del suo ravaneto questo dì detto di febraio di nuovo pezi quatro di marmo: l'uno è lungo braccia circa sei e largo braccia dua e mezo, e grosso circa dua; l'altro è lungo circa cinque braccia, e poco manco che dua per ogni verso; l'altro è una lapida grossa un braccio e quarto, e larga circa tre, e lunga quatro; l'altro è un ciottolo circa tre braccia lungo, e dua per ogni verso: che sarebono questi quatro pezzi co' tre comperati inanzi sopra scritti, pezzi sette. Ma perchè nel venire giù uno di questi à rotto uno di quegli comperati e pagati di sopra e fattone dua, vengono a essere otto pezi. E di questi quatro ultimi pezzi che gli à mandati giù ora del detto mese di febraio, del prezo loro il detto Mancino l'à rimessa in Baldassarre di Cagione e in maestro Domenicho, scultore fiorentino, e ànno gudicato che io gli debba dare, oltre a' venti ducati che io gli prestai, ducati quatro; che così sono ben pagati; e così gli ò dati e' detti quatro ducati: che viene avere avuto in tutto ducati trenta sei in più volte, come è detto, de' detti otto pezzi di marmo, e chiamasi contento e sodisfatto da me per insino a questo dì detto, e confessa avere ricevuti e' detti danari. E detti pezzi di marmo m'à consegniati a piè del suo ravaneto e segniati col mio segnio, (e) mi chiamo contento e sodisfatto da lui per insino a questo dì. E perchè el detto Mancino dice non sapere scrivere, Baldassarre e maestro Domenico ditti che ànno gudicato, per fede della verità si sotto scriveranno in questa pel detto Mancino.[589]
[659]
Archivio Buonarroti. Carrara, 7 di febbraio 1517.
Convenzione di Michelangelo con Lionardo detto Cagione da Carrara per cavare marmi.[590]
Sia noto come Lionardo detto Cagione, d'Andrea di Cagione da Carrara, à cavato una pietra nella sua cava a me Michelangiolo, scultore fiorentino, nella quale s'obriga bozzare, secondo le misure che io gli darò, una figura di braccia quattro e un quarto o vero di braccia quatro e mezo, la quale sarà carrate quatro: e obrigasi darmela posta in sulla piaza de' Porci di Carrara a tutte sue spese per iscudi dieci; e obrigasi darmela nel detto luogo infra quindici dì, cominciando oggi questo dì sette di febraio mille cinquecento diciassette. E io Michelagniolo detto gli do oggi questo dì detto della detta pietra e dieci scudi di contanti, e 'l detto Cagione se ne chiama pagato e contento, come in questa si sotto scriverrà di sua propria mano.
Ancora io Michelagniolo gli do, oltre a dieci scudi della sopra detta pietra, cinque altri scudi, acciò che lui séguiti di cavare nel medesimo luogo, e cavando pietre belle a mia misura, non le possa dare a altri che a me per giusto prezo: e non cavando, m'abi a sodisfare de' cinque scudi di tanti marmi a mia scielta. E per fede di ciò, come è detto, lui in questa si sotto scriverà di sua mano.
Io Lunardo deto Chasone chomfeso avere receuti e' soprascritti danari e obrigomi a quanto in questa si chontiene: e per fede di ciò mi sono sotoscrito di mia mano in questo dì soprascrito.
E più ò receuti oze in questo dì venti uno di febraio 1517 schudi cinque dal dito Michele Angelo per farli una altra figura de la soprascrita mesura e porla in lo soprascrito locho per lo soprascrito precio.
[660]
Archivio Buonarroti. Carrara, 12 di febbraio 1517.
Compagnia tra Michelangelo e Lionardo di Cagione in una cava di marmi.[591]
Sia noto come avend'io a fare per comessione di papa Leone Decimo, fiorentino, una quantità di marmi per la faccia di San Lorenzo di Firenze, e trovandomi a Carrara per altri mia lavori e per questo, e cercando io Michelagniolo, scultore fiorentino, de' detti marmi, e avendomi mostro Lionardo, detto Cagione, d'Andrea di Cagione da Carrara, una sua cava antica dove si potrebe fare grande aviamento; m'è parso da farvelo per cavare tutti marmi. E avendo il detto Cagione caro far meco compagnia nella detta cava e io seco, ci siàno acordati oggi questo dì dodici di febraio mille cinque cento diciassette, e abiàno fatto compagnia insieme; intendendosi stare a meza la spesa e a meza l'utilità, tenendo io tanti uomini a lavorare per me, quanti il detto Cagione ne terrà lui per sè nella detta cava; e promettesi l'uno all'altro avere a durare la detta compagnia, tanto che io sia fornito di tutti e' marmi che io ò di bisognio per l'opere sopra ditte; non acadendo o morte di Papa o d'altri o guerre, o mia infermità o cose che dieno noia, e riuscendo e' marmi begli e recipienti alle cose che ò da fare. E' prezzi che noi pogniàno alle pietre saranno scritti qui di sotto. E Cagione sopra scritto, come d'acordo abbiàno fatto i detti prezzi e come è contento della detta compagnia, per fede della verità in questa si sotoscriverrà di sua mano propria.
E' prezzi de' marmi: un pezo di carrata, scudi dua; un pezzo di dua carrate, scudi quatro; un pezzo di tre carrate per insino in quatro, scudi dua e mezo la carrata, e da quatro per insino in sei carrate, scudi tre la carrata, e da sei per insino in otto carrate, scudi quatro la carrata, e da otto per insino in dieci carrate, scudi quatro e mezzo la carrata, e da dieci carrate per insino in dodici, scudi cinque la carrata. E intendesi tutti e' detti pezi di marmo delle dette carrate col detto prezzo s'abbino a porre in barca: e se altrove gli volessi, se ne abbia a levare la spesa che vi sare' di manco. E così siàno d'acordo. E acadendo per sorte qualche sinistro o qualche dificultà non pensata o nel cavare o nel condurre e' detti marmi o in altro che s'apartenga alla detta compagnia, ci promettiamo l'uno all'altro usare di ciò quella discrezione che sarà conveniente.
E ancora s'intende come è detto, riuscendo e' marmi al mio proposito, abbia a seguitare la compagnia come di sopra è scritto, tanto che io sia servito de' marmi che ò di bisognio pei sopradetti lavori, e che in questo tempo, non noiando e' mia lavori, si possa servire ancora altri di quelle pietre che non fanno per me; e quando e' marmi della sopra detta cava non riuscissino begli come e' mostrano avere a riuscire e che e' non sodisfacessino, io debba e possa de' mia danari spesi in ciò, pigliarmene marmi e uscirmi della compagnia, parendomi.
E la sopra scritta compagnia s'intende che abbia a essere di tre compagni, ciò è el sopra scritto Cagione, e io Michelagniolo detto e l'altro, Giandomenico di Marchiò di Maragio da Carrara, partendo per terzo la spesa e l'utilità, con le conditione sopra scritte.
Io Lunardo dito Chasone mi chomtento e afermo la sopra dita chompagia chom lo dito Michelangelo chom tute le chomdecione e precie sopraditi; e chos'io mi sono sopra scrito di mia mano propria.
[661]
Archivio Comunale di Carrara. Carrara, 6 di marzo 1517.
Confessione di Matteo di Cuccarello e Lazarino di Pietro di Bellone di denari ricevuti da Michelangelo per marmi da cavare.[592]
In nom. etc. Die VI martii 1517.
Matheo già di Michele Cuccarello, Lazarino già di Pietro di Bellone etc. etc. tutti da Berzola, villa di Carrara, constituiti dinanti a me notaro et testimoni infrascritti, hanno confessato et publicamente hanno declarato haver hauto dallo excellente homo maestro Michel Angelo di Lodovico Bonarota presente scudi 20 d'oro buoni, li quali il prefato maestro Michel Angelo diè, pagò etc. Et sono per arra di colunne 2 di marmo, le quali li prenominati promettono et per solemne stipulatione si convengono, obligandosi al prefato maestro Michel Angelo stipulante, ut supra, di farle del marmoro della loro cava posta nella alpe di Carrara in loco dicto a Rozeto apresso le sue confine: et facte, ad esso maestro Michel Angelo, o a chi sarà per lui, consignarle, poste in barca ad ogni loro expesa, per di qui a tutto il mese di giugno proximo hae a venire, per precio di scudi 40 d'oro buoni et de iusto peso per ciascheduna di epsa colunna, dichiarando che ciascuna di epsa sia et deba essere de alteza sive lungheza brac. 10, et alla misura che esso maestro Michel Angelo ha loro data, et di grosseza da piè di dicta colunna braccia 1 e un terzo di braccio, senza lo regolino che va da piè di decta colunna, quale abia ad essere di misura una onza incirca. Et sia ancora et deba essere ciascuna di esse colonne senza alcuni peli et di quella medesima biancheza di marmo che ha quello marmoro che è posto da imo sive da piè di dicta cava.
Per tutte le quali cose et singule, fermamente da essere attese et adempite, ut sopra, li prenominati hanno obligato etc. — Costituendosi loro per ciascuno insolido al prefato maestro Michel Angelo stipulante, etc. observare tutte le cose predicte a Carrara, a Roma, a Firenze, a Lucca, a Pisa, et generalmente, purchè la generalità non deroghi alla specialità et è converso, in ciascuna altra parte del mondo etc. Sottoponendosi per insino adesso ad ogni iurisdictione, compulsione, ragione et censura di tutti li Magistrati et Corte così eclesiastiche come seculari etc. etc.
Actum Carrarie in domo mei not. etc.
[662]
Archivio Comunale di Carrara. Carrara, 14 di marzo 1517.
Lionardo di Cagione si obbliga di cavar marmi per Michelangelo.[593]
In nom. etc. Die XIV martii 1517.
Lunardo dicto Cagione zà di Andrea di Cagione da Torano, constituito dinanti di me notaro et testimonii infrascripti, ha confessato haver hauto dallo excellente homo maestro Michele Angelo di Lodovico Bonarota presente, scudi 50 d'oro, in tanto oro. — Li quali scudi 50 sono per arra di carrate 100 di marmo di 25 centinaia per carrata, le quali dicto Lunardo per sè ha promesso farle del marmo della cava sua alla Sponda, alla misura che dicto maestro Michel Angelo li darà, per di qui ad uno anno proximo hae a venire, in due volte, cioè carrate 50, per di qui a tutto il mese di septembre, per insino alla fine di dicto anno lo resto di dicte carrate 100, cioè carrate 50: et così facte in nelli lor termini ut supra al prefato maestro Michele Angelo, o a chi per lui serà, consignarle poste in barca ad ogni expesa di esso Lunardo per li precii infrascripti, cioè per scudi 2 d'oro, buoni et di iusto peso per ciascuna carrata di marmo; et di ogni pezo di marmo di 2 carrate, scudi 4; et di ogni pezo di carrate 3 per in sino in 4, scudi 2 et mezo per ciascuna carrata; et di ogni pezo di carrate 5 per insino in 6, scudi 3 per ciascuna carrata; et di ogni pezo di carrate 7, scudi 3 et mezo per ciascuna carrata; et di ogni pezo di carrate 8, scudi 4 per ciascuna carrata; et de ogni pezo di carrate 9, per insino a 10, scudi 4 et mezo per ciascuna carrata: dichiarando che dicte carrate 100 siano et debino essere di marmo biancho et senza peli alcuni; et quando pur havessino alcune vene, ma non molte, si debano intendere essere idonee; risalvando le figure infrascripte, le quali siano et debano essere di marmo bianco senza peli, simile a quello che già più giorni fa esso maestro Michel Angelo hebbe da dicto Lunardo. — Item dicto Lunardo per pacto expresso si è convenuto et ha promisso al prefato maestro Michel Angelo, de dicte carrate 100 farli figure 2 di marmo buono et senza peli, vene et machie alcune, ut supra, et che ciascuna di esse figure sia di alteza braccia 5 per insino in 6, et del resto secondo le misure che il prefato maestro Michel Angelo gli darà; et figure 4 di marmo bianco, per ciascuna di alteza braccia 4 e un quarto, et di largheza et grosezza, secondo le misure che dicto maestro Michel Angelo gli darà. Item che quando che di dicte carrate 100 ci fusse una pietra o due senza peli alcuni, apte a fare una colunna o due, di alteza per ciascuna colunna braccia 10, dicto Lunardo promette a esso maestro Michel Angelo di far le dicte alteze et secondo le misure et per quello medesimo precio per ciascuna colunna: della quale misura et precio esso maestro Michel Angelo s'è convenuto col Cucarello, Lazarino de Bellone per vigore d'uno contracto rogato per mano di me notaro infrascripto il 6 marzo, mese presente. — Et non essendovi pietra per fare dicte colunne, dicto Lunardo non sia obligato alle dicte colunne: con questo aggiunto, che dicto Lunardo non possi fare nè far fare ad altre persone marmi alcuni di dicta cava o fuora, ma [663] al bene continovamente perseverare in dicto lavoro persino a tanto che dicto lavoro non sia portato alli termini suoi.
Le quali cose tutte etc.
Preterea è stato facto et convenuto fra epse parte per pacto expresso con solenne stipulazione hinc inde interveniente, che quando che li padroni del prefato maestro Michele Angelo, li quali gli fanno fare dicto lavoro, per guerre non volessino che l'opera di dicto lavoro seguitasse et andasse inanci, o per morte loro o per alcuna altra causa, dicta opera et lavoro restasse che non andasse più avanti; allora et in quel caso dicto maestro Michel Angelo sia tenuto et obligato pigliare da dicto Lunardo almanco tanti de' dicti marmi per la somma de' dicti scudi 50.
Per tutte le quali cose etc.
Actum Carrarie in domo mei notarii infrascripti, presentibus magistro Domenico Alexandri de Septignano districtus Florentie etc.
[664]
Archivio Buonarroti. Carrara, 17 d'aprile 1517.
Alcuni scarpellini Carraresi Promettono a Michelangelo di cavargli marmi.[594]
In nomine Domini, Amen. Ne l'anno de la Natività del nostro Signore Iesu Christo del mille cinquecento dicesette, inditione quinta, secundo il corso e consuetudine de' notari di Lunisana, a dì dicessette del mese di aprile, la excelentia et sublimità de lo archimaestro sculptore de la Sedia Apostolica, Michelangelo di Ludovico Bonarota, citadino fiorentino, da una parte; et Francesco già di Iacopo di Vanello da Torano, et Bartholomeo di Michel dal Bardino abitante a Torano, compagni, insieme et in solido per loro e suoi heredi da l'altra parte; per il qual Bartholomeo, perchè è figliol di famiglia, a più abondante cautella, dicto Francesco promette de rato sotto la obligatione de tutti e' suoi beni, constituendosi epso Francesco principale obligato per dicto Bartholomeo, renumptiando in forma etc. Et anbe le predicte parte sono venute a li infrascripti pacti e convenctione tra loro. Et prima dicti compagni nominati di sopra, insieme et in solido hanno promesso et in questo publico instrumento solemnemente si sono obligati di dare e consignare al prefato archimaestro Michelangelo qui presente, stipulante, recipiente et acceptante per sè et per li suoi heredi et successori, carate cinquanta di marmore de la cava d'il Papello dal Prado posto a la Mandria pertimentia de Torano, al precio e misure che si contengono in dui altri contracti di conducta de marmori facti per il prefato archimaestro cum Leonardo di Andrea di Casone, et Bartholomeo dicto il Mancino di Zampaulo di Casone da Torano e loro compagni, et rogati per ser Galvano di ser Nicola, notario Carrarese publico et autentico: qual precio et misure contente in dicti contracti, epso Francesco et Bartholomeo compagni acceptano e riconfermano per il presente instrumento, sì come in questo medemo instrumento fusseno specificati, nominati e posti, perchè hanno hauto noticia de' precii e misure antedicte contente in epsi cuntracti; con special pacto inhito, facto, expresso fra ambe le dicte parte qui presente e l'una con l'altra insieme stipulante et acceptante, che li dicti Francesco e Bartholomeo compagni, come di sopra, siano tenuti et obligati et cossì epsi promettano et se obligano di dare e realmente consignare al prefato archimaestro Michelangelo qui presente, stipulante, dicte carate cinquanta di marmore, nel modo, forma et termine qui di sotto expresso, carate vinti cinque e più, se più si potrà, caricate in barcha a la piaggia de Lavenza a le proprie spese de ambi dicti compagni, al precio et misure antedicte, dal tempo presente sino a kalende di novembre proximo a venire, e più presto e inanti al dicto termine, se più presto e inanti si potrà. Et il resto de le cinquanta carate di marmore, dicti compagni promettano e si obligano in forma di darle e consignare caricate in barca a loro proprie spese, come di sopra, al prefato archimaestro, a kalende di maggio che seguirà di poi d'il 1518 e più presto, se più presto si potrà, a li precii e misure antedicte: promectendo dicto Francesco e Bartholomeo compagni, obligandosi solemnemente [665] insieme et in solido sotto la pena infrascripta al prefato archimaestro presente et stipulante, come di sopra, di cavare e lavorare continuamente dicti marmori, solamente ad instantia di epso archimaestro, sino al compimento de le cinquanta carrate dicte di sopra, rimosso ogni causa et exceptione che si potesse opponere; excetto che, se per caso evenisse ch'el prefato archimaestro per la Beatitudine del pastore apostolico, Summo Pontefice, o per qualunque altro principale fusse revocato da la impresa, et che il lavoro ordinato non procedesse; in tal caso epso archimaestro promette pigliar solamente ogni quantità di marmi che havessino in quel punto cavati dicti compagni ad instantia di epso, ultra al denaro che havessero hauto, pur che siano a la misura dicta di sopra e sensa alcuno difecto: con special pacto anchora inhito e facto fra ambe le dicte parte, che 'l prefato archimaestro Michelangelo sia tenuto et obligato soccorrere dicti compagni de denari di poco in poco, secundo il lavoro che faranno. E già per arra e per principio di pagamento de' dicti marmori epso archimaestro ha dato, numerato et exborsato a li dicti Francesco e Bartholomeo compagni qui presenti, et confessati di havere hauto et effectualmente riceuto da epso a la presentia di me notario et de li testimoni infrascripti, scudi vinti de oro in oro dal Sole; renunptiando epsi compagni a la exceptione di non havere hauto e riceuto dicta quantità de denari: et cetera.
(Omissis aliis.)
Facto in Carrara, sottoposta a la diocesi di Luni, in casa di me notario antedicto et infrascripto, presenti Matteo di Cucharello da Berzola e Francesco di Ton di Guido da Torano et Antonio di Mattè da Monzone habitante a Gragnana, ville di Carrara, testimoni etc.
Ego Leonardus Lombardellus, etc. notarius, etc. Carrariensis, etc. interfui, eaque rogatus scribere, scripsi etc.
[666]
Archivio Buonarroti. Carrara, 19 di giugno 1517.
Confessione di alcuni scarpellini di aver ricevuto danari da Michelangelo per conto di marmi.
A dì 19 di giugno 1517.
Sia noto e manifesto, come in questo dì sopradetto Piero Urbano de Anniballe da Pistoia, garzone di maistro Michelle Anzollo Simoni di Fiorentia, scultore al presente in Carrara, dà e esborsa in denari contanti, zoè scudi dodexe d'oro in oro, e li quali scudi dà a Mateo dito Cucarello e al Manzino di Zanpaulo da Torano e Betto di Iachopone di Nardo; intendendo che cescaduno di loro hane auto scudi quatro per conto de lavore che (à) alogato maistro Michelanzollo sopraditto, come n'è contrato per mane di ser Galvano di ser Nicolao, presente prete Antonio di Piero del Mastro e Antonio dito Sarto da Compiano; e coxì dito prete Antonio se sotoscriverà, de simelle Mateo predetto e presente ancora Bernardino di Iacopo del Berettaro: e coxì dito Bernardino se sotto.... e scriverà per Antonio dito Sarto soprascrito, perchè dito Sarto non sa scrivere e simelle scriverà per lo Manzino e Betto soprascriti, perchè loro non sanno scrivere. E io Carlino di Simone da Santo Terenzio ho fato questa scritta con la soprascrita parte, a dì e anno soprascriti.
Io Mateo soprascrito ò areceuto li scudi 4 come di cuante sopera si dise, a dì e anno soprascriti, in Carara.
Io prete Antonio di Piero del Mastro sono stato testimonio a la presente quanto di sopra si contiene...... li soprascritti a dì e anno soprascritto.
E io Bertino ditto il Mancino di Zanpaulo soprascrito confesso avere auto e ricevuto scudi quatro d'oro dal Sole, come dice di sopra, e io Bernardino di Iacopo soprascrito ho scripto per nome del ditto Bertino ditto Mancino, perchè lui non sapea scrivere.
E io Betto di Iacopon di Nardo soprascrito confesso avere auto e ricevuto scudi quatro d'oro dal Sole, come dice di sopra, e io Bernardino sopra detto ho scripto per nome di Betto soprascrito perchè non sapea scrivere.
E io Antonio ditto Sarto di Compiano soprascrito fui prexente a le coxe soprascrite, e io Bernardino soprascrito ho scripto de mia propria mano, perchè ditto Antonio Sarto non sapea scrivere, a dì e anno soprascrito.
E io Bernardino di Iacopo del Berettaro fui prexente a le soprascrite cose, e per fede de la verità mi sono soto scrito de mia propia mano a dì e anno soprascrito, in Carrara, in butega mia.
[667]
Archivio Comunale di Carrara. Carrara, 16 d'agosto 1517.
Alcuni scarpellini si obbligano di condurre marmi dalla cava del Polvaccio alla spiaggia dell'Avenza.[595]
In nomine etc. Die XVI augusti 1517.
Matheo Cucarello, Leone Puglia et Francesco dicto Bello, tutti insieme, ec. hanno promesso per questo publico instrumento per sè, ec. allo excellente homo maestro Michel Angelo, figliuolo di Lodovico Buonarota, ec. presente, ec. di condurre o far condurre a salvamento a ogni loro spesa et periculo dal ravaneto de la cava del Mancino di Giovampaulo di Cagione posta nell'Alpe di Carrara, in logo dicto al Polvaccio, et similmente dal ravaneto della cava di dicto Leone posta in quel medesimo luogo, per insino in su la spiagia di Lavenza, per di qui a tutto il mese di septembre proximo hae a venire, li marmi di esso maestro Michel Angelo infrascripto, existenti al presente in dicti ravaneti, cioè: el primo 1 figura di lungheza brac. 5 con sua grosseza et fatteze; item un'altra figura a sedere di longheza brac. 3 et mezo con sua grosseza et fatteze; et altra figura di longheza braccia 3 et mezzo et quarti tre con sua grossezze et fattezze; quadroni 2 di alteza per ciascuno brac. 3 et quarti 3 et brac. 1 et un terzo per ogni verso. Item 2 altri quadroni di 2 carrate l'uno; item carrate 6 di altri marmi minuti di 1 carrata o manco il pezo. Le quali figure, quadroni et marmi, ut supra, dicto maestro Michel Angelo comprò dal sopradicto Mancino abozati per il Polina et per Domenico di Betto, ambidue di Tomeo. Item un altro quadrone comprato per esso maestro Michel Angelo dal sopradicto Leone. Et così dicte figure, quadroni et marmi conducti et posti in su la dicta spiagia, drento del sopradicto termine ad esso maestro Michel Angelo, o a chi per lui serà, consignarli: et questo per ducati 47 d'oro in oro larchi ec. per precio et mercede de dicta conducta. Li quali duc. 47 il prefato maestro Michel Angelo lì in presentia di me notaro et testimoni infrascripti diè, pagò, numerò; de li quali si sono chiamati contenti ec.
Actum Carrarie in domo mei notarii etc.
[668]
Archivio Comunale di Carrara. Carrara, 18 d'agosto 1517.
Ricevuta di danari pagati da Michelangelo per conto di marmi cavati.[596]
In nomine etc. Die XVIII augusti 1517.
Bartolomeo dicto Mancino di Giovampaulo Cagioni et Matheo Cucarello tutti insieme han confessato havere hauto, ec. dallo excellente homo maestro Michel Angelo, figliuolo di Lodovico Bonarota, ec. presente, ec. scudi 93 d'oro et mezo in nel modo et forma infrascripta, cioè: Et primo sc. 50 d'oro, de li quali appare in instrumento rogato et scripto per mano di me notaro infrascripto a dì 14 marzo 1517, et scudi 12 d'oro, de li quali ne appare una poliza sive scripta privata, scripta per mano di Carlino di Simone da Sancto Terentio habitante a Carrara, a dì, mese et anno che in quella se contiene, et scudi 1 dato et pagato per dicto maestro Michel Angelo a uno lavorante decto Toschino, di comissione et voluntà di dicto Bartolomeo; et sc. 2 pagati et dati a esso Bartolomeo inanci a la celebratione del presente contracto; et sc. 28 et mezo. Li quali il prefato maestro Michel Angelo diè et pagò alli prenominati Bartolomeo et Matheo: che tutti dicti scudi fanno la somma de li decti scudi 93 et mezzo, de li quali si chiamano ben pagati taciti e contenti: renuntiando ec. Et sono per cagione di pezi 24 di marmo della grandeza, quantità et misura che aparisce nel libro di dicto maestro Michel Angelo, al quale si deba aver piena relatione. De li quali pezi 24, tre ne sono conducti alla marina, et 21 ne sono rimasti in nello ravaneto della cava di dicto Bartolomeo al Polvacio, come esse parti hanno asserito: li quali 21 pezi di marmo dicti Bartolomeo et Matheo hanno promisso et promettono condure dalla dicta cava di dicto Mancino per insino in su la spiagia de Lavenza, et consegnarli in barca al prefato maestro Michel Angelo o a chi per lui, ad ogni loro spese et danno, per tutto il mese di septembre proximo hae a venire, senza alcuna exceptione ec. Con pacto expresso, che una volta conducti et consegnati che saranno alla dicta spiagia li dicti pezi 21, il contracto di obligatione facto tra loro et scripto per mano di me notario infrascripto a dì 14 marzo 1517, sia vano, casso et cancellato et di nessuna forza: ma quando che li prenominati Bartolomeo et Matheo non conducessino dicti pezi 21 di marmo et quelli non consegnassino, ut supra, allora et in quello caso dicto contracto sia come prima ec. — Item per pacto expresso, ec. si sono convenuti che dicti Bartolomeo et Matheo siano tenuti et obligati mantenere ad esso maestro Michel Angelo quelle figure che sono adesso in nello ravaneto della cava di dicto Bartolomeo di quella bontà, biancheza, misura et qualità che erano et che sono adesso et che aparisce in nel libro di dicto maestro Michel Angelo, al quale si deba avere sempre piena relatione. — Le quali cose tutte ec.
Actum Carrarie in domo mei notarii etc.
[669]
Archivio Buonarroti. Carrara, 18 d'agosto 1517.
Lionardo detto Cagione confessa di aver ricevuto da Michelangelo novanta scudi d'oro.
In nomine Domini, Amen. Anno Nativitatis eiusdem, millesimo quingentesimo decimo septimo, indictione quinta, die xviij augusti.
Lunardo dicto Cagione di Andrea da Torano, villa di Carrara, ha confessato — et dichiarato — haver hauto et riceuto — dallo excellente homo maestro Michelangiolo di Ludovico Buonaruoto, cittadino et sculptore fiorentino, presente, scudi novanta d'oro in oro in nel modo et forma infrascripti, cioè: e prima scudi venti d'oro sborsati a esso Lunardo per il prefato maestro Michelangiolo avanti la celebratione del presente contracto, et scudi cinquanta d'oro, de li quali apparisce in nel contracto rogato e scripto per mano di me notaio infrascripto a' dì 14 marzo 1517; et scudi dieci d'oro sborsati al ditto Lunardo per Pietro, garzone di dicto maestro Michelangiolo, inanci alla ditta celebratione del presente instrumento; et scudi dieci d'oro, li quali il prefato maestro Michelangiolo li pagò et exbursò al dicto Lunardo: delli quali scudi novanta dicto Lunardo s'è chiamato ben pagato, tacito et contento. E sono per cagione di pezi venti di marmo della grandezza, qualità et misura che apparisce in nel libro di dicto maestro Michelangiolo, al quale si debia haver piena relatione: delli quali pezzi venti di marmo, nove ne sono alla marina et undici ne sono in nello ravaneto della cava di dicto Lunardo, posto in nelle Alpe di Carrara in luogo detto a Sponda. Li quali pezzi undici di marmo dicto Lunardo ha promisso al prefato maestro Michelangiolo di condurli dalla dicta sua cava per insino in su la spiagia di Lavenza, et conducto insieme con quelli altri nove pezzi, porli et consignarli in barcha al prefato maestro Michelangiolo — ad ogni sua spesa — per tutto il mese di settenbre proximo. —
Actum Carrarie in domo mei notarii, presentibus Carlino Simonis de Sancto Terrentio, habitatore Carrarie, Angelo Ioannis Dominici de Furno, vicariatus Masse, et Ioannopetro Simonis Tallini de Vinca, habitatore Colunnate, ville Carrarie, testibus etc.
Ego Galvanus olim ser Nicolai ser Thome de Carraria, notarius, rogatus, scripsi etc. etc.
[670]
Archivio Buonarroti. Carrara, 20 d'agosto 1517.
Lionardo detto si chiama debitore di Michelangelo della somma di 11 scudi.
✠ Die 20 augusti 1517.
Sia noto ad ogni persona, come Lunardo ditto Cagione de Carrara si chiama essere vero et legiptimo debitore dello excellente homo maestro Michelangiolo, cittadino et sculptor fiorentino, di scudi undici d'oro, li quali dicto Lunardo hae hauto di più delli marmi dati et consignati ad esso maestro Michelangiolo inanci alla presente scripta; per li quali dicto Lunardo promette ad esso maestro Michelangiolo, presente et acceptante, di darli tanti marmi per la somma di dicti scudi undici, conducti alla marina et posti in barca, di quella medesima bontà et biancheza et di quella medesima sorte et qualità che sono li altri marmi che dicto maestro Michelangiolo hae hauto da dicto Lunardo: et questo per di qui a tutto septembre proximo.
E per fede di ciò io Galvano di ser Niccolò da Carrara ho scripto la presente scripta in casa mia posta in Carrara, presente el Mancino di Giovanpaulo di Cagione, testimonio.
[671]
Roma, 19 di gennaio 1518.
Papa Leone X alloga a Michelangelo la costruzione della facciata di San Lorenzo di Firenze.[597]
Sia manifesto a qualunque persona, come hoggi questo dì XIX di gennaio MDXVIII, la Santità di nostro Signore papa Leone Decimo ha allogato a Michelagniolo di Lodovico di Bonarroto Simoni, sculptore fiorentino, el quale così accepta, lo edifitio o vero fabbrica et muramento della faccia di Santo Lorenzo di Firenze, ne' modi et patti che di sotto si diranno.
In prima detto Michelangiolo piglia sopra di sè ad fare ditta faccia a tutte sue spese, in tempo di anni otto proximi futuri, cominciando tale tempo addì primo di febbraio proximo futuro et così continue da seguire, per prezo di ducati quarantamila d'oro in oro larghi: la quale faccia debba essere di marmi bianchi et fini di Carrara o Pietrasanta, dove meglio iudicherà al proposito della opera: et tutto lo spendio di cavatura, conductura, lavoramento di quadro et figure di rilievo et basso rilievo di marmo et bronzo, et ad marmo et bronzo et calo, sia ad spese di detto Michelagniolo. La quale opera debba essere composta, ordinata et seguita ad exemplo et proportione del modello di legname composto con figure di cera et fatto et fatto fare per ditto Michelagniolo; el quale lui mandò da Firenze del mese di dicembre proximo passato; et composto nel modo si dirà:
Da basso nella faccia dinanzi infino alla prima cornicie intervengono otto colonne di marmo canalate, alte ciaschuna circa braccia XI, con li sua capitelli et base, infralle quali vengono tre porte della detta Chiesa et quattro figure di tutto rilievo, alte ciaschuna braccia cinque in circa, con certi quadri di mezzo rilievo, com'è nel modello.
Item, in ditto piano fino alla prima cornice viene due rivolte, in ciaschuna delle quali vengono due colonne, et nel mezo d'epse una figura tonda simile ad quelle della faccia dinanzi, come per el ditto modello si vede.
Item, sopra la prima cornicie all'altro grado viene sopra ciascuna delle colonne della faccia dinanzi, et così delle rivolte, uno piramidone o vero pilastro alto braccia sei in sette, in mezo delli quali vengono quattro figure nel dinanzi et due nelle teste, tutte tonde; et stando a sedere, viene la loro alteza braccia 4 1⁄2: le quali hanno ad essere di bronzo.
Item, allo extremo di detti pilastri si move una cornicie, sulla quale nasce otto pilastri dinanzi, et nelle rivolte quattro pilastri simili, cioè dua da ogni banda, con li loro zocholi, capitelli e imbasamenti, infra quali sono dalla banda dinanzi 4 tabernaculi et 2 tabernaculi simili nelle rivolte: et in ciaschuno ha da essere una figura tonda di marmo di alteza di braccia 5 1⁄2 incirca.
Item, viene sopra ciascuno de' detti tabernaculi uno quadro, nel quale vi ha ad essere in [672] ciascuno una figura ad sedere quanto è el naturale, di marmo, et di più che mezo rilievo, come nel modello si vede.
Item, nel compartimento di detto modello viene nella faccia dinanzi cinque storie in quadri et due in tondi, quali hanno ad essere di mezo rilievo: delle quali storie di quadro ve ne sono 4 lunghe circa braccia 8 et una circa braccia 9; et delle storie de' tondi, sarà el diametro di detti tondi braccia 6 in 7 per ciaschuno: le quali storie di basso rilievo hanno ad essere di marmo et le figure al naturale o più. Et perchè e' potrebbe essere che ditte storie di basso rilievo non fussino tanto evidente che bastassi, el ditto Michelagniolo vole essere tenuto et obligato ad farle o farle fare di tanto rilievo, che sia a sufficientia, et che stieno competentemente et bene.
Item, all'ultima cornicie vi ha ad essere alla nave di mezo el frontone con le sue cornici et finimenti et ornamenti di arme et di livree, el quale ha ad essere nella forma che pel modello si vede, et di più detti ornamenti.
Item, perchè in ditto modello non sono interamente fatti tutti li ornamenti, come intagli di cornici et porte et altre storiette, el ditto Michelagniolo vole essere tenuto ad fare tutte le ditte cose nel modo et luoghi che si conviene, a tutte sue spese et ancora ad tutto quello muramento achadessi per congiugnere le rivolte di tale faccia col vechio della Chiesa.
Le quali tutte cose ditto Michelagniolo toglie a fare per ditto prezo et tempo in tutto et per tutto a sue spese, facendo le figure di sua mano et così le dette storie. Et volendone allogare alchuna o farsi adiutare, si rimette allui et si li dà piena libertà di allogare et non allogare et fare in tutti quelli modi che penserà nostro Signore sia bene servito et satisfatto nel tempo preditto. Et non obstante li sopraditti patti, per causa di alchuno accidente di fortuna, come malattie, guerre o altro che causassi impedimento alla opera, di tutto ditto Michelagniolo se ne rimette nella discretione di sua Santità.
Et per causa di dare principio all'opera per seguire di poi la sua perfectione, el prefato nostro Signore vole che sia pagato per ciaschuno anno al ditto Michelagniolo ducati cinquemilia d'oro larghi, o quel tanto che lui domandassi sino ad tale somma, durante el tempo delli detti otto anni: intendendosi che di presente li sia dato per cominciare ad cavare e' marmi et per altre spese, ducati quattromilia d'oro in oro larghi, e' quali si debbino difalcare et andare in diminutione della somma del prezo di tutto el preditto lavoro.
Item, che ditto Michelagniolo debba essere achomodato sanza alchuna sua spesa, d'una stanza propinqua alla ditta chiesa di Santo Lorenzo, nella quale possa fare lavorare li marmi et altre cose per conto di detta faccia.
Et ad tutti li predetti patti et conditione ditto Michelagniolo vole essere tenuto et obligato ad arbitrio di nostro Signore prefato. Et per ciò observare, si subscriverà di mano propria di così essere contento.
Placet: I(oannes.)
Io Michelagniolo di Lodovicho Simoni sopradecto son chontento a quanto in questa scricta si chontiene, e per fede di ciò mi son socto schricto di mia mano propria in Roma questo dì sopra decto.
[673]
Archivio de' Contratti di Firenze. Pietrasanta, 15 di marzo 1518.
Michelangelo alloga a cavar marmi in Seravezza per la facciata di San Lorenzo.[598]
In nomine Domini, Amen.
Sia noto et manifesto ad ogni persona lo presente publico instrumento legeranno et vederanno, come dello A. N. D. mille cinquecento decimo octavo, inditione sei, die vero quindecima del presente mese di marso (sic), lo egregio homo maestro Michele Angelo di Lodovicho Bonarroti di Simone, citadino et iscultore fiorentino benemerito, qui presente, per sua cierta scientia e non per alchuno di ragione o veramente di facto errore, per sè et suoi heredi et successori, per tenore del presente publico istrumento dà, concede et alluogha alli infrascripti maestri cavatori di marmi, cioè ad maestro Alexandro di Giovanni di Bertino da Septignano, a maestro Michel di Piero di Pippo da Septignano, a maestro Angelo di Zacharìa di Angelo da Septignano, a maestro Francesco di Maso di Papo da San Martino a Mensola, a maestro Bartolo di Chimenti di Fruosino da Septignano, a maestro Barone di Giovanni d'Andrea dal Ponte Assieve, habitante a Septignano, a maestro Thomaso di Simone di Patriarcha da Septignano, a maestro Andrea di Giovanni di Andrea da Septignano, a maestro Bastiano di Angelo di Benedecto, decto Angelotto, da Azano, vicinanza di Pietra Sancta, tutti maestri et cavatori de marmi et a qualunque di loro principalmente et in solido una solennemente satisfactione contenti, presenti et conducenti pro sese in solidum et loro heredi et successori, tutte ed ogni quantità di marmi che vanno nella faciata della detta chiesa de Santo Lorenzo de Florentia: la quale facciata d'essa Chiesa s'à da fare ad nome del santissimo in Christo padre papa Leone Decimo, et decti marmi esso prefato maestro Michele Angelo ha in decti soprascricti cavatori d'essi marmi allogato, come de sopra, a cavare et sbozare nella montagna et iurisdictione della terra de Pietra Santa del Stato del magnifico et excelso Populo et Dominio florentino, in loco decto Finochiaia sive Transvaserra o veramente altro più veriore nome se appellasse: nel quale loco, dove sono decti marmi et déssi cavare decto marmo; et dirimpetto et riscontro in loco detto alla Cappella, iurisdictione et vicinanza di Pietra Sancta. In dello quale loco decte due parte confessano in presentia di me notaro et testimoni infrascricti, loro et qualunque di loro insieme essere stati et decto loco oculata fede havere et colli loro ochi veduto. In dello quale loco esse ambe parte hanno veduto essere marmi sufficienti et apti et boni allo lavoro et opera s'à da fare per esso maestro Michele Angelo, scultore in decta facciata d'essa chiesa di San Lorenzo. Et item sono rimasi de accordio decto maestro Michele Angelo et decti maestri presenti, in decto loco debbino cavare et fodere decti marmi; cum questa declaratione, che se in decto loco seu in loco convicino et appresso decto loco fusseno [674] marmi più accomodati et sieno belli et boni per decto lavoro, chome quelli belli dello loco soprascricto, se intendi per vigore di questo contracto et allogatione essere stato loro per esso maestro Michelangelo allogato, et chosì decti marmi esso maestro Michelangelo sia tenuto et debbia pigliare decti marmi, chome quelli nello loco soprascripto, dummodo habbino ad essere sufficienti, di bona qualità, boni, bianchi e belli et necti di pelo, chome seranno et debeno essere li soprascripti si faranno nello primo loco sopra declarato; et tutta quella quantità di marmi sarà per detti maestri et cavatori da fare che saranno allo proposito d'essa opra, siano tenuti, et così se obligano, darli ad esso maestro Michelangelo tutta isbozata in bona isbozatura, alle misure d'esso maestro Michelangelo qui di sotto si dichiara, et consignarli sani et belli et sanza pelo, come sono et saranno li belli d'esso loco di Finochiaia sive Transvaserra, videlicet colonne dodici che vanno nella sopra detta opera, lungho lo fusto, senza la basa et senza lo capitello, undeci braccia alla misura di Firenze, grossa da piè uno braccio e mezzo et da capo uno braccio e uno terzo l'apunto, per qualunque d'essa colonna; ad pregio et valuta per qualunque d'esse colonne nelle soprascripte misure, ducati trenta d'oro in oro larghi l'una, isbozata et posta a piè del ravaneto allo Poggio dove portare, andare et conducere el carro per quelle caricare, quando sarà fatto la via et strada in decto loco. Et ancora si obligano detti maestri et cavator marmorai soprascripti et così promettano a detto maestro Michelangelo presente etc. dare et consignare a detto maestro Michelangelo allo detto caricatoio sopra expresso et nominato due stipiti di porta marmorei et di marmi predecti lunghi braccia dieci et uno terzo l'uno, de' medesimi marmi, ad ragione et pregio di ducati venti d'oro in oro larghi l'uno, posti in detto soprascripto caricatoio et Pogio, come detto è di sopra: et così similmente promettono detti maestri et cavatori soprascripti a detto maestro Michelangelo presente etc. dare et consignare tutti li altri marmi in quella medesima bontà, biancheza, boni et belli et senza pelo se troveranno et caverannosi in detti luoghi (di) Finochiaia, alla misura d'esso maestro Michelangelo; intendendo sempre essere bene et sufficientemente isbozati, ad ragione d'uno ducato d'oro in oro largho d'un pezo d'una carrata d'essi marmi, per fino un pezo di cinque carrate l'uno, ducato uno d'oro in oro largho la carrata, come è detto, et di pezi de sei carrate l'uno; ad ragione di lire dieci la carrata di moneta fiorentina, per insino in pezi di octo carrate l'uno; posto tutto lo detto lavoro allo caricatoio soprascripto. Intendendo sempre essere la carrata allo uso et costume di Carrara, cioè di centinaia venticinque per carrata. La quale quantità de marmi, tutti soprascripti maestri cavatori d'essi marmi in solido promettono a detto maestro Michele Angelo presente etc. darli et consignarli in fra anni cinque proximi ad venire, in qualunque anno la debita rata, talmente che in detti cinque anni tutta la quantità acaderà in detta opera allo tempo de cinque anni, incominciandosi finito sarà la detta via, et finiendo come seguiterà, in fra anni cinque proximi ad venire: cum patto in principio, mezo et fine de questo contracto ogni solepne stipulatione vallato, che in caso la Sanctità del nostro Signore, signor papa Leone, sollicitasse esso maestro Michelangelo a sollicitare decta opera in più breve tempo: se dovesse fare; el detto maestro Michelangelo sia tenuto et debbia a' detti maestri cavatori notificare loro questo caso, et possendo loro sodisfare, a detto maestro Michelangelo dare tutto lo lavoro sarà necessario in detta opera, in quello modo che 'l sanctissimo Papa desiderrà, non possa nè debbia pigliare detti marmi da altri maestri che da' decti maestri et cavatori soprascripti; et in caso che non potessano satisfare, sia licito a detto maestro Michelangelo pensare ogni modo et via per satisfare alla voluntà et desiderio d'esso nostro Signore, signore Papa, per decta opera: et cum questo inteso, che accadesse in questo mezo, prima fusse compiuta et finita detta opera, et qualunque causa accadesse non se havesse in quella più allavorare; in decto caso esso maestro Michele Angelo sia tenuto et debbia cum effetto fino a quello dì della saputa data loro, pigliare tutto lo lavoro che per decta opera decti maestri soprascripti haveranno cavato et isbozato alle misure soprascripte d'esso maestro Michelangelo, quello satisfare loro fino a quello dì et da quinde in là il decto maestro Michelangelo ultra a' detti maestri [675] non sia tenuto, et similmente loro allui; et questo per patto expresso, inito et firmato tra le dette parte: intendendo sempre lo lavoro doversi consignare allo caricatoio soprascripto.
Et per parte di pagamento d'esso lavoro et magisterio di cavare et isbozare e' soprascripti marmi lo soprascripto maestro Michelangelo a' soprascripti tutti maestri cavatori d'essi marmi qui presenti, stipulanti et recipienti in solido, in presentia di me notario et testimoni infrascripti, presenti et vedenti, dà, pagha, et numera cum effetto ducati cento d'oro in oro larghi di bono oro et iusto peso di diversi cunii, li quali rimaseno apresso d'essi tutti maestri in solido, et lo resto fino alla monta et valuta de tutti decti marmi et lavoro come di sopra nominati, lo soprascripto maestro Michele Angelo per solepne stipulatione promette a detti maestri presenti et recipienti in solido, dare et pagare cum effetto alla rata della consegna per loro sarà da fare d'essi marmi anno per anno fino allo intero pagamento monteranno detti marmi. Et perciò lo soprascripto maestro Michelangiolo obliga a' detti soprascripti maestri cavatori presenti, stipulanti et recipienti, sè et suo heredi et successori et ogni suoi beni mobili et immobili et seu sè moventi presenti et futuri sotto nome di pegno et ypoteca ec. ec.
Actum Petresancte in sala domus habitationis ad presens magistri Donati scultoris olim Baptiste Benti, cive florentino, habitatore (sic) Petresancte et ser Iohanne olim Dominici Carducci de Petrasancta, testibus.
Et ego Ioannes quondam Pauli Badisse de Petrasancta, publicus imperiali auctoritate notarius, dum suprascripta omnia et singula sic fierent et agerentur, interfui et de his rogatus fui et in fidem me subscripsi etc. etc.
[676]
Archivio de' Contratti di Firenze. Pietrasanta, 14 d'aprile 1518.
Alcuni scarpellini confessano di aver ricevuto cento scudi per cavar marmi nell'Altissimo.[599]
In nomine Domini, Amen. Anno Nativitatis eiusdem, millesimo quingentesimo decimo octavo, die vero xiiij aprilis, anno sexto pontificatus sanctissimi in Christo patris Domini nostri, domini Leonis, divina providentia pape X.mi
Magister Dominicus olim Michaellis Pighinucci, Filippus olim magistri Bertochi de Carraria, Michael Pighinucci, Vincentius olim magistri Ioannis marmaroli, et Nicholaus olim Iachomini Rainaldi, Pellegrinus olim Augustini Casolis, omnes de Petrasancta, qui presenti, per loro et ciascuno di loro, costituiti dinanzi a me notaro infrascritto — hanno confessato et publicamente dichiarito, et confessano et dichiarano havere hauto et ricevuto — da lo excellente huomo maestro Michelangelo di Ludovico di Buonarota, citadino fiorentino, scultore, presente — ducati cento d'oro in oro larghi et di iusto peso. Li quali ducati cento il prefato maestro Michelangelo diè et pagò — a li prenominati maestro Dominicho, Filippo, Michele, Nicholao, Vincenti et Pellegrino presenti. — Et detti ducati cento sono per arra et principio di paghamento di marmi che li soprascripti hanno promisso fare et consegnare al prefato maestro Michelangelo presente — per la facciata de la chiesa di Santo Lorenzo di Firenze, per la santità del Signor nostro papa Leone, per divina providentia papa Decimo: li quali marmi li prefati maestri hanno a cavare et lavorare a l'Altissimo, luogo ditto a la Piastra di verso Strettoia sive Antognia, et dove per lo mandato del prefato maestro Michelangelo li dimostrarà, per gli infrascritti pregii et secondo le misure infrascripte, cioè: per pezo di carrata una per in fine di pezi in carrate cinque, a ragione di ducato uno d'oro largho per ciascuna carrata; et per pezo di carrate sei per fine otto, a ragione di lire dieci di moneta fiorentina per ciascuna carrata; et per pezo di carrate otto per fine in dieci, lire dodici di detta moneta per ciascuna carrata: et che sia di marmo biancho et buono, secondo che appare in ditto luogho. Dichiarando come ditto s'è, che detti marmi et pezi siano et esser s'intendino di marmo biancho et senza peli alcuni, et se pure havessono alcuna venetta, ma non molte, s'intendino essere ydonei et buoni per ditto lavoro; reservando le figure o vero pietre per fare figure, le quali siano et debbino essere di marmo biancho sanza peli, vene o machia alcuna. Et accadendo a prefato maestro Michelangelo havere bisognio di colonne di marmo d'alteza di braccia undici a la fiorentina, et di grosseza corrispondente a la detta alteza, secondo la dichiaratione d'esso maestro Michelangelo e altri per lui; dicto maestro Michelangelo sia tenuto per ciaschuno fuso di dette colonne senza base et capitello, dare et pagare a li sopranominati per loro fatiche et facture ducati trenta d'oro larghi per ciaschuna d'esse colonne.
Item et similmente accadendo bisognio al detto maestro Michelangelo di stipiti di porte di alteza di braccia dieci nette, siano tenuti li soprascripti, li ditti stipiti darli per ducati [677] venti d'oro larghi per ciaschuno stipito. Et tutti li dicti marmi si intendino esser consignati per li soprascripti al prefato maestro Michelangelo in dicto luogho dell'Altissimo — e a le cave di dicti marmi.
Item si sono convenutosi le soprascripte parte che la soprascripta obligatione da l'una et l'altra parte sia et intendisi durare a beneplacito et voluntà de la santità di papa Leone Decimo: de la quale voluntà, quando fusse che non seguisse più avanti, dicto maestro Michelangelo, o altri per lui, lo habbi a intimare alli soprascripti, o vero ad alcuno di loro; con questo inteso, che accadendo che la voluntà de la sanctità del Signor nostro papa Leone si mutasse et non volesse persequire più avanti in nel cavare per detto conto, che ditto è di sopra, de la facciata de la chiesa di Santo Lorenzo; che alora et in tal caso, ditto maestro Michelangelo sia tenuto pigliare tutto il lavoro che per li soprascripti fusse cavato a le soprascripte misure per li pregii, come di sopra: et in dicto caso restasseno denari in mano alli soprascripti del prefato maestro Michelangelo; che in tal caso siano restituiti per li soprascripti al prefato maestro Michelangelo in pecunia, o vero in tanti marmi a le misure soprascripte et per li soprascripti pregi.
Item che li sopra nominati con ogni vigilantia et sollicitudine siano tenuti a cavare marmi, come di sopra, et in tal lavoro continuare per fine a tanto che dicto maestro Michelangelo non dirà loro non farsi più di bisognio. Et acciò che con più presteza et sollicitudine si facci buona quantità di marmi; il che più facilmente si fa per via di persone assai; dicto maestro Michelangelo si obliga, a causa che li sopra nominati possino aggiungere uomini a tal lavoro, dare a li soprascripti quella quantità di denari per dicto lavoro, et secondo che lavoreranno et monterà dicto lavoro, et secondo le conditione soprascripte etc. etc. etc.
Actum Petresancte in palatio residentie magnifici domini generalis Comissarii Petresante, coram et presentibus excellenti iuris utriusque doctori (sic) domino Petro Gerardo de Petrasanta, magistro Simone Santis de Mutina, magistro gramatice, et Bartolomeo olim magistri Laurentii de Petrasanta, testibus etc.
Ego Joannes Bertonus olim ser Mathei Blaxii Bertonis de Petrasanta — notarius — rogatus — scripsi.
[678]
Archivio Del Vecchio in Carrara. Carrara, 17 d'aprile 1518.
Michelangelo fa procuratore Donato Benti per caricare i suoi marmi e condurli alla marina.[600]
Die XVII aprilis 1518.
Excellens dominus archimagister Michael Angelus olim Ludovici Bonerote, civis florentinus, omni meliori modo etc. fecit constituit atque solemniter ordinavit eius procuratorem, factorem et certum numptium specialem et quid de iure melius facere potest, providum virum magistrum Donatum olim Baptiste Benti, civem et sculptorem florentinum, presentem et acceptantem generaliter ad onerandum et onerari faciendi et transuehendi omnia et singula marmora que predictus dominus constituens habet in alpibus et sub marinellis Aventie et ad omnia alia et singula etc.
Actum Carrarie in domo mei notarii infrascripti.
[679]
Archivio Buonarroti. Firenze, 22 d'aprile 1518.
I Proveditori dell'Arte della Lana concedono, finchè vive, a Michelangelo di estrarre marmi dalle cave della Cappella e del monte Altissimo.
Die XXij mensis aprilis 1518.
Gli spettabili signori Proveditori degli ordini dell'Arte della Lana per vigore di qualunche loro autorità et potestà, examinando la donatione de' beni fatta all'opera di Santa Maria del Fiore per el comune di Pietra Santa e Seravezza et la Cappella, e maxime e' monti chiamati l'Altissimo; et trovato in detti monti per relatione di periti si farebbe cave di marmi, d'onde aviandogli si caverebbe assai marmi et buoni, e' quali sarebbero a sufficientia alla detta Opera et a ogni cosa si facessi nel territorio fiorentino, e da servire ogni altra natione ne volessi: il che facendosi, donde ora si ha a ire pe' marmi altrove, et comperagli da altri, ve ne sarebbe da usare et potere vendere a ognuno; il che sarebbe grande utile a detta Opera et honore alla città et a detta Opera; e sopra dette cose havuta diligente examina di excellentissimi huomini periti in tal cosa, e di molti prudenti cittadini; et trovato a tale opera condurre essere necessaria grande spesa, et etiam che se ne cavi assai et mettinsi in opera, e per le mani di qualche huomo in detto exercitio excellente et famoso che dia reputatione per cavarne e mettere in opera e' detti luoghi e marmi, adeo s'abbandoni e' luoghi dove si va per essi e venghisi a quelli; et examinato a' presenti tempi a simile opera non esser nessuno più apto che Michelagnolo di Lodovico Bonarroti, oggi scultore excellentissimo, et che di riputatione et fama supera ogni altro; et per indurlo a tale opera laboriosa et di spesa assai, et che ricercha diligentia grandissima, hanno deliberato mostrare liberalità inverso ditto Michelagnolo, la quale sanno sarà utile grande a detta Opera, et lui per la liberalità usatagli, sanno tutta la sua diligentia metterà in fare detti luoghi utili, et a detti luoghi et marmi dare riputatione et crescere la sua fama; et atteso anche che detti luoghi per diligentia et cura di detto Michelagnolo sono venuti in detta Opera, et per quelli adviare a detta Opera.
Et per tanto providono et ordinorno, che a detto Michelagnolo, durante la sua vita, sia lecito cavare et fare cavare di detti luoghi tutti quelli marmi di qualunche ragione et qualità si voglia che lui vorrà, per adoperare in qualunche opera o lavoro lui avessi preso a fare, o per l'avenire piglierà, tante volte quante allui parrà, et quelli trarre di detti luoghi et fare portare dove allui o altri fussi per lui parrà, liberamente et sanza alcuno impedimento, sanza che abbi a detta Opera, o ad altri, pagare premio o cosa nessuna per detti marmi, o cavatura, o trattura di quelli per qualunque parte di detti luoghi, et tante volte quante allui parrà. Et promettono a detto Michelagnolo, benchè absente, e a me notaro della presente rogato, ricevente, che a detto Michelagnolo, o chi per lui sarà, sarà mantenuta la detta facultà di cavare et trarre detti marmi durante detto tempo della sua vita, et che da nessuno sarà impedito detti marmi cavare et trarre di detti luoghi, et che nè allui nè a' suoi heredi, o chi per lui gli trarrà, mai per tempo nessuno sarà domandato premio [680] o cosa alcuna per marmi ne havessi cavati e caveranno: e altrimenti seguendo, lui et suoi heredi e chi per lui havessi cavato o caverà, conservargli senza danno. Et statuirno et deliberorno che detto Michelagnolo, nè altri che per lui cavassi, per modo alcuno possino essere molestati nè impediti detti marmi cavare et trarre per adoperare in qualunche opera o lavoro lui havessi preso affare, o per l'avenire piglierà, tante volte quante allui parrà, et quelli trarre di detti luoghi, et fare portare dove allui, o chi fussi per lui, parrà, liberamente sanza alcuno impedimento: e chi contra facessi, di qualunche qualità, grado o dignità si sia, s'intenda ipso iure caduto in pena di scudi cento d'oro per qualunche volta contrafacessi, da applicarsi per metà a detta Arte, per l'altra metà a detto Michelagnolo. Et promettono la presente concessione per tempo nessuno durante la vita di detto Michelagnolo non rivocare, nè in modo nessuno alterare direttamente o indirettamente, ma quella durante detta sua vita observargli et mantenere, obligandogli per la observantia della Arte et huomini di quella, et beni di detta Opera e di detta Arte. Mandantes conservari, etc. non obstantibus, etc.
Ego Nicolaus olim Michelotii de' Michelotiis, cancellarius dicte Artis et dictorum Provisorum de predictis rogatus, in fidem me subscripsi.
[681]
Archivio de' Contratti di Firenze. Pietrasanta, 27 d'aprile 1518.
Michelangelo fa procuratore maestro Donato Benti a far cavare, sbozzare e condurre alla marina i marmi di Pietrasanta e di Seravezza.[601]
Die 27 aprilis 1518.
Spectabilis vir magister Michael Angelus, scultor civis florentinus, olim Lodovici Bonarroti Simonis de Florentia hic presens, hoc publico instrumento ex sua certa scientia et non per aliquem iuris vel facti errorem — fecit constituit — suum verum et legitimum procuratorem, — magistrum Donatum olim Baptiste Benti, scultorem, civem florentinum et habitatorem Petresancte — quod cum cum sit, quod idem magister Michael Angelus locaverit ad fodiendum, cavandum et disbozandum nonnullis magistris cavatoribus et disbozatoribus marmorum in montibus de Cappella, vicarie Petresancte, pro fodendo, et cavando, et disbozando marmora in dicto et loco dicto Finocchiaia sive Transvaserra — pro fabrica ecclesie Sancti Laurentii de Florentia et pro facciata dicte ecclesie, de mandato sanctissimi Domini nostri, domini pape Leonis Decimi, prout apparet ex publico instrumento locationis scripto et rogato manu mei notarii infrascripti sub die XV mensis martii presentis anni. — Et cum sit quod idem magister Michael Angelus, eidem opus sit accedere Florentiam pro suis negotiis urgentibus et ne dictum laborerium remaneret derelictum ab ipso magistro Michaele Angelo; propterea devenit ad presens instrumentum procurationis facte in persona supradicti magistri Donati ad omnia et singula infrascripta peragenda, videlicet ad faciendum marmora fienda per dictos magistros et cavatores et disbozatores predictos conduci, trahi et levari de ipsis montibus de Finocchiaia et ipsa conduci facere per viam propterea ordinatam pro ipsis marmoreis conducendis, nec non ad dandum dictis cavatoribus et disbozatoribus dictorum marmorum omnes mensuras et modos qualitatis et condictionis dictorum marmorum ita extrahendorum et fodiendorum de — dictis montibus de Finochiaia, et alia quoque peragenda, fienda et facienda que et qualia exigit dictum laborerium pro constructione et fabricatione suprascripte facciate dicte ecclesie Sancti Laurentii, et in predictis et circa predicta et quolibet predictorum faciendum et exercendum, prout facere et exercere posset et valeret ibidem magister Michael Angelus, si presens et personaliter adesset. Et si casu acciderit quod dicti magistri, et cavatores et desbozatores ita conductos et conducendos tam per ipsum magistrum Michaelem Angelum, opus et laborerium predictum non ita sollicite, non ita acte, non ita perfecte facerent, exararent et adimpleverint iuxta convencta facta cum ipso magistro Michaele Angelo, quod forsan reddundare posset in preiudicium ditti suprascripti magistri Michaelis Angeli constituentis; propterea cum potestate notificandi, intimandi, inquirendi, requirendi et protestandi contra ipsos magistros et cavatores et disbozatores de damnis expensis et interesse ipsius magistri Michaelis Angeli constituentis, et propterea ad omnes lites et causas contra ipsos et quemlibet eorum modo aliquo movendas, agendum, causandum, etc. etc. etc.
[682]
Archivio Buonarroti. Firenze, 18 di maggio 1518.
Ricordo de' patti circa il cavare de' marmi tra Michelangelo e alcuni scarpellini da Settignano.
A dì 18 di maggio 1518.
Danari che serve Michelagnolo di Ludovico Simoni scultore a questi qui a piè.
A Sandro di Giovanni Bertini, E Filippo di Vangelista di Niccolò del Macìa, E Dionigi di Lorenzo di Salvadore, tutti da Settignano.
Obligati per duchati cento d'oro ogniuno in tutto, e Dionigi detto obligato per tutti a Michelagnolo di Lodovico Simoni per detti ducati 100 d'oro, e' quali ebono per detto Michelagnolo da Bonarotto suo fratello questo dì 18 di magio sopradetto in duchati tuti d'oro buono: portògli Sandro di Giovanni sopradetto: obrigati come di sopra in questo modo, cioè: che se infra dì 5 prosimi, cioè per tutto dì 21 del presente mese, e' detti non si fusino rapresentati: cioè il detto Sandro di Giovanni e Filippo di Vangelista si sono rapresentati a Pietra Santa a Michelagnolo detto e secho rimasti d'acordo: che sieno tenuti infra dieci dì poi a rendere e' detti ducati cento d'oro al detto Michelagnolo; e restando d'achordo, sì che abino avergli ghuadagnati a cavare marmi per detto Michelagnolo in fra mesi quatro prosimi futuri; e non avendo in fra 4 mesi cavato tanti marmi, che Michelagniolo sia sodisfato, abino a rendere e' detti ducati 100 a detto Michelagnolo o quelo restasino a guadagniare, pure che sieno d'achordo con detto Michelagnolo, sotto la pena del dopio quela parte che non oservase; non anulando però altro contrato avesino fato prima. E di tanto se n'è fato contrato questo dì detto, roghato ser Buonaventura di........ nottaio florentino a la Merchantia. Testimoni Anton Francesco Schali e Bartolomeo Schali suo nipote.
Pagòsi grosi 6 al detto notaio.
[602]Nota che e' restino obrigati tutti come e' sono, e come e' non m'ànno osservato el contratto, e come e' cento ducati ch'io do a Sandro, gli do per mia discretione, non già ch'io gli abi a dare; e lui à a dare la sicurtà di soddisfarmi detti cento ducati, e di qualli che ànno avuti tutti loro che sono altri cento, come aparisce pel contratto. E à el detto Sandro a dar sicurtà di sodisfarmi di detti danari infra quatro mesi, non si liberando nè l'uno nè nessuno degli altri del primo contratto.
[683]
Archivio Buonarroti. Pietrasanta, 22 di maggio 1518.
Alessandro Bertini da Settignano s'obbliga con Michelangelo di cavargli colonne e stipiti di marmo per scontare un suo debito.
Die XXij maii 1518.
Sia noto a qualunque persona, come avendo Michelangelo di Lodovico Buonarroti, scultore fiorentino, prestato addì 18 di detto ducati cento d'oro in oro larghi a maestro Alexandro di Giovanni di Bertino, scarpellino da Settignano; quali ducati cento d'oro in oro furono cónti et numerati a detto maestro Alexandro per lui in Firenze da Buonarroto suo fratello, come ne appare contracto rogo per mano di ser Buonaventura, cancelliere della Mercatantia di Firenze; et volendo detto maestro Alexandro satisfare de' detti 100 ducati d'oro in oro al detto Michelangelo Buonarroti; convennono questo dì sopradetto insieme, cioè che el sopradetto maestro Alexandro sia in pagamento di essi flor. 100 d'oro in oro tenuto a dare fra quattro mesi da oggi tanti marmi da doversi trarre et cavare nel comune della Cappella, vicinanza di Pietra Santa, luogo detto Finocchiaia, alle misure che saranno qui di sotto, bozati, con prezi et belleza et bontà, come di sotto si dirà; con questo inteso, che detto maestro Alexandro non si debba mettere a cavare in luogo che impedisca et dia noia a maestro Michele di Piero di Pippo da Settignano, il quale cava in detto luogo. Et in caso che in fra e' detti quattro mesi proximi a venire, detto maestro Alexandro non avessi cavato tanti marmi alle misure che si dirà, et postogli al caricatoio, che montino et ascendino alla somma di ducati 100 d'oro in oro; allora et in tal caso detto maestro Alexandro sia tenuto rendere al detto Michelangelo li sopradetti ducati 100 d'oro in oro.
Le misure de' detti marmi sono queste:
Colonne di braccia undici alla misura fiorentina, di lungheza et di grosseza di braccia uno et duo terzi da piè et braccio uno et mezo da capo.
Stipiti di porta di lungheza di braccia dieci et uno quarto et largheza di uno braccio et uno 4º et di grosseza uno braccio, e quel più che dirà maestro Donato Benti fiorentino: altri marmi alle misure che dirà detto maestro Donato. Et tutti detti marmi sieno bianchi et netti di peli et d'ogni altra macula, et de' più belli del luogo.
E' prezi convenuti fra loro de' sopra detti marmi sono questi: cioè per ciascuna delle dette colonne, ducati trenta d'oro in oro larghi; per ciascuno stipite, ducati venti d'oro larghi; di ogni altro marmo da cinque carrate in su e per insino in cinque carrate, ducati uno per carrata; de' pezi di sei carate l'uno insino a x carate, lire dodici piccioli. E io ser Pierangelo di maestro Francesco di Nicola da Barga, al presente cancellieri del Commissario di Pietrasanta, non come persona pubblica, ma privata, di consentimento et voluntà et presentia delle dette parti ò scripta questa di mia propria mano, anno, dì et mese soprascripti, in presentia di ser Piero di maestro Matteo Gherardi da Pietrasanta, et maestro Donato Benti, testimoni chiamati dalle parti, e' quali di sotto insieme con tutte le dette parti di loro propria mano si sottoscriveranno.
Io maestro Alessandro sopra ditto sono contento e mi obrigo a quanto di sopra è detto, e [684] per fede di ciò detto dì, mese e anno mi sono sottoscritto di mia propria mano, presente messer Pier Gerardi da Pietrasanta, e maestro Donato Benti, e' quali si sotto scrierano di loro propria mano.
Io Michelagniolo sopra detto sono contento a quanto di sopra si contiene, e in fede di ciò mi sono sottoscritto di mia propria mano questo dì sopraditto in presenzia de' sopra nominati.
Ego Petrus Gerardus de Petra Santa legum doctor, omnibus suprascriptis interfui et presens fui et ut testis, ut supra, de voluntate suprascriptorum partium me hic propria manu subscripsi, die, mense et anno suprascriptis.
Io Donato di Batista Benti fiorentino fui presente e testimonio a quanto in questa iscritta di sopra si contiene, e per fè di ciò mi so' sottoscritto di mia propria mano col detto messer Piero.
[685]
Archivio de' Contratti di Firenze. Pietrasanta, 1 di giugno 1518.
Donato Benti come procuratore di Michelangelo e de' suoi denari, presta a due scarpellini dieci ducati d'oro che essi promettono di scontare in tanti marmi.[603]
Die prima iunii 1518.
In nomine Domini, Amen.
Sia noto e manifesto ad ogni persona legerà lo presente instrumento, come maestro Donato già fu di Baptista Benti, scultore fiorentino, abitatore allo presente in Pietrasanta, distretto del magnifico e excelso Populo e Dominio fiorentino, come procuratore e in nome di procuratore dello egregio omo maestro Michelangiolo di Lodovico Bonarroto, similiter scultore, cittadino fiorentino, et etiam come di sua procura ne appare uno contratto per mano di me notaro infrascripto e per lo quale maestro Michele Angelo promette de rato sotto obligazione, dà et numera et presta — a maestro Michele di Piero di Pippo da Septignano, scarpellino e foditore di marmi, et Bastiano d'Angelo di Benedetto Iohanni Marchi della Cappella, vicinanza di Pietrasanta, e a qualunque di loro principalmente et in solido — ducati dieci larghi d'oro in oro, delli quali maestro Michele e Bastiano in presentia di me notaro e testimoni infrascripti confessano in veritate da esso maestro Donato in detto nome già avere avuto ducati due d'oro in oro larghi. Et ducati octo larghi d'oro in oro il soprascripto maestro Donato — dà, paga, numera e presta. — Li quali ducati octo larghi d'oro in oro rimanghino apresso di esso maestro Michele e Bastiano in solido. — Dichiarando esso maestro Donato essere della pecunia e denari propri d'esso maestro Michelangelo per prestargli alli soprascritti maestri Michele e Bastiano, in solido. — Li quali ducati dieci d'oro in oro larghi soprascripti, maestro Michele e Sebastiano — promettono ad esso maestro Donato — dare et pagare a lui e suo principale in due mesi proximi ad venire in tanti marmi da essere chavati e isbozati in buona isbozatura alle mesure del principale d'esso maestro Donato e ad loro sarà data per detto maestro Donato, detto nome. Li quali marmi s'àranno ad cavare in Finochiaia della Cappella, iurisdictione e vicinanza di Pietrasanta, de' più belli che sono in detto loco, netti di vene e di peli, per pregii che fe' maestro Allixandro di Giovanni di Bertino da Septignano, ogni excusatione e cavillatione remossa.
[686]
Archivio de' Contratti di Firenze. Firenze, 29 d'ottobre 1518.
Colonne, architrave e stipiti da cavarsi per la facciata di San Lorenzo allogati a vari scarpellini da Settignano.[604]
Die 29 mensis octobris 1518.
Providus et prudens vir Michelangelus Ludovici Leonardi de Simonibus, civis honorandus ac sculptor excellentissimus florentinus — locavit et concessit — magistro Dominico Iohannis Bertini, scalpellino populi Sancte Marie a Septignano, ibidem presenti et conducenti ad fodiendum, faciendum et bozandum è marmore existente in fodinis et in montibus Petresancte desuper Seraveziam in luoco detto Finochiaia è contra Capellam infrascriptas columnas et petra magna et parva marmorea pro pretiis et mercedibus, temporibus et terminis infrascriptis, singula singulis referendo: et que sunt ista, videlicet:
Dua colonne di lungheza di braccia xj e 1⁄4 alla misura fiorentina et grosse da piè br. 1 2⁄3 et da capo braccia 1 1⁄3 con le base et capitelli convenienti a epse colonne et con quelle misure gli saranno date da decto Michelagnolo: et decto Michelagnolo promecte dare a decto maestro Domenico per sua fatica di ciaschuna di decte colonne, ciò è per il fuso silecto, cavate et bozate nel luoco proprio della cava predetta, fior. quaranta larghi d'oro in oro: et più
Dua pezi d'architravi, e' quali nel vivo debbino essere et sieno br. vij et 1⁄3 et nello ogiecto br. 8 et 1⁄3, et alti br. 1 1⁄2 et le rivolte br. 2 1⁄2 nello ogiecto, et il vivo delle rivolte br. 2. E decto Michelagnolo gli debbe dare per ciascuno pezzo di decti architravi abozati con le misure da darsi per decto Michelagnolo, et in quello luoco dove s'abozeranno come di sopra, fior. xxv d'oro larghi in oro: et più
Uno stipite delle porte maggiore lungo br. 20 1⁄4 con la grosseza et alteza da darsegli, come di sopra, per prezo di fior. xxx larghi d'oro in oro, bozato come di sopra: et più
Quattro stipiti delle porte minori con due loro architravi et con l'architrave della porta grande, posti come di sopra in su la cava, per prezo di ducati novanta larghi d'oro in oro, o vero la metà de' decti 4 stipiti et architravi, come detto maestro Domenico fussi d'acordo con gl'infrascripti altri conduttori nella infrascripta altra locatione nominati. Et che decto maestro Domenico sia obligato a dare a detto Michelagnolo tutte l'altre pietre minore da cinque carrate in su abozate nel decto lavoro per insino al manco prezo delle soprascripte per fior. uno largo d'oro in oro la carrata. Et di cinque et da cinque carrate in giù, detto maestro Domenico sia obbligato a darle bozate al caricatoio, dove può andare il carro, per prezo di fior. uno largo d'oro in oro la carrata. Et inoltre sia obligato decto maestro Domenico, oltre alle carrate delle decte pietre grosse, a dare a decto Michelagnolo tante carrate delle pietre pichole, che in tucto faccino numero, omnibus computatis, di carrate cento cinquanta. Con pacto che la belleza et biancheza di tutti detti marmi debbino essere come quelle della colonna si roppe [687] o più presto meglio; et che circa de' casi de' peli o cotture, detti marmi debbino essere netti al tutto. Et li quali marmi et colonne detto maestro Domenico sia tenuto et obbligato di aver fatti et bozati in questo modo, ciò è: una di dette colonne per di qui a mesi due da oggi et il restante per tutto il mese di giugno proximo 1519, senza alcuna exceptione. La quale locatione et tutte le cose predette detto Michelagnolo fa al detto maestro Domenico con patto in principio, mezo et fine del presente contratto, aposto et repetito, che al caso sopravenissi la morte di nostro signore papa Leone, quod Deus avertat, o che per altri casi sua Santità non volessi seguitare il lavoro della facciata di San Lorenzo, per la cui causa si fanno detti lavori; che in tal caso o casi, o per qualunque di quelli, epso Michelagnolo non sia obligato a seguitare tal'opera; ma che avendo detto maestro Domenico danari in mano di detto Michelagnolo, che epso maestro Domenico sia obligato a dar tanti marmi al detto Michelagnolo di quelli che così fussino bozati per suo conto, che sconti detto restante avessi di suo in mano. Et al caso che esso maestro Domenico avessi cavato et bozato a mesura di detto Michelagnolo più marmi che non è la quantità gli restassi in mano; che detto Michelagnolo gli ne debbe pagare alla ragione predetta: intendendo sempre tutte le dette cose a sano et puro intelletto. Et inoltre detto Michelagnolo per parte di detti lavori da farsi dètte et numerò a detto maestro Domenico, quivi presente, in presenza di me notaio et delli testimoni infrascripti, fior. trenta larghi d'oro in oro, et della qual quantità lui si chiamò ben pagato, tacito et contento. — Et in oltre a' prieghi et mandato del decto maestro Domenico — stecte mallevadore Francesco d'Andrea di Giovanni, scalpellino da Septignano — etc. etc.
Item postea et incontinenti — prefatus Michelangelus — locavit et concessit ad fodendum et hozandum, ut supra totidem ex marmoribus suprascriptis et ad mensuram et pro pretio, modis et conditionibus et temporibus sopradictis, singula singulis referendo, Andree Ioannis Andree ed Dominico Mattei Pauli Morelli, scalpellinis populi Sancte Marie a Septignano, comitatus Florentie — et pro parte laboreriorum predictorum dictus Michaelangelus solvit et numeravit dictis Andree et Dominico sociis predictis. — florenos xxv auri latos in aurum. —
[688]
Archivio de' Contratti di Firenze. Firenze, 18 di dicembre 1518.
Concordia tra Michelangelo e Raffaello detto Bardoccio, per la cava d'una colonna di marmo di Pietrasanta.[605]
Die XViij mensis decembris (1518) Actum in Opera Sancte Marie Floris de Florentia.
Cum sit quod providus vir Michelangelus Ludovici de Simonibus, civis honorandus et sculptor florentinus excellentissimus, iam sunt menses quatuor proxime elapsi, verbo tenus ut dixerunt partes infrascripte, locaverit Raphaeli Dominici Iacobi Nencii scalpellino, et de presenti habitatori a Signa, alias decto Bardoccio, ad fodendum unam columnam de marmore in fodinis Petre Sancte de novo ibidem discoperte et invente, (sic) longitudinis brachior. xj 1⁄4 et grossa da piè brac. 1 2⁄3 et da capo br. 1 1⁄2, videlicet il fuso solo abozato pro pretio florenor. 30 auri latorum in aurum. Et cum sit quod dictus Raphael accesserit ad dictas fodinas et inceperit dictam columnam et non perfecerit. Et cum sit quod dictus Raphael non observaverit promissa, et nolit observare promissa et conventa dicto Michelangelo; qua propter hac presenti die prefatus Michelangelus ex una et dictas Raphael ex alia, devenerunt ad invicem et vicissim ad infrascriptas conventiones et pacta: videlicet, quod dictus Raphael teneatur et obligatus sit et ita promisit dicto Micheli Angelo ibidem presenti, de presenti ire ad dictas fodinas et perficere dictam columnam et ipsam abozatam reddere teneatur ipsi Michelangelo hinc ad duos menses proxime futuros ab hodie, sine aliqua exceptione. Et quia prefatus Michelangelus mutuavit dicto Raphaeli pro dicta de causa flor. 50 latos, prout dictus Raphael coram me notario et testium — asseruit; qua propter dictus Michelangelus, non obstante dicta concordia ut supra facta inter eos, pro dictis flor. 30 latorum in auro, fuit et est contentus, quod si et casu quo dictus Raphael reddiderit dictam columnam tempore predicto abozatam ut supra, quod ipse Raphael lucretur totam dictam quantitatem dictorum florenor. 50 largorum — et ex nunc ipsum in casu predicto et non aliter absolvit et liberavit a quantitate predicta.
[689]
Archivio de' Contratti di Firenze. Pietrasanta, 13 d'aprile 1519.
Alcuni scarpellini Carraresi si obbligano con Michelangelo di cavargli marmi.[606]
In nomine Domini, Amen. Iacopo di Thomeo de Casa Pulcia, habitatore a Torano, villa di Carrara; Antonio, alias decto Leone, di Iacopo Puliga de Puliga, habitatore a Torano; et Francesco, decto Bello, già di Iacopo Vannelli de Torano soprascripto, maestri cavatori et disbozatori di marmi qui presenti, promectano et convengano allo egregio omo maestro Michelangelo, scultore benemerito, di Lodovicho Bonarotti, citadino fiorentino, presente, di fare, isbozare, cavare, dare et consignare a decto maestro Michelangelo pezi octo di marmo carrarese, cioè della cava appellata — la cava dello Leone di Carrara; la quale cava est (sic) del soprascripto Antonio; la quale ha, come dice, pro indiviso cum Iacopo di Guido, appellato sopranome Quindecim, de Torano soprascripto: cioè pezi quatro di marmo seu marmorei, alti l'uno braccia cinque, larghi braccia uno et uno quarto de uno altro braccio, grossi braccio uno et mezo, per qualunque de' decti pezi quatro di marmo: per pregio di ducati trenta due d'oro in oro larghi per qualunque pezo.
Item altri quatro pezi di marmo, per alteza braccia quatro et mezo, larghi braccia uno et mezo, grossi braccio uno et uno quarto di braccio per qualunque de' decti pezi quattro d'essi marmi, ad ragione di ducati quindecim d'oro in oro larghi per qualunque pezo d'essi marmi. E quali marmi sopra expressi debbino essere di bona biancheza, qualità, e senza peli, vene et vivi o altre machule, et siano simili ad altri dua pezi di carrate septe già avuti da decto Antonio, detto Leone, et Iacopo Quindecim suo compagno dalla soprascritta cava, quale dicesi la cava del Polvaccio allo dirimpetto della cava del Mancino, ad ragione di ducati trenta duo d'oro in oro larghi lo magiore, et lo minore ad ragione di ducati quindecim larghi d'oro in oro per qualunque d'essi marmi. Li quali marmi e lavoro d'essi marmi — promectono — a decto maestro Michelangelo scultore, presente — dargli et consignarli per di qui a mezo lo mese di luglio proximo ad venire, cioè pezi dua delli grandi, et dua pezi delli picholi a decto tempo posti in barcha, et quelli in barcha consignarli ad ogni spesa, danno, pericolo et interesse de' soprascripti maestri compagni cavatori.
Item li altri quatro, cioè pezi dua delli grandi et pezi dua delli picholi d'essi marmi, essendo d'essa conditione — per di qui per tutto lo mese d'octobre proximo. — Circa questo pacto — a' soprascripti maestri cavatori et disbozzatori sia licito — possere cavare et disbozare in detta cava del soprascripto Iacopo, posta in territorio di Carrara loco decto allo Polvaccio, che è confine con la cava del Leone, e Iacopo decto Quindecim, pure siano de quella qualità, boneza, belleza, senza vene et peli, sono et erano quelli dua pezi di marmi (che) già esso maestro Michelangelo (ha) havuti dallo soprascripto Antonio decto Leone. — Et per parte di pagamento d'essi marmi lo soprascripto maestro Michele Angelo a' soprascripti Iacopo, Antonio [690] et Francesco — dà, paga et numera, ducati venti uno d'oro in oro larghi, computati in quelli, ducati dua d'oro in oro larghi già havuti — da esso maestro Michelangelo, li quali ducati decenove — ch'è lo resto d'essi ducati venti uno, dicto maestro Michelangelo — dà et paga: — et ducati trenta d'oro in oro larghi per di qui a mezo lo mese di magio proximo ad venire presente anno 1519, quando decti pezi d'essi marmi seranno cavati, disbozati per detti cavatori et disbozatori a decto tempo — et lo resto della valuta et monta d'essi quatro pezi d'essi marmi sempre e quando saranno posti in barcha et consignati — et così si debbi intendere dovere seguire lo pagamento delli altri quatro pezi d'essi marmi.
Actum Petresancte in apotecha heredum olim Luce de Panicis de Petrasancta, anno Domini nostri 1519, indictione vij, die vero xiij aprilis, coram et presentibus venerabilibus viris magistro Iohanne olim magistri Mathei Guasparis, presbitero Stephano olim Iacobi magistri Iannini, et egregio viro artium et medicine doctore magistro Ludovicho magistri Opizi de Petrasancta, testibus etc.
Et ego Ioannes quondam Pauli Badisse de Petrasancta — notarius — rogatus fui — et — subscripsi.
[691]
Archivio Comunale di Carrara. Carrara, 30 d'aprile 1519.
Iacopo Guidi da Torano entra nella compagnia di alcuni scarpellini che avevano preso a cavar marmi per Michelangelo.[607]
Cum sit et fuerit quod providi viri Iacobus olim Thome de Casapodio, habitator Torani, et Franciscus Iacobi Vanelli de Torano, et Leonus Iacobi de Pulega, habitator Torani, se simul et in solidum obligaverint excellentissimo viro archimagistro Michaeli Angelo olim Ludovici Bonarote, sculptori florentino, ad faciendum, effodiendum et laborandum quedam marmora contenta et que continentur in publico instrumento rogato et celebrato per publicum notarium Petrasanctensem: et cum sit et fuerit quod Iacobus olim Petri Guidi de Torano vellet se sociare cum dictis Iacobo, Francisco et Leone ad effodiendum et laborandum dicta marmora: idcirco dictus Iacobus per se et suos heredes obligavit et se posuit in societatem et comunionem dictorum Iacobi, Francisci et Leonis eo modo et forma contenta in dicto instrumento rogato ut supra, et voluit se esse obligatum, prout et sicut fuisset descriptum et obligatum in dicto instrumento: promittens per se et suos heredes attendere et omnia et singula in dicto instrumento contenta observare, sub pena dupli. Insuper iuraverunt omnes etc.
Actum Carrarie in domo mei notarii etc.
[692]
Archivio Buonarroti. Carrara, 18 di maggio 1519.
Fede di Carlino da San Terenzio che Pietro Urbano da Pistoia mandato da Michelangelo a Carrara non pagò li scarpellini perchè non avevano finito il lavoro.
Facio fede io Carlino di Simone da Santo Terentio habitante a Carrara, come Piero di Aniballe da Pistoia, garzone di Michelle Anzollo, vene a Carrara a dì 14 di magio presente, et subito chomo dito Piero fu zunto a Carara trovò Polina e Bello e Lione tuti da Torano, e dimandò a che porto era e' lavoro el qualle loro hano prexo a fare a Michele Anzollo soprascritto, e como apare contrato in fra loro, secondo dice Piero suprascrito: e loro resposono, como e' lavoro non era ancora fornito, ma che era a bono porto. E vedendo Piero che el soprascripto lavoro non era ancora fornito, non à voluto dare alcuni denari. Et io Carlino ho fato questa fede per dito di Piero soprascrito, e Marcho Antonio de Rosso da Carrara disse se trovò a la soprascrita coxa: e la presente scrita è fata presente Marcho Antonio soprascrito e Vaxolo da Gussano, habitante a Carrara.
[693]
Archivio Buonarroti. Seravezza, 29 di luglio 1520.
Il Bello e il Pollina confessano d'aver ricevuto venti ducati d'oro da Michelangelo.
A dì 29 di luglio 1520.
Appaia manifesto per questa privata schritta, chome è la verità, che Francesco da Torano ditto el Bello, e Iacopo di Tomeo de Casa Pogio da Torano, insiemi et in solido con 2 altri loro compagni, come si conteni in uno contratto fatto per mano di ser Giovanni Badessa notaro di Pietra Santa, si chiamano avere auto e rizeuto ogi questo dì soprascritto, da lo spetabile omo maestro Michele Angelo, schultore fiorentino, duchati vinti d'oro larghi: li quali ducati 20 d'oro larghi sono per resto di pagamento di pietre cinque sotto le sue misure, quali si contengano ne lo contratto soprascritto, presenti Bacio speziali e maestro Donatto Benti, li quali si sotto schriverano di loro propria mano. E io Bernardino di maestro Antonio Voltaglia ò fatto la presente scritta di voluntà de li parte a dì e anno soprascritto.
E ditte 5 pietre sono per lo Papa per la faziata di San Lorenzo di Fiorenza.
Io Bacio ispeziale in Saravezia fui presente a la ricieuta de detti vente ducati, come di sopra si contiene.
Io Donato Benti fiorentino, abitante a presente in Seraveza, fui presente quando e Bello e Iachopo detto Polina riceverno duchati venti d'oro in oro larghi da Michelagnolo, iscultore fiorentino, per cinque priete da figure, come apare per uno contratto soprascrito.
[694]
Archivio Comunale di Carrara. Carrara, 22 d'aprile 1521.
Fede di alcuni scarpellini di aver ricevuto da Michelangelo cento scudi per conto di marmi cavati per la Sagrestia di San Lorenzo.[608]
In nomine etc. Die XXII aprilis 1521.
Iacopo dicto Pollina, già de Thomeo da Casapozi, villa di Carrara; Francesco dicto Bello, già di Iacopo Vanelli da Torano, di villa Carrara; Iacopo già di Pietro Guidi da Torano predicto, constituiti dinanti a me notaro hanno confessato et publicamente hanno declarato haver auto ec. dallo excellente omo maestro Michel Angiolo, figliuolo di Ludovico Bonarrota, presente, ducati 100 d'oro ec. ec. Et sono dicti danari per arra di una certa quantità di marmi, la quale secondo il numero de li pezi et le misure alli prenominati scripte et designate per mano di dicto maestro Michel Angelo et sottoscritte per mano di me notaro infrascritto, epse parte di comune concordia hanno stimato esser circa de carrate 200 o più o meno secondo seranno; li quali pezi et misure, ut supra designate, dicto maestro Michel Angelo ha dato et consignato alli prenominati acceptanti, presente et vidente me notaro et testimoni infrascripti. La quale quantità di marmi li prenominati per sè, ec. hanno promesso, ec. di farla secundo dicte misure per di qui ad mesi 18 proximi hanno a venire: et spetialmente fare delli dicti marmi figure tre, et più se più potranno, et similmente delli altri marmi del quadro quanto potranno, per di qui a tutto il mese de luglio proximo hae a venire. Et così facti dicti marmi drento del sopradicto termine al prefato maestro Michel Angiolo, o a chi per lui sarà, consignarli posti in barca ad ogni spesa delli prenominati per li precii infr., cioè: Et primo per ogni pezo: dichiarando che siano et debino essere cavati dalla cava che fu del Mancino di Zampaulo di Casone, posta al Polvacio; et oltra a questo, siano di marmo vivo et non cotto, bianco et senza vene, machie et peli alcuni, et di quella pasta di marmo quale è uno pezzo di marmo cavato alla cava posta al Polvacio de li prenominati, per loro al presente dato et consignato al prefato maestro Michel Angelo, ch'è, come si dice, di circa carrate 7, non abozato, dove serà il segno del prefato maestro Michel Angiolo, et similmente di quella sorta et qualità di marmo che sono stati li altri per loro dati per lo passato al prefato maestro Michel Angiolo, purchè siano netti, ut supra, maxime quelli che sono per fare figure; ma li altri per il quadro, quantunque habessino alcune venette, ma non molte, ita che non sia cosa disohonesta, si habino acceptare. Et ita li prenominati Iacopo, ec. hanno promisso, ec. di non fare nè far fare. Et similmente ripigliarsi tutti quelli marmi che loro avessino facto fuora delle dette misure et conventioni, sempre et quando fussino rinuntiati et rifiutati dal prefato maestro Michel Angiolo, o da quelli che per lui fussino deputati a pigliar dicti marmi.
Le quali cose tutte ec. ec.
Et per li prenominati Iacopo, ec. a loro preghiera et mandato, Martino del Brigantino da [695] Miseglia, villa di Carrara, presente, se ben sapendo lui non essere tenuto, è stato et è principale pagatore verso il prefato maestro Michel Angelo, ec. constituendosi lui principale, ec.
Preterea il prefato maestro Michel Angiolo ha promisso per sè di dar loro denari di mano in mano, secondo loro caveranno et lavoreranno.
Et perchè il prefato maestro Michel Angelo fa fare dicti marmi per la Sagrestia di San Lorenzo di Fiorenza, l'opera de li quali marmi lo rev.mo cardinale de' Medici gli fa fare, come epso maestro Michel Angelo disse, pertanto per pacto expresso è stato convenuto fra epse parte che se il prefato rev.mo Cardinale per alcuna cagione non volesse che dicta opera andasse inanti, overo per dicto maestro Michel Angiolo restasse che non seguitasse, alora et in quel caso dicto maestro Michel Angiolo sia tenuto et obligato pigliarsi tutti quelli marmi che saranno facti in quel tempo, quando li prenominati haveranno hauto scientia et notitia della voluntà del prefato rev.mo Cardinale et dicto maestro Michel Angelo et non altrimenti.
Le quali cose dicto maestro Michel Angelo ha promisso di observare, ec. sotto pena, ec. renuntiando, ec.
Actum Carrarie in domo Francisci Pelliccia, sita in la strada del Bosso solita residentia dicti magistri Michaellisangeli, presentibus.... etc....
[696]
Archivio Comunale di Carrara. Carrara, 23 d'aprile 1521.
Ricevuta di altri scarpellini di danari avuti da Michelangelo per conto di marmi cavati.[609]
Marcuccio già di Bernardo di Petrognano, et Francione già di Zan Ferraro, ambedue habitanti in Carrara, constituiti dinanci a me notaro, ec. ec. hanno confessato et publicamente hanno declarato, ec. haver hauto, ec. dallo excellente homo maestro Michel Angelo di Ludovico Bonarota, presente, ducati 50 d'oro. — Et sono dicti danari per arra ec. di una certa quantità di marmi, la quale, secondo il numero delli pezi et le misure alli prenominati scripte, hanno stimato essere carrate 100 o più o meno secondo saranno: li quali pezi et misure ut supra dessignate. La quale quantità li prenominati per sè hanno promesso ec. di farla secondo dicte misure per di qui ad uno anno proximo hae a venire: et spetialmente fare delli dicti marmi una figura di Nostra Donna a sedere secondo è disegnata, et più altre figure secondo dicte misure, se più potranno, per di qui a tutto il mese di luglio proximo hae a venire.
Actum Carrarie etc.
[697]
Archivio Comunale di Carrara. Carrara, 13 di novembre 1522.
Maestro Domenico Bertini da Settignano sborsa certi danari a Marco di Rosso da Carrara per conto di Michelangelo.[610]
In nomine etc. Die XIII novembris 1522.
Pateat per hoc publicum instrumentum qualiter magister Dominicus de Septignano lapicida fuit citatus et requisitus in iudicio et coram domino Vicario Carrarie ad instantiam Marci Rubei de Carraria, in eo et pro eo quod ipse Marcus ad instantiam magistri Petri de Carona, Valle Lugani, negociorum gestoris magistri Michaelis Angeli Bonarota, scultoris florentini laboravit.... marmora, quibus pro mercede sua ipse Dominicus restabat habere ab ipso magistro Petro, nomine dicti magistri Michaelis Angeli ducatos duos auri latos, prout via iuris visum est computum per Petrum olim Mathei Casoni et Leonem de Torano a iure electos: ex quo constitit ipsum Marcum esse creditorem dictorum duorum ducatorum. — Quapropter dictus Marcus sciens ipsum magistrum Dominicum habere in manu aliquam pecunie quantitatem ipsius magistri Michaelis Angeli, de iure et a supradicto domino Vicario fuit coactus et compulsus numerare et dare ipsi Marco dictos duos ducatos. Et sic in presentia mei notarii idem magister Dominicus actualiter ibidem numeravit et dedit ipsi Marco in auro duos scutos auri imperiales et residuum in moneta argentea etc. Renuntians etc.
Actum Carrarie etc.
[698]
Archivio Comunale di Carrara. Carrara, 3 di novembre 1523.
Alcuni scarpellini promettono di cavar marmi a maestro Domenico Bertini, agente del cardinale Giulio de' Medici.[611]
In nomine etc. Die III novembris 1523.
Antonius et Iacobus olim Petri Guidi de Torano, et Antonius, cognominatus Leo, olim Puleghe de Torano, ambo simul promiserunt magistro Dominico Iohannis Bertini de Septignano, districtus Florentie, tanquam agenti et negotiorum gestori in Valle Carrarie pro reverendissimo domino, domino Cardinali de Medicis, presenti, stipulanti et recipienti nomine et vice prefati reverendissimi Domini, avellere et facere eidem de eorum cavea sita al Polvaccio petios sex marmorum alborum sine aliqua macula vel pilis, secundum mensuras quas dictus magister Dominicus dabit eis vel alicui eorum, illosque consignare eidem positos in barca eorum propriis expensis, pro illo precio et preciis de quibus et prout et sicut alias dicti Leo etc. convenerunt cum magistro Michaele Angelo Ludovici Bonarote, scultore florentino, in instrumento rogato manu mei notarii sub suo tempore et datali, ad quod pro veritate debita habeatur relatio. Et hoc promiserunt facere hinc ad et per totum mensem decembris proxime futuri, salvo iusto impedimento etc.
Actum Carrarie etc.
[699]
Archivio Buonarroti. Firenze, 14 di giugno 1525.
Mandato di procura di Michelangelo a ser Giovan Francesco Fattucci per trattare in Roma i suoi interessi per conto della sepoltura di papa Giulio.
In nomine Domini, Amen. Anno a Nativitate Domini millesimo quingentesimo vigesimo quinto, indictione decima tertia, die vero xiiij mensis iunii, pontificatus Santissimi in Christo patris et domini nostri, domini Clementis divina providentia pape Septimi, anno eius secundo. In mei notarii publici, testiumque infrascriptorum ad hec specialiter vocatorum et rogatorum, presentia personaliter constitutus honorabilis vir dominus Michael Angelus Ludovici de Bonarrotis, sculptor florentinus, principaliter pro se ipso; citra tamen quorum adque procuratorum per eum hactenus quomodolibet constitutorum revocatione; omnibus melioribus modo via, iure, causa et forma, quibus melius et efficacius potuit et debuit, fecit, consituit, creavit et nominavit et solempniter ordinavit suum verum, certum, legitimum et indubitatum procuratorem, actorem, factorem, negotiorumque suorum infrascriptorum gestorem ac nuntium specialem et generalem; ita tamen quod specialitas generalitati non deroget, nec è contra; videlicet, venerabilem virum dominum Iohannem Franciscum Antonii Benedicti, cappellanum ecclesie Sancte Marie del Fiore civitatis Florentie, absentem tamquam presentem, specialiter et expresse ad ipsius constituentis nomine et pro eo quandam litem seu controversiam quam habet contra illustrem dominum Bartholomeum de Ruere et alios quoscumque heredes sive executores testamenti felicis recordationis Iulii pape Secundi, coram reverendo patre domino Cornelio della Volta causarum Palatii apostolici auditor, de et super inobservantia certi contractus inter ipsum constituentem ex una, et bone memorie Leonardum cardinalem Agennensem et Laurentium episcopum Prenestinum, sancte Romane Ecclesie cardinalem, executores dicti testamenti, super opera sive fabrica sepulture dicti domini Iulii pape, etc. rebus aliis in actis, etc. huiusmodi latius deductis, celebrati in unum vel plures, arbitrum vel arbitros compromittendum et compromissum generale et speciale faciendum, facultatem dandum, procedendum de iure et de facto, et de iure tantum et de facto tantum alte et basse, diebus feriatis et non feriatis, ac parte citata vel non, pro tempore et termino prout eidem procuratori constituto visum fuerit et placuerit; et promittendum ab arbitris, arbitramento, sive laudo fiendo non reclamare aut reductionem petere ad arbitrium boni viri, sub pena ac pactis et conventionibus prout eidem procuratori constituto visum fuerit expedire. Et si necesse fuerit pro premissis omnibus et singulis et eorum occasione coram quibuscumque iudicibus ecclesiasticis et secularibus comparendum et agendum etc. Promittens nichilominus dictus Constituens michi notario publico infrascripto tamquam publice et autentice persone rite et legitime stipulanti et recipienti vice et nomine omnium et singulorum quorum interest, intererit, aut interesse poterit, quomodolibet in futurum se ratum, gratum, atque firmum perpetuo habiturum totum id et quicquid per predictum suum procuratorem, ac substituendum seu substituendos ab eo, actum, dictum, factum, gestum, procuratumve fuerit in premissis seu aliquo premissorum.
Relevans etc. Rogans etc.
Quibus premissis omnibus et singulis idem Constituens sibi et me notario publico infrascripto unum vel plura instrumenta etc. Presentibus ibidem veneralibus viris dominis Bartholomeo Dominici Antonii, legnaiuolo populi Santi Laurentii de Florentia, et ser Ioannantonio Iohannis magistri Ugolini presbitero populi Santi Ambrosii de Florentia testibus.
[700]
Archivio di Stato in Firenze. Firenze, 22 d'agosto 1528.
Allogazione a Michelangelo del gruppo di marmo di Ercole e Cacco.[612]
XXII augusti 1528. Prefati excelsi domini et Vexillifer simul adunati — desiderando che d'uno certo marmo che si truova all'ora all'Opera, fatto venire circa tre anni sono da Carrara per farne la imagine et figura di Cacco, et constituirla in luogo publico per ornamento della città, se ne facci qualche bella statua, et però si lavori da uomo excellente in tale mestiero, et cognoscendo la perizia et scienzia inaudita, così nella scultura come nella pittura, dello egregio et unico exemplo di qualunche di decte dua virtù, Michelagniolo Buonarroti, loro dilectissimo cittadino, deliberorno per loro solemne partito, et observato quello che per loro Signorie si doveva observare, ch'el decto marmo, non obstante che pel passato fussi stato allogato ad altri, si debba dare et concedere, et così per il dicto partito dectono e concedono el prefato marmo al prenominato Michelagniolo Bonarroti, el quale ne debba cavare e farvi drento una figura insieme o congiunta con altra, che et come parrà et piacerà a Michelagniolo decto, per collocarla in quel luogo e modo che per questa Signoria sarà deliberato: el qual Michelagniolo per di qui a Ognisanti proximo ad venire debba a sua beneplacito entrare in opera in detto marmo, et continuare fino alla perfectione di tal figura.
[701]
Archivio di Stato in Firenze. Firenze, 6 d'aprile 1529.
Michelangelo è eletto governator generale delle fortificazioni di Firenze.[613]
A dì VI d'aprile MDXXIX.
Li Magnifici Signori Dieci — desiderando che la munitione et fortificazione della nostra città, dopo lunga discussione et matura consultatione finalmente giudicata non solo utile, ma necessaria a resistere agli imminenti pericoli che si veggono ogni giorno non solo a noi, ma a tutta Italia, per le frequenti inundationi de' barbari soprastare; et veduto tale et così importante impresa non si poter al desiderato fine et alla debita perfezione conducere, senza l'ordine et indirizo d'alcuno excellente architectore, che e' concepti suoi atti secondo la disciplina di quella arte, come peritissimo uomo sappia et come amorevole verso questa patria etiam voglia mettere in opera; hanno hauto in consideratione molte persone che in tale professione sono famosissime, et finalmente giudicorono, dove abondono e' proprii e domestici thesori, esser cosa superflua degli externi andar cercando. Pertanto, considerata la virtù et disciplina di Michelagnolo di Lodovico Bonarroti vostro cittadino, et sapendo quanto egli sia excellente nella architectura, oltre alle altre sue singularissime virtù et arte liberali, in modo che per universale consenso delli huomini non trova hoggi superiori; et appresso, come per amore et affectione verso la patria è pari a qualunche altro buono et amorevole cittadino; ricordandosi della fatica per lui durata et diligentia usata nella sopradetta opera sino a questo dì gratis et amorevolmente; et volendo per lo advenire per li sopradetti effecti servirsi della industria et opera sua; spontaneamente et per lor proprio motu, in ogni miglior modo et via che seppeno et poterno, detto Michelagnolo conduxono in generale governatore et procuratore costituito sopra alla detta fabrica et fortificatione delle mura, et qualunche altra spetie di fortificatione et munitione della città di Firenze, per uno anno proximo, hoggi felicemente da incominciare et da finire come segue; con piena autorità di ordinare et comandare a qualunche persona circa le cose pertinenti alla detta reparatione o dependente da quella etc. con stipendio e provisione di fiorini uno largo d'oro in oro, netto d'ogni retentione, el giorno, et per ciascuno giorno, da doversegli stantiare et pagare nel modo et forma, come fu ultimamente per legge proveduto che si pagassino le spese da farsi per il sopradetto magistrato de' Signori Dieci.
[702]
Archivio Buonarroti. Roma, 29 d'aprile 1532.
Nuovo contratto per la sepoltura di papa Giulio II.
In nomine Domini, Amen. Anno a Nativitate eiusdem Domini millesimo quingentesimo trigesimo secundo, indictione quinta, die vero vigesima nona mensis aprilis, pontificatus Santissimi in Christo patris et domini nostri, domini Clementis divina providentia pape Septimi, anno nono; coram eodem domino nostro papa Clemente Septimo; de qua sue Sanctitatis voluntate, consensu pariter et assensu ad infrascripta omnia et singula interveniente. In mei Camere apostolice notarii, testiumque infrascriptorum ad hec specialiter vocatorum et rogatorum presentia, personaliter constituti magnifici viri domini Ioannes Maria de la Porta Mutinensis, et illustrissimi domini Francisci Marie ducis Urbini apud eundem sanctissimum Dominum Nostrum orator, et Hieronimus Stacculus de Urbino, Romanam Curiam sequens, eiusdem illustrissimi Ducis procuratores; de quorum mandato constat publico instrumento manu domini Bernardini ser Gasparis de Factoribus civis et notarii publici Pisauriensis, sub die xiiij decembris, millesimi quingentesimi trigesimi primi, ex una; et magister Michael Angelus de Bonarottis, civis florentinus, pictor et statuarius in Urbe unicus, partibus ex altera. Asserentes quod alias felicis recordationis Iulius papa Secundus in humanis agens, locavit et ad fabricandum dedit et ad construendum sui sepulchrum seu sepulturam marmoream pro ducatis decem millibus; et inde defuncto predicto Iulio, illius exequtores pro sexdecim millibus, seu verioribus summis predicto magistro Michaeli Angelo denuo locarunt, prout in instrumento desuper per publicos notarios, et presertim vno per ser Albizum notarium publicum florentinum confecto: ad que et illorum tenores partes predicte pro nunc se retulerunt plenius; continetur, quod que pro huiusmodi sepulchri confectione idem magister Michael Angelus habuit, prout idem habuisse confessus fuit in diversis solutionibus summam octo milium ducatorum auri de Camera, et sepulchrum huiusmodi nondum est perfectum, prout nec illud partes intendunt construi et confici iuxta dicta alias conventa:
Hinc est, quod propterea ad infrascriptam dicte partes, cum presentia, voluntate et consensu prefati sanctissimi domini nostri Pape, noviter devenerunt concordiam et capitulationem; videlicet, quod prefatus sanctissimus Dominus Noster et procuratores prenominati nomine seu nominibus quibus supra, vigore dicti mandati, omnibus melioribus modo, via, iure, causa et forma quibus magis, melius, tutius, et efficacius de iure vel consuetudine dici et fieri potest et debet, prenominatum magistrum Michael Angelum ibidem presentem[614] acceptantem et stipulantem pro se suisque heredibus et successoribus quietent, liberent et absolvant, prout quietarunt, liberarunt penitus et absolverunt ab observatione hactenus factarum conventionum et summa ducatorum octo millium predictorum: cassantes propterea, extinguentes, et [703] annullantes, ac pro cassis, irritis et annullatis habentes omnes et singulos contractus, pacta et conventiones desuper alias occasione confectionis et constructionis dicti sepulchri cum predicto Iulio Secundo, et illius exequtoribus seu aliis quibuscumque personis initos et factos, cum pacto perpetuo de amplius non repetendo summam et calculum sive computum illorum ab ipso magistro Michele, nec ab illius heredibus sive successoribus in iudicio vel extra. Hanc autem quietationem, cassationem, absolutionem fecerunt supranominati sanctissimus Dominus Noster et procuratores prefati, eo quia predictus magister Michael Angelus promisit facere et dare novum modellum seu designum dicti sepulchri ad sui libitum, in quo et illius compositione ponet et dabit, prout dare promisit idem magister Michael Angelus, sex statuas marmoreas inceptas et nondum perfectas, Rome vel Florentie existentes, hic Rome, sua manu et opere perfectas, nec non alia quecumque ad dictum sepulchrum parata. Et insuper idem magister Michael Angelus pro dicto conficiendo sepulchro promisit infra triennium proxime a kalendis augusti incipiens, solvere et exbursare usque ad summam duorum millium ducatorum auri de Camera, comprehensa et computata in eisdem duobus millibus ducatis, domo posita in Urbe prope Macellum Corvorum, ubi nonnulle statue marmoree pro dicto sepulchro existunt, et totum illud plus quod ultra dicta duo millia ducatorum pro conficiendo et construendo dicto sepulchro exponi necesse erit. Et ut sepulchrum seu sepultura huiusmodi confici, construi et ad debitum finem perduci possit, prelibatus sanctissimus dominus noster Papa, dedit, prout dat, licentiam, facultatem dicto magistro Michaeli Angelo presenti et stipulanti, ut supra, ut dicto durante triennio possit ad urbem Romam venire et singulo anno in ea stare et commorari per duos menses et plus vel minus prout dicto santissimo Domino Nostro placebit. Et de consensu dictorum procuratorum similiter dedit facultatem dicto magistro Michaeli Angelo, quod preter dictas sex statuas, possit opus sepulchri huiusmodi in totum vel in partem ali seu aliis locare ad modellum et designum quod ipse dabit. Et insuper promisit idem magister Michael Angelus dictum sepulchrum perficere iuxta designum et modellum infra triennium in loco infra quattuor menses sibi ab hodie assignando in Urbe; et quod pecunias predictas per eum exbursandas, ut supra, illas semper exbursabit de tempore in tempus de consensu et voluntate procuratorum seu procuratoris prefati illustrissimi ducis Urbini, seu ad id deputati pro eo agentis, et non aliter nec alio modo. Et insuper convenerunt partes predicte, quod in eventu in quem prefatus magister Michael Angelus premissa non observaverit, quietantia premissa sit nulla et nullius momenti. Et ipse magister Michael Angelus teneatur ad observationem alias conventorum ac si presens contractus celebratus non fuisset et predictus illustrissimus dux Urbini et sui in pristinum statum redeant et ad dictam observationem alias conventorum ipsum compellere possint, non obstante hoc presenti instrumento et in eo contentis. Et successive incontanenter reverendissimi domini, dominus Antonius episcopus Portuensis, cardinalis de Monte nuncupatus, ac illustrissimus et reverendissimus dominus Hercules cardinalis de Mantua, nec non illustrissima domina Felix de Ruere de Ursinis, ibidem presentes; quatenus ad mandatum procurationis predictorum non esset ad premissa sufficiens; promiserunt et quilibet eorum promisit de rato in forma iuris valida, et dare instrumentum ratificationis infra duos menses. Pro quibus omnibus et singulis observandis et adimplendis prefati reverendissimi Cardinales et prefata illustrissima Felix sese et procuratores prefati eorum principaliter, nec non dictus magister Michael Angelus obligaverunt et quilibet eorum obligavit se, suosque heredes et successores et bona omnia presentia et futura in forma Camere apostolice ampliori, seque ac suos heredes et successores, nec non omnia et singula bona sua presentia et futura, mobilia et stabilia ubicumque existentia una pars alteri et altera alteri presentibus et stipulantibus pro se, suisque heredibus et successoribus respective etc. Et nominibus quibus supra respective — fecerunt constituerunt — suos procuratores, videlicet spectabiles viros dominos Iacobum Cortesium, Alexandrum Fuscherium, Felicem de Tibaldeschis et Salvatorem de Petrutiis in Romana Curia causarum procuratores, nec non Ioannem Frumenti, Philippum de Quintiliis, [704] Iacobum Apocellum et Ioannem de Nicia, dicte Curie causarum Camere apostolice notarios. — Promictentes dicte partes et earum quelibet habere ratum, gratum atque firmum omne id et quicquid per dictos suos procuratores et eorum quemlibet dictum actum, gestum, factum et procuratum fuerit; et iuraverunt dicte partes et eorum quelibet, videlicet prefati reverendissimi domini Cardinales manu ad pectus admota more prelatorum; prefati vero procuratores et illustrissima domina Felix et magister Michael Angelus tactis scripturis sacrosanctis ad Sancta Dei evangelia in manibus mei notarii infrascripti, premissa omnia et singula semper attendere et observare et contra non facere, dicere vel venire aliqua ratione, iure, modo etc.
Actum Rome in palatio Apostolico et in camera eiusdem sanctissimi domini nostri Pape, presentibus ibidem discretis viris dominis Bernardo de Milanensibus canonico Ecclesie florentine, et fratre Sebastiano de Lucianis bullarum Sedis Apostolice plumbatore, testibus etc.
(Nell'occhietto di mano di Luigi del Riccio è scritto.)
Contratto fatto con lo imbasciatore del duca d'Urbino per conto della sepultura di papa Iulio, addì 29 d'aprile 1532.
[705]
Archivio Buonarroti. Roma, 29 d'aprile 1532.
Volgarizzamento del precedente contratto.
Al nome di Dio, Amen. L'anno dalla Natività del nostro Signore M.D.XXXij, nella inditione quinta, a dì xxviiij del mese d'aprile, pontificato del Sanctissimo in Christo padre et signore, nostro signore Clemente per divina providentia papa VII, anno nono.
Dinanzi a detto Signor nostro papa Clemente vij, di volontà, consenso, et assenso di sua Santità a tutte le infrascripte cose interveniente et in presentia di me notaro della Camera Apostolica et testimoni infrascritti, a questo spetialmente chiamati et rogati; personalmente constituti li magnifici homini messer Giovan Maria della Porta modanese, et dello illustrissimo signor Francesco Maria duca d'Urbino apresso a detto Santissimo nostro, oratore, et messer Hyeronimo Stacculo da Urbino, seguitando la Romana Corte, di detto illustrissimo Duca procuratore; del loro mandato aparisce publico instrumento per mano di messer Bernardino di ser Gasparri de' Factori, ciptadino e notaro publico Pisauriense, sotto dì xiiij del mese di dicembre M.D.XXXj, da una parte; et maestro Michelagnolo de' Bonaroti, cittadin fiorentino, pittore et statuario in Roma, unico, per l'altra parte; affermando che altra volta la felice recordatione di Iulio papa II in vita sua locò et dètte a fabricare et construire il suo sepolcro o vero sepoltura marmorea per ducati diecimila, et dipoi defunto detto Iulio li sua executori per sedicimilia o vere (altre) somme al predetto maestro Michelagnolo di nuovo locorno, come per publici instrumenti per publici notari facti aparisce, et per uno di ser Albizo, notaro publico fiorentino; al tenor de' quali le parte predette si referirno pienamente, et per la factione del presente sepolcro epso maestro Michelagnolo hebbe, sì come epso confessò, in diversi pagamenti la somma di viij mila ducati d'oro di Camera, et detto sepolcro non è perfetto et le parte non intendano si facci et si construisca secondo l'altre dette conventioni:
Onde per questo le dette parte con la presentia, volontà et consenso del prefato santissimo signor nostro Papa, vennano a nuova concordia et capitulatione, cioè che 'l prefato santissimo Signor Nostro et procuratori prenominati, nel nome et nomi come di sopra et per vigor del detto mandato, in ogni miglior modo, via, ragione, causa et forma, che più et meglio et efficacemente di ragione o ver di consuetudine dire et fare si possa et debba, il prenominato maestro Michelagnolo, quivi presente et aceptante et stipulante per sè, sui heredi et successori, quietino, liberino et asolvino, sì come quietorno, liberorno et totalmente asolverno dalle oservationi et conventioni facte sino a qui et somma delli detti docati ottomilia; cassando, extinguendo perciò et anullando, et per cassi, rotti et anullati hebbano ogni et ciascheduno contratto, patti, conventioni per cagione come di sopra della constructione del detto sepolcro col predetto Iulio II et sua executori, o con qualunche altre persone incominciati et fatti; con patto perpetuo di più non ridomandare la somma, nè ricercare calculo o ver conto di quelli del detto maestro Michelagnolo, nè da sua heredi e successori in iudicio, nè fuora.
Questa presente quietatione, cassatione et absolutione feciano li sopra nominati santissimo Signor Nostro et procuratori prefati, perchè il detto maestro Michelagnolo promesse fare et [706] dare nuovo modello o ver disegno del detto sepolcro ad suo piacere, nella composizione del quale porrà et darà come dar promesse sei statue marmoree cominciate et non finite in Roma o vero in Firenze existenti, qui in Roma, di sua mano et opera finite: similmente ogni altra cosa apartenente a detto sepolcro. Et oltre alle predette cose, detto maestro Michelagnolo per fabricare detto sepolcro promesse in fra tre anni proximi, a kalende d'agosto incominciarsi, pagare et sborsare per insino a la somma di duo milia ducati d'oro di Camera, compresa et computata ne' detti duo milia ducati la casa posta in Roma apresso al Macello de' Corbi, nella quale sono certe statue marmoree per il detto sepolcro, et tutto quel più che oltra a detti duo milia ducati, per construire et fare detto sepolcro fussi di necessità. Et aciochè il presente sepolcro o vero sepoltura fare, construire et a debito fine produr si possa, il prelibato santissimo signor nostro Papa dètte licentia, facultà a detto maestro Michelagnolo, presente et stipulante come di sopra, durante il detto termine possa ogni anno venire a Roma, et quivi stare dua mesi et più et meno come al detto santissimo Signor Nostro piacerà. Et di consenso de' detti procuratori, similmente dètte facultà al detto maestro Michelagnolo, che, dalle dette sei statue in fuora, possa l'opera del presente sepolcro in tutto o in parte ad altri locare secondo il modello et disegno che lui darà. Et oltre a le predette cose, detto maestro Michelagnolo promesse detto sepolcro finire secondo il disegno infra tre anni, nel loco infra quattro mesi a lui da oggi asegnarsi in Roma, et ch'e' danar predetti per lui sborsarsi come di sopra, sempre sborserà di tempo in tempo di consenso et volontà de' procuratori o ver procuratore del prefato illustrissimo signor duca d'Urbino o di sua agenti per questo deputati, et in altro modo. Et in oltre convennan le parte predette che in evento il detto maestro Michelagnolo le predette cose non osservassi, la sopradetta quietantia sia nulla et di nullo momento, et detto maestro Michelagnolo sia tenuto a l'osservantia delle cose altre volte convenute, come se 'l presente contratto celebrato non fussi: et il predetto illustrissimo duca d'Urbino nel suo pristino stato rimangha et a la detta oservatione de l'altre cose convenute, epso convenir possa, non obstante il presente instrumento et le cose contenute in epso. Et incontinenti doppo le dette cose il reverendissimo signore, signore Antonio episcopo Portuense cardinal de Monti, et lo illustrissimo et reverendissimo don Hercole cardinal di Mantova, et la illustrissima signora Felice della Rovere Orsina, quivi presenti, in caso che 'l mandato delli detti procuratori a le soprascripte cose non fussi sufficiente, promessano et ogniun di lor promesse de rato in forma di ragion valida et dare lo instrumento della retificatione infra duo mesi. Per le qual cose osservare et adempire li prefati reverendissimi Cardinali et la prefata illustrissima signora Felice, loro et li prefati procuratori, il lor principale, et similmente il detto maestro Michelagnolo se obligorno con tutti li lor beni et loro heredi in forma Camere colle clausole generale solite et consuete in forma pienissima.
[707]
Archivio Buonarroti. Firenze, 20 d'agosto 1533.
Allogazione ad alcuni maestri scarpellini della cava delle pietre per le porte e scala della Libreria di San Lorenzo.
A dì 20 agosto 1533.
La presente per far noto et fede in che luogo et apresso di che persona bisogno fussi esser cierta cosa, come oggi questo dì noi Baptista Figiovanni et Michelagnolo Buonaroti, agienti della Santità di nostro Signore alla fabrica a San Lorenzo farsi da sua Beatitudine, abiamo convenuto con Francesco d'Andrea Luchesini et Michele et Leonardo di Ioanni Luchesini, sua nipoti da Settignano, e Antonio e Simon di Jacopo di Berto da Santo Martino a Mensola, tutti maestri scarpellini, et a questi allogato affare 2 porte et una scala per essa Libreria, e della pietra del Fossato, et del colore et sapore, secondo il saggio dalloro a noi portato: le quale 3 cose e pietre ànno a essere alloro spese fatte condurre alla detta fabrica e luogo, e dove si ànno a murare e dove sempre uno di loro maestri scarpellini abbia a esser presente con il maestro muratore; ma prima però ben lavorate nel modo, forma et misura, siccome è disegnato tutto non tanto in sul chiostro, ma per il modino fatto di terra dal nostro Michelagnolo, come ciascuno de' sopra detti maestri veduto apresso ànno. In che però si dichiara expresso che li scaglioni della scala ànno a essere 14, tutti d'un pezzo l'uno e massime li primi 7 colle rivolte, sanza che si dimostri alcun convento: in che come nelle 2 porte e scala la fusse alcuna pietra nella fabrica che noi ci volessimo o poter accomodare o servire, sia in nostro volere et potere et per loro non si potere richusare et quelle quale pietre ci servissimo, si abbino per 2 amici comuni far stimare et la tanta somma fatta far defalcar del credito loro; e in che altro in queste 3 cose spendio alcuno acadesse, come fatto si sia, non però nel murarle, abbiano a' esser alloro spese, in modo che a noi non sia altro obrigo di spendio, che la somma di ducati 360 a L. 7 per ducato, siccome per la scritta per loro data et per lor oferta è restata per la minor somma. Et promettono ancora aver condotto tutte 3 queste sopra dette cose nella perfettione nel modino lavorate et a piacimento di Michelagnolo, et poste alluogo per murarsi per tutto marzo 1534; cominciandosi però dalla prima porta in testa della Libreria et seguitando l'altra, et poi la scala: et in caso che per loro si mancassi el tanto promesso dare al tempo ordinato, la cosa fatta o non bene fatta, a noi sia licito potere eleggiere altri maestri et persone di nostro piacimento et fare fornire alcuna delle 3 cose, a spese di detti maestri, da essi cominciate o no. Et di esso spendio o altro nostro danno et sinistro siano obligati ciascuno di loro in tutto e uno per l'altro satisfare et restituire indirieto ogni somma di danari presi. Et in fede si sottoscriveranno essere obligati a quanto di sopra è scritto alla observantia et a senno del nostro savio.
Io Francesco e tutti li altri computati, che son 6 persone, si sono sotto scritti come etc.[615]
[708]
Archivio Vaticano. Roma, 1 di settembre 1535.
Breve di papa Paolo col quale elegge Michelangelo a supremo architetto, pittore e scultore del Palazzo Vaticano.[616]
Paulus Papa III. Dilecto filio Michaeli Angelo de Bonarrotis, patritio florentino.
Dilecte Fili, salutem etc. Excellentia virtutis tue cum in sculptura et pictura, tum in omni architectura, quibus te et nostrum seculum ampliter exornasti, veteres non solum adequando, sed congestis in te omnibus que singula illos admirandos reddebant, prope superando; Nos merito permovet, ut te in loco honoris et amoris nostri precipuo collocantes usum virtutis tue in picturis, sculpturis et architecturis Palatii nostri Apostolici ac operibus in illo nunc et pro tempore faciendis libenter capiamus. Itaque te supremum architectum, sculptorem, et pictorem eiusdem Palatii nostri Apostolici auctoritate apostolica deputamus, ac nostrum familiarem cum omnibus et singulis gratiis, prerogativis, honoribus, oneribus et antelationibus, quibus alii nostri familiares utuntur et uti possunt, seu consueverunt, facimus, et aliis familiaribus nostris aggregamus per presentes. Mandantes dilecto filio Magistro Domus nostre ut te in rotulo familiarium nostrorum describat et describi faciat, prout Nos etiam describimus. Et insuper, cum Nos tibi pro dipingendo a te pariete altaris Cappelle nostre pictura et historia ultimi Iudicii, ad laborem et virtutem tuam in hoc et ceteris operibus in Palatio nostro a te, si opus fuerit, faciendis, remunerando et satisfaciendo, introitum et redditum mille et ducentorum scutorum auri annuatim ad vitam tuam promiserimus, prout etiam promittimus per presentes; Nos, ut dictum opus a te inchoari ceptum prosequaris et perficias, et si quo alio in opere voluerimus, nobis inservias; Passum Padi prope Placentiam, quem quondam Iohannes Franciscus Burla dum viveret obtinebat, cum solitis emolumentis, iurisdictionibus, honoribus et oneribus suis pro parte dicti introitus tibi promissi, videlicet pro sexcentis scutis auri, quot ipsum Passum annuatim reddere accepimus, nostra promissione, quoad reliquos sexcentos scutos firma remanente ad vitam tuam, auctoritate Apostolica tenore presentium tibi concedimus; mandantes Vicelegato nostro Gallie Cispadane nunc et pro tempore existenti, ac dilectis filiis Antianis, Comunitati et hominibus dicte civitatis Placentie, et aliis ad quos spectat, ut te vel procuratorem tuum pro te in possessionem dicti Passus, eiusque exercitii admittant, et admissum tueantur, faciantque huiusmodi nostra concessione vita tua durante, pacifice frui et gaudere, contrariis non obstantibus quibuscumque.
Datum Rome apud Sanctum Marcum, prima septembris 1535, anno primo.
[709]
Museo Britannico. Roma, 27 di febbraio 1542.
Raffaello da Montelupo piglia a finire da Michelangelo tre figure della sepoltura di papa Giulio II.
Sia noto a qualunque persona, come io Michelagniolo Buonarroti ò dato oggi questo dì venti sette di febraio 1542 a finire tre figure di marmo maggiore che 'l naturale, bozzate di mia mano, a Raffaello da Monte Lupo, scultore qui in Roma, per iscudi quattrocento: e dette figure detto Raffaello mi promette infra diciotto mesi darmele finite, come qui di sotto si sotto scriverrà; e per detto conto, detto dì gli ò dati scudi venticinque: infra diciotto mesi mi promette darmele finite, cominciando detto tempo oggi detto dì.
Io Rafaello da Monte Lupo prometto et obligomi fare quanto in questa di sopra si contiene, e pel sopradetto conto dal detto Michelagnolo ò risceuto oggi questo dì venti sette di febraio 1542 scudi venti cinque.
E più a dì 30 di marzo i' ò risceuti scudi venticinque, e' quali mi portò Gabriello suo garzone, pure per conto della sopradetta opra.
E più a dì 2 di giugnio ebbi da Urbino scudi trenta d'oro in oro per conto di Michelagnolo.
E più a dì 27 di luglio ò risceuto scudi venti cinque, computando quelli tre che avanzano alli trenta scudi d'oro.
Io Raffaello da Monte Lupo, scultore fiorentino, havendomi messer Michelangelo Buonarroti allogato più statue della sepultura di papa Iulio a fornire, et fra le altre una Vita contemplativa et una Vita attiva per scudi cento cinquanta di moneta; per la presente sono contento, non ostante tal convenzione, che detto messer Michelangelo possa fornire da sè dette dua statue, cioè la Vita contemplativa e attiva; quali fornendo lui da sè, io non habbia havere detti scudi centocinquanta, ma restino al detto messer Michelangelo, come è onesto. Et in fede ò fatto fare la presente, sotto scritta di mia propria mano, in Roma, addì 23 d'agosto 1542.
Io Rafaello da Monte Lupo sono contento come di sopra, e però mi sono sotto scritto.
Io Rafaello scultore fo fede come oggi questo dì 5 d'otobre 1542 ò risceuto scudi dieci di moneta da Urbino per conto di 4 teste di Termini per San Pietro in Vincola, che li à fatti Jacomo[617] mio garzone.
[710]
Archivio Buonarroti. Roma, 16 di maggio 1542.
Michelangelo alloga a maestro Giovanni de' Marchesi e a Francesco detto l'Urbino il lavoro del quadro e ornamento per la sepoltura di papa Giulio II.
✠ Ihesu, 1542.
Sia noto a chi vedrà la presente, come havendo messer Michelagnolo Bonarroti più fa tolto a fare la sepultura della bona memoria di papa Giulio in Santo Piero in Vincola con più statue, come per e' patti et conventioni fatti con li executori del testamento appare; et havendo di già dato principio al quadro et ornamento di detta sepultura, desiderando fornirla, conviene questo dì xvj di maggio 1542, con maestro Giovanni di Marchisi scarpellino, abitante in piazza di Brancha, et con Francesco di Bernardino d'Amadore da Urbino,[618] alle soptoscripte conventioni:
In prima aluogha loro tutta l'opera del quadro di detta sepultura da quello che sino al presente è fatto in su, come per uno disegnio fatto et soptoscripto di mano di me scriptore si vede, excepto certo ornamento che va sopra l'ultimo cornicione, il quale detto messer Michelagnolo à a far fare a sue spese: el quale resto di quadro, detti maestro Giovanni et Francesco hanno a fare di marmi nuovi o vechi, secondo parrà a loro, pure sieno buoni, et simili a quelli di sotto, et lavorarli nel medesimo modo et diligentia che il quadro fatto di sotto, secondo il disegnio et modello hauto dal detto messer Michelagnolo; e' quali marmi et lavoratura habbino a fare a loro spese, simile il murarli, et questo in tempo di otto mesi proximi da oggi, salvo giusto impedimento, et per prezzo di scudi septecento di giuli x per scudo; con patto che habbino a pigliare lo scudo d'oro per giuli undici. Delli quali scudi septecento ne ha dati loro questo dì scudi cento simili, e per lo avenire ogni volta mosterranno el lavoro fatto per la monta de' danari hauti, darà loro altri scudi cento, et così successive sino allo intero pagamento della fine de l'opera, la quale in tutto fornita, detto messer Michelagnolo pagherà loro il resto sino a l'intero pagamento. Et sono d'acordo che nascendo diferentie fra loro, ne sia iudice messer Donato Giannotti, alla semplice dichiaratione del quale promettono starne. Et per observantia di quanto è detto, si obrighano l'uno a l'altro, et l'altro a l'uno, sopto pena di rifare l'uno l'altro, di chi mancassi, di tutti danni, spese et interessi, da giudicarsi per il detto messer Donato Giannotti. Et in fede s'è fatto la prexente a richiesta di ciascuna delle parti, di mano di me Luigi del Riccio, prexenti messer Donato Giannotti et Francesco Bracci; quale sarà soptoscripta di mano di tutti a dua loro, e' quali d'acordo vogliono resti apresso di me Luigi del Riccio per servirne di loro chi ne havessi di bisognio etc. questo dì 16 di maggio sopradetto 1542, in Roma.
[711] Io maestro Iouane ò reuto scude cento e prometo quato di sopra.
Io Luigi del Riccio in nome di Francesco da Urbino, non sappiendo lui scrivere, a sua richiesta fo fede che si obrigha et promette come di sopra.
Io Michelagniolo Buonarroti son contento e prometto quanto di sopra si contiene, questo dì sopra decto.
Io Donato Giannotti fui presente a quanto di sopra si contiene.
Io Francesco di Zanobi Bracci fui presente a quanto di sopra si contiene.
(Dietro.)
✠ Allogatione del quadro della sepoltura di papa Iulio a Francesco da Urbino et a maestro Giovanni scarpellino.
[712]
Biblioteca Nazionale di Firenze. Roma, 1 di giugno 1542.
Nuova allogazione a maestro Giovanni de' Marchesi e all'Urbino del lavoro del quadro della sepoltura di papa Giulio II.
Avendo messer Michelagnolo Buonarroti sino addì 16 di maggio proximo passato allogato et dato a fare il resto del quadro della sepoltura di papa Iulio in San Pietro in Vincola a maestro Giovanni di Marchesi, scarpellino, abitante in piaza di Branca, et a Francesco di Bernardino d'Amadore da Urbino, con più patti e convenzione, come per una scritta fatta fra loro sopto ditto dì largamente appare; et essendo venuti detto maestro Giovanni et Francesco a rottura et a più differenzie insieme, per il che l'opera ne pativa; et desiderando messer Michelagnolo porre fine a tali lite, acciò che detta opera abbi più presto possibile la sua perfezione: di consenso di tutti a dua e' sopradetti maestro Giovanni et Francesco si ripiglia in sè la detta opera, ciedendo ciascuno di loro per la presente a tutte le iurisdictioni et ragioni, che per vigore della sopra allegata scripta o in qualunque altro modo ci potesino aver sopra, rendendola in tutto et per tutto liberamente al detto messer Michelagnolo, il quale, acciò che detta opera si fornisca, di nuovo la rialluoga come a piè:
In prima detto messer Michelagnolo alluoga la sopradetta opera a Francesco di Bernardino d'Amadore da Urbino, et a maestro Giovanni Marchesi scarpellino, per il medeximo prezo et a pagarsi ne' medesimi tempi et modi come nell'altra convenzione dichiarati, nella quale li abbino a fare buoni scudi 100, di giuli X per scudo, che hebbano in principio de l'opera, in diminuzione della somma di scudi 700 simili, che hanno havere di tutta l'opera, con patti che il detto Francesco da Urbino habbia ad attendere di continuo alla detta opera et esercitarsi in essa con ogni sua forza et ingegno, non attendendo ad altro, et habbia lui a provedere a tutti li garzoni bisognassino, et pagarli della compagnia, et a tôrre e' marmi mancassino per fornire l'opera, quali sieno buoni et recipienti per il lavoro; secondo la forma dell'altra convenzione, et habbia a sollecitar l'opera in modo che sia fornita a Natale proximo: in sino al qual tempo duri la provisione et non più: et durando più che detto tempo, in ogni modo sia tenuto a sollecitare come prima, senza provisione, et solo i marmi si habbino a comprare di comune consenso et della bontà secondo la forma della prima scritta, a iuditio di detto messer Michelagnolo; ma possa detto maestro Giovanni a suo piacere attendere alla sua bottega et alli altri lavori che alla giornata li accadessino. Et perchè detto Francesco da Urbino per seguitare questa opera ha lasciato altri lavori et facciende, per le quali aveva buona provisione, sono d'acordo che durante l'opera habbia scudi 6, di giuli X per scudo, il mese, cominciando addì 1 di giugno presente et così successive: quali scudi sei si habbino a porre a conto della compagnia: et il detto maestro Giovanni per essere libero della persona sua, non abbia avere cosa alcuna, ma possa a suo piacer andare a veder lavorare, acciò che li ordini che darà detto Urbino sieno idonei per l'opera.
Ancor vogliamo che alla fine del presente mese di giugno, detto maestro Giovanni et Francesco da Urbino habbino a far conto di tutti e' marmi messi et lavorati, pagati per detta opera sino a quel dì, presente Michelagnolo; et che detto maestro Giovanni habbia a produrre [713] e' conti fatti altra volta con detto Francesco, et abbino a saldare ogni cosa sino a quel giorno: et nasciendo fra loro diferenzia alcuna ne sia iudice messer Michelagnolo, alla semplice parola del quale ciascuno di essi ne abbia a star, sotto pena di scudi 100 di pagarsi per chi contrafacessi subito al Governatore et Fiscale di Roma: et in oltre quello che recalcitrassi, s'intenda subito et sia fuori dell'opera, et non abbia più che fare in essa.
E di più sono d'accordo che di poi ogni mese detto Francesco abbia a fare conto con maestro Giovanni sopradetto, presente messer Michelagnolo, quale habbia a essere iudice di tutte le loro diferenzie sotto le pene sopradette contro a chi non stéssi a quanto lui dicessi.
Sono ancora d'accordo che tutti i marmi di detta opera si abbino a lavorare secondo il disegno dato loro (da) detto messer Michelagnolo, et nel modo parrà a lui, et alla fine dell'opera; la quale abbia a essere da lui aprovata se starà bene o no, et lui abbia a pagare loro quello restassino avere di scudi 700, di giuli X per scudo; et se l'opra fussi costata più, loro habbino a rifare lui, senza replica alcuna.
Convengono ancora che in fine di detta opera detto maestro Giovanni et Francesco abino a far conto insieme di tutto quello sarà costa, et essendovi utile, partecipino per metà, et similmente essendovi danno, che ciascuno concorra per metà et rifaccia detto messer Michelagnolo della sua rata; et nascendo tanto ne' conti quanto in ogni altra cosa diferenzia fra li detti Francesco et maestro Giovanni, se ne rimettino et ne voglino stare alla semplice dichiarazione di detto messer Michelagnolo, sotto le pene che di sopra è detto senza alcuna replica.
[714]
Biblioteca Nazionale di Firenze. Roma, 8 di luglio 1542.
Lodo de' maestri chiamati a giudicare il lavoro di quadro fatto da sopraddetti Giovanni e Francesco.[619]
A dì 8 luio 1542.
Faciamo fede noi eletti camatti, cioè io maestro Iuliano, camatto da Michelangello Bonarota, e maestro Bernardino da Marco, camato da magistro Iovane da Sattri, e 'l dito Iuliano e Bernardino àno camato per terzo Andreia Bevelacqua scarpellino, a stimare e vedere uno lavoro che aveva a fare l'Orbino, e maestro Govane da Sattre a conpania; li sopra scritti maistri áno visto e misurato dito lavoro, trovano che dal dito lavoro n'è fato dali sete parte l'una, stimato ditto lavoro con consintimento dali sopra scrite partie, e noi d'acordo avemo stimati insieme.[620]
[715]
Biblioteca Nazionale di Firenze. Roma, 20 d'agosto 1542.
Ultima convenzione tra Michelangelo e gli agenti del duca d'Urbino per la sepoltura di papa Giulio II.
A dì XX agosto 1542.
In nomine Domini, Amen. Conciosia cosa che avendo messer Michelangelo Buonarroti più tempo fa preso a fabricare et costruere la sepoltura della felice remembranza di Iulio papa II con più et diversi patti et convenzioni, come per diversi contratti sopra di ciò fatti appare, li quali furono cassati et annullati per uno contratto fatto dinanti alla bona memoria di Clemente VII co' lo illustrissimo signor duca d'Urbino sotto dì XXVIIII di aprile MDXXXII con nove convenzioni: li quali il prefato messer Michelagnolo per iusti et legitimi impedimenti fin qui non ha possuto adimpire, nè dal fine a detta sepoltura secondo detto ultimo contratto, presertim per esser stato occupato in dipingere la capella di Sixto in el Palazzo apostolico; et non possendo il medesimo messer Michelagnolo ancor per l'avenire attendere a detta opera della sepoltura per essere costretto dalla Santità di nostro signor Paulo papa III, a dipingere la sua nuova capella, et per la ettà non potria resistere nella pittura et sculptura; desiderando levarsi et liberarsi in tutto del carigo, obligo et convenzione, che in el ditto contratto de' XXVIIII d'aprile 1532 si contengono; et per questo essendo ultimamente venuto a nuove convenzioni con la excellenzia del prefato signor duca d'Urbino, come per una sua lettera de' VI di marzo 1542 diretta al prefato messer Michelagnolo, dove si vede; finalmente per mezanità di sua Beatitudine oggi, questo giorno soprascritto, davanti a sua Santità et di suo consenso et volontà il prefato messer Michelagnolo constituto in presentia etc. di nuovo è convenuto e conviene con il prenominato illustrissimo signor Duca, e per sua Eccellenzia con il magnifico signor Girolamo Tiranno, suo oratore, presente, e per ditta sua Excellenzia stipulante, alle infrascritte convenzioni et patti:
Inprimis di comune consenso et volontà li prefati signori Ambasciatori et messer Michelagnolo cassorono, annullorno et invalidorno, et per cassi, annullati et invalidati ebbero et hanno il contratto sotto dì XXVIIII d'aprile 1532, quanto ogni altro contratto et scripture per conto di detta sepoltura fatte inanti et poi ditto contratto: et così il medesimo oratore messer Girolamo in nome di sua Excellenzia et per lei liberò et absolvì, et libera et absolve il medesimo messer Michelagnolo, presente et acceptante per sè et suoi eredi, da ogni obligo et promessa et anco convenzione, che il detto messer Michelagnolo per scripture publice e private, o in qual si voglia altro modo avesse fatto, per conto di detta sepoltura fin' a questo dì, come mai se ne fusse impacciato. Et questo ha fatto e fa detto oratore, però che messer Michelagnolo predetto ha già depositato in sul banco di messer Silvestro da Montauto et compagni di Roma, in nome et ad istanzia di sua Eccellenzia et per complemento et fine della sepoltura et opera, scudi 1400 di moneta, et ad commodo et pericolo di sua Excellenzia, talchè di detto deposito non abbia più a fare esso messer Michelagnolo; et detti scudi 1400 in modo alcuno non possa toccare o rimovere, se non per spendere giornalmente per finire detta [716] opera, cioè scudi 800 che ha de avere Francesco d'Urbino, che già si crede n'abbia auto 300; et questi scudi 800 sono per la monta dell'opera della parte di sopra del quadro, cioè ornamento che ci resta a fare per detta sepoltura, allogatoli per prezzo di scudi 800, il quale piglierà alla giornata secondo che lavorerà; et scudi 550 che ha d'avere Raphaello da Montelupo, scultore, de' quali già si dice ha auto 105. Quali 550 sono per fornitura di cinque statue, allogateli a finire per detto prezzo: le quali statue sono una Nostra Donna con il Putto in braccio, quale di già in tutto è finita; una Sibilla, uno Profeta, una Vita attiva et una Vita contemplativa, bozzate et quasi finite di mano di detto messer Michelagnolo. Quali statue maestro Raphaello anderà alla giornata forniendo, et di più scudi 50 che si àranno a dare a Francesco d'Urbino per condurre le dette statue a San Pietro in Vincula, dove è cominciata detta sepoltura, et metterle in opera; et la statua del Moises, che va in questa opera, detto messer Michelagnolo la darà finita et condutta a l'opera a sue spese et per detti scudi 1400, come di sopra depositati di ordine et consenso del prefato signor ambasciatore. Esso signor ambasciatore quieta, libera et absolve detto messer Michelagnolo presente etc. della opera predetta et sepoltura, et di tutti li denari che detto messer Michelagnolo havesse avuti da qual si voglia persona per conto di detta sepoltura fino al dì presente, lasciando libera et espedita al detto messer Michelagnolo et per sua la casa, della quale si dice in ditto strumento di 29 aprile 1532, promettendo che mai per conto di detta opera et fabrica di sepoltura di Iulio papa II, nè per conto de' denari che messer Michelagnolo habbia avuti, nè per conto di detta casa, per tempo alcuno dalla excellenzia del prefato signor Duca, nè da altri in suo nome, o da altri sotto qual si voglia quesito colore di eredità, parentado, amicizia, execuzione di testamento o scripture publice o private sopra ciò fatte, o protesti etiam secretamente fatti, il detto messer Michelagnolo, per quanto sua Excellenzia puotrà, non sarà molestato: dechiarando, che per questo contratto si ponga silenzio perpetuo a questo negocio di sepoltura per conto di detto messer Michelagnolo. Et per maggiore et più valida fermezza di tutte le soprascritte cose, il prefato messer Girolamo, oratore, in nome della excellenzia del duca di Urbino prenominato, et per lui promettendo de rato in forma valida si obliga, videlicet, che sua Excellenzia ratificarà per publico instrumento questo contratto et tutto quello che in esso si contiene, et per lettera che sua Excellenzia scriverà a messer Michelagnolo in fra XV dì da oggi: il quale contratto et lettera sua Excellenzia, subito che saran qui venuti fra detto tempo, farà recognoscere fra XV dì da poi da tre persone degne di fede. E di presenzia, consenso et volontà di sua Beatitudine ambedui le parti, come di sopra, in detti nomi si obligorno in forma della Camera Apostolica da extendersi a longo con le submissioni, renunziazioni et constituzioni de' procuratori et con tutte le altre clausole necessarie et consuete, non mutata la substanzia delle cose predette, et giurorno etc. Quibus omnibus et singulis premissis coram sua Sanctitate, sic ut prefertur lectis et stipulatis, etiam de illis idem prelibatus sanctissimus Dominus Noster plene informatus, salva etiam latissima et amplissima confirmatione etc. etc.
Acta fuerunt hec Rome in palatio Sancti Marci in camera sue Sanctitatis, presentibus ibidem Reverendis patribus domino Alexandro episcopo Adiacensi, sue Sanctitatis magistro domus, et Nicolao Ardinghello episcopo Forosemproniensi, eiusdem domini nostri Pape datario, D. Bernardino Helvino, thesaurario generali Sedis Apostolice, ac dominio Cortesio et aliis testibus etc.
(Firmato): Bartholomeus Cappellus, notarius rogatus.
Maestro Raffaello da Montelupo avere alli 21 d'agosto scudi 445, avuti da messer Hieronimo Tiranno, oratore del signor duca d'Urbino, per mano di messer Michelangelo Buonarroti.
[717]
Archivio Buonarroti. Roma, 21 d'agosto 1542.
Girolamo Tiranno, oratore del duca d'Urbino, alloga a Raffaello da Montelupo a finire cinque statue di marmo, e a Francesco detto l'Urbino a fare il resto del lavoro di quadro della sepoltura di papa Giulio II.
In nomine Domine, Amen. Per hoc presens publicum instrumentum cunctis pateat evidenter et sit notum, quod anno ab eiusdem Domini nativitate millesimi quingentesimi quadragesimi secundi, indictione quintadecima, die vero vigesima prima augusti, Pontificatus sanctissimi in Christo patris et domini nostri, domini Pauli divina providentia pape iij, anno octavo, in mei notarii publici testiumque infrascriptorum ad hec specialiter vocatorum, personaliter constitutus:
Il magnifico messer Hieronimo Tiranno, oratore dell'illustrissimo signor duca di Urbino, in nome di sua Excellentia, di messer Michelangelo Buonarruoti, et de l'opera della sepoltura della felice recordazione di Iulio papa ij incominciata in la chiesa di San Pietro ad Vincula di Roma; acciochè la detta opera abbia il suo debito fine, in ogni miglior modo che possa et debba, allogò et dètte a maestro Raphaello da Montelupo, scultore fiorentino, a finire cinque statue di marmo che vanno in detta sepoltura et che erano prima sbozzate et quasi finite dal prefato messer Michelangelo Bonarruoti: le quali sonno, videlicet, una Nostra Donna con il Putto in braccio, una Sibilla, un Propheta, una Vita activa et una Vita contemplativa: et tutto per prezzo di scudi cinque cento cinquanta di moneta, a iuli x per scudo: le quali statue esso maestro Raphaello ha da dar finite del tutto nella stanza dove sono in casa del prefato messer Michelangelo Bonarruoti, nel modo et secondo che giornalmente li ordinarà et commetterà il detto messer Michelangelo, a cui obedienza ha da stare, et questo in tempo di xx mesi proximi, cominciati questo dì: de' quali scudi cento cinquanta detto maestro Raphaello, quivi presente, confessò avere avuto scudi cento cinque per mano del medesimo messer Michelangelo Bonarruoti in più partite fino a questo dì ventuno di agosto, et il resto, che sono scudi quattrocento quaranta cinque simili, ha avuto una cedula del banco di Silvestro da Montauto et compagni, per averli alla giornata; secondo andarà lavorando et di ordine et per poliza del predetto messer Michelangelo, sottoscritta di mano del prefato magnifico signore imbasciatore; et messer Luigi de Riccio: nome proprio promesse et promette che il prefato maestro Raphaello finirà per il detto prezzo le dette cinque statue in detto tempo, salvo iusto et legitimo impedimento; il qual cessante, sia in ogni modo tenuto a finirle.
Item il detto signor imbasciatore, in nome come di sopra, similmente allogò a Francesco d'Amadore da Urbino, etiam presente, tutto il resto del quadro, cioè de l'ornamento di detta sepoltura, cominciata, come è detto di sopra, in San Pietro ad Vincula, con tutto il fontespitio (sic) et candellieri; il qual quadro, ornamento et opera ha da fare di ordine et comandamento del detto messer Michelangelo, et come a lui parrà et secondo il disegno che ha mandato detto messer Michelangelo a sua Excellentia, dove di sua mano è notata l'altezza et larghezza: et questo, detto Francesco ha da fare per prezzo di scudi ottocento di moneta, a iuli x per scudo: la qual'opera detto Francesco promesse aver finita in dieci mesi proximi, similmente cominciati questo dì: de' quali scudi ottocento di moneta, detto Francesco confessò avere avuto [718] trecento in più partite per mano del medesimo messer Michelangelo, et il resto ha ricevuto in una poliza over cedula del bancho di messer Silvestro da Montauto et compagni, per averli alla giornata, secondo andrà lavorando, di ordine et per poliza del detto messer Michelagnolo et sottoscritta di mano del prefato signor imbasciadore. Et più il detto Francesco si obligò et promesse che detto messer Michelagnolo ritoccherà la faccia della statua di papa Iulio che è in su l'opera et quella de' Termini, secondo che ad esso messer Michelangelo parrà stia bene. Et ancho detto Francesco da Urbino si obligò condurre et far condurre a sue proprie spese le cinque statue che vanno in detta sepoltura, da casa del detto messer Michelangelo dove sonno, in su detta opera, dove hanno a stare, per prezzo di scudi cinquanta simili di moneta, quali dicano già essere depositati come di sopra, per averli detto Francesco quando egli arrà condotte e poste dette statue a luogo loro. Li quali maestro Raphaello, messer Luigi et Francesco presenti per observatione di tutto quello che di sopra è detto et scritto, si obligorno et ciaschun si obligò in forma amplissima della Camera Apostolica, da extendersi con tutte le clausule, cautele et promissioni solite et opportune; et giurorno ad sancta Dei evangelia. Le quali cose furon fatte come di sopra, in Roma, nel Consolato de' Fiorentini, presenti messer Giovanni Pandolfini cittadin fiorentino, et Giovanni Bancozzo clerico fesulano, testimoni.
Et ego Bartholomeus Cappellus de Montepolitiano, Camere Apostolice notarius et nationis florentine de Urbe cancellarius, de premissis ut supra gestis rogatus, hoc presens publicum instrumentum aliena manu fideliter scriptum, subscripsi et publicavi meis nomine et signo consuetis in fidem premissorum muniendo, requisitus.
[719]
Biblioteca Nazionale di Firenze. Roma, 6 di febbraio 1543.
Battista di Donato Benti prende a fare dall'Urbino un'arme di marmo per la sepoltura di papa Giulio II.[621]
Sia noto a chi vedrà la presente, come Francesco da Madore (sic) da Urbino à alogato et dato a fare a Batista da Pietra Santa[622] una arme di papa Iulio II, di marmo d'un pezo, secondo il modello auto da messer Michelagnolo Buonarroti, a tutta sua spesa della fattura: solo detto Francesco da Urbino li à a dare il marmo et fargnene portare a casa sua vicino a Camposanto, et di lì, fatta che la sarà, levarla et condurla a San Pietro in Vincula a spese sua, per prezzo di scudi 36, di giuli x per scudo, di moneta vechia; detto Pietra Santa promette averla di tutto finita per tutto marzo proximo 1543.
6 febbraio 1543, in Roma.
[720]
Archivio Buonarroti. Firenze, 14 di maggio 1548.
Fede di Bernardo Bini di aver pagato, in nome del cardinale Aginense, a Michelangelo 3000 ducati per conto della sepoltura di papa Giulio II.
In Dei nomine, Amen. Universis et singulis presentis publici instrumenti seriem inspecturis pateat evidenter et notum sit, quod anno Incarnationis Dominice millesimo quingentesimo quadragesimo octavo, indictione sexta, die vero xiiij mensis maii, Pontificatus sanctissimi in Christo patris et domini nostri, domini Pauli divina providentia pape Tertii, anno quartodecimo, in mei notarii publici, testiumque infrascriptorum presentia, personaliter constitutus spectabilis vir Bernardus de Binis, civis florentinus, requisitus pro parte eximii viri Michelangeli de Bonarrotis, civis et scultoris florentini, volens veritatem manifestare, suo medio iuramento in manibus mei notarii prestito, dixit et testificatus est, qualiter in principio pontificatus domini Leonis pape Decimi in circa, ut vult recordari, ipse testis ad requisitionem et instantiam reverendissimi Cardinalis Agennensis, prout similiter vult recordari, solvit et numeravit sopradicto Michelangelo ducatos triamilia in circa occasione et causa et pro parte sepulchri seu sepulture felicis recordationis domini Iulii pape Secundi, quam dictus Michelangelus sculpebat; de quo fecit memoriam super libris dicti testis, quos non habet penes se; et quod fuit in urbe Rome, et quod predicta dixit pro veritate tantum. Super quibus rogavit me, ut publicum conficerem instrumentum.
Acta fuerunt hec omnia Florentie in domo dicti Bernardi, presentibus ibidem venerabilibus viris ser Iohanne Francisco Antonii Fattucci cappellano cathedralis Ecclesie florentine, et ser Matheo Maganzi presbitero florentino, testibus ad premessa vocatis, habitis et rogatis.
Et quia ego Scipio ser Alexandri de Braccesis Apostolica et imperiali auctoritatibus notarius et civis florentinus premissis omnibus dum sic agebatur, cum prenominatis testibus interfui et ex sic fieri vidi, et audivi, et in notam sumpsi ex qua hoc presens publicum instrumentum confeci et publicavi; ideo in fidem premissorum me subscripsi et signum meum apposui consuetum, rogatus et requisitus.
(Dietro è scritto.)
Confesso della ricevuta di scudi 3000 per conto della sepoltura di Iulio ij.
FINE DE' CONTRATTI E DEL VOLUME.
[721]
Prefazione | Pag. v |
Lettere alla Famiglia. | |
A Lodovico suo padre (dal 1497 al 1523) | 3 |
A Buonarroto suo fratello (dal 1497 al 1527) | 59 |
A Giovan Simone suo fratello (dal 1507 al 1546) | 147 |
A Gismondo suo fratello (dal 1540 al 1542) | 159 |
A Lionardo suo nipote (dal 1540 al 1563) | 161 |
Lettere a diversi (dal 1496 al 1561) | 375 |
Ricordi di Michelangelo Buonarroti (dal 1505 al 1563) | 563 |
Contratti artistici di Michelangelo Buonarroti (dal 1498 al 1548) | 613 |
[722]
PUBBLICATO IL XII DI SETTEMBRE M. DCCC. LXXV.
1. Vedi la Lettera CXXVII, a pag. 150.
2. È la Lettera CDLX, a pag. 520.
3. E qui per soddisfazione dell'animo mio riconoscente e per sentimento di giustizia debbo dichiarare che nella fatica del copiare le Lettere del Carteggio di Michelangelo nell'Archivio Buonarroti, mi hanno prestato non piccolo aiuto i miei cari amici cav. Carlo Pini, e cav. Iacopo Cavallucci; e che il padre don Gregorio Palmieri benedettino, a mia preghiera, e coll'annuenza cortese del padre abate di San Paolo suo superiore, si è sottoposto amorevolmente al disagio del viaggio da Roma a Londra, per copiare i Ricordi ed altre scritture, meno le Lettere, che si conservano tra i manoscritti di Michelangelo nel Museo Britannico. A' quali tutti io rendo pubblicamente le maggiori e migliori grazie.
4. Raffaello Riario, detto il Cardinale di San Giorgio. Era Michelangelo da poco più d'un anno in Roma, statovi condotto da un gentiluomo del detto Cardinale, al quale Baldassarre del Milanese aveva venduto per cosa antica un Cupido di marmo scolpito dal Buonarroti. Il Condivi ed il Vasari dicono che il Cardinale, per essere persona poco intendente, ma invero molto affezionata alle cose dell'arte, non aveva fatto fare nulla a Michelangelo: ma da una lettera dell'artista a Lorenzo di Pier Francesco de' Medici, scritta da Roma ai 2 di luglio del 1496, la quale sarà ripubblicata più innanzi, si raccoglie invece che il Cardinale, comprato un pezzo di marmo, gli aveva commesso di scolpirvi una figura al naturale; e dalla presente lettera si conosce che egli restava ancora ad avere da lui per conto di questo lavoro; il quale, non sapendosi che cosa rappresentasse, è difficile di poter rintracciare se sia ancora in essere, e dove oggi si trovi.
5. Questo Consiglio d'Antonio Cisti merciaio aveva un credito di novanta fiorini d'oro larghi contro Lodovico Buonarroti, e per questo conto era lite tra loro. Finalmente a' 14 d'ottobre del 1499 si accordarono nel modo stesso che Michelangelo disapprovava, cioè che Lodovico pose condizione, che così si chiamava la cessione della riscossione delle paghe, a favore del detto Consiglio, per altrettanta somma sopra 312 fiorini che Lodovico aveva al Monte della dote di Madonna Lucrezia Ubaldini da Gagliano sua seconda moglie. Pare che Consiglio fosse poi pagato del suo credito; perchè si trova che il primo di marzo del 1502 rinunziò alla detta condizione.
6. Il Vasari non ricorda altri lavori fatti da Michelangelo per Piero de' Medici, se non una statua di neve nel cortile della sua casa. Ma da questa lettera si caverebbe che Piero gli avesse commesso una figura di marmo, il cui soggetto non si conosce. Si può congetturare che la figura che Michelangelo cavava per suo piacere nel pezzo di marmo da lui comprato, fosse il Cupido che poi acquistò quell'Jacopo Gallo, al quale il Buonarroti scolpì ancora il Bacco, oggi nella Galleria di Firenze, quivi pervenuto fino dal 1572 per acquisto fattone dal principe Don Francesco de' Medici collo sborso di dugento quaranta ducati dagli eredi del detto Jacopo.
7. Questa lettera è stata pubblicata, ma non intiera, tra i Documenti alla Vita di Michelangelo scritta da Ermanno Grimm, Annover, 1864, pag. 696.
8. Michele di Piero di Pippo detto Battaglino, scarpellatore da Settignano, che poi fu a Carrara a cavare i marmi per conto della facciata di San Lorenzo.
9. Questa Nostra Donna di bassorilievo, alta poco più d'un braccio, nella quale Michelangelo, secondo il Vasari, volle contraffare la maniera di Donatello, fu donata da Lionardo suo nipote al duca Cosimo, avendone prima fatto fare un getto di bronzo. Ritornò poi in casa Buonarroti, dove tuttavia si conserva insieme col getto di bronzo, per dono fattone nel 1617 dal Granduca a Michelangelo il Giovane.
10. Dalle cose dette in questa lettera, apparisce che Michelangelo seguita, contro il suo costume, il computo romano piuttostochè il fiorentino.
11. Lapo d'Antonio di Lapo, scultore fiorentino, fino dal 1491 era tra i maestri agli stipendii dell'Opera del Duomo di Firenze. Scolpì nel 1505 la sepoltura di marmo di messere Antonio da Terranova, Spedalingo di Santa Maria Nuova. A' 10 di dicembre del 1506 ebbe licenza dagli Operai di assentarsi dall'Opera per andare a Bologna. Nato nel 1465, visse fino al 1526 in circa.
Lodovico di Guglielmo del Buono fu di cognome Lotti, e nacque in Firenze nel 1458. Nella sua prima gioventù stette all'orafo nella bottega di Antonio del Pollaiuolo; poi si diede a far di getto, e fu maestro delle artiglierie della Repubblica fiorentina. Nel 1516 fuse una campana, e due candelieri di bronzo pel Duomo. Da lui nacque Lorenzo, detto Lorenzetto, scultore, del quale scrisse il Vasari.
12. Messer Angelo di Lorenzo Manfidi da Poppi in Casentino era stato eletto secondo araldo fino dal 1500 per aiuto di messer Francesco Filareti, primo araldo e suo suocero; e morto, poco dopo il 1505, messer Francesco, eragli succeduto in quell'ufficio, nel quale durò fino ai 18 di settembre 1527, che morì.
L'Araldo della Signoria, che faceva parte della famiglia di Palazzo, era un ufficiale, nel quale in processo di tempo si riunirono le incombenze che avevano in antico il Sindaco e Referendario del Comune, ed il Cavaliere di Corte o Buffone della Signoria. A questo ufficio erano sempre eletti uomini che avessero qualche spirito di poesia, perchè era loro commesso di comporre canzoni morali o storiche da recitarsi alla mensa dei Signori. E restano ancora poesie, parte a stampa e parte a penna, composte e recitate dagli Araldi; i quali cominciando dal 1350 durarono fino al 1539, e tra questi, come componitori di versi, sono più noti, Antonio di Matteo di Meglio, Anselmo Calderoni, Gio. Batta dell'Ottonaio e maestro Jacopo del Bientina, che fu l'ultimo. Negli ultimi tempi l'ufficio dell'Araldo consisteva più specialmente nel guidare tutte le cerimonie occorrenti per ricevere i grandi personaggi che capitavano con ufficio pubblico in Firenze, e gli ambasciatori de' Potentati e delle Signorie; e nel tenere un libro, dove brevemente era registrata la venuta e il ricevimento loro. Tra gli Araldi, Francesco Filarete, il primo a cui fu commesso di formare questo registro, fu anche intendente di architettura, e si trova che egli nel celebre concorso del 1490 per la facciata di Santa Maria del Fiore, presentò un suo disegno; e comparisce insieme col detto messer Angelo tra coloro che furono chiamati a dire del luogo più conveniente pel David di Michelangelo.
13. Pittore ed amicissimo del Buonarroti, dal quale ebbe commissione di trovare de' giovani pittori che volessero andare a Roma per mostrargli il modo del lavorare in fresco, avendo egli allora a dipingere la vôlta della Sistina.
14. Forse Piero d'Argenta.
15. Monna Cassandra di Cosimo Bartoli, rimasta vedova fino dal 18 di giugno del 1508 di Francesco Buonarroti fratello di Lodovico, aveva un piato col cognato e coi nipoti, per cagione della sua dote, non ostante che Lodovico e i figliuoli avessero rinunziato all'eredità del fratello e dello zio. Come finisse questo loro piato, non si sa. Morì monna Cassandra a' 3 di luglio del 1530.
16. Vedi più innanzi una fierissima e stupenda lettera di Michelangelo a questo suo fratello.
17. La più parte delle lettere di Michelangelo manca di data. E noi l'abbiamo supplita, o desumendola da alcuni fatti, a cui esse accennano, o congetturandola per altri riscontri. Di più vogliamo avvertire che esse lettere scritte secondo il computo fiorentino, che cominciava l'anno ab incarnatione, cioè a' 25 di marzo, sono state ridotte allo stile comune.
18. Pubblicata dal Grimm, Op. cit., pag. 704.
19. Pubblicata in parte dal Grimm, Op. cit., pag. 702.
20. Intendi la pittura della vôlta della Cappella Sistina.
21. Jacopo detto l'Indaco fu uno de' pittori chiamati da Michelangelo a Roma, perchè gli mostrassero il modo del lavorare in fresco. Questo Jacopo, di cui scrive il Vasari, fu figliuolo di Domenico di Stefano Rossegli: nacque nel 1466, e morì l'8 di maggio del 1530. Fra i Ricordi di Michelangelo nell'Archivio Buonarroti è la bozza de' patti a' pittori che sarebbero andati a Roma per detto effetto; essa dice così: Pe' garzoni della pittura che s'ànno a far venire da Fiorenza, che saranno garzoni cinque, ducati venti d'oro di Camera per uno: con questa condizione, cioè, che quando e' saranno qua, e che saranno d'accordo con esso noi, che i detti ducati venti per uno che gli àranno ricevuti, vadino a conto del loro salario; incominciando detto salario il dì che e' si partono da Fiorenza per venire qua. E quando non sieno d'accordo con esso noi, s'abbi a esser loro la metà di detti danari per le spese che àranno fatto a venire qua e per il tempo.
22. Con contratto del 5 giugno 1501, Michelangelo s'era obbligato col cardinale Francesco Piccolomini di Siena, che fu poi papa Pio III, di scolpire quindici statue di marmo per la sua cappella nel Duomo senese. Tra le condizioni del contratto l'una era, che il Cardinale prestava a Michelangelo cento ducati d'oro in oro larghi, i quali egli avrebbe scontati nelle tre ultime figure. Ma non avendo finito il lavoro, Michelangelo restava tuttavia debitore cogli eredi del Cardinale di que' cento ducati, nè gli pagò se non negli ultimi anni della sua vita. Il contratto di questa allogazione è pubblicato a pagina 19 del tomo III de' Documenti per la Storia dell'Arte Senese, raccolti ed illustrati dal dottor Gaetano Milanesi. Siena, per Onorato Porri, 1856, in-8º.
23. Pubblicata dal Grimm, Op. cit., pag. 705.
24. La vôlta della Cappella Sistina cominciata a dipingere il 10 di maggio 1508, come si ha da un Ricordo di Michelangelo, fu scoperta dopo diciassette mesi e venti giorni di lavoro, la mattina d'Ognissanti del 1509.
25. Fino dal tempo che Michelangelo cominciò in Roma la sepoltura di papa Giulio, egli era tornato in una casa avuta dal Papa, della quale pagava la pigione e dove lavorava i marmi fatti condurre per quell'opera da Carrara. Ma per la nuova convenzione stipulata agli 8 di luglio del 1516, tra il Buonarroti e gli esecutori testamentari di papa Giulio, fu concesso a Michelangelo di abitare quella casa gratuitamente, per nove anni (che tanti doveva durare quel lavoro fino all'ultima sua perfezione), cominciando dal 1513, ossia dal tempo che per conto della detta sepoltura fu stipulata la seconda convenzione, la quale restò annullata colla nuova. Nel cui transunto scritto in volgare dalla mano stessa di Michelangelo, la casa è così descritta: Una chasa con palchi, sale, chamere, terreni, orto, pozzi, e sui altri habituri, posta in Roma in nella regione di Treio (Trevi) apresso alle cose di Ieronimo Petrucci da Velletri, apresso alle cose di Pietro de' Rossi, dinanzi la via pubblica, adpresso a Santa Maria del Loreto: confini dirieto, apresso le cose delli figlioli di messer Carlo Crispo, apresso le cose di messer Pietro Paluzzi, e la via pubblica dirieto risponde la piaza di San Marco. Il suo possesso fu poi contrastato a Michelangelo, quando nel 1525 e nel 1542 furono stipulati nuovi contratti con Francesco Maria e Guidobaldo duchi di Urbino.
26. Buonarroto indugiò più che non desiderava Michelangelo a pigliar moglie, perchè solamente nel 1516 sposò la Bartolomea di Ghezzo della Casa con dote di 500 fiorini di suggello, da lui confessata a' 19 di maggio del detto anno per strumento rogato da Ser Andrea Caiani.
27. Scultore da Settignano, che poi lavorò nella Sagrestia nuova di San Lorenzo. Morì nel 1551.
28. Parla della sepoltura di papa Giulio.
29. Così è replicato nell'autografo.
30. Così sta nell'autografo.
31. Pubblicata dal Grimm, Op. cit., pag. 706.
32. Dopo la vôlta, Michelangelo doveva dipingere anche le facce della Cappella, com'era di patto: ma poi, perchè papa Giulio fu da altre e più gravi faccende distratto, ed in ultimo se ne morì, la cosa non andò più innanzi.
33. Il Papa era partito di Roma ai primi giorni di settembre del 1510 per andare all'impresa di Ferrara.
34. Pubblicata dal Grimm, Op. cit., pag. 706.
35. Pubblicata, ma non intiera, dal Grimm, Op. cit., pag. 704.
36. Pubblicata dal Grimm, Op. cit., pag. 707.
37. Così sta nell'autografo.
38. Figliuolo di quel Consiglio merciaio che piatì con Lodovico, come è stato detto indietro.
39. Raffaello di Giorgio Ubaldini da Gagliano, parente di Lodovico Buonarroti.
40. Michelangelo comprò dallo Spedale di Santa Maria Nuova un campo che era di Piero Strozzi, di staia otto, posto nel popolo di Santo Stefano in Pane, luogo detto Stradella, con strumento del 20 maggio 1512, rogato da ser Giovanni da Romena; e pe' rogiti dello stesso notaio, sotto dì 28 del detto mese ed anno, comprò dal medesimo Spedale un podere con casa da signore e da lavoratore posto nel detto popolo, luogo detto la Loggia.
41. Nell'autografo: tere.
42. Allude al miserando sacco di Prato, dove entrarono gl'Imperiali, mossi per rimettere i Medici in Firenze, il 29 di agosto del 1512, e vi stettero fino al 19 settembre seguente. Di questo sacco si legge in tutte le storie del tempo.
43. Forse costui è quell'Alonso Berrugnete, o Berughetta, come lo chiamavano gl'Italiani, pittore, scultore ed architetto celebre, nato nel 1480. Essendo in Firenze, fece una copia del cartone di Michelangelo, e tirò innanzi, ma non finì del tutto, una tavola cominciata da Filippino Lippi per l'altare maggiore della chiesa di San Girolamo alla Costa di San Giorgio.
44. Pietro d'Urbano da Pistoia, garzone di Michelangelo.
45. Lo Zara da Settignano si chiamava per proprio nome Domenico, e noi crediamo che egli sia Domenico di Sandro di Bartolo Fancelli, valente scultore, il quale nacque nel 1469, e morì in Saragozza di Spagna nel 1519, dopo aver fatto il suo testamento rogato a' 19 d'aprile del detto anno da ser Michele da Villanuova, notaio spagnuolo. Domenico è l'autore del superbo monumento sepolcrale inalzato nella chiesa di San Tommaso de' Domenicani d'Avila al principe Giovanni, figliuolo unico del re Ferdinando il Cattolico. Ebbe commissione nel 15 di luglio 1518 di scolpire pel prezzo di 2100 ducati d'oro un altro monumento non meno magnifico pel cardinale Ximenes, arcivescovo di Toledo. Ma egli appena aveva cominciato a farne il disegno, che se ne morì, e quel lavoro fu allogato al celebre Bartolommeo Ordognez, scultore spagnuolo, il quale non potè condurlo a fine, essendosi infermato a Carrara, e quivi morto a' 10 dicembre del 1520. Fratello di Domenico Fancelli fu Giovanni parimente scultore che aiutò ne' detti lavori Domenico e l'Ordognez, e morì nell'aprile del 1522, lasciando erede Sandro suo figliuolo che seguitò l'arte del padre e dello zio. (Vedi Andrei canonico Pietro: Sopra Domenico Fancelli e Bartolomeo Ordognez Spagnuolo, ec. Memorie estratte da documenti inediti. Massa, tip. Frediani, 1871, in-8º; e Campori Giuseppe: Memorie biografiche degli Scultori, Architetti, Pittori, ec., nativi di Carrara e di altri luoghi della provincia di Massa, ec. Modena, Vincenzi, 1873, in-8º.)
46. Michelangelo aveva dato a fare a Baccio d'Agnolo il modello di legname, secondo il suo disegno, della facciata di S. Lorenzo. Ma essendo quel lavoro riuscito, come dice lo stesso Michelangelo, una cosa da fanciulli, egli ne fece uno di terra, e per mezzo di Pietro d'Urbano suo garzone lo mandò a Roma al Papa e al Cardinale de' Medici gli ultimi di dicembre del 1517.
47. Ferrucci, scultore da Fiesole, il quale a' 12 di luglio era partito da Firenze e andato a Carrara per intendere da Michelangelo i particolari dei fondamenti da farsi alla facciata di San Lorenzo.
48. Nel contratto tra Michelangelo e Gismondo suo fratello, rogato da ser Niccolò Parenti sotto dì 16 di giugno 1523, per cagione della parte che spettava a Gismondo ed agli altri suoi fratelli sopra l'eredità della loro madre; Michelangelo si obbligò di pagare dentro due anni al detto Gismondo 500 fiorini d'oro in oro larghi, i quali poi sborsò a' 5 di maggio del 1525.
49. La lettera, secondo il solito di Michelangelo, non ha nota nè di luogo nè di tempo: pure si può stabilire essere stata scritta nel giugno del 1523, perchè il contratto o lodo, di cui qui si ragiona, fu rogato a' 16 del detto mese da ser Niccolò di Antonio Parenti, come si rileva dal Libro del Monte segnato C. 2, N. 976, dell'anno 1514, dove sotto il 22 di giugno 1523 fu posta condizione a' fiorini 312, 10 larghi della dote della Lucrezia di Antonio da Gagliano, moglie di Lodovico Buonarroti, che non si potesse fare contratto di detta somma senza licenza di detto Michelangelo, il quale dopo la morte di Lodovico potesse di tal credito e posta fare in ogni tempo la sua volontà.
50. Questo non è altro che il principio un po' diverso della lettera precedente.
51. Federigo di Filippo scultore fiorentino, il quale poi racconciò la statua del Cristo risorto che è alla Minerva di Roma, fatta da Michelangelo, e stata guasta da Pietro da Pistoia suo scolare.
52. Da Genazzano, generale degli Agostiniani.
53. Intendi che furono condannati alla gogna, colla mitera di carta in capo.
54. Questa lettera parla, come è chiaro, del Savonarola, ed è scritta, sebbene sia con carattere contraffatto ad arte, da Michelangelo, sotto il falso nome di Piero. Il dire caro fratello, che così ti stimo, Racomandami a tutti voi e massime a Lodovico mio padre, che così lo stimo, ci scopre quel che vorrebbe e non vorrebbe nascondere Michelangelo, cioè che egli stesso è colui che scrive.
55. Balducci fiorentino, mercante in Roma.
56. Vedi la lettera precedente scritta sotto nome di Piero, dove appunto è detto a Buonarroto che attenda ad imparare.
57. Pubblicata dal Grimm, Op. cit., pag. 697.
58. Così nell'autografo, ma deve dire Aldobrandini, come apparisce dalle lettere seguenti a Buonarroto.
59. Dopochè Michelangelo, pieno di sdegno per l'ingiuria ricevuta da papa Giulio di averlo fatto cacciare bruttamente di palazzo, si fu partito a furia da Roma, e ritornato a Firenze; nè i brevi del Papa, nè le lettere degli amici e de' cortigiani, nè le esortazioni del gonfaloniere Piero Soderini avevano potuto per parecchi mesi ottenere che egli si risolvesse ad affrontare la grande ira di Secondo. Ma entrato il Papa trionfalmente a Bologna il 10 di novembre 1506, dopo la cacciata de' Bentivogli, bisognò all'ultimo che Michelangelo si arrendesse alla volontà di Giulio, ed a' consigli del Soderini; il quale, per vincere la paura dell'Artista, lo accompagnò con lettera pubblica del 27 di quel mese. La partenza dunque di Michelangelo alla volta di Bologna deve essere stata o nel medesimo giorno o nel seguente. Giunto egli alla presenza del Pontefice, e chiestogli umilmente perdono, fu da Giulio restituito nell'antica grazia, e commessogli di fare di bronzo la sua immagine per essere posta sulla facciata di San Petronio. Dalle lettere di Michelangelo al padre ed al fratello Buonarroto si rileva che egli, messosi tosto all'opera, aveva già condotto di terra la sua figura nell'aprile del 1507; che negli ultimi giorni del giugno seguente la gittò; che il getto gli riuscì non troppo bene, essendochè, sia per difetto di metallo, sia per la mala sua fusione, la figura non era venuta che dal mezzo in giù: onde gli convenne rigittare di sopra, e finire di riempire la forma.
La statua di papa Giulio, di grandezza più d'un uomo e del peso di 17 mila libbre, fu lavorata da Michelangelo in una stanza del Paviglione vecchio dietro a San Petronio, e fusa col metallo d'una campana che era nella torre de' Bentivogli e di una bombarda del Comune di Bologna. Fu tirata su nella facciata di San Petronio a' 21 di febbraio del 1508, e poi a' 30 di dicembre del 1511 venne gettata a terra, e spezzata per ordine degli Otto della guerra del Comune di Bologna. (Vedi Potestà Bartolomeo, Intorno alle due statue erette in Bologna a Giulio II. Atti e Memorie della Regia Deputazione di Storia patria per le provincie di Romagna. Anno VII, pag. 105.)
60. Pubblicata dal Grimm, Op. cit., pag. 698.
61. Cioè a' 29 di gennaio, se sta bene il conto.
62. Intendi, mentre che io lavoravo.
63. Di qui la presente lettera (la quale è dello stesso giorno e non fa che ripetere le cose dette nella precedente) è pubblicata dal Grimm, Op. cit., pag. 699.
64. Di Lapo d'Antonio di Lapo scultore e di Lodovico di Guglielmo Lotti orafo e maestro di getti, e delle cagioni per le quali essi furono cacciati via, è stato discorso lungamente dallo stesso Michelangelo nella lettera IV a Lodovico Buonarroti suo padre.
65. Che fu a' 22 di febbraio di quell'anno.
66. Pubblicata dal Grimm, Op. cit., pag. 700.
67. Così sta; ma è evidente che doveva dire 1507, anche secondo il computo fiorentino, usato quasi sempre da Michelangelo, fuorchè nelle lettere a Lionardo suo nipote e ad altri scritte da Roma negli ultimi suoi anni.
68. Baglioni, nato nel 1462 e morto nel 1543. Fu intagliatore eccellentissimo di legname, e buono architetto, del quale si può vedere quello che scrive il Vasari.
69. Pubblicata dal Grimm, Op. cit., pag. 700.
70. È questi maestro Bernardino d'Antonio dal Ponte di Milano, il quale nel 1504 fu condotto agli stipendi della Repubblica di Firenze, come maestro d'artiglieria: e stette in questo servizio fino al 1512. Doveva essere persona assai valente nell'arte sua, se Michelangelo diedegli a gettare di bronzo la sua statua di papa Giulio, e Gio. Francesco Rustici gli allogò nel 1509 il getto di quelle che egli fece per una delle porte di San Giovanni. Nel 1512 gettò di bronzo la graticola della nuova Cappella del Palazzo pubblico, e parimente rifece di bronzo il cartoccio della base del David del Verrocchio. La licenza data a maestro Bernardino di andare a Bologna da' Signori e Collegi, è del 7 di maggio 1507.
71. Piero Soderini, gonfaloniere perpetuo della Repubblica.
72. In parte pubblicata dal Grimm, Op. cit., pag. 700.
73. Pubblicata dal Grimm, Op. cit., pag. 700.
74. Manca la sottoscrizione.
75. Così nella lettera autografa, e doveva dire, si partì.
76. Salvestro, figliuolo di Giovanni e nipote di Antonio e di Piero del Pollaiuolo, nacque nel 1472. Pare che esercitasse l'orafo, e fosse anche maestro di getti. Era già morto nel 1533.
77. Tommaso di Balduccio di Rinaldo Balducci, uno dei comandatori di Palazzo. I comandatori (praeceptores) erano sei, ed in antico si cavavano dai berrovieri del capitano della Famiglia di Palazzo. Il loro ufficio era di portare ambasciate, e comandamenti de' Priori e del Gonfaloniere così a' cittadini, come agli ufficiali della Repubblica. La Famiglia di Palazzo si componeva dell'araldo, dello spenditore, dello speziale, del barbiere, del maestro temperatore dell'orologio pubblico, di dodici mazzieri, di nove donzelli, di sei trombatori, di otto trombetti, di tre pifferi, di un cennamellario, di un naccherino, d'un appuntatore, di sessantotto famigli del Rotellino, portati poi fino a novanta, di quattro famigli de' Cancellieri, di dodici custodi di Palazzo, di quattro campanari, di un cuoco, di due guatteri, d'uno zanaiuolo e di un acquaiuolo. Tommaso Balducci aveva oltre a ciò la custodia delle spalliere e degli arazzi della Signoria, e teneva insieme coll'Araldo le chiavi della Sala del Papa in Santa Maria Novella, dove si conservava il cartone di Michelangelo.
78. Pubblicata dal Grimm, Op. cit., pag. 701.
79. Per fuggire inutili e noiose ripetizioni, vaglia qui di dichiarare una volta per sempre, che alla mancanza di data nelle lettere di Michelangiolo; copiate dagli autografi del Museo Britannico in servigio della presente edizione; abbiamo supplito con quella che dietro la lettera si trovava segnata dalla mano di Buonarroto.
80. Pubblicata dal Grimm, Op. cit., pag. 701.
81. Di qui è pubblicata dal Grimm, Op. cit., pag. 701.
82. Pubblicata dal Grimm, Op. cit., pag. 702.
83. Francesco Alidosi.
84. Strozzi, nella bottega del quale stava Buonarroto.
85. Tre giorni dopo questa lettera, ossia a dì 21 di febbraio del detto anno, la figura del Papa era tirata su e posta nella facciata di San Petronio.
86. Manca in questa lettera la sottoscrizione.
87. Pubblicata dal Grimm, Op. cit., pag. 703.
88. Il cartone della guerra di Pisa.
89. La ripudia dell'eredità di Francesco Buonarroti suo zio, morto il 18 di giugno 1508, fu fatta da Michelangelo a' 27 di luglio dello stesso anno, con strumento rogato da ser Giovanni di Guasparre da Montevarchi, notaio fiorentino. La medesima ripudia avevano fatta il giorno innanzi Lodovico padre di Michelangelo, e i suoi fratelli, per carta rogata da ser Antonio di ser Stefano da Portico.
90. Scarpellino e padre di Bernardino nominato indietro nelle lettere a Lodovico.
91. Cioè, messere Angelo Araldo e Tommaso comandatore che tenevano le chiavi della Sala del Papa in Santa Maria Novella, dove si conservava il cartone della guerra di Pisa.
92. Pubblicata in parte dal Grimm, Op. cit., pag. 703.
93. Pubblicata nel Cabinet de l'Amateur del Piot, vol. II, ed in parte dal Grimm, Op. cit., pag. 703.
94. Strozzi: quel medesimo nella cui bottega di arte di lana si riparava Buonarroto.
95. Pubblicata dal Grimm, Op. cit., pag. 705.
96. Pubblicata, ma non intiera, dal Grimm, Op. cit., pag. 708.
97. Lorenzo Pucci, fiorentino, poi cardinale del titolo de' Santiquattro.
98. Pubblicata dal Grimm, Op. cit., pag. 708.
99. L'Araldo.
100. Intendi, le terre.
101. Idiotismo fiorentino per bisogna.
102. La mossa alla volta della Toscana delle genti spagnole, la presa e il miserando sacco dato da loro a Prato, e la deposizione del gonfaloniere Piero Soderini, avevano portato grandissima alterazione in Firenze. Alle quali cose accenna Michelangelo in questa lettera.
103. Rientrarono in Firenze a' 12 di quel mese.
104. Di questa lettera è una copia lacera di mano forse di uno de' fratelli di Michelangelo, nella quale è posto dopo il 30 luglio l'anno 1513.
105. Michele di Piero da Settignano, detto Battaglino, del quale è stato parlato indietro.
106. Abbiamo ragione di credere che questi sia Bartolommeo di Chimenti di Frosino da Settignano.
107. Nell'Opera di Santa Maria del Fiore.
108. Così nell'autografo.
109. Sta così nell'autografo.
110. Ripetizione dell'autografo.
111. Strozzi.
112. Da Settignano.
113. Intendi quello della sepoltura di papa Giulio, ripreso da Michelangelo dopo la morte del detto Papa.
114. Da ciò si rileva che papa Leone aveva già cominciato a ragionare del lavoro della facciata di San Lorenzo.
115. Intendi de' denari depositati presso lo Spedalingo di Santa Maria Nuova.
116. Scritta da Michelangelo a Filippo Strozzi.
117. Era la strada che i Consoli dell'Arte della Lana avevano fatto fare per condurre i marmi dalle cave di Pietrasanta e di Seravezza, scoperte allora e cominciate ad esercitare. Ed in questa impresa erano molto incaloriti papa Leone e il cardinale Giulio de' Medici, volendo non esser più obbligati a servirsi de' marmi di Carrara. Ma Michelangelo vedeva la cosa per altro verso, e si piegava di mala voglia al desiderio del Papa e del Cardinale, stimando che i marmi di Carrara fossero di altra qualità e migliori di quelli di Pietrasanta, e dubitando di non dispiacere al marchese Alberigo Malaspina; il quale poi che seppe la cosa, n'ebbe tanto sdegno, che voltò in odio la benevolenza fino allora sempre dimostrata verso Michelangelo, che ne ebbe poi a patire per questa cagione molti dispetti e soperchierie.
118. Strozzi.
119. Bernardino di Pier Basso, ricordato altre volte.
120. Di Pietrasanta e di Seravezza.
121. Dopo la morte di papa Giulio, Leonardo Grosso Della Rovere detto il Cardinale Aginense, e Lorenzo Pucci, datario, poi cardinale Santiquattro, avendo come suoi esecutori testamentarii avuto commissione di procurare che la sepoltura del Papa si facesse, fermarono a questo effetto con Michelangelo per istrumento del 6 di maggio 1513, rogato da Francesco Vigorosi notaio dell'Auditore della Camera Apostolica, una nuova convenzione, colla quale egli si obbligava di finire quel lavoro dentro sette anni, per il prezzo di sedicimila cinquecento ducati, computati i tremila ducati avuti innanzi da papa Giulio; col patto che di questi danari gli dovessero essere pagati ducati dugento al mese per due anni, e per gli altri cinque anni che restavano, ducati centotrenta mensuali, fino al compimento della detta somma. La forma della sepoltura era un quadro veduto solamente da tre faccie, appiccandosi la quarta al muro. In essa dovevano andare ventotto figure di tutto tondo e maggiori del naturale, oltre tre storie di marmo o di bronzo, secondochè meglio fosse piaciuto. Ma tre anni dopo, e così a' dì 8 di luglio del 1516 con contratto stipulato tra i detti esecutori testamentarii e Michelangelo, rogato da Albizo di Ser Francesco Seralbizi notaio fiorentino dimorante in Roma, fu fatta nuova convenzione, cassando la precedente, nella quale Michelangelo prometteva di dare finita l'opera, secondo un nuovo modello e disegno da lui presentato, per il medesimo prezzo di sedicimila scudi, e dentro lo spazio di nove anni. In questo nuovo disegno le figure di tutto tondo erano ventidue, oltre cinque storie di bronzo in bassorilievo. Ma questa magnifica opera andò poi per le successive convenzioni del 1532 e del 1542 tanto ristringendosi, che all'ultimo le 28 statue della prima convenzione, e le 22 della seconda furono ridotte a sette, e delle storie non se ne fece niente.
122. Domenico Fancelli, scultore fiorentino, ricordato altre volte.
123. Benedetto di Bartolommeo da Rovezzano, scultore.
124. Perchè morto Lodovico XII, era succeduto Francesco I.
125. Domenico Fancelli, scultore, soprannominato il Zara, come è stato già detto indietro.
126. È certo che Michelangelo aveva promesso di fare un quadro di pittura a Pier Francesco Borgherini, e di questo si parla anche nelle lettere di Buonarroto suo fratello e di Lionardo sellaio: però il soggetto è ignoto. Ma poi si vede che Michelangelo non ne fece altro; anzi propose al Borgherini di dare a fare il quadro ad Andrea del Sarto, del quale pare che egli non restasse troppo soddisfatto. Nondimeno diede a dipingere a lui, al Pontormo e al Granacci per ornamento d'una sua camera alcune tavolette con i fatti di Giuseppe Ebreo. Delle quali tavolette, quattro sono oggi nella R. Galleria degli Uffizi comprate nel 1584 dal Granduca Francesco: le due d'Andrea per 360 scudi e le altre del Pontormo per 90.
127. Cioè l'accordo tra Francesco I e papa Leone, nel quale erano compresi, oltre la Repubblica di Firenze, ancora Giuliano e Lorenzo de' Medici.
128. Era Spedalingo di Santa Maria Nuova messer Lionardo Buonafede.
129. Papa Leone entrò in Firenze a dì 30 di novembre, e ne partì a' dì 3 del mese seguente.
130. Buonarroto scrisse a Michelangelo a' 7 di novembre che Lodovico loro padre a' primi di quel mese si era ammalato d'un trabocco di scesa, cioè d'una portata di catarro al petto, come si direbbe oggi; ma che allora era un po' migliorato. E in un'altra lettera del 18 dello stesso mese dice che, secondo l'avviso del medico, egli era fuori di pericolo.
131. Il foglio è lacero e frammentato. Quel poco che si vede stampato in corsivo ci siamo ingegnati di supplirlo per via di congettura e coll'aiuto del contesto.
132. La strada che facevano fare i Consoli dell'Arte della lana e gli Operai di Santa Maria del Fiore per condurre alla marina i marmi della nuova cava di Seravezza. Michelangelo domandava che i Consoli con loro partito dessero a lui il cottimo, e tutta la cura di quel lavoro.
133. Donato Benti, scultore fiorentino, e molto amico di Michelangelo.
134. Pietro d'Urbano da Pistoia suo garzone.
135. Messer Vieri de' Medici.
136. Finalmente i Consoli dell'Arte della lana e gli Operai di Santa Maria del Fiore, adunatisi la mattina del 22 d'aprile di quell'anno, vinsero il partito, che la esecuzione della strada di Pietrasanta per condurre i marmi della nuova cava, scoperta da pochi anni, fosse commessa a Michelangelo, dandogli piena autorità di fare tutto quello che egli avesse riputato utile ed opportuno per questo effetto.
137. L'Opera di Santa Maria del Fiore.
138. Il terreno da Santa Caterina comprato dal Capitolo di Santa Maria del Fiore. Vedi a pag. 141.
139. Di Piero da Settignano nominato più volte.
140. Di Santa Maria del Fiore.
141. Francesco scarpellino da Corbignano.
142. Maso di Simone di Matteo detto Rubecchio, scarpellino da Settignano. Morì nell'ottobre dell'anno 1525.
143. Con contratto del 17 d'aprile del 1517 Michelangelo comprò dal Capitolo di Santa Maria del Fiore un pezzo di terreno di 144 braccia, posto in Via Mozza, oggi Via San Zanobi, presso la Piazza di Santa Caterina, per fabbricarvi sopra stanze da tenere e lavorare i marmi che aveva fatto condurre per l'opera della facciata di San Lorenzo. E un anno dopo, non bastandogli al bisogno quel terreno, Michelangelo ne comprò dal detto Capitolo un altro pezzo.
144. Sandro di Giovanni di Bertino Fancelli, scarpellino da Settignano, fratello di quel Domenico detto Topolino, che, come racconta il Vasari nella Vita del Buonarroti, aveva fantasia di essere valente scultore, ma era debolissimo; nato nel 1457, morì l'anno 1521.
145. Fiorentino. A costui Pier Soderini, che dopo il suo esilio da Firenze dimorava in Roma, aveva commesso che facesse un disegno di un tabernacolo di marmo da inalzarsi nella chiesa delle Monache di San Salvestro in Roma, per mettervi la testa di San Giovanni Battista. Ed il disegno piaceva al Soderini; ma prima di risolversi a farlo mettere in opera, egli ed il Rosselli di comune accordo vollero intendere il giudizio di Michelangelo. Intorno a questo lavoro ci sono parecchie lettere al Buonarroti del Soderini e del Rosselli.
146. Da Filicaia.
147. Suo garzone.
148. I Cinque Conservatori del Contado erano un Magistrato, al quale era commesso il mantenimento e la difesa della giurisdizione, confini, giuspadronati, ragioni, beni e proventi delle Comunità, Terre e Popoli del Dominio fiorentino. Nella Riforma del 1559 i Cinque del Contado e gli Otto di Pratica furono aboliti, ed in loro luogo si creò colla medesima loro autorità un altro Magistrato, che fu detto de' Nove Conservatori della Giurisdizione e Dominio.
149. Pubblicata dal Grimm, Op. cit., pag. 722.
150. Cancelliere dell'ufficio delle Tratte.
151. Dicevasi tamburare, l'accusare segretamente un cittadino con denunzia scritta e messa dentro una cassetta, chiamata tamburo, appiccata presso la porta d'un ufficiale.
152. Cioè il lavoro della figura di bronzo di papa Giulio.
153. Annibale Bentivogli, raccolti nel Ducato di Milano seicento fanti, aveva in que' giorni tentato di rientrare in Bologna; ma Francesco Alidosi, detto il Cardinal di Pavia, che vi era legato per la Chiesa, col far tagliare la testa ad alcuni cittadini che tenevano pratica co' Fuorusciti, aveva fatto cadere d'animo i Bentivogli e i loro partigiani, e così quietato la città.
154. La lettera è degli ultimi di luglio o de' primi d'agosto 1508. Vedi quella che scrive Michelangelo a Lodovico suo padre che è la VII, dove si parla appunto dei cattivi portamenti di Giansimone e de' disordini fatti da lui in casa, e delle minacce contro suo padre.
155. La presente lettera, mancante al solito di data, si crede scritta ne' primi giorni d'aprile del 1532, supponendo che l'andata di Michelangelo a Roma fosse per trattare, cogli agenti del Duca d'Urbino, la faccenda della sepoltura di papa Giulio. Ed infatti a' 29 di quel mese ed anno fu stipulato nuovo contratto, col quale Michelangelo, tra gli altri patti, si obbligò a fare di sua mano sei statue, e a dare finito tutto il lavoro nello spazio di tre anni.
156. Fattucci, cappellano di Santa Maria del Fiore, ed amicissimo di Michelangelo.
157. Manca l'indirizzo.
158. Sua nipote, e figliuola di Buonarroto.
159. Anche in questa, come nella precedente, manca l'indirizzo.
160. Michele di Niccolò Guicciardini, marito fino dal 1537 della Francesca sua nipote.
161. Michelangelo aveva assegnato per dote alla Francesca sua nipote il podere di Pozzolatico, detto Capiteto. Ma poi se lo riprese nel 1540, mediante lo sborso di 700 ducati.
162. Fattucci.
163. Fattucci.
164. Erano i marmi che Michelangelo aveva nella sua stanza di Via Mozza, comprati in questo anno dal duca Cosimo de' Medici, e che servirono a Baccio Bandinelli per il lavoro del Coro del Duomo. Pe' quali fu sborsato il prezzo che si dice nella lettera, finito di pagare al Buonarroti nel settembre del 1559.
165. Intendi del ritratto del duca Cosimo.
166. Manca l'indirizzo. Si vede bene che questa lettera fu scritta da Michelangelo, quando Lionardo andò a Roma a visitarlo dopo la grave sua malattia: il che Michelangelo ebbe molto per male.
167. Ossia il provento del porto del Po a Piacenza.
168. Così nell'autografo. Intendi: altrettanta somma di danari.
169. Sta così nell'autografo. Ma vale l'osservazione fatta nella lettera precedente.
170. Alessandro Vellutello, il cui Comento alla Divina Commedia fu stampato la prima volta in Venezia dal Marcolini nel 1544.
171. La sottoscrizione manca.
172. Bernardino di Piero Basso, scarpellino.
173. Le cantine.
174. Di qui scrive il Del Riccio. Però Michelangelo sottoscrive.
175. Michelangelo era stato gravissimamente malato, in modo che era venuta la nuova in Firenze della sua morte. Stette in casa degli Strozzi, ed il Del Riccio, loro ministro ed amico di Michelangelo, lo governò ed assistè con grandissima cura ed amorevolezza.
176. La lettera è scritta da messer Luigi del Riccio.
177. Di qui scrive Michelangelo.
178. Sta così nell'autografo.
179. Così si legge.
180. Ossia nel Quartiere di Santa Croce.
181. Da queste parole s'intende che Michelangelo credeva che veramente l'origine della sua famiglia fosse da' Conti di Canossa.
182. Pubblicata dal Grimm, Op. cit., pag. 737.
183. Del Riccio, morto sul finire del 1546.
184. Mancano le parole: a mandare.
185. Manca una parola; forse, mando.
186. Intendi: del tôrre moglie.
187. Il porto del Po a Piacenza era stato concesso a Michelangelo da Paolo III con Breve del dì 1º di settembre 1535, affinchè colla sua entrata, che si stimava di 600 ducati all'anno, potesse essergli assicurata la metà della pensione vitalizia di 1200 ducati, assegnata a lui da papa Clemente VII. Di questa entrata però non potè Michelangelo conseguire il formale possesso prima del maggio 1538. E perchè egli, per dimorare in Roma, non poteva riscuotere i proventi di quel porto, avevalo dato in affitto a Francesco di Giovanni Durante da Piacenza. Ma Michelangelo non godè quel possesso senza contrasti e litigi: e prima per parte della signora Beatrice Trivulzio, la quale, pretendendo diritti sul fiume, vi aveva aperto un nuovo passo, e ne riscuoteva il pedaggio, con non piccolo scapito di Michelangelo; e ci volle tutta l'autorità della Camera Apostolica, perchè fosse tolto di mezzo questo inconveniente. Venne dipoi il Comune di Piacenza, che desiderava di assegnare in benefizio del proprio Studio pubblico i frutti del porto; ed in ultimo si presentarono i fratelli Baldassarre e Niccolò della Pusterla, i quali affermavano avervi diritto per concessione imperiale; e ne mossero lite, che andò assai in lungo con grande noia e sdegno di Michelangelo; sebbene Pier Luigi Farnese duca di Parma procurasse di quietarlo con buone promesse. Ma dopo la morte violenta di quel Duca, e la conseguente caduta di Piacenza nelle mani di Carlo V, la Camera Imperiale prese per suo il porto del Po, e così Michelangelo restò privato per sempre di quel contrastato provento. Intorno a questo fatto, vedi Amadio Ronchini; Michelangelo e il Porto del Po a Piacenza: negli Atti e Memorie della Deputazione di Storia patria per le Provincie Modenesi e Parmensi.
188. Cioè, consumando il capitale senza frutto, per non esercitarlo.
189. Giuliano, pittore. Morì d'anni 79, a' 17 di febbraio 1554.
190. Così dice per svista, invece di lettere.
191. Questo che segue è pubblicato dal Grimm, Op. cit., pag. 739.
192. Forse, dire.
193. Parla del suo cognome, il quale voleva si dicesse de' Buonarroti Simoni, per essere stati nella sua famiglia parecchi individui col nome di Simone e di Buonarroto, sebbene egli si sottoscriva sempre Buonarroti.
194. Manca la sottoscrizione.
195. La lettera è scritta da Bianello de le quattro Castella il dì 8 d'ottobre 1520. In essa dice il Conte, che ricercando nelle cose antiche di sua casa aveva trovato un messer Simone da Canossa essere stato nel 1250 Potestà di Firenze. Da questo messer Simone si pretendeva aver avuto principio in Firenze i Buonarroti Simoni. Pare che Michelangelo credesse a questa sua parentela coi Conti di Canossa, e il Condivi, che si sa avere scritto la Vita del Buonarroti, secondo le informazioni avute in gran parte da lui, racconta la stessa cosa; come pure il Vasari, sebbene dubitativamente, il Borghini nel suo Riposo, il Varchi nell'Orazione funebre, il Mazzucchelli negli Scrittori italiani, ed il Litta nella Famiglia Buonarroti, seguitando semplicemente la tradizione. Ma la vanità di questa credenza, e come essa contraddica alla verità storica, è stata ultimamente mostrata con buone ragioni ed argomenti dal marchese Giuseppe Campori nel suo Catalogo degli Artisti italiani e stranieri negli Stati Estensi. Modena, 1855, in-8º.
196. La prima parte di questa lettera è pubblicata dal Grimm, Op. cit., pag. 731.
197. Morì a' 9 di gennaio del 1548, e fu sepolto nell'avello gentilizio in Santa Croce.
198. Pare che accenni alla crudele legge mandata fuori dal duca Cosimo l'undici di marzo del 1548 contro i cospiratori, i ribelli e i discendenti loro: la quale legge per essere stata compilata, secondo gl'intendimenti del Duca, da Jacopo Polverini da Prato, auditore fiscale, fu chiamata La Polverina.
199. Michelangelo, quando nel luglio del 1544 fu gravemente ammalato, stette in casa degli Strozzi.
200. Ripetuto così nell'autografo.
201. Tra le carte dell'Archivio Buonarroti è una copia del tempo di Michelangelo della sua natività, cavata dalle Ricordanze di Lodovico suo padre. Noi la riferiamo nella medesima forma sua, parendoci documento di qualche importanza:
«Ricordo come ogi questo dì 6 di marzo 1474 mi nacque uno fanciulo mastio: posigli nome Michelagnolo; et nacque in lunedì matina innanzi di 4 o 5 ore, et nacquemi, essendo io potestà di Caprese, et a Caprese nacque e compari furno questi di sotto nominati. Battezossi addì 8 detto nella chiesa di S.to Giovanni di Caprese. Questi sono e' compari.
»Don Daniello di Ser Bonaguida da Firenze, rettore di Santo Giovanni di Caprese.
»Don Andrea di.... da Poppi, rettore della Badia di Diariano (Larniano?).
»Giovanni di Nanni da Caprese.
»Jacopo di Francesco da Casurio.
»Marco di Giorgio da Caprese.
»Giovanni di Biaggio da Caprese.
»Andrea di Biaggio da Caprese.
»Francesco di Jacopo del Anduino da Caprese.
»Ser Bartolomeo di Santi del Lanse, nottaro.»
Nota che addì 6 di marzo 1474 è alla Fiorentina ab incarnatione, et alla Romana ab nativitate è 1475.
202. Il porto del Po. Vedi quel che è stato detto alla nota 1 della Lettera CLXXIX.
203. Manca la sottoscrizione.
204. Per costui fece Michelangelo il cartone della Venere baciata da Amore, dipinto poi stupendamente in tavola da Jacopo da Pontormo: ed ora si conserva nella Reale Galleria di Firenze.
205. In un libro di Ricordi di Lionardo Buonarroti, segnato A, che tira dal 1540 al 1565, si legge a carte 92 verso, che la limosina di 50 ducati d'oro fu pagata per la figliuola di Niccolò di messer Giovanni Cerretani, accettata per monaca nel monastero di Santa Verdiana di Firenze.
206. Giuliano, pittore.
207. Realdo Colombo, medico celebre.
208. Manca la sottoscrizione.
209. Questa possessione era posta ne' popoli di San Giorgio e di San Lorenzo a Grignano, podesteria di Radda. Michelangelo la comprò per la detta somma dagli Uffiziali de' Pupilli, curatori dell'eredità di Pierantonio di Gio. Francesco de' Nobili, per contratto rogato sotto dì 18 giugno 1549 da ser Piero dell'Orafo, notaio fiorentino.
210. Manca la sottoscrizione.
211. Munizione, ossia, buona provvista.
212. Manca la sottoscrizione.
213. Così sta nell'autografo. Intendi: appresso a quelle.
214. Di questa Suor Domenica parla il Busini nelle sue Lettere al Varchi, e la dice donna dabbene, sensata e ben parlante. Essa si credeva profetessa, ed era per la sua bontà ascoltata volentieri e assai favorita dagli uomini più riputati che maneggiarono le cose della Repubblica nel tempo dell'assedio.
215. Dice così nell'autografo.
216. Paolo III, morto a' 10 di novembre 1549.
217. Di questi Brevi, l'uno è del primo di settembre 1535, col quale il Pontefice elegge Michelangelo a supremo architetto, scultore e pittore del Palazzo Apostolico; e più gli concede il passo del Po presso Piacenza, che si stimava fruttare 600 scudi all'anno, e così la metà della pensione annua vitalizia di 1200 scudi assegnatagli da papa Clemente VII. L'altro è del 18 di dicembre 1537 per cagione della pittura della Sistina e della sepoltura di papa Giulio.
218. Vittoria Colonna.
219. Così nell'autografo.
220. Le Rime della Vittoria Colonna furono stampate la prima volta nel 1538 in Parma. Poi, con una giunta di stanze, nel 1539, senza luogo e stampatore. Una terza edizione colla giunta di 16 sonetti spirituali, è quella di Firenze del suddetto anno. Finalmente una quarta, colla giunta di 24 sonetti spirituali e del Trionfo della Croce, fu fatta in Venezia nel 1544. Le posteriori non si notano. Delle molte lettere che deve avere scritto la Colonna a Michelangelo, oggi sei sole se ne conoscono, e sono tutte pubblicate. Cinque da copie tratte da' loro originali conservati nell'Archivio Buonarroti, furono stampate dal marchese Giuseppe Campori nelle Lettere artistiche inedite: Modena, Soliani, 1867 in-8º, ed una dal Grimm, dall'originale che è nel Museo Britannico.
221. Dice così, forse per scorso di penna, invece di zio.
222. Bernardetto, vescovo d'Arezzo, morto nel 1574.
223. Vasari.
224. Manca la sottoscrizione.
225. La confessione della dote di 1500 ducati fu fatta da Lionardo a' 16 di maggio del 1553 per strumento rogato da ser Ottaviano da Ronta, notaio fiorentino.
226. Dice così.
227. Forse Lattanzio Cortesi.
228. Così nell'autografo, e voleva dire: contentatevi.
229. Così è scritto nell'autografo.
230. Scrive così per svista, invece di acordatevene.
231. Così sta.
232. Copiata da Michel.º Buonarroti il giovane.
233. Cosimo de' Medici.
234. Sono da gran tempo perduti.
235. Di San Lorenzo.
236. Morì il 13 di novembre di quest'anno.
237. Fra le carte dell'Archivio Buonarroti esiste la copia del testamento che Francesco del fu Bernardino degli Amatori da Castel Durante, infermo di corpo, fece sotto il dì 24 novembre (per svista del copiatore è scritto 24 di dicembre) 1555 pei rogiti di ser Vitale Galgani, notaio. Noi ne daremo il seguente transunto:
Lascia di esser seppellito, dopo la sua morte, nella chiesa della Minerva.
Dice che da madonna Cornelia di Guido dei Colonnelli da Castel Durante, sua moglie, ebbe fiorini 700 per parte della dote di fiorini mille promessigli ed assegnati sopra una certa casa posta in Castel Durante nel Quartiere di San Cristofano: i quali danari vuole che sieno pagati ad essa madonna Cornelia sopra la detta casa.
Lascia alla detta sua moglie 50 fiorini, che il testatore pagò a Guido padre di lei, al tempo della divisione di essa casa fatta tra lui e il detto Guido.
Vuole che 200 fiorini avuti sopra la detta casa sieno pagati a madonna Cornelia da' suoi eredi, i quali sono Michelangelo suo figliuolo, e il figliuolo che nascerà da madonna Cornelia gravida. Nel caso poi che di lei nascesse una figliuola, vuole che al suo tempo essa sia maritata con dote di 500 fiorini.
Lascia che dopo quattro anni dalla sua morte il suo erede sia tenuto a maritare due fanciulle povere.
Sostituisce nel caso di morte de' suoi eredi la Confraternita di Santa Caterina di Castel Durante, volendo che i frutti della sua eredità sieno dispensati a' poveri.
Nomina suoi esecutori testamentari e tutori de' figliuoli pupilli, messer Michelangelo Buonarroti, Roso de' Rosi e Pier Filippo Vandini da Castel Durante.
Fatto in Roma nel Rione di Trevi, nella camera del detto testatore, nella casa di messer Michelangelo Buonarroti, alla presenza de' testimoni: ser Sebastiano del fu Pietro Marianetti da San Gimignano in Toscana, soprastante della Fabbrica di San Pietro di Roma; Francesco di Gio. Filippo Perfetti da Castel Torchiaro da Parma, pizzicaiuolo al Macello de' Corvi; maestro Paolo del fu Bartolommeo Ducci dal Borgo San Sepolcro, scarpellino; Mario di Bartolo, scarpellino dal Borgo San Sepolcro; Vitale di Girolamo da Urbino, scarpellino; Antonio di Bisino da Carona Ghiringhelli della Diocesi Milanese, muratore, abitatore in Borgo, e Stefano di Giovanni da Romano, Diocesi di Brescia, muratore.
238. L'Urbino morì, come s'è veduto, il 3 di dicembre 1555. Michelangelo ne aveva scritto da più d'un mese.
239. Nell'autografo era dapprima stato segnato l'anno 1556, e poi corretto nel 1559; ma non è dubbio che deve dire 1556.
240. La moglie dell'Urbino.
241. Così si legge.
242. Vasari.
243. Vedi una lettera di Michelangelo al Vasari del 28 di maggio 1556. Messer Salustio è il figliuolo di Baldassarre Peruzzi, anch'esso architetto morto annegato in Germania.
244. Aleotti, chiamato dal Buonarroti il Tantecose.
245. Manca, dieci scudi.
246. Manca, faccia o farà.
247. Queste parole sono così ripetute ancora nell'autografo.
248. Malenotti da San Gimignano, entrato nel luogo dell'Urbino morto.
249. Il podere, con casa da signore e da lavoratore, era posto nel popolo di Santa Maria da Settignano, in luogo detto Scopeto. Comprollo Michelangelo da messer Giannozzo di Gherardo da Cepperello per 650 scudi, con strumento rogato da ser Niccolò Parenti, sotto dì 28 luglio 1556.
250. Buonarroto, fratello di Michelangelo e padre di Lionardo, morì, per quanto pare, di peste a' 2 di luglio del 1528, e, come si narra, fra le braccia di Michelangelo.
251. Così dice.
252. Di questa gita a Spoleto scrive Michelangelo al Vasari in una sua lettera del 18 di settembre del medesimo anno. Egli era partito da Roma per fuggire i pericoli, da' quali era minacciata la città per la mossa dell'esercito spagnuolo guidato dal duca d'Alva, il quale partito da Napoli fino dal 1 di settembre, aveva invaso gli Stati della Chiesa, governata allora da Paolo IV.
253. Pare che debba dire: novembre.
254. Marinozzi d'Ancona, cameriere del duca Cosimo de' Medici.
255. Il Marinozzi nominato nella precedente.
256. Questo bellissimo modello di legname si conserva ancora nell'Archivio della Fabbrica di San Pietro. È alto metri 5,40, compresa la croce, e largo metri 3,86. Da esso si rileva che Michelangelo aveva disegnato la chiesa ed in special modo alcune parti della cupola e della lanterna, in maniera diversa da quella che dopo la sua morte fu fatta dagli architetti che la seguitarono e compirono.
257. Manca la sottoscrizione.
258. Cioè, la Cornelia moglie d'Urbino.
259. La presente è cavata dalla copia fatta dall'originale da Michelangelo il giovane.
260. Quel che segue manca negli stampati.
261. Pubblicata nelle Lettere pittoriche, e nella nuova edizione delle Rime e Lettere di Michelangelo fatta dal Barbèra in Firenze nel 1858, in-24º.
262. Da una copia di mano di Michelangelo Buonarroti il giovane, il quale vi pose questa avvertenza: Questa qui indiretta a Lionardo era nel medesimo piego del foglio, come è qui e nella medesima lettera (cioè in quella dove è la pianta della Cupola).
263. Di questa terribile piena d'Arno, avvenuta il 13 di settembre del 1557, la quale dopo aver rovinato ponti, mulini e gualchiere nel Casentino e nel Mugello, inondò Firenze, ruppe il Ponte a Santa Trinita, parte di quello delle Grazie, e fece altre rovine, alzando l'acqua per le piazze quasi due metri, parlano gli storici di quel tempo. Poco tempo innanzi anche il Tevere aveva traboccato ed inondato tutta Roma, con la rovina del Ponte Sant'Angelo, e di altri edifizi.
264. Manca la sottoscrizione.
265. Di mano di Lionardo è scritto sopra, di Luglio.
266. Cioè, Laura di Gio. Antonio Battiferro da Urbino, celebre poetessa de' suoi tempi.
267. Qui Michelangelo segna l'anno secondo il computo fiorentino, già dismesso da lui, come abbiamo veduto, nelle lettere precedenti scritte al Nipote.
268. Così è ripetuto nell'autografo.
269. Dice così.
270. Michelangelo per svista, o per difetto di memoria, ha segnato il dì 8 di febbraio: mentre dal ricordo del Nipote si rileva che veramente la lettera fu scritta il 18 di quel mese.
271. Con strumento del 5 di giugno 1501 il cardinale Francesco Piccolomini, che poi fu papa Pio III, aveva allogato a Michelangelo quindici statue di marmo di Carrara per ornamento d'una sua cappella nel Duomo di Siena. A' 15 settembre del 1504 fu confermato il detto contratto da Jacopo ed Andrea Piccolomini, fratelli ed eredi del detto Papa, e poi ratificato agli 11 di ottobre del medesimo anno da loro e da Michelangelo con strumento rogato da ser Donato Ciampelli. Questo strumento fu pubblicato da Domenico Manni nelle Addizioni alle Vite di Michelangiolo Buonarroti e Pietro Tacca: Firenze, per il Viviani, 1774, in-4º.
272. Francesco Bandini Piccolomini, il quale, dopochè Siena cadde in potere degli Spagnuoli e di Cosimo de' Medici, s'era riparato a Roma, e quivi poi morto; protestando di non voler più ritornare alla sua sede, se prima la patria non fosse stata restituita alla libertà.
273. Così dice per svista, invece di 12.
274. Averardo Serristori.
275. Con questa finiscono le lettere di Michelangelo al Nipote che sono pervenute fino a noi. Dal 28 di dicembre del 1563, fino al 18 di febbraio del 1564, che fu l'ultimo della sua vita, non se ne trova neppure una scritta a Lionardo; il che non pare possibile: onde bisogna credere che sieno andate smarrite.
276. Trovasi nella Filza 68, a c. 316, del Carteggio privato de' Medici innanzi il principato.
277. Pubblicata la prima volta da Michelangelo Gualandi nelle Memorie originali di Belle Arti, Serie terza, pag. 112, e di nuovo nella Nuova Raccolta di lettere pittoriche, vol. I, pag. 18, e ripubblicata nel Prospetto cronologico della Vita di Michelangelo nell'edizione del Vasari fatta dal Le Monnier, vol. XII, pag. 339, e finalmente nella edizione delle Rime e Lettere di Michelangelo Buonarroti fatta da Enrico Guglielmo Saltini in Firenze nel 1858, coi tipi del Barbèra, in-24º.
278. Raffaello Riario. Vedi quel che è stato detto intorno a lui, ed a' lavori commessi a Michelangelo, nella nota a pag. 3 di questa Raccolta.
279. Paolo di Pandolfo fiorentino, morto nel 1509.
280. Baldassarre del Milanese che aveva venduto al cardinale di San Giorgio il Cupido dormiente di Michelangelo per cosa antica, e del prezzo cavatone truffato lo scultore. Vedi quel che di questo fatto parlano il Condivi ed il Vasari. Il Cupido passò poi nelle mani del duca Valentino, e poi in quelle della marchesa Isabella Gonzaga di Mantova. Oggi non si sa dove sia andato.
281. Mercante fiorentino nel banco di Iacopo Gallo romano, ed amicissimo del Buonarroti.
282. La lettera apparisce di fuori essere indirizzata al pittore Alessandro Botticelli, ma veramente è scritta a Lorenzo di Pier Francesco de' Medici. Poteva essere allora di un qualche pericolo il mostrare di scrivere apertamente ad uomo che apparteneva ad una famiglia, della quale era Piero, figliuolo di Lorenzo il Magnifico, stato da poco tempo cacciato da Firenze.
283. Lettera importantissima, perchè aggiunge qualche altro particolare intorno al fatto della fuga di Michelangelo da Roma, narrato più o meno largamente da tutti i suoi Biografi.
284. Gli azzurri richiesti da Michelangelo a frate Iacopo, è certo che dovevano servire per la pittura della vôlta della Sistina, e perciò la lettera deve essere del maggio 1508. Essa fu pubblicata per la prima volta da Gio. Batt. Uccelli nella sua operetta: Il Convento di San Giusto alle Mura e i Gesuati. Firenze, 1865.
E qui parmi opportuno di avvertire che la massima parte delle lettere scritte da Michelangelo a varii, mancano, per essere in bozza, di qualunque indicazione di data; e quella che io ho cercato di assegnare a loro, è stata per lo più desunta dalle lettere indirizzate al Buonarroti, o da' riscontri de' fatti accennati in quelle.
285. Credo che questo Baldassarre sia figliuolo di Giampaolo di Cagione, e fratello di Bartolommeo detto il Mancino da Torano, il quale aveva venduto il 18 di novembre 1516 a Michelangelo in Carrara varii pezzi di marmo bianco della cava del Polvaccio. E di questa vendita e del prezzo pagato al detto Bartolommeo esiste nell'Archivio Buonarroti di mano di Michelangelo un contratto del 18 di novembre 1516, fatto alla presenza di maestro Domenico Fancelli, scultore fiorentino, e di Stefano di Gio. Batt. Guerrazzi suo discepolo. Mancando ogni indicazione di tempo o di luogo, è assai difficile il determinare la data di questa lettera. È per mera congettura che le si è assegnato l'anno 1512, sapendosi che Michelangelo, finita la pittura della vôlta della Sistina, riprese a lavorare nella sepoltura di papa Giulio, per la quale dovevano certamente servire i marmi che maestro Baldassarre di Cagione aveva promesso di condurgli a Roma.
286. Il modello della facciata di San Lorenzo che Michelangelo aveva dato a fare a Baccio d'Agnolo.
287. Cioè, Francesco di Gio., scarpellino da Settignano, detto La Grassa.
288. Questa compagnia fu fatta con contratto del 12 di febbraio 1517 tra Michelangelo, e i carraresi Lionardo di Cagione e Giandomenico di Marchiò, per cavare insieme i marmi in un'antica cava posseduta dal suddetto Lionardo: la qual compagnia doveva durare tanto tempo, che esso Michelangelo si fosse fornito de' marmi che aveva di bisogno per l'opera della facciata di S. Lorenzo. E la nuova compagnia fu fatta co' medesimi a' 14 di marzo del detto anno.
289. Si diceva per proverbio di chi nel condurre una faccenda pigliasse sopra di sè la fatica e la spesa, che egli faceva come maestro Pier Fantini, medico, il quale nella cura de' suoi malati vi rimetteva, oltre l'arte sua, ancora l'unguento e le pezze.
290. La sepoltura di papa Giulio; e le sollecitazioni venivano dal cardinale Aginense.
291. Scritta da Firenze nel marzo del 1518.
292. Gli Operai di Santa Maria del Fiore.
293. Proventi.
294. Francesco da Corbignano, scarpellino.
294a. Luca Signorelli.
294b. Silvio Falcone da Magliano nella Sabina.
294c. Doveva essere una delle figure dette dei prigioni che andavano nella sepoltura di papa Giulio.
295. La lettera è stracciata da un lato.
296. Avevalo comprato a' 14 di luglio del detto anno.
297. È in risposta ad una lettera di Pietro Urbano del 3 settembre 1518.
298. Michele di Pietro detto Battaglino, scarpellino da Settignano, già ricordato altra volta.
299. Lionardo di Compagno, fiorentino, era di mestiere sellaio e amicissimo di Michelangelo, e stava in Roma nella bottega o banco de' Borgherini. Di lui sono nel Carteggio del Buonarroti molte lettere.
300. Pietro Urbano.
301. Benti.
302. Il Cristo risorto allogato a Michelangelo per 200 ducati da messer Metello Varj, romano, con contratto del 14 di giugno 1514.
303. Lionardo Grosso Della Rovere, detto il Cardinale Aginense, nipote di papa Giulio II, il quale aveva allogato a Michelangelo la sepoltura dello zio, come uno de' suoi esecutori testamentarii.
304. Del Piombo.
305. È un'altra bozza della medesima lettera precedente.
306. Questa lettera, dove tra l'altre cose si parla della colonna che si ruppe, è mancante per tutta la metà della lunghezza del foglio. A questa rispose Pietro Urbano con una sua del 6 (forse 26) d'aprile del detto anno. Le stesse cose suppergiù dice Michelangelo nella precedente.
307. Il contratto è del 13 d'aprile 1519, e fu rogato da Ser Giovanni del fu Paolo della Badessa. In esso Iacopo di Tomeo detto Pollina abitante in Torano villa di Carrara, Antonio detto Leone d'Iacopo Puliga da Puliga, e Francesco detto Bello di Iacopo Vannelli da Torano, si obbligarono di cavare dalla cava appartenente al detto Leone dodici pezzi di marmo di più grandezze.
308. Stampata la prima volta nei Monumenti del Giardino Puccini a pag. 579 (Pistoia, tipografia Cino, 1846, in-8º gr. fig.); e poi nel Prospetto cronologico della Vita e delle Opere di Michelangelo Buonarroti posto in fine alla Vita sua scritta dal Vasari, nell'edizione Le Monnier, vol. XII, pag. 354.
309. Pietro Urbano si trovava da qualche giorno in Pistoia, per rimettersi in sanità, dopo la grave malattia che lo aveva assalito a Carrara, dove era andato di commissione di Michelangelo per pagare gli scarpellini, che cavavano colà i marmi per conto delle statue della facciata di San Lorenzo. Michelangelo appena ebbe nuove del male di Pietro, si partì di Firenze in poste, e fu a Carrara, e trovato il suo garzone molto grave, lo fece levare di là e portare sulle spalle degli uomini a Seravezza, e quivi lasciatolo al governo di Domenico detto Topolino, scarpellino, gli commise che, tostochè Pietro fosse alquanto migliorato, facesselo condurre a Pistoia. Dice Michelangelo in certi suoi ricordi, che per questa gita a Carrara, per il medico e le medicine, e per condurre Pietro da Carrara a Seravezza si trovò avere speso trentatre ducati e mezzo.
310. È una variante della lettera antecedente.
311. Sono state supplite di corsivo le parole che per essere lacero il foglio mancavano.
312. Sebastiano del Piombo in un capitolo di una sua lettera a Michelangelo, scritta da Roma a' 3 di luglio 1520, dice così: «Io portai quella (lettera) al Cardinale (Dovizi da Bibbiena), el qualle mi fece molte careze et offerte, ma di quello che io domandavo, lui mi disse che 'l Papa hauea dato la salla de' Pontiffici a li garzoni di Raphaello, et che costoro hauea facto una mostra de una figura a olio in muro, ch'era una bella cossa, de sorta che persona alcuna non guarderia le camere che ha facto Raphaello; che questa salla stupefaria ogni cossa, et che non sarà la più bella opera facta da li antichi in qua de pictura. Et da poi mi domandò, se io hauea lecta la vostra littera. Io li disse de nonne. Lui se ne rise molto; quasi che ne faceva beffe: et con bone parolle me partii. Da poi io ho inteso da Bacino de Michelagnolo (Bandinelli) che fa el Laoconte, che 'l Cardinale li ha mostrato la vostra littera, et àlla mostrata al Papa: che quasi non c'è altro sugieto che rasonar in Palazo, se non la vostra litera: et fa ridere ogn'omo.»
313. Pubblicata dal Grimm, Op. cit., pag. 711.
314. Mandollo a Roma per mezzo di Pietro Urbano nel dicembre del 1517, come abbiamo detto indietro.
315. Il contratto tra papa Leone X e Michelangelo per il lavoro della facciata di San Lorenzo fu stipulato in Roma il 19 gennaio 1518. Michelangelo si obbligò di fare la detta facciata a tutte sue spese in tempo di otto anni, e per il prezzo di quaranta mila ducati d'oro in oro larghi.
316. L'Opera di Santa Maria del Fiore.
317. Pietro d'Urbano, il quale ne' primi giorni del marzo del 1521 s'era mosso da Firenze alla vòlta di Roma, per condurvi la figura del Cristo risorto, che doveva esser posta nella Minerva. Giunta la statua in Roma nell'aprile seguente, Pietro, avendo commissione di ritoccarla, la stroppiò in alcune parti, come nel piede destro e nella mano destra, onde Michelangelo pregò Federigo Frizzi, scultore fiorentino dimorante in Roma, che volesse rimediarvi; ed egli in questo si portò tanto bene, che in tutto soddisfece al Buonarroti.
318. Giovanni di Baldassarre, bravo ed ingegnoso orafo fiorentino, detto il Piloto, fu amico di Michelangelo, e lo accompagnò fino a Venezia nella sua fuga da Firenze al tempo dell'assedio. Fu anche amico del Cellini, il quale parla di lui più volte nella sua Vita, come pure lo ricorda il Vasari. Morì di ferite nel 1536.
319. Michelangelo fa il proprio nome e il cognome, schizzando un angelo, cioè testa e ali, e tre palle, due appaiate ed una che sta loro sopra.
320. Fattucci, altre volte nominato.
321. E qui disegna con la penna una macina.
322. È questi il cardinale Domenico Grimani, veneziano, patriarca d'Aquileia e vescovo di Porto, al quale Michelangelo aveva promesso di dipingere un quadretto per tenere nel suo studio. La lettera del Cardinale al Buonarroti è dell'undici di luglio 1523.
323. Fu già pubblicata per la prima volta nei Monumenti del Giardino Puccini: Pistoia, tip. Cino, 1845, in-8º, e poi nel Prospetto cronologico della Vita e delle opere di Michelangelo Buonarroti. Vedi Vasari, Le Monnier, vol. XII, pag. 361.
324. Domenico di Giovanni di Bertino Fancelli, scarpellino da Settignano, nato nel 1464. Costui aveva fantasia di voler essere scultore, e qualche volta Michelangelo si pigliava spasso di lui, vedendolo lavorare.
325. Il cardinale Giulio de' Medici, eletto papa col nome di Clemente VII il 19 di novembre 1523.
326. Di questa lettera è un'altra bozza, di poco variata, nel detto Archivio Buonarroti.
327. Stefano di Tommaso, il quale lasciata l'arte sua del miniare si era dato all'architettura; e Michelangelo si servì di lui nel muramento della Cappella de' sepolcri medicei, non senza averne ricevuto dispiaceri, come vedremo più innanzi. Morì il 10 dicembre del 1534.
328. È noto che nell'anno 1503 Pietro Soderini, gonfaloniere perpetuo della Repubblica di Firenze, allogò a dipingere l'una metà della Sala del Consiglio nel palazzo della Signoria a Lionardo da Vinci, e l'altra a Michelangelo; e che per fare queste loro opere aveva il Buonarroti disegnato il famoso cartone con un episodio della guerra di Pisa, e il Vinci dipinto il suo, dove era un gruppo di cavalieri che combattevano per l'acquisto d'una bandiera. Una delle cose più notabili in questo racconto è il dirsi che Giulio II mandò un uomo apposta a Firenze a richiedere Michelangelo, e condurlo a Roma. Il che non si legge in nessuno de' suoi biografi.
329. Allogati a Michelangelo con deliberazione de' 24 di aprile 1503. Ma di queste dodici figure che dovevano andare in Santa Maria del Fiore in luogo delle antiche pitture degli Apostoli fatte da Bicci di Lorenzo, è noto che Michelangelo non ne cominciò che una sola, la quale è il San Matteo, oggi conservata, appena abbozzata, nell'Accademia delle Belle Arti di Firenze.
330. Atalante, figliuolo naturale di Manetto Migliorotti fiorentino, nacque nel 1466 e fu scolare di Lionardo da Vinci nel sonare il liuto. Giovanetto di circa sedici anni fu condotto dal Vinci a Milano, allorchè egli andò alla corte di Lodovico il Moro. Atalante fino dal 1513 era uno de' soprastanti alla fabbrica di San Pietro, nel qual ufficio durava ancora nel 1516. Le sue memorie non vanno oltre il 1535.
331. Il contratto è dell'8 di luglio 1516, e fu stipulato tra Lionardo Grosso, detto il Cardinale Aginensis, nipote di papa Giulio, e Lorenzo Pucci, cardinale del titolo de' Santi Quattro, esecutori testamentari di papa Giulio, da una parte, e Michelangelo dall'altra; il quale si obbligò di fare la detta sepoltura secondo un nuovo disegno e modello, dentro il termine di nove anni e per il prezzo di sedici mila cinquecento ducati, compresi i 3500 già ricevuti.
332. Pubblicata dal Grimm, Op. cit., pag. 708. Altra bozza della precedente.
333. Vedi quello che intorno a maestro Bernardino è stato detto a pag. 75, nota 2, di questa Raccolta.
334. Stefano miniatore, andato a Carrara per conto dei marmi delle sepolture medicee.
335. Questa bozza di lettera è scritta dietro una di Lionardo sellaio, del 28 dicembre 1523.
336. Si chiamava per proprio nome Andrea di Cristofano, e fu famigliare, commensale e calzaiuolo di papa Leone, colla provvisione di sei ducati al mese, accresciuta poi fino a otto e mezzo.
337. È scritta dietro il disegno di numero 112.
338. Stefano miniatore.
339. Di questa lettera, il cui originale è tra gli altri preziosi manoscritti posseduti da Lord Ashburnham, io debbo la copia alla molta cortesia del detto nobilissimo signore, al quale per tanta liberalità non posso fare a meno di rendere qui quelle pubbliche grazie e maggiori che io so.
340. Della sepoltura di papa Giulio.
341. Il Rettore dell'Arte de' Giudici e Notai.
342. Cioè, crediti di Monte.
343. A questa rispose il Fattucci con una del 21 di luglio del detto anno dove parla del mandare a Carrara pe' marmi e delle sepolture de' Papi.
344. Scritto con matita rossa a grandi lettere.
345. Frammento di lettera pubblicato dal Duppa in fac-simile nella Vita di Michelangelo: Londra, 1807, e ristampato da Domenico Campanari nella sua Illustrazione del ritratto di Vittoria Colonna.
346. Della sepoltura di papa Giulio.
347. In testa di questa lettera si legge di mano di Michelangelo: «A dì 24 dicembre. Copia d'una mandata a ser Giovan Francesco, a Roma nel 1524.»
348. Salviati.
349. Intendi: della sepoltura di papa Giulio.
350. Di questo contratto non si trova lo strumento nell'Archivio Buonarroti, nè altrove, che io sappia.
351. Credo il ritratto di esso Anton Francesco, stupenda opera, che oggi si crede perduta; se forse non è quello dipinto da Bastiano, che si vede a' Pitti nella camera della Giustizia sotto il num. 409.
352. Di cognome Dini, morto nel sacco di Roma.
353. Forse il già detto ritratto dell'Albizzi.
354. Copia di mano d'Antonio Mini.
355. Dei papi Pio II e Pio III, le quali allora erano in San Pietro, ed oggi si vedono in Sant'Andrea della Valle.
356. Di questa lettera è nell'Archivio Buonarroti una bozza della mano di Michelangelo.
357. Questa strana idea era veramente venuta in mente al Papa, il quale ne scrisse a Michelangelo e ne fece scrivere dal Fattucci. Ma poi non se ne fece altro.
358. Intendi: la porta a San Gallo.
359. Era fantasia di Michelangelo, e in questo il Papa s'accordava volentieri, di fare nella Cappella di San Lorenzo sei sepolture: due de' Magnifici, ossia di Lorenzo vecchio e di Giuliano suo fratello; due de' Duchi, Lorenzo d'Urbino e Giuliano di Nemours; e due dei papi, Leone e Clemente. Ma perchè il luogo non pareva tanto capace, e perchè Michelangelo fu dipoi in altri lavori occupato, egli fece solamente le sepolture de' Duchi colle figure sopra i cassoni; e delle tre statue che dovevano andare sull'altare della detta Cappella, abbozzò appena quella della Nostra Donna, e le altre due de' Santi Cosimo e Damiano fece condurre di marmo, secondo il suo disegno, dal Montorsoli. Oltre le figure che dovevano ornare i cassoni per le dette sei sepolture, aveva pensato Michelangelo di porre in terra quelle di quattro Fiumi. Ed un modelletto di terra di uno di questi Fiumi io credo, senza nessun dubbio, che sia quello posseduto dal chiarissimo cav. Emilio Santarelli, scultore fiorentino.
360. Pare che in questa lettera si parli del gruppo di Sansone che abbatte un Filisteo, tre anni dopo allogato a Michelangelo, cioè nel luglio del 1528; e che egli non fece. Ebbelo poi a fare il Bandinelli: ed è il gruppo d'Ercole e Cacco, che si vede ancora presso le scale del Palazzo Vecchio.
361. In testa della presente lettera è scritto dalla medesima mano di Michelangelo: «Copia d'una mandata a Giovanni Spina, a dì dieci novembre del 1526.»
362. È la risposta di Michelangelo alla lettera di ser Marcantonio, che è sotto.
363. Questa lettera è importantissima sotto ogni rispetto, conoscendosi chiaramente per essa e dalla bocca medesima di Michelangelo, che egli fuggì di fatto da Firenze, non perchè gli mancasse l'animo a durare nella difesa della patria; ma perchè temè di capitar male per opera de' suoi nemici di dentro.
364. Michelangelo il Giovane ha scritto dietro la lettera: «Dettemela non mi ricordo chi: credo il canonico Nori.»
365. Pubblicata dal Gaye. Carteggio inedito d'Artisti, ec., tomo III, pag. 373.
366. Quando, fuggito da Firenze, fu sul finire del settembre 1529 a Venezia.
367. È tolta dal codice autografo delle Poesie di Michelangelo conservato nell'Archivio Buonarroti, ed è scritta sotto il madrigale che comincia: Se 'l fuoco alla bellezza fusse equale.
368. A questa lettera Sebastiano rispose a' 25 di marzo del 1532.
369. Intendi per conto della sepoltura di papa Giulio, avendone Michelangelo fatta in Roma nuova convenzione cogli agenti del Duca d'Urbino mediante strumento del 29 d'aprile 1532.
370. Altra bozza della lettera precedente.
371. Forse intende di dire che sarebbe lecito di chiamare amico colui, al quale si è donata la propria amicizia.
372. Altra bozza della medesima lettera.
373. Francesco di Bernardo Galluzzi fino dal 1525 teneva a pigione una casa in via Ghibellina, che fu già abitazione di Michelangelo, e ne pagava 22 fiorini larghi d'oro in oro l'anno.
374. Delle sepolture medicee.
375. Questa bozza di lettera pare che sia del 28 luglio 1533, leggendosi in una di Sebastiano del 25 luglio che i detti Madrigali erano stati musicati da Costanzo Festa e dal Concilion, eccellentissimi maestri di quei tempi, e cantori della Cappella papale: de' quali Madrigali aveva Sebastiano dato due copie a messer Tommaso de' Cavalieri.
376. Altro principio della precedente lettera.
377. Se queste lettere fossero veramente, come appariscono, indirizzate al Cavalieri, noi non sapremmo spiegare certe espressioni usate da Michelangelo; come: Luce del secol nostro unica al mondo: che non ha pari nè simile a sè; anzi rispetto al Cavalieri, giovane ancora, e sebbene non senza qualche ingegno, pure di troppo minore di quelle lodi, esse ci parrebbero non che eccessive, ma ancora strane. Solamente, tenendo che in realtà le lettere, o almeno il loro contenuto, dovessero per mezzo di messer Tommaso essere comunicate alla Vittoria Colonna, quelle espressioni si spiegano. Certo Michelangelo non poteva con verità dire di essere molto inferiore al Cavalieri, come benissimo poteva e con ragione riconoscersi tale appetto alla Colonna. Pure sarà sempre in qualche modo oscuro, come Michelangelo per far conoscere l'affetto suo, che egli non dubita di chiamare grandissimo, anzi smisurato amore, verso quella nobilissima e virtuosa donna, stimasse migliore espediente, almeno in su i principii di quello, di significarlo per lettere scritte ad altri, piuttostochè indirizzate a lei. La quale non si può credere che non accogliesse volentieri le dichiarazioni d'amicizia di Michelangelo; perchè alla Colonna più che le lodi del mondo dovevano fare più dolce forza, e meglio contentare il suo cuore di donna e di letterata, quelle sincere e spontanee del grande artista, al quale avevano portato e portavano altissima reverenza ed amore fino i Papi ed i Monarchi.
378. La lettera è stracciata da una parte. A questa rispose l'Angiolini con una sua de' 18 ottobre.
379. Sotto Michelangelo stesso vi ha aggiunto: «Copia d'una lettera al Figiovanni il sopradetto dì.»
380. Turini da Pescia.
381. Partì per Roma sul fine di quel mese.
382. È stampata nel libro I a pag. 287 della Nuova scelta di Lettere di diversi nobilissimi ingegni, ec., fatta da messer Bernardino Pino: Venezia, 1574, in-8º. Fu poi ristampata nel vol. II delle Pittoriche: ed è in risposta ad una dell'Aretino del 13 di settembre del detto anno, dove vorrebbe che Michelangelo seguisse un suo concetto circa al modo di rappresentare in pittura il Giudizio.
383. È in risposta ad una del Martelli, e si trova copiata nel Libro de' Capitoli dell'Accademia degli Umidi: manoscritto originale nella Nazionale di Firenze, classe VII, codice IV, 2. Si legge ancora tra le Pittoriche, vol. VI, pag. 98 (Edizione del Silvestri): ma oltre essere un po' rammodernata, manca dell'anno e del luogo. Nella stampa la lettera dal Martelli diretta a Michelangelo è del 4 dicembre 1540. Perciò o è sbagliata la data di questa, o di quella di Michelangelo.
384. Intendi: Madrigale.
385. Giannotti.
386. È nel codice autografo delle Poesie di Michelangelo sotto il madrigale: Per c'al superchio ardore.
387. Parla della ratificazione del contratto stipulato coll'oratore del Duca d'Urbino a' 20 d'agosto 1542 per conto della sepoltura di papa Giulio II.
388. Nel Codice detto, sotto il madrigale: Non è senza periglio Il tuo volto divino.
389. Nel Codice detto, sotto la poesia: Spargendo il senso il troppo ardor cocente.
390. Arcadelt o Arcadente, musico eccellente fiammingo, il quale, al pari del Festa e del Concilion, aveva messo in musica alcuni madrigali di Michelangelo.
391. Da Montauto.
392. Bracci.
393. Con contratto del 16 di maggio 1542 il Buonarroti aveva allogato a maestro Giovanni de' Marchesi da Saltri, scarpellino abitante in Roma, ed a Francesco d'Amadore detto l'Urbino, suo servitore, il resto del lavoro del quadro della sepoltura di papa Giulio che doveva andare in San Pietro in Vincoli. Ma essendo nata differenza fra maestro Giovanni e Francesco, ed avendo essi di comune consenso ceduto a Michelangelo la detta opera; egli di nuovo la riallogò a loro nel giugno di detto anno, con altri patti e convenzioni. E perchè la differenza che era tra loro consisteva più che in altro nella quantità del lavoro che ciascuno pretendeva di avere fatto in quell'opera, furono chiamati a stimarlo tre maestri, i quali dettero il loro lodo agli otto di luglio seguente. Ma siccome di questo lodo pare che non fossero in tutto rimasti contenti Giovanni e l'Urbino, restando sempre qualche cagione di lite tra loro; così Michelangelo vi mise di mezzo Luigi del Riccio, perchè vedesse modo di accordarli. Il secondo contratto e il lodo sono riferiti dal Gaye nel vol. II del Carteggio inedito, ec., pag. 293 e seg.
394. Questo spazio è nell'originale.
395. Il foglio è lacero.
396. È scritta di mano di Luigi del Riccio, e trovasi nel codice 303 della classe XXXVII della Biblioteca Nazionale di Firenze. Fu pubblicata dal Gaye nel vol. II del Carteggio inedito, ec., pag. 297.
397. Nell'occhietto: «1542. Copia d'una scritta data messer Michelagnolo Buonarroti a messer Piergiovanni, guardaroba di Nostro Signore, a dì 20 di luglio 1542.»
398. Aliotti, guardaroba del Papa, e vescovo di Forlì.
399. Questa lettera, nella quale Michelangelo dà un minuto ragguaglio delle cose che gli accaddero per conto della sepoltura di papa Giulio II, si trova in copia, forse di mano di Luigi del Riccio, nel cod. 1401 della cl. VIII della Biblioteca Nazionale di Firenze. Essa fu pubblicata per la prima volta da Sebastiano Ciampi (Firenze, Passigli, 1834, in-8º), e poi ristampata nel Commentario alla Vita di Michelangelo Buonarroti, vol. XII, pag. 312, dell'Opera del Vasari, edita in Firenze dal Le Monnier. Il Ciampi, mancando la lettera di data, argomentò che fosse stata scritta tra il 1535 e il 1536; ma è chiaro per certissimi riscontri che essa è dell'ottobre 1542. Quanto al Monsignore, al quale pare che sia indirizzata, fu congetturato che fosse Marco Vigerio, vescovo di Sinigaglia, stato mediatore tra Michelangelo e il Duca d'Urbino, perchè questi si risolvesse a mandare la desiderata ratificazione del contratto stipulato in Roma a' 20 d'agosto 1542, per la sepoltura suddetta. Forse potrebbe essere il cardinale Ascanio Parisani, il quale per commissione del Papa aveva scritto al Duca, perchè désse qualche assetto alla faccenda di Michelangelo. Ma forse questa lettera fu scritta ad uno de' tanti prelati che erano nella Corte di Paolo III; forse fu data allo stesso Del Riccio, perchè poi la leggesse al Papa. Non è poi dubbio che essa non fosse veramente dettata da Michelangelo, apparendovi manifesta la forma che egli soleva dare a' suoi pensieri; e che solamente al copiatore, cioè al Del Riccio, si possono attribuire certe dichiarazioni oziose ed inutili, le quali misero in sospetto il Gaye della sua autenticità.
400. È quello del 29 d'aprile 1532.
401. Giovanmaria Della Porta, che ebbe parte principale nella stipulazione di quel contratto.
402. Francesco Maria Della Rovere.
403. Girolamo Tiranno.
404. Creato vescovo di Corsica nel dicembre del 1520.
405. Manca nel codice questo in necessario.
406. Cioè, il contratto del 20 d'agosto 1542.
407. Di questi tre Brevi non si conosce che quello degli 8 luglio 1506, col quale Michelangelo è invitato a ritornare a Roma, assicurandolo che non sarebbegli dato molestia.
408. Copia di Luigi del Riccio.
409. Forse Tommaso Cortesi da Prato.
410. Federigo Cesi, poi cardinale di San Pancrazio.
411. Copia di mano di Luigi del Riccio.
412. Montemelini, perugino.
413. In questa lettera si parla della fortificazione di Borgo ordinata da papa Paolo III, per la quale fu richiesto il consiglio di molti uomini intendenti della materia, tra i quali Michelangelo. Il capitano Montemelini era d'un parere, e d'un altro Iacopo Castriotto. Michelangelo, per quanto apparisce, si accostava all'opinione di quest'ultimo, che fu poi seguitata dal Papa.
414. Questa lettera, che certamente è scritta a papa Paolo, sebbene manchi d'indirizzo, parla del cornicione del Palazzo Farnese, per il quale fu disputa tra Michelangelo e il Sangallo, architetto di quello. È noto che al Papa piacque sopra gli altri il modello fatto dal Buonarroti, secondo il quale fu poi costruito il detto cornicione. Che questa lettera sia veramente scritta dalla mano di Michelangelo, non ci pare da mettere in dubbio; solamente dubitiamo che non sia stata composta da lui, parendoci d'una forma spesso non solo diversa da quella di Michelangelo, ma ancora dalla toscana.
415. Era stato gravemente ammalato in casa degli Strozzi, e già era corsa voce che egli fosse morto.
416. Rontini, medico.
417. Mercanti fiorentini nel Banco degli Strozzi in Roma.
418. Questa stessa fu pubblicata dal Gaye, Carteggio inedito, ec., vol. II, da una copia di mano di messer Luigi del Riccio, che è tra i manoscritti della Biblioteca Nazionale di Firenze.
419. Dall'autografo delle Poesie, sotto il madrigale: S'è ver come che dopo il corpo viva.
420. Giannotti, il quale fece tre sonetti in morte di Cecchino Bracci, che sono stampati nella edizione delle sue Opere politiche e letterarie, fatta in Firenze da L. F. Polidori, coi tipi del Le Monnier nel 1850. De' tre, quello che a Michelangelo pareva il più bello, come pare anche a noi, è il sonetto che comincia: Messer Luigi mio, di noi che fia.
421. Pubblicata anche questa dal Gaye, Op. cit., traendola da una copia di mano di Luigi del Riccio, che è tra i manoscritti della Biblioteca Nazionale di Firenze.
422. Dall'autografo delle Poesie, sotto il madrigale che comincia: Non può per morte già chi qui mi serra. Questo madrigale o epitaffio fu fatto con molti altri dal Buonarroti per Cecchino di Zanobi Bracci, fiorentino, giovanetto bellissimo, grandemente amato dal Del Riccio suo parente e da Michelangelo, e morto di sedici anni in Roma l'otto di gennaio 1545. Volle il Del Riccio fargli un deposito di marmo, e Michelangelo a sua preghiera ne diede il disegno. I madrigali in lode del Bracci si leggono nella bellissima edizione di tutte le Poesie del Buonarroti, fatta, secondo gli autografi, in Firenze nel 1863, dal mio carissimo amico e collega cav. Cesare Guasti. In questa lettera il Buonarroti spiega il concetto del madrigale suddetto.
423. Sotto la poesia: Dal Ciel fu la beltà mia diva e 'ntera.
424. Lunghezza chiamavasi una villa posseduta dagli Strozzi nelle vicinanze di Roma.
425. Sotto la poesia: Nella memoria delle cose belle; nel detto codice delle Poesie.
426. Nel detto codice autografo delle Poesie, sotto il madrigale: Non sempre al mondo è sì pregiato e caro.
427. Giuliano de' Medici, fratello di Lorenzino, uccisore del duca Alessandro, e Roberto degli Strozzi, fratello di Pietro e di Leone.
428. Della sepoltura di papa Giulio.
429. È copia di mano di Luigi del Riccio. Fu pubblicata dal Gaye, Op. cit., vol. II, pag. 305.
430. La Cappella Paolina.
431. Dal detto codice delle Poesie, sotto il sonetto: Per esser manco almen, Signora, indegno.
432. Pubblicata nelle Lettere pittoriche, vol. I, pag. 9; ma quivi è indirizzata a un signor Marchese. Nell'Archivio Buonarroti è una copia tratta dal codice Vaticano delle Poesie, secondo la quale si dà la presente.
433. Il Condivi e il Vasari parlano del disegno di un Crocifisso fatto da Michelangelo per la Colonna, che si dice conservarsi ora nella Galleria di Oxford. E da una lettera della stessa Colonna, apparirebbe che Michelangelo, oltre il disegno, le dipingesse ancora un quadro col medesimo soggetto.
434. Cavalieri.
435. Veramente lo perdè un anno dopo. Vedi a questo proposito quel che è stato detto nella nota alla lettera CLXXIX di questa Raccolta.
436. Bracci. Esso fu sepolto in Santa Maria in Aracœli con questo epitaffio: Francisco · Braccio · Florentino · nobili adolescenti · immatura morte · prærepto · anno agenti XVI · die VIII · Januarii · MDXLV.
437. A proposito delle possessioni de' Corboli offerte in compera a Michelangelo, vedi le sue lettere al nipote Lionardo sotto i numeri CLXI, CLXIII e CLXIV di questa Raccolta.
438. È in risposta ad una di Francesco I, re di Francia, dell'otto di febbraio 1546, stata più volte pubblicata, cioè: nel 1823 a Roma dal De Romanis nell'opuscolo per le nozze Cardinali-Bovi, intitolato: Alcune Memorie di Michelangelo Buonarroti da' Manoscritti. Poi dal barone Alfredo Reumont nell'operetta: Ein Beitrag zum Leben Michelangelo Buonaroti's: Stuttgart, 1834; quindi in fac-simile dall'Artaud, nell'opera: Machiavel, son génie et ses erreurs: Paris, 1835, vol. II, pag. 252. In terzo luogo nel Catalogue du Musée Wicar à Lille, stampato nel 1856; nel qual Museo se ne conserva l'originale. E finalmente da Eugenio Piot, insieme con molte altre lettere, nel Cabinet de l'Amateur: Année 1861 et 1862, pag. 151. Ma il re Francesco non ebbe tempo di veder soddisfatto questo suo desiderio, perchè si morì l'anno seguente, nè forse Michelangelo avrebbe potuto attenere le sue promesse, essendo stato creato poco dopo Architetto di San Pietro.
439. Parlasi in questa lettera della stampa d'una pittura di Michelangelo. Forse è il Giudizio della Sistina intagliato da Enea Vico, forse è una delle stampe di Giulio Bonasone.
440. Il presente ordine di pagamento si trova nell'Archivio di Santa Maria Nuova di Firenze: Eredità Galli-Tassi: Carte degli Ulivieri.
441. Sotto la lettera è scritto: «Noi Bartolomeo Bettini e compagni abiamo ricevuto da Benvenuto Ulivieri e compagni scudi sesanta sei d'oro in oro, e' quali ci pagono per messer Michelagnolo Buonaroti Simoni, e sono per la paga di gennaro e febraro e marzo prossimi passati del suo Notariato di Romagnia: auti contanti questo dì 26 d'aprile 1549 a messer Piero Nannucci .... scudi 66 d'oro in oro.
»E addì xiii di giugno, scudi quaranta quatro di giuli X per ducato auti contanti per le paghe d'aprile e maggio .... sc. 44.
»E addì xj di dicembre, scudi quaranta quatro di giuli auti contanti per le paghe di giugno e luglio .... sc. 44.»
442. È copia del tempo, e Michelangelo il Giovane scrisse dietro: «Dettemela il cav. Pierantonio di Giulio de' Nobili.» Questa lettera, oltre la stampa fattane in Firenze dal Varchi nel 1549 e poi in Venezia nel 1564 dall'Aldo, si legge ancora nelle Pittoriche, vol. I, pag. 9.
443. Risponde alla questione sorta allora quale delle due arti, la Scultura e la Pittura, fosse più nobile. Il Varchi, avuto il parere di varii artisti, stampò il Libretto intitolato: Due lezioni di messer Benedetto Varchi: nella prima delle quali si dichiara un Sonetto di messer Michelagnolo Buonarroti; nella seconda si disputa quale sia più nobile arte, la Scultura o la Pittura: con una lettera d'esso Michelagnolo, et più altri eccellentissimi pittori et scultori sopra la questione sopradetta. — In Fiorenza, appresso Lorenzo Torrentino, impressor ducale. MDXLIX, in-8º.
444. Stampata nelle Pittoriche, vol. V, pag. 48.
445. Il Libretto di Benedetto Varchi, già citato, col Commento sopra il sonetto di Michelangelo: Non ha l'ottimo artista alcun concetto.
446. Fu pubblicata dal Gaye, Opera citata, vol. II, pag. 426, e dal Gualandi nel vol. I, pag. 21, della Nuova Raccolta di Lettere sulla pittura, scultura ed architettura. Bologna, 1844, in-8º.
447. Intendi: le sue Poesie.
448. Seconda minuta della precedente.
449. Cioè, le sue Poesie.
450. Terza minuta della medesima lettera.
451. Intendi: il detto Commento al suo sonetto.
452. Dal codice citato delle Poesie.
453. Cioè, Poesie.
454. Le lettere di Michelangiolo a Giorgio Vasari sono riferite nella Vita del Buonarroti, scritta dal Biografo aretino, e nelle Pittoriche. Noi le ristampiamo più corrette ed intere, servendoci di una copia che a' nostri giorni era in mano del cav. Bustelli, stata già fatta da Michelangelo il Giovane sugli originali di esse lettere, possedute allora dal cav. Giorgio Vasari il Giovane.
455. Papa Giulio III si era vòlto a fare in San Pietro a Montorio una cappella di marmo con due sepolture: l'una per il cardinale Antonio Del Monte suo zio, e l'altra per Fabiano suo avolo. Il Vasari ne aveva fatti disegni e modelli, e l'opera delle sepolture era stata allogata all'Ammannato, contentandosene Michelangelo, al quale era data la cura del tutto.
456. Cioè, della cappella e sepolture in San Pietro a Montorio che lavorava l'Ammannati.
457. Ammannato.
458. Così chiamava Michelangelo il vescovo Aliotti.
459. Frammento di lettera che si legge riportato da Benvenuto Cellini nella propria Vita; che poi di nuovo fu pubblicato nel Giornale Arcadico di Roma, tomo LVII, pag. 301, e ultimamente dal Moreni nell'Illustrazione storico-critica d'una rarissima Medaglia rappresentante Bindo Altoviti: opera di Michelangelo Buonarroti. Stampata in Firenze, per il Magheri, 1824, in-8º.
460. Di questo ritratto bellissimo di bronzo parla il Cellini nella detta sua Vita. Al tempo del Moreni era ancora nelle case degli Altoviti a piè di Ponte Sant'Angelo di Roma.
461. Il primo figliuolo nato a Lionardo suo nipote.
462. Colla lettera era il sonetto che comincia: Giunto è già il corso della vita mia.
463. La pubblicò molto inesattamente per il primo il Bottari, ed è nel vol. VI delle Pittoriche, pag. 40. Egli disse di averla tratta dall'originale presso gli eredi di Michelangelo, senza potere scoprire a chi fosse indirizzata. Ma che sia l'Ammannato non si può dubitare.
464. Questo che segue manca in tutte le stampe.
465. Delle lettere di Michelangelo al Vasari questa è pubblicata ora per la prima volta. Si trova copiata ancora nel codicetto intitolato: Copia di Poesie di Michelagnolo.
466. Anche questa era inedita.
467. Marinozzi da Ancona.
468. Con le parole che seguono, principia il Vasari un'altra lettera di Michelangelo a lui.
469. Morì a' 3 di dicembre 1555. Vedi la lettera CCLXXXIV di questa Raccolta.
470. Quel che segue non è nello stampato.
471. Cellini.
472. Anche questa è inedita.
473. Peruzzi, architetto del Papa.
474. La tavola commessa al Vasari da papa Giulio III per una cappella del Vaticano. La qual tavola, perchè non gli era stata pagata, fu poi per ordine di Pio IV fatta restituire al Vasari, e da lui mandata ad Arezzo e messa nella Pieve.
475. Il libretto mandato da Cosimo Bartoli a Michelangelo ha questo titolo: Difesa della lingua fiorentina e di Dante, con le regole di far bella e numerosa la prosa: Firenze, 1566, in-4º. È opera di Carlo Lenzoni, ma avendola per morte lasciata imperfetta, fu terminata dal Giambullari: morto il quale, pervenne alle mani del Bartoli, che la mise in stampa, dedicandola al duca Cosimo.
476. Michelangelo discorre di questa sua fermata nelle montagne di Spoleto, essendo in cammino per Loreto, in una lettera al nipote Lionardo del 31 d'ottobre 1556. Pare che dimorasse colà circa 40 giorni.
477. Si legge nel vol. I, pag. 13, delle Pittoriche.
478. Figlioccio di Michelangelo.
479. È inedita nel Carteggio del duca Cosimo, Filza 460; ed è in risposta ad una del Duca dell'otto di maggio 1557, che si legge nel vol. II, pag. 418, del Carteggio inedito d'Artisti, ec., del Gaye.
480. Malenotti.
481. Questo modello di legname è nell'Archivio della Fabbrica di San Pietro.
482. Il cardinale Rodolfo Pio da Carpi.
483. È in risposta ad una del Vasari dell'otto di maggio, che si legge nelle Pittoriche, vol. I, pag. 6, ripetuta nel vol. VIII, pag. 45.
484. Quel che segue non si legge nelle stampe passate.
485. Realdo Colombo, medico celebre.
486. Papa Clemente morì a' 25 di settembre 1534. Michelangelo dunque giunse in Roma a' 23 del detto mese. Ma certamente questa sua andata colà fu per pochi giorni, e anticipò di tre mesi l'ultima, la quale fu sul finire del dicembre di quell'anno medesimo, come per altri riscontri si può conoscere.
487. Crede Michelangelo il Giovane che qui manchi una parola, forse scusa; ma pare che, anche senza questa, il discorso torni.
488. Qui manca qualcosa, forse: non si doveva mai pigliare, o c'è di più la parola ma.
489. Le parole che seguono non sono negli stampati.
490. Quel che segue non è nelle stampe.
491. Stampata nelle Pittoriche, vol. I, pag. 4. Ma quivi la data è sbagliata, come nel Vasari.
492. Quel che segue manca nelle stampe. Traggo questa aggiunta, come alcune correzioni nel corpo della lettera, da una copia contemporanea che è presso il cav. Giuseppe Palagi.
493. Nonostante le spiegazioni da Michelangelo date al Vasari, ed il modelletto di terra mandato all'Ammannato, pure bisogna dire che la scala della Libreria di San Lorenzo, come oggi si vede, riuscì cosa alquanto lontana dal concetto e dalla intenzione del Buonarroti.
494. Da una copia già presso il cav. Bustelli.
495. Pare che fino dal 1549 Michelangelo fosse stato richiesto circa la forma della scala della Libreria. In una lettera di Lelio Torelli a Pier Francesco Riccio, maggiordomo del duca Cosimo, scritta di Firenze il 20 gennaio 1549 (1550), si dice: Io mando alla Signoria vostra una lettera di Michelangelo, ch'io m'havea proposto di ragionarli sopra la scala della Libreria di San Lorenzo; che havendo inteso che era così bella et nuova inventione, et che quella che hora si disegnava non riusciva, pensandomi che la Signoria vostra potesse cavar qualche costrutto di questa consideratione, mi feci dar questa lettera da ser Giovanfrancesco (Fattucci): la qual, come harà vostra Signoria operato, li piacerà rimandarmi; et della cosa farà quanto le piacerà. So che non propongo cosa ch'Ella non sappia, ma quando morì l'Ansuino (Andrea Sansovino) in quelle stanze era il modello di detta scala, et intendo ch'erano lavorate tutte le pietre, excetto il primo scaglione. (Archivio di Stato in Firenze, Carteggio di Pier Francesco Riccio, Filza 7ª).
496. Sta nel vol. I, pag. 10, delle Pittoriche, e fu ripubblicata dal Gaye, Op. cit., vol. III, pag. 18, secondo l'originale che è nel Carteggio del duca Cosimo de' Medici, Filza 482, carte 2.
497. De' cinque che ne fece, mandò quello scelto da' Deputati al Duca in Firenze, per mezzo di Tiberio Calcagni. Ma la chiesa de' Fiorentini fu poi fatta col disegno di altri.
498. Pubblicata dal Gaye, Op. cit., vol. III, pag. 25. L'originale sottoscritto solamente dalla mano di Michelangelo si trova nella Filza 483, carte 797, del Carteggio del duca Cosimo.
499. Si trova nella Filza 484 del detto Carteggio del duca Cosimo: è scritta da altra mano, forse da Daniello Ricciarelli, e sottoscritta da Michelangelo. Fu pubblicata dal Gaye, Op. cit., vol. III, pag. 25.
500. Il Vasari dipinse la Genealogia degli Dei nelle stanze nuove del Palazzo Vecchio, che rispondono dalla Loggia del Grano.
501. La Sala detta de' 500.
502. Pubblicata nelle Pittoriche, vol. I, pag. 11; ma senza indicazione di data e coll'indirizzo al duca Cosimo. Circa la data, si congettura il 1560; potendo benissimo essere di qualche altro anno indietro: e circa alla persona, vedendo che è scritta ad un Monsignore, si può con ragione supporre che sia il cardinale Rodolfo Pio da Carpi, il quale si sa che fu uno de' deputati sopra il governo della Fabbrica di San Pietro. E questa lettera, o meglio spiegazione, pare che fosse dettata dal Buonarroti per risposta ad un qualche dubbio statogli mosso circa alcuna parte del suo lavoro.
503. Questa lettera fa pubblicata dal Fea secondo l'originale, che egli non dice da chi posseduto, nell'operetta intitolata: Notizie intorno a Raffaele Sanzio da Urbino, ec. Roma, Poggioli, 1822, in-8º.
504. Questo Pier Filippo fu per qualche tempo uno de' tutori di Michelangelo e di Francesco, figliuoli pupilli dell'Urbino.
505. La vedova dell'Urbino, figliuola di Guido da Colonnello, la quale nell'anno dopo si rimaritò al dottor Giulio Brunelli da Gubbio.
506. Questa bozza di lettera non è di mano di Michelangelo.
507. È tra le Pittoriche, nel vol. VI, pag. 43; noi la ripubblichiamo secondo una copia contemporanea.
508. A lui donò Michelangelo la Pietà che ruppe, che oggi è nel Duomo di Firenze.
509. Non è di mano di Michelangelo, e trovasi scritta nel foglio bianco di una lettera del Vasari a Michelangelo, de' 4 di novembre 1561.
510. Cesare da Castel Durante, uno de' soprastanti alla Fabbrica di San Pietro. A costui l'otto di agosto 1563, essendo a San Pietro, furono date tre pugnalate, per le quali in breve si morì.
511. Pier Luigi Gaeta, che il Vasari dice giovane, ma sufficientissimo, al quale accadde, nel 1561 essendo mandato da Michelangelo a cambiare certi ducati d'oro vecchi, di esser preso e messo in prigione per sospetto che avesse avuto mano nel furto di un gran tesoro trovato in que' giorni nella vigna di Orazio Muti.
512. A proposito di questa pittura, per mostrare come Michelangelo, contro l'opinione d'alcuni, la cominciasse veramente nel maggio di quell'anno, ci pare opportuno di riferire il presente documento:
«A nome di Dio a dì 11 di magio 1508.
»Io Piero di Iacopo Roselli maestro di murare òne ricevuto ogi questo dì 11 magio deto di sopra, da Michelagnolo Bonaroti iscultore, ducati dieci d'oro di camera per parte di isciarvare (scialbare) la vòlta di papa Sisto in ne la cappella, e ariciare e fare quelo bisognerà: che fane fare papa Giulio. E per fede del vero òne fato questa di mia propria mano questo dì sopradeto duc. 10 d'oro di camera.
»A dì 24 di magio ducati quindici d'oro di camera ebi a dì deto e per lui da Francesco Granaci contanti duc. 15 d'oro di cam.
»E a dì 3 di gugnio ducati dieci d'oro di camera per lui da Francesco Granaci ebi contanti duc. 10 d'oro di cam.
»E a dì 10 di gugnio ducati dieci d'oro di camera per lui da Francesco Granaci ebi contanti duc. 10 d'oro di cam.
»E a dì 17 di Iulio ducati dieci d'oro di camera ebi contanti da Michelagnolo detto duc. 10 d'oro di cam.
»E a dì 27 di Iulio ducati trenta d'oro di camera per resto di ponte e de l'ariciato e di quelo òne fato insino a questo dì duc. 30 d'oro di cam.»
513. Francesco Alidosi, vescovo di Pavia.
514. Per mostrargli il modo del lavorare in fresco e d'aiutarlo.
515. Pietro d'Urbano da Pistoia.
516. Intendi: la sepoltura di papa Giulio.
517. Pubblicato la prima volta col fac-simile in litografia nel Giornale storico degli Archivi toscani, anno I, pag. 50. Firenze, Cellini, 1857, in-8º.
518. Fancelli detto il Zara, del quale è stato parlato altra volta.
519. Cioè, Pietro Urbano da Pistoia.
520. Questi Ricordi sono scritti da Pietro Urbano.
521. Il detto Fancelli.
522. Di mano di Michelangelo.
523. Questo conto fanno i cavatori.
524. Questi che seguono sono di mano di Pietro d'Urbano.
525. Pubblicato dal suo originale nel Giornale, ec.
526. Il Contratto è del 15 di marzo 1518.
527. Anche questo è stampato nel detto Giornale, ec.
528. L'Opera di Santa Maria del Fiore di Firenze.
529. Filippo di Bertocco, di Giorgio da Cagione, scarpellino, che abitava in Pietrasanta.
530. Forte Carretto a due ruote, detto anche nizza.
531. Domenico di Giovanni Bertini detto Topolino.
532. Rogato il 29 d'ottobre 1518.
533. Di qui scrive Michelangelo.
534. Donato Benti, scultore fiorentino.
535. Comprò questo sito in Via Mozza o di San Zanobi per farvi una stanza da lavorare i suoi marmi.
536. Questo Federigo Frizzi, scultore fiorentino abitante in Roma, racconciò e messe su nella chiesa della Minerva la figura di Cristo, stata guasta da Pietro Urbino.
537. Ferrucci.
538. Modesti.
539. Giovanni. Erano denari della provvisione che gli faceva pagare papa Clemente.
540. Queste prime partite del 4 d'aprile sono d'altra mano; quel che segue è scritto da Michelangelo.
541. Giovanni di Baldassarre, orefice, detto il Piloto. Lavorò per la Sagrestia di San Lorenzo la palla faccettata della cupola, e per la casa de' Medici in Via Larga fece una gelosia di rame traforata a una finestra inginocchiata disegnata da Michelangelo. Morì di ferite nel 1536.
542. Intendi: il gruppo della Madonna con Gesù bambino, e Sant'Anna che è nella chiesa d'Or San Michele.
543. Buonarroto, fratello di Michelangelo, morì di peste a dì 2 di luglio 1528.
544. Intendi: che abitava nella Via degli Alberighi.
545. Montigiani.
546. Bartolommea Della Casa.
547. Da Panzano, madre di Antonio Mini che stava con Michelangelo.
548. Per sospetto che anch'essi fossero ammorbati.
549. Buonarroto lasciò tre figliuoli: Lionardo, Simone e Francesca. Simone morì fanciullo.
550. Questo conto di spese è in un foglio, dove Michelangelo aveva principiato una lettera in questo modo: «Honorando mio maggiore. In Venezia oggi questo dì dieci di settembre.»
La data del principio della lettera fa supporre che due sieno state le gite di Michelangelo a Venezia: l'una sul finire dell'agosto 1529, partendosi da Ferrara dove era stato mandato a vedere le fortificazioni; e l'altra quando fuggì da Firenze il 21 di settembre. Il conto delle spese riguarda questa seconda gita, essendovi nominati il Corsini, il Mini e il Piloto, che gli furono compagni.
551. Questo Ricordo è scritto da Francesco Granacci.
552. Il Podere di Pozzolatico.
553. Cioè, la Madonna nella sepoltura di papa Giulio in San Pietro in Vincola. Sandro detto lo Scherano fu de' Fancelli da Settignano, e nacque da Giovanni di Sandro scultore, fratello di Domenico detto il Zara.
554. Ebbe il provento di questo ufficio di Rimini, dopo che perdè l'altro del passo del Po di Piacenza.
555. Fu eletto papa col nome di Paolo IV, il 23 di maggio 1555.
556. I Ricordi per tal conto vanno fino al luglio del 1563.
557. Giovanni della Groslaye, francese, cardinale del titolo di Santa Sabina e chiamato il Cardinale di San Dionigi.
È noto che il gruppo della Pietà stette dapprima nella cappella di Santa Petronilla del vecchio San Pietro, e che poi rovinata la detta cappella nella riedificazione di quel tempio, fu trasportato nell'altra detta della Madonna della Febbre, dove ancora si vede. Michelangelo per provvedere il marmo che gli bisognava, fu senza dubbio a Carrara; e di queste, che furono forse le sue prime gite colà, abbiamo la prova nelle seguenti due lettere del Cardinale suddetto: l'una agli Anziani di Lucca, pubblicata dal marchese Campori nelle Notizie biografiche degli Artisti della provincia di Massa: Modena, Vincenzi, 1874, in-8º, e l'altra, fino ad ora inedita, alla Repubblica di Firenze.
(Archivio di Stato in Lucca.)
«Magnifici ac potentes Domini tanquam fratres honorandi. — Novamente ci semo convenuti con maestro Michele Angelo di Ludovico statuario fiorentino presente latore, che ei faccia una pietra di marmo, cioè una Vergine Maria vestita con Cristo morto, nudo in braccio, per ponere in una certa Cappella, quale noi intendemo fondare in S. Piero di Roma nel luocho di Sancta Peronella; et conferendosi lui al presente lì in quelle parti per far cavar et condurre qui li marmi a tale opera necessarij, noi confidentemente preghiamo le Signorie vostre a nostra comtemplatione li prestino ogni aiuto et favore per tal cosa, come da lui più a pieno gli sarà exposto: il che tutto reputaremo esser fatto in noi propio come in verità sarà facto: et di tal benefitio non ci scorderemo: ma achadendo che mai possiamo riservire le Signorie vostre in cosa alchuna per effecto, intenderano quanto questo haveremo hauto accepto et grato. Bene valete.
«Rome, die xviii novembris 1497.
«Io: tituli Sancte Sabine
presbiter Cardinalis
Sancti Dionisij, ec.»
(Archivio di Stato in Firenze.)
«Excelsi ac potentes Domini tanquam fratres precipui, salutem. — Per che intendemo esser impedito a Carrara uno nostro; quale havemo mandato lì per cavare marmi et farli condure a Roma per une certa opera che intendemo domino concedente far fare in una nostra cappella in S. Piero di Roma, ricurremo a le Signorie Vostre, pregandole vogliano scrivere per tal modo al Marchese di quello luoco, al quale etiam noi scrivemo, che mediante el conveniente prezo da pagarsi per dicto nostro, ogni impedimento rimoto, li lassi cavare et trasportare dicti marmi, et si degni prestarli ogni aiuto, non sia per alcuno modo turbato, o vero in longo detenuto. Il che certamente haveremo da le Signorie Vostre a gratia singulare. Et a li suoi beneplaciti sempre ce offerimo. Bene valete.
Rome, die vij aprilis 1498.
M. Saxoferratensis.»
Da queste lettere si rileva che il lavoro era già cominciato da Michelangelo circa un anno innanzi alla presente allogazione.
558. Si vede che questa dichiarazione fu fatta da Michelangelo sopra la bozza della scritta passata tra lui e il Cardinale per quest'opera innanzi la definitiva allogazione di essa.
559. Questo contratto, tolto dai Rogiti di ser Francesco da Montalcino nell'Archivio de' Contratti di Siena, fu impresso la prima volta nel vol. III, pag. 19, dei Documenti per la storia dell'Arte senese, raccolti ed illustrati dal dott. Gaetano Milanesi. Siena, Porri, 1856, in-8º.
560. Andrea Fusina milanese, che aveva dato il disegno della Cappella, e lavoratone il quadro e gli ornamenti.
561. È questi lo scultore fiorentino, che fu emulo del Buonarroti.
562. Esiste questo strumento tra i Rogiti del Ciampelli nell'Archivio generale de' Contratti di Firenze. Noi non abbiamo creduto di riferirlo, perchè in pochi particolari differisce da quello che si leggerà più innanzi, rogato da ser Lorenzo Violi sotto il dì 11 ottobre 1504.
563. Archivio dell'Opera di Santa Maria del Fiore: Deliberazioni degli Operai dal 1496 al 1507, c. 186. Fu pubblicato dal Gaye: Carteggio inedito d'Artisti, vol. II, pag. 454. Fino dal 2 di luglio del medesimo anno gli Operai avevano pensato a far finire la statua rimasta nell'Opera male abbozzata e guasta da maestro Agostino di Antonio di Duccio, al quale l'avevano allogata il 16 d'aprile 1463; come si rileva da questa deliberazione: «Operarii deliberaverunt quod quidam homo ex marmore vocato David male abozatum et sculptum existentem in curte dicte Opere, et desiderantes talem gigantem erigi, et elevari in altum per magistros dicte Opere in pedes stare, ad hoc ut videatur per magistros in hoc expertos, si possit absolvi et finiri.» (Libro cit., a carte 36.)
Insieme coll'allogazione della statua del David mi pare che importi di ripubblicare ancora il Parere dei principali artisti di Firenze, chiamati a proporre il miglior luogo da darsi alla detta statua. Questo Parere fu già pubblicato dal Gaye, Op. cit., vol. II, pag. 455; ma ora si dà più corretto ed intiero. A questo faranno seguito altri documenti che si riferiscono alla stessa materia.
«Die 25 mensis ianuarii 1503 (s. c. 1504).
»Prefati Operarii — viso qualiter statua vel seu David est quasi finita; et desiderantes eam locare et eidem dare locum commodum et congruum, et tale locum tempore quo debet micti et mictenda est in tali loco, esse debere locum solidum et resolidatum, ex relato Michelangeli, magistri dicti Gigantis, et Consulum Artis Lane; et desiderantes tale consilium mitti ad effectum et modum predictum; omni modo — deliberaverunt — convocari et coadunari ad hoc ut eligatur dictus (locus) infrascriptos homines et architectores — et quorum nomina sunt ista — et vulgariter notata — et eorum dicta adnotavi de verbo ad verbum:
»Andrea della Robbia
»Betto Buglioni [Benedetto di Giovanni Buglioni, scultore e maestro di terre cotte invetriate. Nacque nel 1469, e morì nel 1521.]
»Giovanni Cornuole [Giovanni di Lorenzo dell'Opere detto delle Corniuole. È celebre il ritratto in corniuola del Savonarola fatto da lui. Morì nel 1516.]
»Vante miniatore [Vante o Attavante di Gabbriello Attavanti, nato in Firenze nel 1452. Viveva ancora nel 1512.]
»L'Araldo di Palazzo [Francesco di Lorenzo Filareti.]
»Giovanni piffero [Cellini, padre di Benvenuto.]
»Lorenzo della Golpaia [L'autore del celebre Orologio, o meglio Planisferio.]
»Bonaccorso di Bartoluccio [Ghiberti.]
»Salvestro gioielliere [Del Lavacchio.]
»Michelangelo orafo [Bandinelli, padre di Baccio, scultore.]
»Cosimo Rosselli
»Guasparre orafo [Guasparre di Simone Baldini, padre di Bernardone, orafo.]
»Lodovico orafo e maestro di getti [Lodovico di Guglielmo Lotti, padre di Lorenzetto, scultore.]
»El Riccio orafo [Andrea di Giovanni, detto il Riccio.]
»Gallieno ricamatore [Gallieno di Mariano.]
»David dipintore [Del Ghirlandaio.]
»Simone del Pollaiuolo [Il Cronaca, architetto.]
»Philippo di Philippo dipintore [Filippino Lippi, pittore.]
»Sandro di Botticello pittore
»Giovanni alias vero Giuliano et
»Antonio da San Gallo
»Andrea da Monte a San Savino pittore (sic)
»Chimenti del Tasso [Clemente di Francesco del Tasso, legnaiuolo.]
»Francesco di Andrea Granacci
»Biagio pittore [Biagio d'Antonio Tucci.]
»Pietro di Cosimo pittore
»Lionardo da Vinci
»Pietro Perugino in Pinti pittore
»Lorenzo di Credi pittore
»Bernardo della Ciecha legnaiuolo. [Bernardo di Marco Renzi, intagliatore ed architetto, detto della Cecca, perchè discepolo di Francesco d'Agnolo, chiamato la Cecca, ingegnere famoso. Morì nel 1529.]
(In margine è scritto):
»Baccio d'Agnolo legnaiuolo, Giovanni piffero e fratello: ma questi non furono richiesti nè vennono.
»Francesco da Settignano [Francesco di Stoldo Fancelli.], Chimenti scultore [Clemente di Taddeo da Santa Maria a Pontanico.].
»Iacopo legnaiuolo da Santa Maria in Campo, Gio. Francesco sculptore [Rustici.].
»Questi sono arroti e non furono invitati per errore.
»Comparuerunt dicti omnes supranominati in audientia dicte Opere et tanquam moniti et advocati a dictis operariis ad perihendum et deponendum dictum et voluntatem, et locum dandum ubi et in quo ponenda est dicta statua; et primo narrando de verbo ad verbum que retulerunt ex ore proprio vulgariter:
»Maestro Francesco, araldo della Signoria. Io ho rivolto per l'animo quello che mi possa dare el iuditio: havere due luoghi dove può sopportare tale statua: el primo dove è la Iuditta; [La Giuditta di bronzo di Donatello.] el secondo el mezo della corte del Palagio dove è il David primo;[Il David di bronzo del Verrocchio.] perchè la Iuditta è segno mortifero: e non sta bene, havendo noi la ✠ per insegnia et el giglio; non sta bene che la donna uccida l'uomo, et maxime essendo stata posta con chattiva chostellatione; perchè da poi en qua siete iti di male in peggio et perdèsi Pisa. Et David della Corte è una figura e non è perfetta, perchè la gamba sua di drieto è sciocha. Pertanto io consiglierei che si ponesse questa statua in uno de' due luoghi; ma più tosto dovè è la Iuditta.
»Francesco Monciatto, legnaiuolo, rispose et disse: Io credo che tutte le cose che si fanno si fanno per qualche fine; e così credo; perchè fu fatta per mettere in su i pilastri di fuori, o sproni intorno alla chiesa [Di Santa Maria del Fiore.]. La causa di non ve la mettere, non so; e quivi a me pareva stéssi bene in ornamento della chiesa et de' Consoli. E mutato loco, io consiglio che stia bene, poi che voi vi siete levato dal primo obietto, o in Palazo, o intorno alla chiesa: e non bene resoluto, referirommi al decto d'altri, come quello che non ò bene pensato per la extremità del tempo, del luogo più congruo.
»Cosimo Rosselli. Et per messer Francesco et per Francesco s'è detto bene: che credo stia bene intorno a quello Palazo. Et aveo pensato di metterlo dalle schalee della chiesa dalla mano ritta chon uno inbasamento in sul chanto di dette schalee, con uno inbasamento et ornamento alto, et quivi le metterei, secondo me.
»Sandro Botticello. Cosimo à detto apunto dove a me pare esser veduto da' viandanti; et dall'altro canto con una Iuditta, o nella Loggia de' Signiori; ma piutosto in sul canto della chiesa: et quivi iudico stia bene, et esser el miglior luogo da' Lorini.
»Giuliano da San Gallo. L'animo mio era vòlto in sul chanto della chiesa dove à detto Cosimo et è veduta da' viandanti: ma poi che è cosa pubblica, veduto la imperfectione del marmo, per lo essere tènero e chotto, et essendo stato all'acqua, non mi pare fussi durabile. Pertanto per questa causa ò pensato che stia bene nell'archo di mezo della Loggia de' Signori o i' nel mezo dell'archo, che si potessi andarle intorno, o dal lato drènto presso al muro nel mezo chon uno nichio nero di drieto in modo di cappelluzza: che se la mettono all'acqua verrà mancho presto: et vuole stare coperta.
»El sicondo Araldo [Angelo Manfidi, genero del primo Araldo.]. Vegho el detto di tutti e tutti a buono senso intendono per varii modi: et ricercando e luoghi rispetto a' diacci e freddi, ò examinato volere stare al coperto, e el luogo suo essere nella Loggia detta e nell'archo presso al Palazo, et quivi stare coperta et essere honorata per chonto del Palazzo; et se nell'archo di mezo si romperebbe l'ordine delle cerimonie che si fanno quivi per e' Signori e li altri magistrati. (In margine): Questo aggiunse poi dopo il detto d'ognuno all'ultimo. Et avanti che si disponghino le Magnificentie Vostre dove à stare, lo chonferiate con li Signori, perchè vi è de' buoni ingiegni.
»Andrea vocato el Riccio orafo. Io mi achordo dove dicie messer Francesco araldo, et quivi stare bene coperta et essere quivi più stimata et più riguardata quando fussi per essere guasta, et stare meglio al coperto et e' viandanti andare a vedere, et non tal cosa andare incontro a' viandanti et che noi e' viandanti l'andiàno a vedere, et non che la figura venghi a vedere noi.
»Lorenzo della Golpaia. Io m'achordo al detto dell'Araldo di sopra e del Riccio e di Giuliano da San Gallo.
»Biagio dipintore. Io credo che saviamente sia detto et io sono di questo parere, che meglio sia dove à detto Giuliano, mettendola tanto drento non guasti le cerimonie delli uffici si fanno in nella Loggia o veramente in su le schalee.
»Bernardo di Marcho. Io mi appicho a Giuliano da San Gallo ed a me pare buona ragione, et vonne chon detto Giuliano per le ragioni da lui dette.
»Leonardo di ser Piero da Vinci. Io confermo che stia nella Loggia dove à dètto detto Giuliano in su el muricciuolo, dove s'appichano le spalliere allato al muro chon ornamento decente e in modo non guasti le cerimonie delli uffici.
»Salvestro. E' s'è parlato e preso tutti i luoghi et che le siano tal cose vedute et dette. Credo che quello che l'à facta sia per darle miglior luogo. Io per me mi stimo intorno al Palazo stare meglio, e che quello che l'à facta niente di mancho, come ò detto, sappia meglio el luogo che nissuno, per l'aria e modo della figura.
»Philippo di Philippo. Io (sic) per tutti è stato detto benissimo, et credo che el maestro habia miglior luogo et più lungamente pensato el luogo e da lui s'intenda, confirmando el detto tutto di chi à parlato: che saviamente si è detto.
»Gallieno richamatore. A me, secondo mio ingiegno e veduto la qualità della statua, disegno stia bene dove è el lione di Piaza chon uno inbasamento in ornamento: el quale luogo a tal statua è conveniente, e el lione mettendo allato alla porta del Palazo in sul chanto del muricciuolo.
»David dipintore. A me pare che Gallieno habia detto el luogo tanto degnio quanto altro luogo, et quello sia el luogo congruo et commodo: et porre el lione altrove dove à detto, o in altro luogo dove meglio fussi iudicato.
»Antonio legnaiuolo da San Gallo. Se el marmo non fussi tènero, el luogo del lione è buono luogo: ma non credo fussi sopportato, essendo stato quivi lungo tempo. Pertanto essendo el marmo tènero, mi pare di darli luogo nella Loggia: e se non fussi così, in sulla strada e' viandanti durino faticha a vederla insino quivi.
»Michelangelo orafo. Questi savi hano bene detto et maxime Giuliano da San Gallo. A me pare che el luogo della Loggia sia buono; e se quello non piacesse, nel mezo della sala del Consiglio.
»Giovanni piffero. Poichè vegho la existimatione vostra, io confermerei el detto di Giuliano, se si vedesse tutta: ma non si vede tutta: ma e' s'à pensare alla ragione, all'aria, alla apertura, alla pariete et al tecto: pertanto bisognia andarle intorno: et dall'altro lato potrebbe uno tristo darle chon uno stangone. Mi pare sia bene nella corte del Palazo, dove dixe messer Francesco araldo, et sarà grande conforto allo autore, essendo in luogo degnio di tale statua.
»Giovanni Cornuole. Io ero vòlto a metterla dove è el lione, ma non haveo pensato el marmo essere tènero et havere a esser guasto dall'acqua et freddi: pertanto io iudico che stia bene nella Loggia, dove Giuliano da San Gallo à detto.
»Guasparre di Simone. A me pareva metterla in sulla piaza di San Giovanni: ma a me pare la Loggia più comodo luogo, poichè è tènera.
»Pietro di Cosimo dipintore. Io confirmo el decto di Giuliano da San Gallo et più che se ne achordi quello che l'à facta, che lui sa meglio come vuole stare.
»Li altri sopra nominati e richiesti chol detto loro per più brevità qui non si scripsono. Ma el detto loro fu che si riferirono al decto di quelli di sopra et a chi uno et chi a un altro de' sopra detti sanza discrepanza.» (Libro detto delle Deliberazioni degli Operai di Santa Maria del Fiore, c. 71 e segg.)
«Die 25 februarii 1501 (s. c. 1502).
»Spectabiles viri Consules Artis Lane — deliberaverunt quod Operarii possint dare Michelangelo de Bonarrotis sculptori flor. 400 largos de auro in auro pro Gigante incepto per eum, computatos (sic) id quod habuit usque nunc, et quod possint sibi dare fioren. sex largos pro mense, donec fuerit finitum; et teneatur eum complevisse ad minus infra duos annos ab hodie ita quod in effectu possint expendere usque ad integram perfectionem dicti Gigantis flor. 400 largos de auro in auro.» (Libro cit., a c. 41 tergo.)
«Die 28 dicti mensis.
»Prefati Operarii — visa dicta deliberatione facta sub dicta die 25 februarii presentis, per predictos — spectabiles — Consules, ut supra, de declarando per dictos Operarios salarium dicti Michelangeli de Bonarrotis, et quod possint dicti Operarii declarare et facere dictam mercedem et salarium; et audita petitione tam facta per dictum Michelangelum, quam voluntate dictorum Consulum; vigore auctoritatis predicte, declaraverunt dictum pretium et mercedem dicti Michelangeli pro faciendo et conficiendo plene et perfecte dictum Gigantem seu David, existentem in dicta Opera et iam semifactum per dictum Michelangelum, fuisse et esse floren. 400 largorum de auro in aurum, et eidem dictam summam persolvendam per camerarium dicte Opere, finito dicto Gigante, et cum salario quolibet mense, prout alias per dictos Consules factum fuit — et usque ad dictum tempus et perfectionis (sic) dicti Gigantis — computatis in dictam summam flor. 400, id quod tunc habuisset vel habuerit.» (Libro cit., a c. 42 e 42 tergo.)
«Die xxviij mensis maii 1504.
»Item dicti domini — deliberaverunt quod statua marmorea Gigantis ad presens in eorum platea existens collocetur et ponatur in eo loco in quo ad presens est aerea statua Iudit ante portam eorum Palatii, et propterea illa Iudit exinde removeatur.
»Item — deliberaverunt quod precipiatur spectabilibus viris Operariis Opere sancte Marie Floris de Florentia, quatenus quam citius fieri potest, iumptibus tamen et expensis dicte opere, ordinent et provideant magistros et manovales ac lignamina et omnia alia opportunos et opportuna ad conducendum et collocandum statuam marmoream in platea dictorum dominorum existentem ad locum et in loco in quo collocari debet.» (Deliberazioni de' Signori e Collegi del 1503-1504, c. 49.)
«Die xj iunii 1504.
»Deliberaverunt quod precipiatur spectabilibus Operaris Opere sancte Marie Floris de Florentia quatenus sumptibus et expensis dicte Opere quam citius fieri potest facere faciant basam marmoream subtus et circum circa pedes gigantis ad presens ante portam eorum palatii existentis modo et forma et prout designabitur per Simonem del Pollaiuolo et Antonium de Sancto Gallo, architectores florentinos.» (Deliberazioni dette, a c. 52.)
564. Libro delle Deliberazioni de' Signori e Collegi del 1501 e 1502, n. 94, a c. 89 t. Fu pubblicata dal Gaye, Op. cit., vol. II, pag. 55.
565. Questa statua di bronzo era destinata, come è noto, a Monsignor di Nemours, chiamato il Marescial di Gie; ma, dopochè egli cadde dalla grazia del Re di Francia, fu dalla Repubblica mandata a donare al segretario Robertet.
566. Anche questa allogazione fu pubblicata dal Gaye, Op. cit., vol. II, pag. 473. Noi la riproduciamo corretta ed ampliata secondo che sta nel libro originale delle Deliberazioni degli Operai di Santa Maria del Fiore dal 1496 al 1507. Si sa che di queste dodici statue di Apostoli, Michelangelo cominciò solamente quella del San Matteo, la quale appena in parte abbozzata, rimasta per tre secoli nell'Opera, fu a' nostri giorni trasportata nell'Accademia delle Belle Arti di Firenze.
567. Fatte da Bicci di Lorenzo, pittore fiorentino.
568. Qui manca un verso.
569. Questo contratto è tra i Rogiti di ser Lorenzo Violi, e fu pubblicato la prima volta da Domenico Maria Manni nell'opuscolo: Addizioni necessarie alle Vite de' due celebri statuarii Michelagnolo Buonarroti e Pietro Tacca. — In Firenze, MDCCCLXXIV, nella stamperia di Pietro Gaetano Viviani, in-8º. — Ma delle quindici statue Michelangelo pare non ne facesse che quattro, cioè San Pietro, San Paolo, San Pio e San Gregorio, oltre l'aver riformato e perfezionato il San Francesco cominciato da Pietro Torrigiano. Chi poi facesse l'altre statue, che pur si vedono nella cappella Piccolomini, è ignoto. Restò Michelangelo tuttavia debitore di cento scudi anticipatigli dal cardinale Francesco, secondo i patti della prima convenzione, i quali Anton Maria Piccolomini cedè nel 1537 a Paolo Panciatichi da Pistoia.
570. Lo strumento è tra i Rogiti di ser Pandolfo Ghirlanda da Carrara, e fu pubblicato da Carlo Frediani nel Ragionamento storico su le diverse gite fatte a Carrara da Michelangiolo Buonarroti, Massa, pei Fratelli Frediani, 1837, in-8º. Questo e gli altri si dànno secondo la lezione del Frediani.
571. Baccio da Montelupo.
572. De' Fancelli.
573. Pubblicato dal Frediani, Opusc. cit.
574. Questa si può chiamare la seconda convenzione per conto della sepoltura di papa Giulio, essendochè un'altra ne fece con Michelangelo il medesimo Papa, mentre viveva.
575. Il volgarizzamento è fatto dal notaro Francesco Vigorosi, e copiato da Michelangelo.
576. È di mano di Michelangelo.
577. Muratore ed architetto fiorentino.
578. Seguono notati dalla mano di maestro Antonio i pagamenti fattigli da Michelangelo per questo conto dal 9 di luglio 1513 al 25 d'aprile del 1514 che sommano a ducati 339 di carlini.
579. Pubblicato dal Frediani, Opusc. cit., dai Rogiti di ser Antonio Cortile.
580. È di mano di Michelangiolo.
581. Pubblicato dal Frediani, Opusc. cit., dai Rogiti di ser Calvano Parlontiotto.
582. È di mano di Michelangelo.
583. Fancelli.
584. Era da Pisa e fu discepolo di maestro Domenico, il quale lo condusse seco, allorchè andò a lavorare in Spagna, e morendo colà lo fece erede di tutte le masserizie dell'arte sua.
585. Anche questo è di mano di Michelangelo.
586. Raffaello di Niccolò di Lorenzo Mazzocchi, matricolato all'Arte de' maestri di pietra. Le sue memorie vanno fino al 1525.
587. Pubblicato dal Frediani, Opusc. cit.
588. È di mano di Michelangelo.
589. Mancano le sottoscrizioni.
590. È di mano di Michelangelo.
591. Anche questo è di mano di Michelangelo.
592. Pubblicato dal Frediani, Opusc. cit.
593. Pubblicato dal Frediani, Opusc. cit.
594. È originale.
595. Pubblicato dal Frediani, Opusc. cit.
596. Anche questo si legge nel citato Opuscolo del Frediani.
597. Uno de' due originali del presente contratto era un tempo nelle mani del prof. Achille Gennarelli.
598. Pubblicato da Vincenzo Santini nel vol. V, pag. 216, de' Commentarii storici sulla Versilia centrale: Pisa, Pieraccini, 1863, in-8º, e riscontrato coll'originale nei Protocolli di ser Giovanni Della Badessa.
599. Dai Rogiti di ser Giovanni Bertoni. Di questo contratto è una copia nell'Archivio Buonarroti.
600. Pubblicato dal Frediani, Opusc. cit., dai Protocolli di ser Lionardo Lombardelli.
601. Dai Rogiti di ser Giovanni Della Badessa, di Pietrasanta: Protocollo del 1518 e 1519, c. 130, nello Archivio de' Contratti di Firenze. Si legge ancora nell'Op. cit. del Santini, vol. V, pag. 221.
602. Quel che segue è scritto da Michelangelo.
603. Archivio detto, da' Rogiti di ser Giovanni Della Badessa: Protocollo del 1518 e 1519, c. 199.
604. Da' Rogiti di ser Filippo Cioni da Firenze: Protocollo del 1518 e 1519, c. 23.
605. Da' Rogiti di ser Filippo Cioni da Firenze: Protocollo del 1518 e 1519, c. 52.
606. Dai Rogiti di ser Giovanni Della Badessa da Pietrasanta: Protocollo del 1519.
607. Pubblicato dal Frediani, Opusc. cit., dai Rogiti di ser Lionardo Lombardelli.
608. Pubblicato dal Frediani, Opusc. cit., dai Rogiti di ser Niccolò Parlontiotto.
609. Pubblicato dal Frediani, Opusc. cit., dai Rogiti di ser Niccolò Parlontiotto.
610. Pubblicato dal Frediani, Opusc. cit., dai Rogiti di ser Pandolfo Ghirlanda.
611. Pubblicato dal Frediani, Opusc. cit., dai Rogiti di ser Girolamo Ghirlanda.
612. Deliberazioni della Signoria di Firenze dal 1527 al 1528, vol. CXCII. Fu pubblicato dal Gaye, Op. cit., vol. II, pag. 88. È noto poi che questo marmo fu dato a Baccio Bandinelli, il quale ne cavò il gruppo d'Ercole e Cacco, tanto biasimato a' suoi giorni, che si vede in Piazza della Signoria.
613. La elezione di Michelangelo a fortificare Firenze fu per la prima volta pubblicata nel Giornale Storico degli Archivi Toscani, vol. II, anno 1858, pag. 66, traendola dal Libro di Stanziamenti e Condotte de' Dieci dall'anno 1527 al 1529. Da questo documento si prova che Michelangelo anche avanti aveva prestato gratuitamente l'opera sua nelle fortificazioni della città.
614. Vero è che Michelangelo non si trovò presente a questo contratto, come egli stesso dichiara nella sua lettera, che è la CDXXXV, a pag. 489 e segg., di questa Raccolta.
615. Mancano le sottoscrizioni.
616. Pubblicato dal canonico Moreni nella Prefazione all'Idea della perfezione della pittura, di Rolando Freart, tradotta dal francese da Anton Maria Salvini. Firenze, Carli, 1809, in-8º.
617. Forse Iacopo Del Duca, scultore siciliano.
618. È questi l'Urbino, servitore di Michelangelo. Dal presente contratto apparisce che egli per sua professione era scarpellino, e forse Michelangelo ebbe occasione di conoscerlo e servirsi di lui fin da quando fermò la sua dimora in Roma; il che fu nel dicembre del 1533, come è stato detto altrove.
619. Pubblicato dal Gaye, Op. cit., vol. I, pag. 295.
620. Nell'originale seguono le firme.
621. Anche questo è pubblicato dal Gaye, Op. cit., vol. II, pag. 296.
622. Figliuolo di quel Donato Benti, scultore fiorentino, più volte nominato.
Nota del Trascrittore
Ortografia e punteggiatura originali sono state mantenute, così come le numerosissime grafie alternative. Sono stati corretti senza annotazione minimi errori tipografici soltanto nel testo delle note e della Prefazione, con l'unica eccezione dell'atto a pag. 701 (numero LIV, "Michelangelo è eletto governator generale delle fortificazioni di Firenze"), nel cui titolo l'anno MCXXIX appariva un evidente refuso, corretto in MDXXIX.
Copertina creata dal trascrittore e posta nel pubblico dominio.